Anno 1
Numero 1
di Gianfranco Manfredi - Magico Vento è edito dalla Sergio Bonelli Editore Copyright (c) 1997 all right reserved worldwide

IL VENTO MAGICO DEL DAKOTA

Magico Vento inizia il suo viaggio.
E lo inizia in treno, fatalmente. E’ proprio dal mitico "cavallo d'acciaio" che ogni avventura western prende l'avvio: dalla ferrovia, che è insieme "civilizzazione" della frontiera e "violazione" di una terra che gli indiani considerano sacra e popolata dagli spiriti. Il nostro treno è in corsa nel Dakota, uno degli stati meno noti e celebrati d'America.
Il clima del Dakota è inclemente: lunghissime siccità, squassanti grandinate, nebbie che possono durare giorni, il blizzard, un vento gelido che trascina la polvere a sessanta chilometri all'ora, escursioni termiche che possono provocare improvvisi sbalzi di temperatura da dieci gradi sotto zero a dieci sopra. Chi può scegliere di vivere in un territorio così'? Eppure è stato proprio questo territorio arido a destare gli appetiti di conquista dei bianchi. Forse proprio la sua apparente inviolabilità ha rappresentato la grande sfida per chi voleva portare il "progresso" nelle Grandi Pianure, per chi, dopo averle strappate agli indiani le ha abbandonate facendo del Dakota ciò che è oggi: "l'appartamento sfitto d’America", popolato da appena un milione e trecentomila abitanti, cioè un quinto della popo1azione di New York su un'area vasta quasi quanto la California, e destinato a diventare, nel giro di pochi anni, da un lato "riserva naturale" ripopolata dai bisonti, e dall'altro "il grande immondezzaio d'America" per la discarica di scorie radioattive. Se volete saperne di più, leggete Dakota - Una geografia spirituale, un bellissimo libro da poco pubblicato in traduzione italiana dall'editore Neri Pozza. Secondo l'autrice, Katleen Norris, il Dakota resta. ancora oggi, una tipica terra di frontiera, dura e insieme intensamente spirituale: "un paesaggio terrificante, ma bellissimo, nel quale siamo in balia dell'imprevisto." Quale scenario migliore per le nostre storie?
Il vento è la "presenza invisibile" incarnata nel nostro protagonista: il vento, divinità fondamentale per i Sioux. che lo chiamano Tatekan (Vento Sacro, Misterioso, Magico), il vento mutevole e incostante, che può essere sospiro e tormenta, brezza leggera che fa ondeggiare l'erba delle praterie e soffio implacabile che può rendere folli. Il vento che può trasportare miraggi, visioni ed echi lontani, spalancando le porte dell’immaginazione.
Ma basta con le premesse. Seguiteci nell’avventura. Ci piace immaginarvi in treno (molti di voi lo saranno, in questo periodo). Guardando fuori dal finestrino non vedrete grandi pianure, né bisonti, ma distese di cemento e camion che sfrecciano. Però, per un attimo, chiudete gli occhi e immaginate d'essere altrove, di viaggiare verso l'ignoto e imprevedibile. Magico Vento viaggia con voi. Se poi scendete a Rimini, non importa. Scriveteci lo stesso.
Siamo in impaziente attesa delle vostre voci.

  
Anno 1
Numero 2
di Gianfranco Manfredi - Magico Vento è edito dalla Sergio Bonelli Editore Copyright (c) 1997 all right reserved worldwide

GLI ARTIGLI DELL'AQUILA

Ascolta il suono delle loro ali!
Scendono le aquile possenti!
Bambini, portano doni per voi!"
Questa è una canzone dei Pawnee, dedicata alle aquile. Strana canzone, vero? In nessuno dei nostri canti popolari l'aquila appare così buona e mite. Per noi europei, l'aquila è fin dai tempi dell'Impero Romano il simbolo del Potere e della Conquista. I Potenti d’ogni tempo, come le aquile, salgono sempre più in alto e dall'alto governano il mondo. Ma per gli indiani d'America, la caratteristica più importante dell'aquila non è che sale fino al cielo, ma che scende fino a noi. E’ un messaggero del Grande Spirito, il cui arrivo è salutato con gioia. Ma l'aquila è anche qualcosa di più, come spiega Capo Aquila, dei Pawnee: "L'aquila depone due uova e solo due, ed è questo il significato: tutte le cose del mondo sono doppie, come l'uomo e la donna, la sostanza e l'ombra, il corpo e lo spirito".
Come si vede, per gli indiani, l'aquila è anche un simbolo dell'ambiguità delle cose, o meglio: poiché tutto nel mondo è doppio, l'aquila ci insegna anche a cercare di capire il punto di vista dell'altro.
Ma che cosa succede quando l'aquila che scende su di noi non porta doni, ma mostra gli artigli?
E che cosa succede quando l'ambiguità delle cose pare sconvolgere le stesse leggi della natura?
Cosa succede quando la diversità dei punti di vista finisce per confondere il vero e il falso, e seminare odio e discordia fino al conflitto sanguinoso dell'uno contro l'altro? Questo lo scoprirete in questa storia di Magico Vento, la prima che affronta un tema classico della mitologia indiana. Non è stato un compito facile: bisognava non cedere troppo al folclore, non ammazzare l'azione con una quantità di spiegazioni, e non immiserire la ricchezza simbolica dei miti indiani. Per la verità, c'è anche chi pensa che i miti indiani siano di una noia mortale. Saremo un po' "strani" (come il nostro eroe), ma noi ci siamo appassionati e impegnati allo spasimo nello scrivere e riscrivere, disegnare e ridisegnare questo episodio, dove si passa dalla magia all'azione "senza un attimo di respiro".
Se alla fine vi resterà un po' di curiosità sul complesso rapporto che lega gli indiani alle aquile, potrete trovare in libreria molti racconti della tradizione indiana sullo stesso tema. Ve ne consigliamo in particolare tre. Il primo si intitola Aquila Chiazzata e Corvo Nero, raccontato da Nuvola Rossa, il grande capo Sioux. E’ compreso nel libro Miti e leggende degli Indiani d'America (Oscar Mondadori). Un'altra bella storia di aquile è Il cacciatore e la madre di tutte le aquile, pubblicata in Miti e Leggende - Gli Indiani del Nord America (Acquarelli). Ma la più magica è forse L'Uomo Aquila, storia di una prodigiosa trasformazione narrata dal capo Penna-CheRonza nella sua autobiografia Ricordi di un indiano Pima (Rusconi ).
E adesso, state pronti: sentite il suono delle ali?

  
Anno 1
Numero 3
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INCHIOSTRO BOLLENTE

Nei film western si sono visti una quantità di sceriffi, di reverendi con o senza la pistola, di avvocati e di maestrine. Ma nella realtà del West nessuna di queste figure assunse mai l'importanza dei giornalisti. Le maestre, in particolare, non esistevano quasi. Quelle poche, quando arrivavano in un paese, trovavano subito chi se le sposava e non insegnavano più. I veri maestri erano invece i giornalisti che tenevano frequentatissime conferenze su ogni possibile argomento e venivano venerati anche perché un loro articolo, pubblicato sui giornali dell'Est, poteva rappresentare un'ottima promozione per i paesi della Frontiera e portare investimenti. Nell'ambito delle professioni intellettuali, il loro numero era in percentuale molto maggiore di quanto non sia attualmente, nell'era della comunicazione di massa! In questo episodio di Magico Vento vedremo appunto quanto fosse importante il loro lavoro e quali insidie incontrasse. Quello di Willy Richards detto Poe e dei suoi colleghi della carta stampata era un compito difficilissimo. I giornali delle grandi città come Chicago erano bene organizzati, ma quelli della Frontiera erano spesso redatti e stampati da una sola persona e in condizioni di assoluta emergenza: poche scorte di carta e d'inchiostro, macchine tipografiche vetuste, caratteri così logori e sporchi da rendere quasi illeggibili gli articoli. In compenso i pionieri del giornalismo americano avevano un linguaggio schietto e diretto. Le polemiche rimbalzavano da un giornale all'altro come schioppettate. Un esempio? Ecco un franco scambio di opinioni tra due giornali rivali di Gallup: il Gleaner, giornale democratico, accusato di simpatie anarchiche, e il conservatore News Register.
"Il Direttore del Register è un serpente, un bugiardo, un ruffiano, un ipocrita spaventapasseri dai baffi puzzolenti...... scrive il Gleaner. E il News Register risponde così all'altro Direttore: "Possa la sfortuna perseguitarlo, e la malattia corrodergli la pelle; possa la morte strappargli la famiglia; gli amici schifarlo; fantasmi femminili turbare i suoi sogni; e che sia infine sepolto, povero, miserabile, dimenticato dagli uomini, disprezzato da Dio, e consegnato per sempre all’inferno!".
Fate leggere queste righe a chi protesta contro la stampa troppo poco anglosassone e la televisione gridata... ma prima, leggete questo albo e guardate come se la cava il nostro Poe in questo mare di inchiostro bollente!

 

Anno 1 Numero 4
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IL PRODIGIOSO OLIO DI ROCCIA

Sembra una leggenda, ma è storia vera. Un certo Sarnuel Kier estraeva sale da un pozzo, sul fiume Allegheny, in Pennsylvania, e gli affari gli andavano piuttosto bene, finché un'infiltrazione di olio minerale gli mandò tutto in malora. Kier non si perse d'animo: rinunciò al sale, imbottigliò l'olio e cominciò a venderlo come medicinale portentoso. La pubblicità del petrolio di Kier, o olio di roccia, lo garantiva come rimedio infallibile contro "bronchite, tracheite, polmonite, emorroidi, diarrea, colera, reumatismi, gotta, asma, nevralgie, attacchi biliari. verme solitario, eruzioni cutanee e infiammazioni agli occhi". La panacea universale di Kier destò l'interesse dell'industriale Georg Bissel che la fece analizzare scoprendo così che si trattava di "una materia prima da cui si possono ottenere prodotti preziosi". Deciso a sfruttarla adeguatamente, Bissel fondò la Pennsylvania Oil Company, prima compagnia petrolifera del mondo. Era il 1854.  Cinque anni dopo, Edwin Drake perfezionò le tecniche di estrazione costruendo il primo pozzo con armature metalliche della storia, dotato di perforatrice a vapore. Tutti presero in giro quel pazzo che faceva buchi in terra, ma quando l'oro nero finalmente sgorgò, la faccenda divenne molto seria. Fu l'inizio della "corsa al petrolio": migliaia di affaristi, speculatori e avventurieri si sparsero per tutta l'America perforandola in lungo e in largo alla ricerca del prezioso minerale. Lo scontro degli interessi provocò sanguinosi episodi di guerra per il controllo degli oleodotti, ma il vincitore finale fu un uomo che capì come il vero problema non fosse il trasporto, ma la trasformazione del greggio: si chiamava John Rockefeller. Nel 1870, cioè all'epoca di questo episodio di Magico Vento, la sua Standard Oil Company già monopolizzava l'intera industria petrolifera, e Rockefeller poteva proclamare spavaldamente: "Rischiate pure i vostri dollari per scoprire nuovi giacimenti; quando avrete trovato il petrolio, per raffinarlo dovrete rivolgervi a me!".
Abbiamo voluto raccontarvi in breve la storia della scoperta dell’oro nero in America perché in questa avventura di Magico Vento il petrolio scorre a fiumi, zampilla, piove... insomma è un protagonista fondamentale. Contrariamente a quanto comunemente si crede, i giacimenti più ricchi non si trovano in Texas e in California, ma nel Nord, in particolare nel Wyoming, stato nel quale vivevano molte comunità di Mormoni. Dunque il loro incontro con l'oro nero, narrato nella nostra storia, per quanto non ispirato a vicende reali, non è campato per aria. I Mormoni non estraevano direttamente, ma costruivano e commerciavano attrezzature per l'estrazione e il trasporto del greggio. Delle credenze religiose e sociali dei Mormoni e del loro particolare rapporto con gli indiani, parleremo in un'altra occasione. Per ora ci limitiamo a segnalarvi la fonte da cui abbiamo tratto le principali informazioni che li riguardano. E’ il libro I Mormoni (Sansoni, 1961) di Thomas F. O'Dea, uno studioso non mormone, ma "obiettivo e criticamente simpatizzante" com’egli stesso si definisce.

 
Anno 1 Numero 5
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IL MITO DELLA DONNA BISONTE

"La Donna Bisonte Bianco dona ai Lakota la Pipa del Vitello Sacro, e con essa tutto ciò che dava significato alla vita. Il popolo aveva vagato sulla terra per innumerevoli generazioni fin da quando era emerso dal mondo sotterraneo nelle nebbie dell'antichità. Ma diventeranno veri Lakota soltanto con la prodigiosa apparizione della Donna Bisonte Bianco".
Questa citazione è tratta dalla biografia di Toro Seduto di Robert Utley (Oscar Mondadori Best Sellers) e testimonia l'importanza per i Sioux della mitica figura della Donna Bisonte. Dalla preistoria fino a oggi (l'ultima apparizione della Donna Bisonte pare risalga al 1970) l'emergere dal nulla di questa fantastica creatura segnala per i Sioux un periodo di grandi e profondi cambiamenti che al principio sembrano riguardare la vita di singole persone, ma poi travolgono i destini collettivi, rivelandosi i volte benefici, altre volte quasi apocalittici. Non vi anticiperemo nulla sui poteri magici e sull'ambigua natura della Donna Bisonte, detta anche più semplicemente Whopi, perché li scoprirete leggendo questo episodio di Magico Vento. Non era facile affrontare questo tema, ancora misterioso, quasi ignorato dal cinema e dalla letteratura, ma siamo sicuri che apprezzerete il nostro sforzo, visto che l'episodio "Artigli", che affrontava miti indiani altrettanto ardui da raccontare, ha incontrato il vostro favore. Abbiamo naturalmente tratto ispirazione da molti racconti indiani che parlano di Whopi, prendendo spunti qua e là e sviluppandoli liberamente. Con questo, non pretendiamo certo di aver esaurito la ricchezza della figura della Donna Bisonte. Le storie di Whopi sono infinite e di varia ispirazione: magiche, paurose, sentimentali e persino umoristiche, a testimonianza del fatto che gli indiani d'America sapevano scherzare anche con le loro divinità. Vi raccomandiamo due racconti in particolare, entrambi negli Oscar Mondadori: La donna-bisonte (nell'antologia Fiabe Sioux e Cheyenne) e Donna Bisonte-Una storia di magia (in: Dee Brown, Attorno al Fuoco). Ma il mito è così insolito e affascinante che nessuna storia di per sé può renderne tutte le sfumature. Esso fu portato alla luce tra la fine del secolo scorso e l'inizio dell'attuale dall'antropologo James R. Walker che raccolse molte testimonianze in proposito tra i Sioux Oglala della riserva di Pine Ridge. Sono pochissime le analogie tra la Donna Bisonte e le creature leggendarie della nostra cultura europea, c'è però qualche punto di contatto con l'antico mito della Donna Selvaggia, creatura dei boschi, allevata dagli animali, che rappresenta la diversità dello Spirito Femminile e la sua faticosa lotta contro l’aggressività del mondo maschile. Una recente profezia Sioux annuncia l'imminente ritorno di Whopi "in compagnia di una donna bianca". Non è la prima volta che viene fatta una simile profezia. Essa sembra significare che la solidarietà tra donne di razze diverse è il segnale più importante di cambiamenti profondi della nostra storia.

 
Anno 1 Numero 6
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LA LINEA DELLA MORTE

L’episodio che state per leggere è in due puntate, dunque il prossimo mese questo spazio sarà occupato dal riassunto della puntata precedente. Per riequilibrare, dedichiamo questo numero della Blizzard Gazette all'anticipazione di un tema presente (in flash back) il mese prossimo e che riguarda una delle pagine più oscure della Guerra di Secessione: i campi di concentramento nordisti.
I prigionieri di guerra vennero rinchiusi al principio in alcuni Forti, poi in prigioni normalmente riservate ai criminali o in edifici adattati allo scopo. Ma il loro numero cresceva di continuo e così si finì per ammassarli in desolati appezzamenti di terreno circondati da palizzate. In uno di questi veri e propri campi di concentramento (Camp Douglas, Chicago), nel solo mese di Febbraio 1863, morirono 387 prigionieri su 3.884 (cioè circa il dieci per cento). E in meno di un anno ad Andersonville, forse il campo più malfamato, un terzo dei più di 30.000 prigionieri che vi erano stipati morì di stenti, di malattie infettive o venne ucciso nel corso di disperati tentativi di fuga. Il dottor Kerr, membro dello staff medico del campo, scrisse: "Causa affollamento, sporcizia, denutrizione e sconforto, la condizione fisica dei prigionieri era così precaria che la più piccola abrasione della pelle, per un graffio, per gli effetti del sole, o per la puntura d'un insetto, poteva degenerare rapidamente in spaventose ulcerazioni e cancrena".
Le guardie (poco più di duemila) vivevano nell'incubo di una sollevazione e aprivano il fuoco al minimo pretesto. Un sentiero cintato, detto "La linea della Morte", correva intorno al campo. Si sparava su chiunque tentasse di superarlo, ma ciò non bastava a dissuadere i prigionieri: molti preferivano correre verso l'inevitabile fine, piuttosto che sopravvivere in quelle disperate condizioni. Le uccisioni raggiunsero l'incredibile cifra di centoventisette morti al giorno, cioè uno ogni undici minuti! Ma anche l'orrore più cupo lascia qualche spazio alla speranza, che in questo caso si chiama fuga: una delle evasioni più celebri fu quella del generale confederato John Morgan, rinchiuso nel penitenziario di Columbus, Ohio. Morgan scavò con sei compagni un lungo tunnel sotterraneo dopo aver aperto un buco in un pavimento di cemento con dei normali coltelli da pranzo sottratti alla mensa ufficiali! E prima di andarsene, da vero gentiluomo del Sud, lasciò beffardamente ai carcerieri un messaggio nel quale illustrava la sua tecnica di scavo e si congedava da loro con "gentili saluti". Un mezzo forse meno ingegnoso, ma senz'altro più sorprendente, fu escogitato da un detenuto nordista della prigione confederata di Salisbury (anche il Sud aveva naturalmente i suoi luoghi di detenzione, ma molto meno spietati di quelli nordisti): l'uomo, addetto alle sepolture, sfruttò la sua abilità di ventriloquo facendo parlare un cadavere e provocando così la fuga delle guardie atterrite. Anche ad Andersonville avvenne un'evasione simile: un gruppo di detenuti scavò un tunnel troppo corto, ma questo errore fu la sua fortuna. Sbucarono, tutti sporchi di fango, proprio dietro un fuoco posto nel bel mezzo dell'accampamento delle guardie che schizzarono via in tutte le direzioni credendoli diavoli infernali. Dal che si deduce che a volte la paura salva la vita... specie se si tratta della paura degli altri!

 
Anno 2 Numero 8
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L'INSAZIABILE FAME DEL WINDIGO

"Che cos'è il Windigo, prego?" sbottò Simpson, irritato per non essere riuscito a fermare un fremito improvviso. Défago si voltò di scatto e lo guardò come se fosse sul punto di strillare, ma la sua voce diventò presto bassissima: "E' come un grande animale, veloce come il fulmine, più grosso di tutto quello che c'è nella foresta, e dicono che non è bello da guardare... ecco tutto!". Non è affatto tutto, ma Algemon Blackwood, uno dei più celebri scrittori horror dell'inizio del secolo, autore del racconto Il Wendigo da cui abbiamo tratto queste righe, era convinto che gli esseri soprannaturali più restano avvolti nel mistero, inspiegati, e più fanno paura. Tuttavia sul Windigo si sono raccontate infinite storie e scritti ponderosi studi, fino a farne la creatura più famosa dell'intera mitologia indiana (alcuni scrivono il suo nome Wendigo, altri Weendigo, ma la forma più diffusa è Windigo, che corrisponde tra l'altro alla pronuncia italiana). La credenza nel Windigo nasce tra gli Ojibway (conosciuti anche come Chippewa), una tribù nordarnericana e canadese. Ma il Windigo è soprattutto figlio dell'inverno e della fame. Un uomo può diventare Windigo se la scarsità dei viveri lo spinge al cannibalismo. E' necessaria però una certa predisposizione: sono gli ingordi a rischiare di più questa spaventosa mutazione. E Windigo si muove come uno spietato predatore, ma più vittime divora e più il suo corpo cresce in proporzione, e dunque la sua fame è insaziabile. Altri particolari li apprenderete leggendo la storia che gli abbiamo dedicato.
Ma non pensate che il Windigo sia soltanto una leggenda: è anche una malattia complessa ben documentata cui è molto difficile trovare cure psichiatriche adeguate. A chi volesse saperne di più circa i significati etnologici del Windigo e i suoi risvolti clinici, consigliamo il libro di Emanuela Monaco: Manitu e Windigo. Visione e Antropofagia tra gli Algonchini (Bulzoni Editore, £.30.000). E' uno studio a livello universitario, ma contiene molti frammenti narrativi e testimonianze di appassionante lettura.
Nell'illustrazione di questa pagina, potete vedere il mostro in un dipinto del 1963, opera dell'artista Ojibway Norval Morrisseau. Secondo l'interpretazione di Morrisseau, il Windigo è grande, grosso e feroce, ma non molto lucido, dato che ingoia castori scambiandoli per esseri umani. Del resto, anche gli Orchi Giganti delle nostre favole e i mitici Ciclopi non hanno mai brillato per intelligenza. La furia che li possiede, le smanie che li agitano, sono insieme la loro forza e la loro principale debolezza.
Errata corrige. Nell'ultimo numero del Blizzard Gazette si parlava del campo di concentramento di Andersonville. Dal contesto si poteva intendere che fosse un campo nordista, invece era sudista. Il nostro affezionato ed esperto lettore Fabio Brini ce lo ha fatto notare. Lo ringraziamo e ci scusiamo per il possibile equivoco. E già che ci siamo, conviene anche precisare che il campo sul Grand River che appariva nell'episodio "Il Figlio del Serpente" era di nostra invenzione e non è mai esistito storicamente.


Anno 2 Numero 9
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L'UOMO DI SALEM

Lo spunto iniziale di questa avventura di Magico Vento, cioè il grande volto umano scolpito sul crinale di una montagna e la leggenda che lo circonda, è stato tratto da un racconto di Nathaniel Hawthorne, uno dei maggiori scrittori americani dell'Ottocento, noto soprattutto per il romanzo "La Lettera Scarlatta". Nato a Salem nel 1804, Hawthorne era discendente di un giudice puritano, intransigente protagonista (negativo) di diversi processi contro le streghe. Questa eredità dovette pesare molto su Hawthorne che dedicò molti suoi scritti alla denuncia del rigido moralismo dei puritani, mostrandosi sempre aperto al mondo delle leggende e del soprannaturale, anche se in modo morbido e ironico. Ma c'è almeno un aspetto, nei racconti di Hawthorne, che può farlo considerare un vero e proprio "scrittore dell'orrore". Se Edgar Allan Poe ci racconta l'animo umano con tutto il suo carico di ossessioni e perversioni, dissezionandolo con precisione chirurgica come un cadavere sul tavolo anatomico, Nathaniel Hawthorne invece ci illustra le convinzioni morali degli uomini, e ne rivela i risvolti abietti, assurdi, inquietanti e a volte anche orripilanti. I temi dei suoi racconti, fin dalle tracce iniziali e dai brevi soggetti raccolti nei suoi taccuini di appunti, hanno sempre un risvolto morale. Vi offriamo qualche esempio dei suoi progetti narrativi (non tutti realizzati): "Un serpente immesso nello stomaco di un uomo e tenuto lì dai quindici ai trentacinque anni, il quale tormenti la vittima nel più orrendo dei modi. Potrebbe essere un simbolo dell' invidia o di qualche altra passione perversa". Oppure: "Un uomo il quale dedichi la vita e la fatica piu intensa a costruire una qualche bazzecola meccanica, come per esempio una diligenza in miniatura tirata da pulci, o un servizio da tavola il quale stia in un nocciolo di ciliegia". 0 anche : "Che una persona dia la caccia alle lucciole, e cerchi di accendere con esse il fuoco domestico. Potrebbe essere simbolico di qualche cosa". Come si vede, Hawthorne è sempre alla ricerca di un significato, anche quando non sa bene quale, e lo spunto "fantastico" ha per lui valore solo in quanto ci permette di ricavare una qualche conclusione morale. E spesso questa morale è così poco corrispondente alla nostra idea del "giusto" e del "lieto fine", da sconcertare. Il figlio di Nathaniel Hawthorne, Julian, fu anche lui scrittore ( con molto minor talento e fortuna del padre) e imboccò più decisamente la via dell'orrore e del soprannaturale. La sua originalità fu di fondere insieme occultismo, medicina fantastica (virus, batteri e pozioni) e delitti provocati da scienziati pazzi e da malati mentali. Nella sua storia più riuscita (Archibald Malmaison) il protagonista soffre di ricorrenti e sempre più lunghe perdite di memoria. Così egli dimentica di aver ucciso il marito della sua amante, e di avere nascosto la donna in un'impenetrabile stanza segreta del suo castello. Quando torna nel pieno possesso delle sue facoltà, pensa che siano trascorse solo poche ore, e invece scopre che sono passati anni: ormai la donna nella stanza segreta è uno scheletro. Al grande Uomo di Salem e al suo bizzarro figlio è dedicata questa storia doppia di Magico Vento nella quale troverete appunto leggenda, superstizione, follia criminale, scheletri e anche qualche piccolo contenuto morale non proprio confortante.


Anno 2 Numero 11
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RITRATTI DIABOLICI

"Per un momento, il pittore restò estasiato davanti al lavoro che aveva compiuto, ma l’istante seguente, sempre immerso nella sua contemplazione, fu preso da un tremore e da un pallore estremo e da spavento, e gridò a gran voce: In verità, questa e la Vita stessa!" (Edgar Allan Poe, Il ritratto ovale). "Si strofinò gli occhi, si avvicino al ritratto e di nuovo lo esaminò. Guardandolo attentamente, non riconobbe segni di cambiamenti, eppure non c'era dubbio: l’espressione complessiva era mutata. Non era una sua pura fantasia. La cosa era orribilmente evidente." (Oscar Wilde, II ritratto di Dorian Gray). "Non serve a niente che io cerchi di spiegare com'erano i quadri di Pickman, perché quell'orrore mostruoso, quell'incredibile odiosita, quel fetore morale erano frutto di segni intraducibili in parole." (H.P. Lovecraft, II modello di Pickman). Quanti quadri diabolici nei racconti dell'orrore! Gli scrittori dell'Ottocento e del primo Novecento erano quasi ossessionati dal tema dell'Immagine Viva, del resto per nulla passato di moda, dato che il rapporto tra le immagini e la vita e ancora al centro di molte inquietudini contemporanee, magari sotto forma di conflitto tra Reale e Virtuale. Ma a quel tempo, l'ansia di fronte ai dipinti era dilatata dallo sviluppo di una ritrattistica sempre più realistica e raffinata: una tecnica smaliziata sottolineava lo sguardo del personaggio rappresentato fino a dare l’illusione che potesse seguire e sorvegliare i movimenti delle persone nella stanza, e la figura, spesso a rilievo su fondi bui, sembrava assumere una consistenza tridimensionale e persino movimento, all'incerta e ondeggiante luce delle candele e delle lampade a petrolio.Il ritratto riprodotto in questa pagina risale addirittura al XVI secolo ed e una miniatura conservata al Victoria and Albert Museum di Londra. Rappresenta un luciferino "Young Man" su sfondo di fiamme, nell'atto di mostrare un misterioso pendaglio. L'effetto e indubbiamente inquietante e conferisce al personaggio un'evidenza che sembra proiettarlo fuori (oggi si direbbe che "buca lo schermo"). Neppure gli indiani restarono immuni al fascino oscuro del realismo pittorico. Abituati a disegnare i volti di profilo, restarono molto turbati di fronte ai ritratti frontali nei quali lo sguardo del personaggio sembrava fissare l'osservatore. Alcuni pittori bianchi che visitavano le tribù per riprodurre nei minimi dettagli volti, atteggiamenti e abbigliamenti dei nativi, furono, dopo un'iniziale diffidenza, considerati come "uomini della medicina" e la loro arte come una "buona magia". Tale fu per esempio il caso del grande pittore George Catlin cui fu persino permesso di ritrarre cerimonie sacre. Catlin, dal canto suo, divenne uno strenuo difensore della causa indiana. Per lui, tristemente consapevole che la cultura dei pellerossa sarebbe stata sconfitta, dipingere i ritratti di capi, sciamani, guerrieri e donne delle tribù era un modo per garantire loro una vita futura. E ora spegnete la luce elettrica e godetevi a lume di candela questa storia di Magico Vento dove il ritratto di un diabolico pistolero di San Francisco non si limita a "prendere vita", ma "prende la vita"!


Anno 2 Numero 12
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LAKOTA O SIOUX?

"Probabilmente conoscete il Popolo degli indiani delle Praterie con i nomi che gli hanno dato i bianchi: Cheyenne, Crow, Sioux ecc. In questo libro imparerete a conoscerli con i loro veri nomi, come Popolo della Freccia Dipinta, Popolo della Piccola Aquila Nera e Popolo dei Fratelli". Questo scrive Hyemeyohsts Storm nell’introduzione del suo libro Sette Frecce, da poco uscito in traduzione italiana (Corbaccio, £.40.000). Storm e figlio di un tedesco e di un’indiana Crow con ascendenze Cheyenne. La sua voce e molto autorevole nel movimento indiano, fin dagli anni Settanta. Quando Storm e venuto a Milano a presentare il suo libro, siamo stati invitati alla conferenza con il nostro editore Sergio Bonelli. Al termine, non sapevamo più come chiamare correttamente il Popolo delle Pianure: Lakota, Dakota, Nakota... le abbiamo provate tutte, finché Storm ci ha corretto: "Sioux!" (che si pronuncia Sciù). Ora è vero che Storm e un Crow (e i Crow erano nemici dei Sioux) ma e altrettanto vero che nessun Lakota (parola che significa "fratelli, alleati, amici") si offende a sentirsi chiamare Sioux (che significa l’esatto contrario: "serpenti", nell’accezione di "nemici"). Questo secondo termine, infatti, non ha alcuna connotazione negativa per loro: i Sioux, ultimi arrivati nelle Grandi Pianure, erano realmente i nemici di tutti ed erano anche fieri di esserlo. Anche i termini Apache e Comanche significano la stessa cosa: nemici. Era questa una qualifica comune per indicare popolazioni guerriere. Ma già che ci siamo, vale la pena di approfondire. La famiglia tribale dei Sioux si divide in tre gruppi: i Dakota (detti anche Santee) a Est del Missouri (nell’attuale Minnesota), i Nakota (o Yanktonai) all’estremo sud est del Sud Dakota, e i Lakota (o Teton), il raggruppamento più numeroso, a ovest del Missouri. Ciascuno di questi tre grandi gruppi è diviso in bande. Per limitarsi a quelle dei Lakota, le principali sono sette (le più famose, gli Oglala e i Brulé). Tra loro, i Lakota si chiamano con i nomi delle rispettive bande o sottobande o clan "trasversali" rispetto alle bande. Ad esempio, Nuvola Rossa (che vedete nella foto), celebre leader degli Oglala, era considerato da molti di loro unicamente il capo delle cosiddette Facce Cattive. Come potete intuire, inoltrarsi in queste differenze per uno scrupolo di esattezza, equivale a farsi una passeggiata in un campo minato. A seconda delle varie circostanze, abbiamo dunque usato termini più generali e conosciuti (come Sioux) oppure più specifici (come Lakota o Oglala). Mai abbiamo scelto tra un termine e l’altro sulla base di un criterio "politicamente corretto". È infatti una convenzione, tipicamente bianca e occidentale quella di chiamare gli indiani "nativi americani" o "amerindi". Tra loro, gli indiani si chiamano semplicemente indiani, e lo stesso vale per i nomi tradizionalmente attribuiti alle tribù: sono usati senza complessi e con grande libertà. L’importante per loro, e anche per noi di Magico Vento, e cercare sempre di chiarire nel modo più semplice possibile di chi e di che cosa si parla.


Anno 2 Numero 13
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LA TELA DEL RAGNO

Nessuna mitologia come quella indiana e altrettanto piena di divinità ingannatrici, che si divertono a complicare la vita degli uomini, ma sanno anche prendersi gioco delle divinità superiori. Questi "demoni degli inganni" sono, nelle tradizioni delle diverse nazioni indiane, collegati a figure animali: il coyote, il coniglio, la lepre, il ragno, il corvo, la cornacchia, l’opossum e persino la gallina. Di fronte a una tale proliferazione, gli studiosi occidentali hanno cercato di unificare tutte queste divinità in una sola figura: il Trickster (l’Ingannatore, appunto). Questo nome "collettivo" non e mai stato usato dai nativi, e una pura invenzione degli etnologi. Secondo le interpretazioni classiche (che risalgono alla fine dell’Ottocento) il Trickster esprime il lato più antico e oscuro dell’animo umano, un’identità ancora vicina a quella animale e avviluppata negli istinti più bassi: sopravvivenza a tutti i costi, sesso sfrenato, violenza gratuita, rapina, golosità, menzogna. Il Trickster rappresenterebbe anche la resistenza della "cultura primitiva" alla religione organizzata degli sciamani, e agli Dei codificati e rispettabili. Per quanto interessante, questa interpretazione non ha retto al tempo. È ormai evidente, ora che gli studi si sono fatti più attenti alla specificità delle singole culture indiane, che i "demoni degli inganni" sfuggono a un’interpretazione unitaria: in certe tradizioni sono solo degli allegri imbroglioni, in altre sono creature assolutamente inquietanti, in altre ancora, esseri ambigui che possono rivelarsi utili o nocivi a seconda delle circostanze. È certo comunque che l’elemento permanente di tutte queste figure e l’Inganno. Il Trickster protagonista di questa storia di Magico Vento è Iktomi (Ragno). Lo vedete qui ritratto dal pittore Richard i Erdoes che ha rielaborato disegni originali indiani per il libro Miti e leggende degli indiani d’America (Oscar Mondadori, £.16.000 ). Non vogliamo anticiparvi troppo di Iktomi, per non togliervi la sorpresa. Ma possiamo dirvi che il suo scopo fondamentale e dividere le tribù Sioux, spingendone i membri a vivere ciascuno per conto suo, per lasciarli indifesi e in balia dei nemici. Per raggiungere questo scopo, Iktomi si infiltra nelle tribù anzitutto attraverso i comici (gli heyoke), proponendosi insomma con "simpatia", o anche assumendo seducenti sembianze femminili. Ma Iktomi può anche insinuarsi nei sogni e nelle visioni per distorcerle, confondendo il vero con il falso. È, insomma, il più grande fabbricante di inganni e di illusioni... Vi ricorda niente? Provate per un attimo a dimenticarvi degli indiani d’America, e risolvete questo quiz: qual è quella divinità che ha un altare in tutte le famiglie occidentali (e non solo) e che tende a isolare le persone, proponendosi attraverso comici e donne seducenti, insinuandosi nei nostri sogni, e propinandoci costantemente immagini ingannatrici e messaggi che confondono il vero con il falso?... Indovinato? Ma si, ma si, proprio lei: la nostra amata e odiata (ma comunque irrinunciabile) TV! Buona lettura!


Anno 2 Numero 14
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GHOST DANCE

In questo episodio di Magico Vento si raccontano (ovviamente con una rielaborazione avventurosa e di pura fantasia) le origini di una cerimonia importantissima per i destini del Popolo delle Pianure: la Ghost Dance. Questo rito non faceva parte dei tradizionali riti indiani e non era antico come la Danza del Sole. I suoi inizi vengono fatti risalire al 1869, quando Capelli Grigi, uno sciamano Piute, rivelò d'aver avuto una visione nella quale si annunciava l'avvento di un Messia indiano che avrebbe portato il paradiso in Terra, donando l'immortalità agli esseri umani e cancellando ogni distinzione tra le razze. Questo Messia era apparso a Capelli Grigi in compagnia degli Spiriti degli indiani morti in battaglia. Il rito che doveva celebrare il prossimo avvento del Messia consisteva in una cerimonia collettiva durante la quale si entrava in trance e ciascuno poteva comunicare con i propri cari, morti in battaglia. Dopo queste visioni, alcuni indiani sostenevano che gli Spiriti dei morti vivevano in pace, altri invece che erano turbati e impazienti di ricongiungersi ai vivi. Gli insegnamenti di Capelli Grigi furono raccolti da Weneyuga, un altro profeta indiano, e in breve tempo il culto si sparse in California e nell'Oregon. Il potere che gli veniva generalmente attribuito era quello di proteggere gli indiani da un imminente olocausto causato dai bianchi. Come e facile capire, la Ghost Dance risentiva dell'influenza culturale di certi predicatori cristiani (numerosi sia tra i frati cattolici che tra i seguaci di alcune sette puritane) i quali annunciavano l'Apocalisse, cioè la Fine del Mondo, il ritorno di Cristo e il Giudizio Universale. Nel 1870, un nuovo profeta, Yetcit, annuncio che tutti i nativi che non avessero partecipato alla cerimonia sarebbero morti, e il culto si diffuse ancora di più. Tuttavia, dopo questo primo fiorire, la Ghost Dance sembro spegnersi nel nulla, anche perché i Lakota e in genere i Popoli delle Grandi Pianure, rimasti fedeli alla Danza del Sole, non se ne dimostrarono molto attratti. Dieci anni dopo, nello stato di Washington, un certo John Slocum annuncio agli indiani d'essere morto e risorto, grazie alla devozione di sua moglie Mary che per tutto il periodo del suo coma aveva danzato accanto a lui, cadendo preda di frequenti convulsioni e stati di trance. Nacque cosi il movimento degli Shaker (i tremolanti) che fondeva tradizioni indiane ed elementi religiosi cristiani (la Trinità, Gesù Salvatore, il Crocefisso). Nel 1890 la cerimonia della Danza degli Spettri riprese slancio a opera di Wovoka, un carismatico sciamano Piute. La Ghost Dance finì per diffondersi anche nelle Grandi Pianure. dove trovo un sostenitore nel capo Sioux Orso Scalciante (nella foto), ed ebbe una grande responsabilità nell'arresto e nella morte di Toro Seduto (ritenuto dai bianchi un seguace della Ghost Dance, e dai Sioux un suo avversario) e nel massacro di Wounded Knee: molti indiani, infatti, si erano lanciati in battaglia sicuri d'essere resi invulnerabili dalle camicie sacre indossate durante le cerimonie della Danza degli Spettri. La spaventosa strage che ne segui pose fine alle speranze di rigenerazione del popolo indiano. Oggi la Ghost Dance sopravvive solo come danza tradizionale in alcune tribù. ma il suo significato originale desta ancora molte discussioni tra gli studiosi: era un rito non-violento oppure istigava alla guerra.


Anno 2 Numero 15
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CRISTALLI SOGNANTI

Questo episodio di Magico Vento racconta la storia di Blizzard, la Ghost Town dove il nostro eroe si è rifugiato con l'amico Poe. Il termine Blizzard, nel gergo della Frontiera, indicava in origine un cazzottone talmente potente da sollevare l'avversario dal suolo. Solo più tardi, per analogia, fu usato per indicare un vento fortissimo capace, appunto, di scagliare a terra le persone. Questo nuovo significato oscuro il primo ed entro ben presto nei dizionari, dopo che nel marzo l870 comparve per la prima volta stampato su un giornale dello Iowa per indicare una violentissima tempesta di neve. Ma veniamo al terna centrale di questo episodio, cioè il segreto potere dei cristalli. II cristallo, è noto, è un elemento magico per eccellenza. Quando vogliono leggere il futuro, gli indovini guardano nella sfera di cristallo (come nell'immagine qui riprodotta, tratta dal manifesto del film Supernatural di Victor Halperin, 1933). Oggi simili esperienze ci fanno sorridere, eppure e proprio la scienza contemporanea ad aver scoperto e sfruttato le incredibili qualità di questo minerale. I cristalli di quarzo sono comunemente usati per i nostri strumenti elettronici: orologi, radio, televisori, computer. È ormai un fatto accertato che tra i poteri del cristallo di quarzo c'è quello di ricevere, trattenere e trasmettere energia. Il cristallo può non solo immagazzinare "informazioni", ma anche emettere impulsi e "comunicare". Questo gli indiani lo sapevano da tempo, e difatti consideravano i cristalli come "messaggeri della Madre Terra" e veicoli di energia cosmica. Nel 1964, lo studioso americano Frank Dorland sostenne che le onde magnetiche emanate dal cervello umano possono, in certe condizioni, attivare la misteriosa energia nascosta nel cristallo. Questa teoria fu naturalmente respinta da parte della scienza ufficiale, e forse è meglio che certe spericolate ipotesi vengano esplorate dagli scrittori, più che dagli scienziati. Ancora oggi il cristallo resiste all'indagine di laboratorio: per esempio, essendo inalterabile nel tempo, non può essere datato attraverso la prova del Carbonio I4. La ricerca ci ha dunque lasciato un prezioso spazio per la fantasia e per poter sognare, con gli indiani d'America, che i cristalli di quarzo possano anche trasmettere messaggi psichici e mettere in comunicazione gli esseri umani con altre dimensioni della realtà, ai confini estremi del tempo, e persino con il mondo degli spiriti. Se volete saperne di più, potete leggere, con una buona dose di sano scetticismo, il capitolo sui cristalli del libro La Ruota di Medicina di Kenneth Meadows (Edizioni L'Età dell'Acquario, 1995, £.32.000), oppure, più proficuamente, il romanzo Cristalli Sognanti, capolavoro di Theodore Sturgeon uscito sia per le stampe dell'Editrice Nord, che, più recentemente, per Adelphi. Sturgeon (l918- 1985) è uno dei più grandi scrittori di Horror e Fantascienza di tutti i tempi. Le sue intuizioni hanno influenzato profondamente sia la letteratura che il cinema. Suo è il racconto IT (l940) cui si è ispirato Stephen King per il suo romanzo più famoso. Ma non c'è tema del fantastico che Sturgeon non abbia affrontato: dalle streghe ai vampiri, dalla follia più terrestre alle creature più aliene... e sempre a un livello letterario altissimo.


Anno 2 Numero 16
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IL DONO DELLA VISIONE

"Io guardai in basso e vidi il mio popolo, e tutti stavano bene ed erano felici, tranne uno, che giaceva come i morti; e quello che giaceva ero io". Questo brano è tratto da Alce Nero parla di John G.Neihardt (Adelphi, £.10.000), un libro molto famoso, narrato in prima persona da uno dei maggiori sciamani Sioux del secolo scorso. Alce Nero (che vedete nella foto è quello a sinistra ritratto insieme al padre) ebbe la sua prima visione all'età di cinque anni e la seconda a nove, durante uno stato di coma protrattosi per ben dodici giorni. Una testimonianza molto simile si trova nella biografia di un'indiana Papago che racconta questo: "Mio fratello minore doveva diventare sciamano. Lo sapevamo sin da quando era bambino, perché a volte cadeva a terra come morto". (Ruth M.Underhill, Papago Woman, Claudio Gallone Editore, £.26.000). Anche il nostro Magico Vento si e risvegliato "sciamano" dopo un lungo sonno tra la vita e la morte. È in questa zona critica che nasce infatti per gli indiani d'America il "Potere della Visione", cioè la facoltà di comunicare con il mondo degli spiriti. Ma si possono sperimentare visioni anche durante la Danza del Sole o altri riti sacri, e in momenti delicati e cruciali dell'esistenza: una grave malattia, i disagi della pubertà, l'ansia per una spedizione di guerra, il disorientamento prima di una scelta importante o un dubbio interiore che mette in crisi la nostra identità. Al contrario di quanto si crede comunemente, pochissime le tribù indiane che usano droghe per procurarsi visioni. La Visione non è, per gli indiani, qualcosa che si acquista grazie a delle pratiche particolari, e neppure in virtù di meriti propri o dopo una lunga educazione spirituale. Non si tratta, insomma, di una tecnica, ma di un dono del Grande Essere Misterioso, concesso a pochi. In una Visione possono venire rivelati i destini dei popoli, oppure quelli individuali, ma si possono ricevere anche informazioni (su un certo luogo, su una certa persona), ispirazioni creative (per esempio per nuova canzone) e insegnamenti pratici (come organizzare un gruppo, una danza, un rito, o persino imparare a cucire). A volte però la Visione, resta misteriosa e in larga parte indecifrabile anche per chi l'ha avuta, proprio come un sogno particolarmente intricato. Oggi ci sono organizzazioni, come scrivono i Sioux , nella Dichiarazione di Guerra del 1993, che "fanno pagare alla gente, quote d'ammissione a programmi di apprendimento di falsi riti di Ricerca di una Visione. Individui e gruppi coinvolti nel Movimento New Age, in culti neo-pagani e in seminari sciamanici di varia ispirazione, mischiano pratiche dei nostri riti a pratiche occulte non indiane, in un offensivo minestrone pseudo-religioso". Contro queste organizzazioni, i Sioux invitano alla denuncia ed al boicottaggio. Per loro, la Via della Visione e tutt'altra cosa: anzitutto è gratuita (non si paga per un dono), non è a disposizione di tutti (anche se tutti noi possiamo farne una parziale esperienza nelle storie che udiamo e che leggiamo, nel libero gioco della fantasia, nei sogni, e nelle emozioni che accompagnano i momenti decisivi della vita), e soprattutto è rischiosa, faticosa e piena di sorprese. Nel nostro piccolo, abbiamo cercato di illustrarlo in questo episodio, in cui Magico Vento va alla ricerca di sé del proprio destino, per trovare... qualcosa di assolutamente imprevisto!


Anno 2 Numero 17
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ACQUA DI FUOCO

La micidiale ricetta di whisky che appariva nella storia del numero scorso ha stupito molti lettori, ma era assolutamente autentica. Anzi, l'abbiamo un po' "annacquata" per non farla sembrare incredibile. Ma la realtà, soprattutto quella del West, è di molto superiore alla fantasia. Eccovi, tanto per cominciare, una piccola rassegna di celebri marche di whisky dell'epoca e di slogan pubblicitari con i quali erano lanciate: Dust Cutter (Il Taglia Polvere, cosi secco da "fare sputare cotone"); Brigham Young (dal nome del celebre reverendo Mormone, una miscela così eccitante che ne bastava un sorso "a farti diventare poligamo"): Red Disturbance (Tumulto Rosso, in grado di "corrodere uno stivale"); Apache Tears (Lacrime di Apache, in altre parole: un whisky che fa piangere anche i duri); Joy Juice (Succo di Gioia, che per l'euforia e il calore suscitati spinge il bevitore a sbarazzarsi subito dei vestiti); Tangle Lag (cioè L'Attorciglia gambe!); Miner's Friend (L'amico del minatore, segnalato come "più esplosivo degli esplosivi"); Widow Maker (II Creatore di Vedove, usato dai soldati durante la Guerra di Secessione). Notate bene: questi non erano nomignoli scherzosi, ma proprio i marchi stampati sulle etichette. Quegli immondi beveroni venivano chiamati Hard Stuff, cioè Roba Pesante, proprio la stessa definizione che si usa oggi per le droghe. Solo imbottendosi di questa roba un soldato poteva correre a morire sotto i cannoneggiamenti del nemico, un minatore affrontare la sua tomba quotidiana, un mandriano resistere alla polvere e al gelo. E potete ora capire come mai nel West, dopo la rituale bevuta al saloon, i cowboy si scatenavano in risse e sparatorie, perdendo totalmente il controllo di sé. Nel film di Clint Eastwood Gli Spietati, l'eroe racconta che nel suo passato ha ucciso alla cieca anche donne e bambini perché era sempre ubriaco. Non di semplice ubriachezza si trattava, ma dell'effetto di miscele devastanti. Anche i soldati, che pure avrebbero dovuto avere un comportamento più controllato, quando si recavano in qualche paese a spendere i soldi della paga, tornavano ai loro Forti completamente storditi e indebitati per aver dovuto pagare i danni delle loro scorrerie. Ed eccovi una lista (del tutto parziale) di ingredienti comunemente usati per il whisky; tabacco, acido solforico, olio combustibile, ammoniaca, polvere da sparo, corteccia di quercia, avena, pepe di cayenna, acido nitrico, bacche di ginepro, trementina, e sostanze ignote come gli amarissimi "grani del paradiso". Se dunque Magico Vento evita il whisky, non i perché sia un moralista della lega Anti Alcolica, più semplicemente ci tiene alla salute e ripiega sulla birra. D'altro canto, anche la birra non era sempre una garanzia. Certe birre, ricavate da ricette naturali indiane, potevano procurare allucinazioni grazie all'aggiunta (realizzata dai bianchi) di stricnina, sapone e pepe. Gli indiani chiamavano questa robaccia Acqua di fuoco, proprio perché ne bastava una goccia versata sui carboni accesi per produrre una fiammata. Se si ammalavano con i liquori che venivano spacciati nelle riserve da commercianti senza scrupoli, non era dunque perché non reggevano l'alcol, ma perché quei liquori erano puro veleno.


Anno 2 Numero 18
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GLI INDIANI E LA CACCIA

"L'atteggiamento interiore dell'indiano nei confronti dell'animale è del tutto diverso da quello europeo. Egli considera l'animale un essere superiore". Questo scrive l'etnologo Aby Warburg nel suo studio Il rituale del Serpente (Adelphi, £.24.000). Per spiegarsi meglio, Warburg cita le parole di un anonimo indiano; "Guarda l'antilope, che è velocità pura, oppure l'orso, che è tutto forza. Gli uomini sanno solo fare in parte ciò che l'animale e interamente". Insomma: gli animali concentrano nel loro essere una virtù specifica, noi uomini invece siamo cosi deboli che dobbiamo prendere di qua e di là le nostre qualità, cercando di accumularne a sufficienza per riuscire a sopravvivere. Questo spiega l'abissale differenza che c'è tra un cacciatore indiano e un cacciatore bianco. Gli indiani vivevano in un mondo dove gli animali erano estremamente più numerosi di loro e meglio attrezzati alla sopravvivenza, e dovevano anzitutto cercare di imitarli, di imparare da loro. Uscendo a caccia, rispettavano regole scrupolosissime: non dovevano uccidere capi troppo giovani, né in numero eccessivo rispetto ai bisogni della tribù, e poi, persino dopo la pesca, dovevano ringraziare gli spiriti degli animali sacrificati per il proprio nutrimento. Non c'era negli indiani nessuna idea di dominio sulla natura e nessuna presunzione di superiorità rispetto al mondo animale. Ecco perché‚ le stragi compiute dai bianchi, che andavano a caccia di bisonti o di cervi per puro sport, li sgomentavano. Non riuscivano a capire il senso di tanta distruzione, non potevano ammettere questa mancanza di rispetto per la vita. Sentite le parole di un Wintu della California: "I bianchi si burlano della terra, del daino o dell'orso. Quando noi cacciamo la selvaggina, ne mangiamo tutta la carne. Quando raccogliamo radici commestibili, noi facciamo solo piccoli solchi. Noi ci procuriamo le ghiande scuotendo gli alberi. Facciamo uso solo di rami secchi. L'uomo bianco, invece, rimuove la terra, abbatte gli alberi, distrugge ogni cosa". (Dal popolo degli uomini, Acquarelli, £.13.000). La caccia era per gli indiani anche un'esperienza sacra. Un cacciatore Zuni spargeva una mistura di frammenti di conchiglie, farina e polline sulle orme di un cervo, e cantava: "Padri miei, madre mia (intendendo con questo gli animali, parenti e genitori dell'uomo) in qualche piccola conca, tra qualche basso cespuglio, vi rivelerete a me. Poi, che io possa saziarmi con la vostra carne, con la vostra acqua viva". Il cacciatore indiano, inoltre, era sempre attentissimo a non alterare l'equilibrio naturale. Sempre tra , gli Zuni e gli Hopi, nel mese di dicembre (detto della "Luna Pericolosa") la caccia era sospesa: "I conigli piangono quando gli si da la caccia; durante questa luna non dev'esserci nessuna caccia". Il motivo è che in quel periodo, gli animali si riproducono, dunque "nessun animale, nemmeno i conigli, dev'essere estratto a forza dalle tane durante questa intera luna". (citazioni tratte da L'Alce Sacro di Hamilton A. Tyler, Rusconi, £.34.000). E infine, se vi interessa , approfondire questo tema, ma preferite evitare libri troppo ponderosi, vi segnaliamo un romanzo: Rito di purificazione di Mark T. Sullivan (Longanesi, £.30.000), un appassionante thriller che mette a confronto lo stile indiano di caccia e quello dei bianchi.


Anno 3 Numero 19
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LA GUERRA DEL CARBONE

L'episodio di Magico Vento che sta te per leggere è ambientato a Eureka, un importante centro minerario del Nevada. La ricerca dei metalli nella regione (piombo, ferro, antimonio e argento) comincio nel 1860, e la prima fornace per fusioni nacque sei anni dopo, a opera di Moses Wilson. Nel 1872, il distretto vantava ormai 1500 miniere e una popolazione di più di 4000 individui, molti dei quali italiani, svizzeri e cinesi, tutti impegnati nella produzione del carbone necessario alle fabbriche. Entro il 1874 le fornaci in città diventarono una dozzina. Eureka rischio più volte di finire distrutta dalle fiamme a causa della cenere incandescente che volava sui tetti. L'aria, densa di fumo e di fuliggine, era irrespirabile. Il carbone non bastava mai. I fonditori di piombo e argento ne richiedevano da 200 a 250 chili per raffinare una tonnellata di metallo. L'impatto sul patrimonio boschivo del territorio fu devastante. Entro il 1878 per cinquanta miglia attorno a Eureka non resto più un solo albero. Al principio, la legna veniva gettata in larghi pozzi scavati nel terreno e poi incendiata e coperta di terra. Ogni volta che un pozzo doveva essere riempito, scomparivano cento alberi. Intorno al 1870, i lavoratori italiani costruirono dei forni ad arnia (come quelli qui sopra) che permettevano di consumare meno legna e produrre carbone di qualità migliore e in maggiore quantità. Ciascun forno, costruito in pietra, aveva un diametro interno dai sei ai nove metri ed era altrettanto alto. Il legno veniva infilato da un'apertura in alto ed estratto dal basso dopo dodici giorni. Entrambe le aperture avevano sportelli d'acciaio, e piccole fessure nelle pareti garantivano la ventilazione necessaria al fuoco. Naturalmente i lavoratori chiedevano che il carbone così ricavato venisse pagato meglio, ma i proprietari delle fabbriche e delle miniere pretendevano invece di mantenere bassi i prezzi. I carbonai erano costretti a condizioni di vita intollerabili: dovevano abitare in rifugi di fortuna scavati nel terreno. in prossimità dei forni, in pessime condizioni igienico-sanitarie. Guadagnavano circa quattro dollari a settimana (cioè meno della meta della paga di un minatore), ed essendo stranieri, venivano considerati come degli invasori. Persino gli operai della città non li vedevano di buon occhio, imputando a loro la disoccupazione e i salari bassi. Contro gli italiani, e i cinesi, si formarono diverse associazioni razziste quasi sempre al soldo dei proprietari delle industrie, che non esitavano a impugnare le armi e a compiere scorrerie. Gli italiani si organizzarono in una società di difesa chiamata, non a caso, I Carbonari. Il giornale locale. l'Eureka Sentinel si schiero coraggiosamente con loro. I conflitti sociali raggiunsero l'apice alla fine degli anni 70. Attorno alla definizione del prezzo del carbone si combatterono vere e proprie guerre, che videro sanguinosi scontri armati tra migliaia di persone. Sulle colline intanto, non erano rimasti nemmeno più i cespugli.


Anno 3 Numero 20
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LA COSA CHE STRISCIA

"Il serpente a sonagli è l'emblema di una forma di vita letale che non amo, ma ammiro decisamente. Chi assume questo emblema è inflessibilmente individualistico. Non si mischia con la folla, non si allinea alla maggioranza vincente... Avvolto in un cupo mistero egli percorre le strade segrete dell'astuzia, senza provare pietà né compassione... non risparmia il piede del Re, e non lascia illesa la mano inconsapevole di un povero innocente... Il suo canto nel buio e la voce stessa della Morte che crepita tra mascelle spolpate. Egli non venera nulla, non teme nessuno, non abbassa la cresta per alcun motivo. Egli combatte, è il più forte degli uomini e per lui solo una carogna destinata a cose che leccano e che strisciano. Egli è il Signore dei Luoghi Oscuri, e saggi sono coloro i cui piedi non disturbano le sue meditazioni". Questo colorito brano sul mito del serpente, è di Robert E.Howard (1906-1936), il celebre autore di Conan, e spiega in modo impareggiabile l'orrore della "cosa che striscia" e insieme il suo fascino. I giornali del West, specie quelli dell'Arizona e degli Stati del Sud, sono sempre stati pieni di sensazionali notizie su assalti di massa di serpenti a sonagli ai danni di coloni e cowboy (l'immagine in questa pagina e tratta da un magazine dell'epoca). I bianchi associavano istintivamente il serpente al diavolo, per gli indiani invece il serpente non era necessariamente cattivo. "In molte leggende dei nativi americani, gli umani sposano serpenti e considerano i serpenti loro antenati tribali. II mio popolo Lakota possiede la Leggenda dei Quattro Fratelli Serpente, i quali disobbedimmo alla voce dello Spirito del Bisonte e vennero perciò trasformati in serpenti a sonagli giganti. Persino nella loro nuova forma, questi fratelli continuarono a proteggere i parenti umani e far loro del bene". Cosi scrive l'acchiappa-serpenti Archie Fire nella sua autobiografia Il dono del Potere. Vita e insegnamenti di un uomo-medicina Lakota (Edizioni Amrita, £.35.000). Ma bisogna aggiungere che Zuzeca cioè lo Spirito del Serpente, è una divinità estremamente permalosa e chi non lo rispetta deve poi subirne la persecuzione. Finché‚ Zuzeca resta un alleato degli uomini, può condurli a verità spirituali nascoste, ma se diventa un nemico, può portarli alla follia, rivelando loro segreti inconfessabili da cui la mente cerca di difendersi. Ai bianchi queste sottili distinzioni non interessavano. Per loro, i serpenti erano bestiacce schifose da sterminare. Punto e basta. In altre parole, gli indiani si proteggevano con il rispetto, i bianchi con un disprezzo che sotto un'apparente "disinvoltura" nascondeva, però, paure ataviche, ossessioni religiose e autentiche fobie. È quanto vi raccontiamo in questo episodio di Magico Vento, dove il mito Lakota di Zuzeca si unisce agli incubi che il Serpente, come incarnazione del demonio, può suscitare nei bianchi.


Anno 3 Numero 21
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SOUTH PASS CITY

"South Pass é il West in un microcosmo: gli indiani, gli esploratori, i trappers, i minatori e gli emigranti. Tutti usavano questo passaggio attraverso le Montagne Rocciose." Cosi scrive lo storico americano Gary Topping in un suo testo sulle Ghost Town. Oggi. infatti, South Pass City (Wyoming) è solo una città museo, ben restaurata, con i suoi vecchi edifici compresi di mobilia d'epoca e le grandi costruzioni delle miniere. meta obbligata per i turisti appassionati del vecchio West. Da quelle parti passo il grande scrittore Mark Twain. quando la cita ancora non esisteva, e descrisse cosi il paesaggio incontaminato: "Negli occhi lo splendore del sole che spunta tra i picchi delle montagne illuminando ruscelli dopo ruscelli e cime dopo cime, come se un invisibile Creatore, incontrando vecchi amici ingrigiti, li volesse salutare con un .sorriso. "Ma poi venne l'età delle miniere e quelle terre, fino ad allora abitate da piccole tribù indiane e percorse da solitari esploratori, si popolarono sempre più densamente. Fatalmente, ne nacquero conflitti e gli indiani vennero spazzati via dall'esercito. Non era più tempo di gustarsi le bellezze naturali della zona, ma di sfruttare i ricchi filoni d'oro celati nel ventre delle montagne. Nel borgo di Miner's Delight (cioè la Felicità del Minatore) visse a lungo Martha Jane Canary, più nota come Calamity Jane (non la pero in questa storia perché‚ all'epoca si era aggregata all'esercito). Ma South Pass giunse alla celebrità nazionale grazie a un'altra donna, la cui statua e nell'atrio del Congresso degli Stati Uniti: Esther McQuigg Morris (nel disegno qui sopra). Questa energica signora è considerata "la madre del voto femminile" essendo riuscita nella difficile impresa di ottenere (nel 1869) il diritto di voto per le donne della contea. Era la prima volta che questo accadeva nella storia degli Stati Uniti. E subito ciò le valse un altro primato: quello di essere eletta Giudice di Pace. La signora Morris era rimasta orfana a undici anni, ma era riuscita a farsi strada nella vita diventando una donna d'affari di successo. Dopo la morte del marito dovette combattere contro le ingiuste leggi patrimoniali dell'epoca che limitavano i diritti ereditari delle mogli, e fu questa l'origine della sua decisione di combattere in favore delle donne. L'episodio che state per leggere vi spiegherà, tra l'altro, in che modo Esther Morris riuscì a vincere la sua storica battaglia. South Pass City divento una cita vera e propria intorno al 1868. Due anni dopo aveva già 4.000 abitanti, e le dieci principali miniere vantavano tre milioni di dollari di profitti all'anno. Nelle strade c'erano negozi e locali di intrattenimento inusitati per il West. come ad esempio una gioielleria e una grande sala da bowling. Ma benessere e sviluppo civile durarono meno di tre anni! Il progressivo esaurimento delle vene d'oro condusse rapidamente la cita alla fine. Nel 1873. la sede della contea fu spostata a Green River e gli abitanti di South Pass City si ridussero a un pugno di persone, isolate dal mondo. Gli emigranti ormai si spostavano per ferrovia, e non avevano più alcuna necessita di valicare il passo. Quella terra, che era stata strappata agli indiani dopo scontri sanguinosi, ora non era più di nessuno.


Anno 3 Numero 22
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I SEGRETI DI BEDLAM

"Se la memoria non mi inganna, la storia Bedlam prende spunto da un racconto breve di Lovecraft: 'La Maledizione di Yig'. Vorrei anche saperne di più sui metodi di cura nei manicomi del secolo scorso." (Luca Barbieri, Genova). Le stesse cose ci scrivono Andrea Cappannari di Rosignano, Massimo Ranzani di Albairate, Francesco Grossi di Roma, Mirco Mori di Lucca, Daniele Cerolini di Civitanova, Giorgio Giovannelli di Ascoli, Enzo Bagnara di S. Angelo di Brolo e Marcello Magnoni di Modena. Bravi, anzi, bravissimi! Non era facile trovare la fonte perché La Maledizione di Yig è uno dei racconti meno conosciuti di Lovecraft, tra l'altro scritto su commissione e pubblicato sotto il nome di una certa signora Brown Bishop, che aveva inviato uno spunto al maestro di Providence perché le facesse da "ghost writer". Ma veniamo al racconto: Lovecraft chiama la sua divinità indiana Yig e la attribuisce a tribù indiane Pawnee, Wichita e Caddo dell'Oklahoma. Quando abbiamo letto la storia, abbiamo fatto delle ricerche per controllare: nessuna traccia di questo Yig nella mitologia indiana. Dunque: perché Lovecraft l'ha chiamato cosi? Certo per imparentarlo con Yog, cioè con una delle figure della sua personale demonologia. All'epoca, gli cercavano una connessione tra i culti del serpente indiani e quello del Dio Serpente messicano Quetzalcoatl. La questione non era di poco conto: infatti se gli indiani erano giunti nelle pianure da Nord, come facevano ad avere riti simili alle popolazioni indie del Centro e Sud America? Il dibattito continua ancora oggi. Noi abbiamo "aggiornato" Lovecraft alle luce delle ricerche più recenti, sostituendo Yig con Zuzeca (divinità realmente onorata dai Lakota) e i Pawnee con gli Shoshoni, e inserito la storia in un contesto manicomiale tipico dell'epoca. Lo psichiatra Benjamin Rush (1746-1813) cui si faceva cenno nella nostra storia, è un personaggio realmente esistito. Chi ne volesse sapere di più, può leggersi il libro di Thomas S.Szasz, I manipolatori della pazzia (Feltrinelli, I edizione 1972). E qui casca a fagiolo un'altra citazione, che stranamente nessuno di voi lettori ha "beccato" anche se l'abbiamo sbattuta in copertina e nel titolo stesso. Bedlam, infatti, e un famoso film dell'orrore (di ambiente manicomiale) del 1946, prodotto e supervisionato da Val Lewton, e interpretato da Boris Karloff. Qui al centro ne potete vedere la locandina. Infine c'era anche un'altra piccola citazione, nascosta nella storia, ed era del film di Wes Craven II Serpente e l'Arcobaleno (1988). A questi -"omaggi" vanno aggiunti i riferimenti già pubblicati nel Blizzard Gazette n.20, più un altro studio sui serpenti al quale si è fatto cenno nel Blizzard n.18 e cioè Il rituale del Serpente di Aby Warburg (recentemente pubblicato da Adelphi). Avremmo voluto darvi anche qualche informazione sul Dream Catcher, cioè lo strano attrezzo "acchiappasogni" che Magico Vento usa in Bedlam. Ma alla fine abbiamo deciso di dedicare il Blizzard n.20 solo a quelle note utili a comprendere il punto fondamentale della storia, e cioè il rapporto che lega gli indiani ai serpenti. E ora potete respirare: nell'episodio che state per leggere, di citazioni. rimandi. omaggi letterari e cinematografici, non ce ne sono!


Anno 3 Numero 23
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I RAPINATORI

Quando si parla di rapinatori del West, la prima banda che viene in mente è quella dei fratelli James, celebrati dalle cronache, dalle ballate popolari e dal cinema, e passati alla storia come prototipi dei fuorilegge romantici che rapinano i ricchi (yankee) per dare ai poveri (del Sud). Ma la loro storia presenta ancora molti punti oscuri. Ai James furono attribuite, tra il 1866 e il 1881, venticinque rapine, a un ritmo di due all'anno fino al 1874, quando diventano improvvisamente sei, due delle quali consecutive (7 e 8 dicembre), una nel Mississippi e l'altra nel Kansas! Quanto all'ammontare dei colpi, non c'è mai nulla di certo. Per esempio, quello della rapina al treno del 21 luglio 1873 è stato valutato da alcuni giornali dell'epoca in duemila dollari, da altri in seimila. Al sito Internet web.islandnet.com/~the-gang/rob.htm sono elencati e minutamente descritti e discussi tutti i venticinque "exploits" della banda. Il bottino complessivo viene calcolato in circa trecentomila dollari! Una somma assolutamente spropositata per l'epoca. Di certo i James non l'hanno tenuta tutta per sé e con ogni probabilità non l'hanno neppure sfiorata. Gli storici concordano nel supporre che gran parte delle rapine loro attribuite gli siano state affibbiate. I James diventarono eroi popolari senza volerlo, e restarono in qualche misura vittime della loro fama, altri invece crearono da soli il proprio mito e lo sfruttarono ad arte, come il geniale Charles E. Boles, specializzato in assalti alle diligenze (lo vedete qui sopra in un disegno di Gianmauro Cozzi). Ad ogni colpo, Boles lasciava messaggi di rivendicazione in rima firmati Bart il Nero, che era il nome dell'eroe di un romanzetto che gli era capitato di leggere. Nei suoi versi si dichiarava un lavoratore troppo a lungo sfruttato da non meglio definiti "Sons of Bitches". In realtà era un ex militare, poi ex insegnante, ex marito (si libero della moglie facendole credere d'essere defunto) ed ex cercatore d'oro. Come uomo onesto era fallito, ma come rapinatore mascherato inanellò una serie ininterrotta di successi, dal 1875 al 1883, ricavandone un reddito di seimila dollari l'anno, per giustificare il quale si faceva passare per ingegnere minerario. Scoperto infine dal detective della Wells Fargo James Hume, venne condannato a sei anni di galera da scontare a San Quintino, ridotti a quattro per buona condotta. Quando usci, annuncio ufficialmente il suo ritiro dal crimine, ma secondo alcune fonti riuscì a ottenere in cambio di questa rinuncia un vitalizio di duecento dollari al mese dalla Wells Fargo! (Anche Boles ha il suo sito: www.sptddog.com/sotp/bbpo8.html). Mentre l'opinione pubblica si faceva conquistare (e distrarre) da questi mitici personaggi dotati di innegabile fascino, le bande più pericolose, formate da cittadini all'apparenza rispettabili o da gruppi criminali ben organizzati e radicati localmente, agivano nell'ombra e ben di rado finivano sugli avvisi di taglia. La storia che state per leggere si ispira molto liberamente a una vicenda reale, già rievocata in un vecchio film western ormai introvabile: Nevada Express (1952) di André‚ De Toth, con Randolph Scott. Vi si raccontava di una banda che assaliva i convogli della Wells Fargo che trasportavano l'oro delle miniere, e che aveva escogitato un metodo per far sparire il carico e farlo riapparire al momento opportuno... ma non vogliamo anticiparvi altro per non guastarvi la sorpresa.


Anno 3 Numero 24
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PAURA DEL PALCOSCENICO

"Si passa attraverso un sontuoso bar con affreschi che raffigurano il Vesuvio e il Golfo di Napoli, e ci si ritrova nella sala del teatro: un'ampia stanza con sedie e tavoli ai quali servono graziose cameriere. Il palcoscenico è angusto, il sipario esagerato, tra due statue della Venere di Medici, e di un'altra signora svestita, di proporzioni colossali...". Cosi scrive nel 1877 Miriam Follin Leslie, moglie del direttore del Frank Leslie's lllustrated Newspaper, descrivendo il principale teatro di Cheyenne (Wyoming), insolitamente lussuoso. A Virginia City (Montana), secondo un'altra corrispondenza di quegli anni, "il sipario era di tela, il palcoscenico grande come una camera da letto piccolissima, cinque candele di sego per luci di scena", e a Denver (Colorado) "un squallido cencio si alzava su uno squallido palco dove squallidi artisti se ne stavano su una fila di squallide sedie." Ma bisognava accontentarsi, rispetto al tempo in cui le compagnie di giro dovevano esibirsi nei saloon, nelle chiese o nelle stalle. Fu dopo la guerra di Secessione che nel West esplose la febbre del "teatro visto a teatro", cioè in un edificio appositamente costruito. E in cartellone? Di tutto: danze esotiche, numeri di abilita e di magia, esibizioni da circo, anche con animali, drammi Shakespeariani, spettacoli licenziosi, lanterne magiche, e monologhi comici come quelli del leggendario Artemus Ward (nel disegno), nome d'arte di Charles Farrar Browne, un giornalista, scrittore e fine umorista di cui Mark Twain celebrò "il sereno sarcasmo, e la felice capacita di improvvisare". Adattarsi al volo alle situazioni e agli umori del pubblico era d'obbligo per un attore di Frontiera: in sala e in scena tutto poteva accadere, e la nota sindrome chiamata Stage fright (paura da palcoscenico) era più che giustificata. Eddie Foy, un cabarettista dell'epoca, a Dodge City osò prendere in giro dal palco un gruppo di cowboy. Questi lo prelevarono, lo portarono all'Albero degli Impiccati e gli misero un cappio al collo, schernendolo così: "Di l'ultima battuta!" e Foy, senza fare una piega: "Mi verrebbe meglio al saloon" Grandi risate e tutti a bere. Lo storico americano Dee Brown nel suo libro Wondrous Times on the Frontier (purtroppo non disponibile in traduzione italiana) raccoglie dai giornali del tempo una serie di aneddoti esilaranti. Un cane mastino minaccia una ragazza nella Capanna dello Zio Tom? Bisogna cambiare cane a ogni rappresentazione perché dal pubblico immancabilmente gli sparano! Va in scena una giovane tisica che ha un attacco di tosse? Una spettatrice sale sul palco con un bicchier d'acqua, lo porge amorevolmente all'eroina e protesta con il capocomico che costringe una povera donna a recitare in quelle condizioni! Bisogna rappresentare uno scontro armato? Wild Bill Hickock, anche lui attore per breve tempo, lo interpreta fin troppo realisticamente, ustionando i suoi partner con spari a distanza ravvicinatissima. Insomma, laggiù nella Frontiera era molto difficile distinguere tra realtà e finzione. Nella storia che state per leggere, conoscerete l’attore Dick Carr, che vi accompagnerà per parecchi mesi attraverso un'incredibile, allucinante tournée nel profondo West, dove le parti cambiano repentinamente, il copione muta di momento in momento, e ogni regola è di continuo travolta.


Anno 3 Numero 25
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LA RUOTA DI MEDICINA

Grandi cerchi di pietre decorano praterie e altopiani del Nord America. Queste antiche strutture sono note come Ruote della Medicina. Una delle più famose (nel disegno), si trova nelle montagne del Big Horn (Wyoming), e misura ben trenta metri di diametro. L'origine delle Ruote si perde nella notte dei tempi e il loro significato è ancora misterioso. Si tratta, secondo alcuni studiosi, di mappe astrologiche, secondo altri di rappresentazioni religiose dei cicli dell'universo e dei segreti della vita e, secondo interpretazioni più recenti di complesse simbolizzazioni filosofiche dell'esistenza nel suo complesso e della mente umana in particolare. Tra tante interpretazioni, però, la meno citata e quella che ci viene raccontata dagli stessi autori delle Ruote, cioè i Nativi Americani. Anzitutto c'è da dire che il termine Ruota non appartiene alla cultura indiana e dunque bisognerebbe parlare più esattamente di Cerchi o di Spirali. Il Cerchio, per gli indiani del vecchio West, era la struttura di riferimento fondamentale della vita. Le loro migrazioni stagionali avvenivano in cerchio, seguendo gli spostamenti delle mandrie dei bisonti che anch'esse si muovevano in senso circolare. I villaggi erano edificati in cerchio. La struttura conica delle tende nasceva da un cerchio. Ci si schierava in cerchio per le danze, le assemblee, i consigli dei capi. Il primo significato del cerchio, infatti, era la Comunità, come ci viene raccontato al mito Crow sull'origine della prima Ruota della Medicina. Eccolo. Un bambino indiano, giocando, cadde in un fuoco da campo e ne restò ustionato. II suo nome divenne cosi Faccia Bruciata, e lui, sentendosi schernito e vergognandosi del suo aspetto, passo l'infanzia restando il più possibile chiuso nella sua tenda. Una volta cresciuto, lasciò la tribù e si isolò sulle montagne. Fu qui che costruì la prima Ruota, che simboleggiava per lui il cerchio di un villaggio invisibile, parenti, amici, compagni di vita che avrebbe voluto avere e non aveva più. Un giorno Faccia Bruciata, mentre piangeva la sua solitudine, vide un tornado avvicinarsi e tramutarsi in una Grande Aquila. Interrogato dall'aquila, Faccia Bruciata le rivelò il perché della sua tristezza. Allora l'aquila lo portò in volo fino al suo nido e gli fece conoscere i due aquilotti suoi figli, i quali gli chiesero in dono degli archi e delle frecce. Faccia Bruciata li costruì per loro, e venne ricompensato con uno specchio magico nel quale poteva rimirarsi con il volto miracolosamente intatto. In seguito, Faccia Bruciata uccise a pietrate una mitica Lontra del fiume, divoratrice di aquilotti. Per premiarlo d'aver salvato i suoi figli da una possibile minaccia, la Grande Aquila lo riaccompagnò al suo villaggio garantendogli per sempre la sua protezione sacra. Cosi Faccia Bruciata venne onorato, si sposò, e visse fino a diventare vecchissimo, insegnando a tutti a costruire cerchi di pietre. Il mito ci dice che sono proprio gli esclusi e gli emarginati a sentire più forte il bisogno della comunità e a capirne l'importanza. La Ruota rappresenta l'Appartenenza a qualcosa di più grande del nostro piccolo io, l'identità collettiva che ciascuno di noi porta in sé... e che è capace di grandi magie. Un singolo individuo, ci insegnano insomma gli Indiani d'America, può anche diventare un eroe leggendario, ma è insieme che si vince o si perde la battaglia della vita.


Anno 3 Numero 26
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IL MITO DI SELU

Selu era moglie del grande cacciatore Kanati, e madre di due gemelli: i Ragazzi Tuono. Selu aveva una strana abitudine. Di nascosto, si grattava lo stomaco, producendo chicchi di grano dal ventre. I suoi figli la spiarono e, vedendola compiere una tale magia, pensarono fosse una strega e decisero di ucciderla. Selu capì subito le loro intenzioni e non fece resistenza, ma chiese ai figli di rispettare le sue ultime volontà. Le istruzioni di Selu furono queste: i Ragazzi Tuono, dopo averla uccisa, avrebbero dovuto sgombrare un vasto campo dalla vegetazione e trascinare il suo cadavere per terra sette volte. I figli le tagliarono la testa, e non avendo voglia di faticare, ripulirono solo piccoli tratti di terreno e ci trascinarono sopra il corpo non più di un paio di volte. In quei pochi punti il terreno venne irrorato dal sangue di Selu, e soltanto li crebbe il grano. Se i Ragazzi Tuono avessero obbedito alla madre, il grano sarebbe cresciuto ovunque nel mondo, salvando tutti i popoli dalla fame. Il mito di Selu è raccontato dagli indiani Cherokee (l'immagine, ispirata a un antico dipinto, raffigura appunto una cerimonia Cherokee in onore di Selu), ma analoghe figure di divinità femminili del grano si ritrovano in moltissime tradizioni dei nativi americani, dai Seneca ai Pueblo, dagli Ute ai Pawnee, dai Navajo ai Delaware. Il significato è sempre lo stesso: la Donna Grano ci insegna il valore della generosità, spinta fino al sacrificio più estremo... un sacrificio che sarebbe evitabile se solo i maschi non si spaventassero di fronte alla naturale fecondità femminile, al punto da considerarla un potere da streghe! Nella seconda parte dell'episodio di Magico Vento che state per leggere, il mito della Donna Grano giocherà un ruolo importante, e dunque abbiamo voluto offrirvene una piccola anticipazione qui. In Children of the corn di Stephen King, un romanzo (e film) ambientato nei campi di grano del Nebraska, degli strani orfani adorano una divinità occulta e sotterranea, e credono che il sangue umano possa ridare fertilità alla terra disseccata. Non è un caso. Nelle opere di King, dietro le paure e le ossessioni dei bianchi, spesso si nascondono riferimenti ad antiche leggende indiane. La nostra storia comunque ha ben poco a che vedere con quella di King. È ambientata a Fargo, una delle più importanti cita del Nord Dakota, dove già all'inizio degli anni 70 (dell'Ottocento) venne impiantato il telegrafo e fondato il primo giornale della Red River Valley: The Fargo Express. Ma Fargo divenne soprattutto famosa come centro agricolo. Le prime diffuse coltivazioni di grano nella zona cominciarono alla fine degli anni 60 e si svilupparono nel decennio successivo in modo imponente: centinaia di contadini al lavoro, progressiva concentrazione della proprietà terriera, introduzione di macchinari a vapore nelle varie operazioni di raccolta, costruzione di enormi magazzini di stoccaggio... la modernizzazione avanzò così rapidamente che nel 1877 i principali centri della regione furono collegati da linee telefoniche! Naturalmente, nel rispetto della realtà storica, qualche libertà ce la siamo presa, per dare in sintesi, ma speriamo con efficacia, l'idea di questo eccezionale sviluppo e delle sue conseguenze sociali.


Anno 3 Numero 27
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PITTURA MAGICA

Il personaggio di Cole Turpin, detto Molti-Colori, che conoscerete in questa avventura di Magico Vento, ci è stato ispirato dalla storica figura di George Catlin, un grande etnologo, scrittore e pittore americano, di cui potete leggere in traduzione italiana il poderoso libro Pellerossa (in lingua originale Indians), edito da Rusconi Libri (£16.000). Catlin (1796-1872) da giovane era avviato a seguire la carriera del padre avvocato, ma l'interesse per il disegno e la pittura lo spinse molto presto ad abbandonare gli studi di giurisprudenza. Nonostante fosse un autodidatta, dette presto buona prova come ritrattista e venne accolto all'Academy of Art di Philadelphia. E fu proprio in questa città che Catlin incontrò per la prima volta gli indiani, giunti in delegazione. "Erano vestiti ed equipaggiati secondo la loro classica bellezza," scrisse, "con scudi e copricapi, tuniche e mantelli, dipinti e decorati, pronti per la tavolozza di un pittore!" Ma non è solo per il loro aspetto che Catlin seppe apprezzarli: "L'uomo nella semplicità e nella nobiltà del suo essere, quando gli artifici della civiltà non lo limitano o lo incatenano, è certamente il più bel modello che un pittore possa desiderare." Grande ammiratore del filosofo J.J.Rousseau, teorizzatore del buon selvaggio, Catlin decise di dedicare il suo lavoro e la sua vita agli indiani, con autentica passione da etnologo. Catlin, lucidamente consapevole che i bianchi stavano togliendo risorse e spazio agli indiani, condannandoli all'estinzione, volle scrupolosamente documentare per i posteri, nei suoi disegni e in un a lunga serie di lettere e di memorie, le loro fogge e costumi, i loro riti, e il loro atteggiamento nei confronti del mondo. Gli indiani, stupiti e ammirati dalla sua abilità pittorica, lo accolsero tra loro e lo considerarono un medicine-man, un uomo della magia. Catlin li ripagò sostenedone in ogni occasione le giuste rivendicazioni: "il mio cuore sanguina al pensiero di ciò che attende i superstiti di una razza sfortunata che sarà schiacciata da uomini suoi simili, la cui cupidigia, temo, li trascinerà nella fossa." Catlin fu anche molto attivo nel denunciare lo sterminio dei bisonti da parte dei bianchi che li cacciavano per sport ("un'incontrollata carneficina per non prenderne né una pelliccia, né una libbra di carne."). Come non vedere in questo sterminio l'annuncio della fine dell'uomo rosso? Catlin fu sorpreso scoprendo che gli stessi indiani erano profondamente consapevoli del destino che li attendeva, e volle riferire le loro inimitabili parole: "stiamo rapidamente muovendoci verso lo ombre dei nostri padri, verso il Sole che tramonta." I suoi appelli non furono molto ascoltati in America. Catlin, seppure tra mille difficoltà, non si dette mai per vinto e propugnò la causa degli indiani anche oltreoceano, in Europa. Alle sue mostre accorsero celebrità del calibro di Victor Hugo e George Sand. Non si trattava solo di ammirare dipinti: Catlin spesso portava con sé anche i suoi amici indiani perché parlassero del loro popolo. La sua arte (di cui vedete uno schizzo preparatorio in questa pagina) forse non era di un livello eccelso, ma tutti riconobbero sempre che Catlin riuscì perfettamente a rendere lo spirito degli indiani, la loro fierezza, e il loro orgoglio, lasciandocene una testimonianza incancellabile.


Anno 3 Numero 28
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NELLA RETE

(...) ...segnaliamo a tutti i lettori appassionati di Internet alcuni siti su MV, gli indiani d'America e il West in generale. (...) Cominciamo da un sito dedicato a Magico Vento, o che più esattamente lo include, cioè quello della www.ubcfumetti.com, una rivista telematica specializzata sui fumetti Bonelli, densa di recensioni, pareri, notizie, interviste e materiale illustrativo. La UBC fa parte dell'INCA (Italian Internet Comics Award) che, scusate il ritardo con cui lo segnaliamo, ha insignito, grazie ai voti dei frequentatori del sito, Magico Vento del titolo di "miglior testata a fumetti del 1998". Su UBC le recensioni sono scritte molto bene. Un esempio (e perdonate se ne scegliamo uno che ci fa particolarmente onore) tratto da un articolo di Giuseppe Pelosi: "Vi è da qualche tempo, al servizio di Gianfranco Manfredi, una servetta svelta e graziosa: si chiama fantasia.". Naturalmente abbiamo apprezzato anche le valutazioni critiche, quando ci sono state: non sono mai corrive, sempre acute. Dalla sezione MV potete uscire direttamente su uno splendido sito a cura di Mauro Cappelletti, interamente dedicato agli indiani d'America (In The Spirit of Crazy Horse) e che comprende più di mille links! Il massimo per soddisfare tutte le vostre curiosità e per stabilire relazioni con persone che hanno i vostri stessi interessi e con il variegato mondo dei nativi americani. Passiamo ad alcune segnalazioni sul West in generale. in www.americanwest.com c'è una notevole quantità di materiale sui pionieri, i trapper, gli scout, le Ghost Town, la Ferrovia, e i principali protagonisti della storia del West. Stile divulgativo, ma anche informazioni per veri cultori. In particolare sui fuorilegge, vi consigliamo di aprire la pagina http://policeguide.com/outlaw-lawman.mth che vi condurrà alla WOLA cioè all'Associazione Fuorilegge e Sceriffi del West, sulle tracce di Wyatt Earp, Butch Cassidy, Billy the Kid e altri mitici personaggi. Dal divertente www.3.memlane.com/gromboug/index.html potete scaricare immagini di Clip Art, con le quali, per esempio, decorare le vostre lettere. E avrete anche l'opportunità di ascoltare musica ragtime da saloon. Se siete più interessati a fotografie del vecchio West, visitate lo spettacolare catalogo Photographs of the American West che comprende quasi duecento immagini d'epoca, la maggior parte delle quali inedite. Vedrete apparire di fronte ai vostri occhi come in un grande documentario da esplorare fotogramma per fotogramma, le facce, le case, gli ambienti, la dura vita quotidiana di umili esploratori, soldati, lavoratori della ferrovia e delle miniere, indiani, e persino crude testimonianze visive di linciaggi e impiccagioni, che ci ricordano quanto fosse spietata la legge del West. Tutto questo materiale è raccolto negli Archivi Nazionali di Washington e lo si può scaricare gratuitamente. L'indirizzo è http://gopher.nara.gov:70/0h/inform/dc/audivis/still/amwest.html. Vi segnaleremo altri recapiti elettronici, di volta in volta, quando avranno a che fare con le storie di Magico Vento. Intanto, fateci sapere se avete gradito queste prime indicazioni.


Anno 3 Numero 29
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VITE ESAGERATE

Nella storia che state per leggere, il nostro Willy Richards detto Poe si imbarca in un'avventura Letteraria, pubblicando una Dime Novel su un eroe inventato, ma ispirato a Magico Vento e a reali fatti di cronaca. Le Dime Novel erano storie pubblicate a fascicoli, in qualche modo antenate dei fumetti, visto che, oltre al testo, ospitavano immagini avventurose e fantastiche. Molta Storia del West nasce proprio da queste piccole invenzioni letterarie che confondevano realtà e leggenda. Spesso, autore e protagonista delle storie erano la stessa persona. È il caso di David Crockett, al quale sono stati attribuiti molti scritti, pieni di fanfaronate, che rivelano un'inesauribile vena comica: Crockett sostiene, tra l'altro, di bere acquavite raddolcita con zolfo, rimescolata con un parafulmine e schiumata con un uragano; d'essere capace di inghiottire "un negro intero" (sic!) dopo averne imburrato la testa; di accendere la pipa con un raggio di sole e di potersi infilare in tasca un pezzo d'aurora! Il battelliere Mike Fink, dal canto suo, giura di foderarsi lo stomaco di pelle di bisonte per poter ingurgitare più whisky. Del leggendario Pecos Bill si narra che abbia domato un serpente a sonagli per poi usarlo come lazo per catturare un puma e, come se non bastasse, che cavalcando per miglia e miglia in groppa a questo puma, si sia divertito tanto da morire (alla lettera) dai ridere. Di Paul Bunyan si racconta che avesse allevato un animale prodigioso: Babe, il Bue Azzurro, che "da un occhio all'altro misurava esattamente quarantadue manici di scure e un pacchetto di tabacco Star", ma, non contento, cresceva di mezzo metro ad ogni occhiata del padrone. Con le Dime Novel di Buffalo Bill (nel ritratto qui sopra), la situazione cambia radicalmente. Il racconto è ugualmente pieno di esagerazioni, per l'effetto non più rivolto al comico, ma al drammatico, con una certa inclinazione per il fantastico-horror. Buffalo Bill narra, per esempio, di essere stato inseguito da indiani fantasma accompagnati da giganteschi mastini con gli occhi fosforescenti (anticipando così Il Mastino dei Baskerville di A. Conan Doyle). Insieme a questi, si diffondono racconti molto più realistici che presumono di narrarci la Verità su Wild Bill Hickok, Texas Jack, Anne Oaldey, Billy the Kid e altri protagonisti della storia del West. Queste pretese rivelazioni sono sempre da prendere con le molle. L'improbabile e l'inverosimile vi fanno sempre capolino, anche per soddisfare un pubblico più affamato di avventura che di biografie scrupolose. Calamity Jane giudicava molto male chi si prestava a questo tipo di operazioni, eppure anche lei, per esigenze economiche, pubblicò una breve autobiografia piena di bugie. A distanza di tempo, si può dire che se avesse invece raccontato la sua vera, dura, difficilissima vita, questo sarebbe stato molto più interessante e prezioso per il lettore odierno, ma certo, per l'America d'allora, avrebbe rappresentato uno scandalo inaudito. Nella sua ultima, commovente lettera alla figlia, Calamity Jane scrive: Mi sento male e non ho molto da vivere. Porterò con me molti segreti. Cosa sono e cosa avrei potuto essere." Le autobiografie leggendarie degli eroi della Frontiera ci parlano, in compenso, e anche grazie alle menzogne, di cosa essi avrebbero voluto essere, e sono, in fondo, riusciti ad essere, nell'immaginazione popolare.


Anno 4 Numero 30
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L'INFERNO ILLUSTRATO

Nel 1628, nella regione del Rio Grande (New Mexico), il cowboy analfabeta Luis de Rivera firmò un patto con il Diavolo. A Luis piacevano molto le donne e così fece ricorso ai misteriosi poteri delle pozioni indiane per sedurle. L’esperimento ebbe successo e Luis pensò di ricorrere alla magia anche per migliorare le proprie prestazioni lavorative. Uno schiavo nero, che aveva un’immagine di Satana tatuata sotto la pianta d’un piede, gli vendette un libro sulle cui pagine erano raffigurati ritratti di demoni e lo convinse a firmarlo con il sangue, in modo da sancire un regolare contratto con il Diavolo. Passata una settimana, Luis, atterrito dalle possibili conseguenze, strappò dal libro la pagina con la sua firma. Pochi giorni dopo si aggregò a una carovana come conduttore di muli. Il viaggio del convoglio fu funestato da una serie di paurosi incidenti, tra i quali un furioso stampede (cioè una fuga precipitosa del bestiame) che travolse i carri. Luis, considerandosi responsabile dell’infortunio, confessò il suo segreto a un frate che accompagnava la carovana. Una volta giunti a Santa Fe, il frate lo denunciò al locale Tribunale dell’Inquisizione. Luis si mostrò sinceramente pentito e i giudici lo trattarono con insolita indulgenza, quasi che quel caso li avesse particolarmente sconcertati e avessero deciso di passarlo sotto silenzio. Il libro maledetto, comunque, venne requisito. La storia (di cui si trova testimonianza negli archivi dell’Inquisizione in parte pubblicati nel 1938 dalla New Mexico Historical Review) non ci dice dove finì il libro di Luis de Rivera. Ve lo raccontiamo noi (ovviamente con la fantasia) in questo episodio di MV. Libri demoniaci come quello di Luis de Rivera erano il parallelo popolare dei dottissimi trattati di demonologia del cinquecento e seicento, che cercavano di classificare le creature infernali e persino di calcolarne il numero. Ad esempio, Jean Wìer, nel suo De praestigiis daemonum (1564), sosteneva che i diavoli alle dipendenze di Lucifero fossero esattamente 7.409.127. Quando gli Spagnoli giunsero nelle Americhe, di fronte agli imponenti templi e alle antiche raffigurazioni sacre, credettero di trovarsi in pieno territorio del Diavolo. Il soldato Cieza de Leon, che percorse il Perù tra il 1540 e il 1550, constatò che i grandi santuari indigeni erano già stati tutti demoliti dagli invasori: "I templi sono caduti," scrisse, "gli idoli distrutti; sono stati sostituiti con una croce per cacciare il demonio." Insomma: la scoperta del Nuovo Mondo cambiò radicalmente la vecchia demonologia. Le schiere infernali furono identificate con le divinità di altre culture, che si volevano sottomettere e cancellare. Per i conquistadores europei, gli indios, i nativi, i neri d’origine africana, erano tutti servi di divinità mostruose e diaboliche. (Solo più tardi i padri gesuiti cominciarono a considerare "buoni" i popoli "selvaggi" perché più vicini alla natura). Qualche secolo dopo, lo scrittore H.P.Lovecraft riprese il tema del Catalogo delle Divinità Occulte, inventando il Necronomicon, libro esoterico popolato di creature spaventose e aliene. Spostando la demonologia sul piano della letteratura fantastica e proiettandola in una dimensione cosmica, Lovecraft (nel ritratto di R. Kellough al centro) contribuì non poco a depurare l’idea del Male dalle scorie colonialiste e razziste. Abbiamo cercato di attenerci al suo prezioso insegnamento.


Anno 4 Numero 31
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IL GRANDE FUOCO

L’estate del 1871 fu caldissima e secca nelle regioni centrali degli Stati Uniti e in larga parte del West. Nel periodo tra Luglio e Ottobre non piovve quasi mai. Numerosissimi incendi scoppiarono un po’ dappertutto, ma nessuno fu devastante come quello che rase al suolo Chicago. L’origine dell’incendio venne attribuita alla mucca di una certa signora O’Leary. Un’inchiesta assai discussa stabilì che la bestia aveva rovesciato con un calcio una lampada a petrolio nella stalla piena di paglia, mentre veniva munta. Molti eccepirono che risultava piuttosto strano che una vacca venisse munta alle nove di sera. Inoltre, nella sua prima testimonianza, la signora O’Leary dette una versione completamente diversa dei fatti, asserendo di non aver visto, né sentito nulla perché in quel momento era a letto. Aggiunse anche che davanti a casa sua era in corso una festa e che, successivamente ai fatti, una sua vicina le aveva rivelato d’aver visto uno degli invitati alla festa entrare furtivamente nella stalla. Ma la vicina di casa della signora O’Leary non poté essere convocata a testimoniare, perché immediatamente dopo l’incendio aveva lasciato Chicago e risultava irreperibile. Restavano inoltre inspiegate le cause di un altro incendio scoppiato la notte precedente e che aveva tenuto impegnati i pompieri per buona parte del giorno successivo. Infine, l’allarme ai pompieri non era stato dato attraverso le centraline più vicine all’incendio e dunque il piano d’emergenza era scattato con sospetto ritardo. Non era però un mistero per nessuno che sui terreni dei quartieri più popolari di Chicago, i primi a bruciare, gli speculatori avevano messo l’occhio da tempo, per raderne al suolo le baracche di legno e costruirvi nuovi palazzi. Imputare l’incendio a una vacca era molto comodo. Dopo la distruzione, Chicago aveva bisognò della solidarietà nazionale e di far affluire capitali per la ricostruzione. Uno scandalo era del tutto inopportuno. La signora O’Leary non venne condannata, anzi divenne una leggenda popolare. A molti anni di distanza, l’attrice che la impersonò nel film In Old Chicago (di cui vedete una scena nella foto), con Tyrone Power e Alice Faye, prese l’Oscar. Nella fortunata pellicola, non si tacquero affatto i sospetti sulla speculazione edilizia, ma, con prudentissimo equilibrio, si sposò egualmente la versione ufficiale dell’incendio scoppiato per un banale incidente. Chi è interessato ad approfondire la cronaca dell’incendio e i suoi molti misteri, può consultare su Internet uno splendido e spettacolare sito della Società Storica di Chicago, che ci è stato prezioso per poter ricostruire con la fantasia, ma sulla base di una documentazione molto rigorosa, questo episodio davvero cruciale di Magico Vento. Il sito (http://www.chicagohistory.org) è intitolato The Great Chicago Fire and the Web of Memory e presenta una straordinaria galleria di fotografie, illustrazioni e quadri d’epoca, oltre a una cronaca minuto per minuto degli avvenimenti, mappe della città, e molte testimonianze dei sopravvissuti. Troverete anche una foto della casa di Hogan (Terrace Row) all’indirizzo http.//www.chicagohistory.org/fire/prefire/pic0515.html. Hogan è un personaggio immaginario, però in quella lussuosissima residenza abitava il banchiere e capitalista Jonathan Y. Scammon. A volte la fantasia non è molto distante dalla realtà. Buona lettura!


Anno 4 Numero 32
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GLI ULTIMI BISONTI

Alla fine di febbraio dell’anno scorso un centinaio di indiani di diverse tribù si sono riuniti per una lunga cavalcata di più di 750 chilometri, durata venti giorni, dal Sud Dakota fino al Parco di Yellowstone nel Montana. Scopo della marcia, la protesta contro lo sterminio dei bisonti. Durante l’inverno 1996-97, proprio nel Montana, erano stati uccisi 1100 bisonti, più di un terzo di quelli presenti nel Parco, che avevano sconfinato oltre la zona protetta. Lo sterminio non è finito dopo la marcia. Nel solo 1999, ne sono stati uccisi altri 650. La motivazione delle autorità del Montana è che i bisonti stanno diventando troppo numerosi e che diffondono malattie nei bovini. Pare invece che i bisonti vengano abbattuti per far posto agli allevamenti delle multinazionali degli hamburger. È curioso che la storia non abbia insegnato nulla agli attuali governanti, è preoccupante che essi siano ancora sordi alle legittime richieste della comunità nativa che continua a considerare il bisonte, Tatanka Oyata, cioè "(colui che ci possiede", il fondamento della sua cultura; Le rivendicazioni degli indiani sono semplici e chiare: 1) consegnare i bisonti "in eccesso" alle riserve che ne sono sprovviste; 2) riservare i pascoli pubblici ai soli bisonti e chiuderli ai bovini. I grandi allevamenti di vacche, secondo gli indiani, distruggono l’ambiente, mentre i bisonti lo preservano; 3) i proprietari di mandrie, che pascolano sui terreni pubblici, dovrebbero essere assoggettati a pesanti tasse non si possono concedere gratuitamente queste terre a chi ne fa un uso commerciale privato. Questi sono i principali obbiettivi del UBF (United Eco-Action Fund) che si propone di ampliare le zone naturali protette nel Montana, nel Dakota e nel Wyoming. Chi volesse sostenere in qualunque modo, anche con l’invio di contributi, questa causa, può scrivere all’indirizzo elettronico dell’organizzazione: uneco@uneco.org , o visitare il sito Internet http://wwwuneco.org/return-of-the-bison.html. In questo episodio racconteremo una caccia al bisonte della tribù di Magico Vento. Vi vedrete in parte illustrati riti e cerimoniali che precedevano e accompagnavano la grande migrazione delle tribù Sioux in cerca degli ultimi bisonti sempre più dispersi dalle linee ferroviarie e decimati dalle escursioni venatorie dei bianchi. Prima della partenza, gli sciamani "cercavano una visione" che li illuminasse, poi, se i responsi erano favorevoli, si riuniva il consiglio dei capi per l’organizzazione vera e propria della spedizione. Anch’essi fumavano il calumet e pregavano lo Spirito del Bisonte perché assicurasse il successo alla caccia. Infine si eleggevano gli akicita, cioè il servizio d’ordine della tribù, una sorta di polizia indiana incaricata di vigilare sul rispetto delle regole, molto severe. In particolare tutti dovevano tenere conto che i bisonti erano un bene collettivo e dunque nessuno poteva appropriarsi privatamente dei capi abbattuti. Le prede venivano distribuite senza favoritismi dagli akicita stessi. Il potere dei "poliziotti" indiani era indiscusso. Sì narra che un giorno Nuvola Rossa disobbedì a un akicita e venne perciò colpito con una staffilata. Il Grande Capo accettò la punizione senta fiatare. Leggete questa storia, senza dimenticare che, a dispetto dei programmi di ripopolamento, la strage dei bisonti, purtroppo, continua.


Anno 4 Numero 33
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I PROIBIZIONISTI

Il personaggio del reverendo Hunger, che conoscerete in questo episodio di MV, è in parte ispirato alla figura storica del pastore metodista George Channing Haddock che cercò a suo modo di moralizzare la turbolenta città di Sioux City negli anni 1885-86 per finire poi ucciso a tradimento nel fango di una strada da un proiettile sparatogli nel collo dal caporeparto di una fabbrica di birra. Haddock, all’inizio del suo ministerio, nella città di Sheboygan (Wisconsin), aveva già dovuto subire le conseguenze della sua predicazione proibizionista: sgherri pagati dai proprietari dei saloon gli avevano sparato addosso per intimidirlo e lo avevano pestato à sangue per dimostrargli che facevano sul serio. Haddock non porse l’altra guancia e decise che la sua battaglia contro il whisky, il gioco d’azzardo e la prostituzione doveva farsi più dura. Cominciò a irrompere nei saloon con una spranga in una mano e nell’altra una rotella d’acciaio legata a una corda, che faceva roteare attorno a sé fino a sgomberare il locale da corrotti e corruttori. Chi volesse approfondire, può collegarsi al Sito www.thehistorynet.com/WildWest/articles/1998/1098_text.htm. Una proibizionista altrettanto determinata fu, negli anni novanta, Carry Nation che si presentava nei saloon brandendo un’accetta e li faceva letteralmente a pezzi. Il marito di Carry Nation, alcolizzato, era morto di delirium tremens, e la sua possente consorte, all’età di 54 anni, aveva deciso di vendicarlo, sostenendo d’aver avuto da Dio stesso la missione di cacciare i mercanti di whisky da tutto il Kansas. Carry era un donnone alto un metro e ottanta, e pesava novanta chili. Durante una delle sue spedizioni punitive, ci vollero quattro poliziotti per fermarla. Il primo locale che Carry decise di sfasciare fu il Carey Hotel di Wichita dove figurava in bella vista un quadro intitolato "Cleopatra al Bagno" che lei giudicava osceno. Carry lo lacerò e, non contenta, mandò in pezzi uno specchio del valore di 1.500 dollari, più una quantità indeterminata di bottiglie e tutti i bicchieri. Le sue gesta divennero in breve popolari e Carry Nation poté radunare al suo seguito un vero battaglione di donne scatenate. Il loro grido di battaglia era: "Spacca! Spacca! Nel nome di Gesù, spacca tutto!" Le consorelle iniziarono ben presto un fiorente commercio di accette souvenir e pubblicarono due riviste: The Smasher’s Mali (Il Corriere del Vandalo) e The Hatchet (L’accetta). Non tutti i proprietari di saloon subirono passivamente le gesta di Carry: ci fu chi la cacciò a calci, chi la costrinse a ingollare whisky, chi cercò di strapparle gli abiti di dosso, chi l’accolse con lanci di uova marce e chi le infilò un topo vivo nel vestito. Queste irridenti punizioni, e i molti giorni passati in galera per atti vandalici, la resero mia martire, ma anche un irresistibile oggetto di satira. Molti saloon si fecero pubblicità giocando sul cognome Nation ("Tutte le nazioni sono benvenute tranne Carry!") o addirittura intitolando a lei il locale. Si produsse anche un Carry Nation Whisky, con bottiglia sagomata a forma di Carry. La sua fine fu molto meno eroica di quella di Haddock: Carry accettò di esibirsi in palcoscenico tra un numero di varietà e l’altro e a Coney Island partecipò persino a un Freak Show, mostrandosi al pubblico tra la Donna Barbuta e i Fratelli Siamesi.


Anno 4 Numero 34
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LE DONNE LAKOTA

Negli anni Settanta dell'Ottocento, durante un ricevimento di indiani alla Casa Bianca, il capitano dell'esercito americano Clinton Poole, colpito dal contrasto tra le donne bianche presenti alla cerimonia e quelle pellerossa, osservò: "Le prime sono flessuose e aggraziate, dalle forme eleganti, dai lineamenti sottili, degne compagne dei loro uomini; le seconde goffe e pesanti, dai tratti rozzi e sciupati dal lavoro; serve e schiave dei loro mariti." Questo stereotipo era molto diffuso all'epoca. I bianchi consideravano le indiane come "bestie da soma alla mercé di quei mostri disumani dei loro mariti." Invece, la moglie del Generale Custer, Libbie, persona molto acuta e sensibile, dopo aver visto la sposa di un guerriero Sioux pettinare il marito e agitargli persino una coperta alle spalle per tenere lontane le zanzare, confessò che anche lei dedicava analoghe attenzioni al coniuge, aiutandolo spesso a indossare l'uniforme. Fatte le debite differenze culturali, le donne indiane non avevano condizioni di vita peggiori di quelle delle donne bianche, soprattutto delle bianche che vivevano nella frontiera e nelle fattorie, costrette a un lavoro durissimo e sovente maltrattate dai mariti. Dal punto di vista dei diritti, della considerazione sociale e del comportamento morale, le donne Lakota in particolare potevano vantare una condizione più avanzata di quella delle donne bianche. Ad esempio, erano loro, e solo loro, a poter chiedere il divorzio. Nella comunità, ricoprivano un ruolo di assoluto rilievo, non solo come madri: c'erano sarte (in genere nubili, perché dovevano provvedere agli abiti di tutta la comunità, senza fare favoritismi per il proprio uomo), donne guerriere e donne della medicina. L'illibatezza prima del matrimonio non era considerata un obbligo e neppure una virtù. D'altro canto, questi diritti erano solo formali, perché una pratica di divorzio aveva pesanti ripercussioni economiche sulle famiglie, e la donna divorziata poteva ritrovarsi sola. Ruoli diversi da quelli di moglie e madre erano scoraggiati e autorizzati solo in casi eccezionali. E i padri proteggevano la verginità delle loro giovani figlie imponendo loro delle cinture di castità, non tanto per un motivo morale, ma per non ritrovarsele incinte. C'erano poi punizioni terribili nei casi di adulterio femminile. Il marito poteva decidere se punire la moglie o perdonarla. Se la perdonava la prima volta, poi non avrebbe più potuto nemmeno protestare per i tradimenti della sua compagna. Se invece decideva di punirla, allora doveva mozzarle il naso, o nei casi più estremi, come tra i Piedi Neri, ucciderla. Queste pratiche spietate diventarono però sempre più rare dalla metà dell'Ottocento, fin quasi a sparire. Il cambiamento dei costumi fu imposto dalla lotta delle donne indiane in difesa dei propri diritti, e anche dall'esempio di un modo diverso di vivere il ruolo maschile, di marito e di padre, dato da grandi leader come Cavallo Pazzo. Riparleremo di questo tema. Intanto, chi fosse interessato ad approfondire la condizione e le battaglie delle donne indiane, può leggersi il bellissimo libro dl Mary Crow Dog: Donna Lakota, adottato in tutte le università americane che hanno corsi sulle culture Native, e pubblicato in Italia da Marco Tropea Editore. È appena uscita l'edizione economica nella collana Est de Il Saggiatore.


Anno 4 Numero 35
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BIGLIETTI VERDI

Un western senza dollari non può esistere. Eppure nessun film ci ha mai spiegato bene l’appassionante e intricatissima storia del dollaro. Per semplicità di messa in scena, gli eroi hanno sempre avuto in mano delle banconote, e anche su MV non siamo sfuggiti a questa convenzione. Però, nel vecchio West, gli unici dollari con valore indubitabile di denaro circolante erano quelli in oro. La valuta cartacea, infatti, era molto poco diffusa e le autorità centrali esitavano a creare banconote nazionali di piccolo taglio. Il governo concesse però alle banche locali di emettere propri titoli di credito e valuta corrente. Su iniziativa del Senatore e poi Segretario del Tesoro Salmon Portland Chase (nel disegno di Cozzi), il Congresso votò nel 1863 mia legge secondo la quale bastavano cinque soci a formare un’associazione bancaria autorizzata a emettere denaro. In poco tempo, l’America venne inondata di banconote dei tipi più vari, illustrate vivacemente con immagini dei Padri Pellegrini, del battesimo di Pocahontas, di figure allegoriche inventate, di ritratti di Presidenti, insomma con i soggetti più diversi. Un maggiore ordine venne garantito da un nuovo tipo di biglietti, i cosiddetti greenbacks cioè "dorsi verdi", valuta dal corso legale emessa in tagli da 5 a 100 dollari e oltre. Questi biglietti potevano essere convertiti in dollari oro, in obbligazioni, e persino in francobolli, però immediatamente dopo la loro emissione e rapidissima diffusione, cominciarono a svalutarsi. Dopo la guerra di secessione, l’oro divenne così scarso che moltissime banche si rifiutarono di convertire i greenbacks. Obbligazioni e francobolli, ovviamente, non si prestavano a essere usati come moneta circolante. E in ogni caso, i francobolli si esaurirono subito, con resse indescrivibili agli uffici postali. I creditori non vollero più essere pagati in greenbacks. Ne nacquero infinite vertenze legali destinate a durare anni. Paradossalmente, lo stesso Chase che li aveva inventati, divenne un fermo avversario dei greenbacks, considerandoli un pericoloso fattore di inflazione. La crescente difficoltà a riscattare e a farsi cambiare i greenbacks portò molti piccoli commercianti, contadini che avevano contratto prestiti con le banche, gente comune, alla rovina economica. Senza riuscire a capire perché, essi si ritrovavano in mano una moneta deprezzata, se non addirittura inservibile! Nel 1871, la Corte Suprema decretò la legalità dei biglietti verdi, ma ne limitò molto l’uso. Ad esempio dichiarò la validità dei contratti che pretendevano saldi esclusivamente in oro, e concesse a stati come l’Oregon e la California di rifiutare i greenbacks in pagamento delle tasse. Faccenda molto complessa, come si vede, da far girar la testa anche agli esperti. In questa storia di MV abbiamo cercato di renderla accessibile anche a chi è totalmente digiuno di economia, attraverso un piccolo caso esemplare. La storia si svolge a Bismarck, una città del Nord Dakota in cui torneremo spesso, e che in due anni cambiò nome per ben tre volte. Noi l’abbiamo chiamata da subito con il nome definitivo, scelto nel 1873 in onore del cancelliere tedesco Otto Von Bismarck, nella speranza di far affluire capitali dalla potente e ricca Germania. Speranza andata presto delusa, svalutata come e più dei greenbacks.


Anno 4 Numero 36
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SHAKESPEARE NEL WEST

Un "Il nome di William Shakespeare dominava la scena teatrale della Frontiera. A prima vista, può sembrare sorprendente che la gente del west, impegnata nella dura battaglia quotidiana per sopravvivere in lande desolate e selvagge, potesse trovare il tempo per apprezzare le rappresentazioni shakespeariane". Così scrive Ester C. Dunn nel suo approfondito studio Shakespeare in America, pubblicato nel 1939 (e purtroppo non disponibile in italiano). I motivi addotti dall'autrice per spiegare il successo di Shakespeare nel west sono i seguenti: anzitutto la sua notorietà (le prime rappresentazioni delle opere di Shakespeare in America risalivano all'epoca coloniale, cioè al XVII secolo); inoltre queste opere costituivano il repertorio abituale degli attori, in prevalenza di origine britannica, che battevano le scene americane; infine, il contenuto violento, emotivo, ma poeticamente elevato dei capolavori del Grande Bardo, colpiva la sensibilità del pubblico riuscendo anche a farlo sentire "colto". Era confortante per la gente di frontiera poter godere dl spettacoli che portavano con sé mille echi della grande cultura europea e della civiltà delle grandi città americane dell'est. Ma la cosa che tendeva queste rappresentazioni veramente uniche era che nel west, pur così lontano e diverso dalla Londra elisabettiana, ricorrevano condizioni molto simili a quelle dell'epoca dì Shakespeare, primo fra tutti il fatto che mancavano i teatri e dunque le opere venivano allestite dove capitava: stalle, cortili, sale da biliardo, locande, barconi. Le compagnie di giro erano forniate da pochissimi attori, gli altri venivano reclutati di volta in volta tra la gente del posto. A Greenville, nel 1832, l'impresario teatrale Sol Smith affidò i ruoli di Cassio e Bruto, nel Giulio Cesare, a due volenterosi debuttanti locali che si presentarono in scena con cappellacci, speroni, cinturoni e pistole. Uniche note di colore antico, un improbabile mantello per il primo e una scimitarra turca per il secondo. In una rappresentazione di Pizarro a Columbus, Smith arruolò come comparse ventiquattro indiani Creek, che compensò con cinquanta centesimi e un bicchiere di whisky a testa: Nei primi anni '40, in Florida, durante la guerra contro i Seminole, il capocomico William A. Forbes, in tournée con la sua troupe tra una postazione militare e l'altra, venne attaccato dagli indiani che uccisero due attori e si impadronirono dei costumi di scena, dopodiché andarono all'assalto del Forte più vicino vestiti da antichi romani, da highlanders e da armigeri medievali. Nella storia di MV che state per leggere, assisterete a una rappresentazione di Antonio e Cleopatra in un Forte, poi la compagnia si trasferirà a Pittsburgh che farà da scenario anche alla prossima puntata. Questa città, uno dei più importanti centri industriali degli Stati Uniti, ha fatto anche la storia del teatro: qui, l'attore inglese Francis Courtney Wemyss aveva aperto nel 1833 una sala dotata di palchi e platea, una delle prime in America. E sempre a Pittsburgh morì nel 1924 la grande attrice italiana Eleonora Duse. Le scene teatrali del west sono state raccontate di rado nei fumetti, ma vanno ricordati alcuni notevoli episodi di Ken Parker (che vedete nel disegno) e i lettori di MV hanno già avuto modo di gustarsi le performance del nostro attore trasformista Dick Carn Non resta che aprire il sipario!


Anno 4 Numero 37
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IL TEMPOREGGIATORE

L’episodio che state per leggere rievoca i primi scontri tra l’Esercito degli Stati Uniti e i Sioux di Toro Seduto nell’agosto del 1872 lungo il fiume Yellowstone. Molti dei personaggi che vedrete qui rappresentati sono storici e hanno fatto proprio ciò che qui racconteremo. Certi nomi indiani vi parranno bizzarri, come ad esempio quelli dello sciamano Lungo Sacerdote, o del guerriero Molti Pidocchi, ma così erano e così li abbiamo lasciati. Le truppe dell’esercito erano realmente al comando del maggiore Baker. Anche il personaggio del fotografo William Henry Jackson è autentico. Per il resto, qualche libertà narrativa ce la siamo concessa, pur nel rispetto dei fatti. Le notizie sull’origine e il significato del nome "Toro Seduto" le abbiamo tratte dalle memorie del celebre testimone Sioux Ohiyesa, cioè Charles Alexander Eastman (1858-1939). Il suo libro più noto (Indian Heroes and Great Chieftains), pubblicato nel 1918 e più volte ristampato, contiene ritratti biografici di quindici capì indiani, alcuni dei quali Eastman li aveva conosciuti personalmente. È stato Eastman a far notare che il nome Toro Seduto allude alle sue qualità di "Temporeggiatore". Fu difficile per gli stessi Sioux, in genere impetuosi e sfrenati in battaglia, riuscire a decifrare il comportamento "attendista" di Toro Seduto (nella foto sotto). Nuvola Rossa, in passato, aveva riunito sotto il suo comando tribù di nazioni diverse, inquadrandole in un ordine di battaglia ben definito, in parte ricalcato sul modello di organizzazione militare dei bianchi. Impedendo alle singole bande di agire isolate, Nuvola Rossa era riuscito ad ottenete notevoli vittorie, ma il suo rigido comando centralizzato aveva suscitato critiche e opposizioni da parte dello stesso popolo Sioux che mal sopportava la disciplina. Toro Seduto applicò un metodo molto diverso. All’apparenza egli lasciava che le singole bande si comportassero come pareva loro, senza forzarle a seguire indicazioni costrittive. Ma in realtà, controllava egualmente la situazione preparandosi a intervenire con i suoi guerrieri sulla base di piani strategici molto ben studiati che scattavano all’ultimo momento o meglio nell’istante più opportuno e decisivo, quello che decideva le sorti della battaglia. Per spiegare il comportamento di Toro Seduto, più che alle classiche strategie militari, si potrebbe fare riferimento alle moderne manifestazioni di protesta. Quando migliaia di dimostranti si radunano, è difficilissimo poter controllare i movimenti di ogni singolo raggruppamento. La garanzia che tutto non precipiti in scontri disordinati e disastrosi, magari provocati da un piccolissimo gruppo, è affidata al servizio d’ordine della manifestazione. Toro Seduto poteva contare su uno sceltissimo corpo di akicita (appunto una sorta di servizio d’ordine indiano) e inoltre coordinava la sua discesa in campo con Cavallo Pazzo, il quale solitamente iniziava le azioni che Toro Seduto concludeva. Come vedrete in questa storia, non sempre queste azioni erano mirate a ottenere grandi vittorie. Il primo scopo di Toro Seduto era quello di mantenere unite le nazioni indiane senza limitarne la libertà operativa, ma evitando inutili spargimenti di sangue. Buona lettura.


Anno 4 Numero 38
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I FIGLI DEL CELESTE IMPERO

Nel 1861, la compagnia ferroviaria Central Pacific si trovava di fronte alla difficile impresa di attraversare con i suoi binari i massicci della Sierra Nevada e i deserti dell’Utah. Gli immigrati irlandesi assoldati allo scopo non gradivano affatto questo spossante lavoro. Così Charles Crocker, uno dei "baroni" della ferrovia, provò a reclutare una cinquantina di lavoratori cinesi, al principio come semplice appoggio, cioè in qualità di cavatori di pietre, lavandai e servitori domestici. LÌ trovò subito, citiamo le sue stesse parole, "tranquilli, pacifici, operosi e molto economici". In breve, gli operai cinesi della sola Central Pacific diventarono 14.000. Nel 1870, un carico di circa dieci tonnellate di ossa raggiunse la Cina: erano i resti di più di 1.200 "Figli del Celeste Impero" che tornavano in patria per la sepoltura. E, come leggerete in questa storia, non era stato solo il loro durissimo lavoro a ucciderli. Abbiamo tratto questa e altre preziose informazioni dall’importante. e ponderoso libro Sons of the Yellow Emperor- A History of the Chinese Diaspora di Lynn Pan, edito da Kodansha Globe di New York nel 1994. Eppure gli studi sugli immigrati cinesi in America sono ancora molto scarsi, ed è comprensibile il perché: lo sfruttamento della manodopera venuta da Oriente è una delle pagine più oscure e ingloriose della "civilizzazione" della Frontiera americana. Tra la fine degli anni 40 e il 1870, la popolazione cinese del solo Stato della California raggiunse la cifra di 71.000 anime, più di metà delle quali vivevano a S. Francisco. In California già c’era un grave problema di razzismo nei confronti di indiani e messicani e l’arrivo in massa di lavoratori cinesi fu la miccia che fece esplodere la rabbia di tutti i bianchi che vedevano minacciato il proprio stile di vita dagli "stranieri", ma che soprattutto temevano per i loro precari e mal pagati posti di lavoro che non potevano reggere la concorrenza di una manodopera a basso prezzo e disposta a qualsiasi sacrificio. Per tutti gli anni 60 e 70, S. Francisco fu sconvolta da vere proprie insurrezioni contro i cinesi, ma mentre il Governatore della California tuonava contro i sempre nuovi ingressi di immigrati, la Central Pacifìc e le altre compagnie ferroviarie assumevano. Intanto i poveri figli d’oriente dovevano subire anche la tirannia delle Tong, cioè dei clan mafiosi cinesi che tiranneggiavano su di loro, reclutandoli, oltre che per la ferrovia e le miniere, per le sale da oppio, le case da gioco e i bordelli. Si è calcolato che otto donne cinesi su dieci a S. Francisco esercitassero la prostituzione, in orribili condizioni d schiavitù. Se la ricerca storica si è occupata poco di questo sconvolgente fenomeno, quasi per nulla se ne è occupato il cinema western, che ha sempre relegato i cinesi nello stereotipo di cuochi-lavandai. La nostra storia è ovviamente di fantasia, ma quanto viene riferito sulle condizioni in cui erano tenuti gli schiavi cinesi è purtroppo autentico. Se volete conoscere cosa succedeva nel frattempo in Cina, vi consigliamo un grande capolavoro del cinema di Hong Kong (disponibile in cassetta in versione originale sottotitolata in inglese), Once upon a Time in China (C’era una volta in Cina) di Tsui Hark, 1991, primo di una serie di cinque film altamente spettacolari.


Anno 4 Numero 39
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GLI INDIANI E LE STELLE

Sono sempre stata affascinata fin da bambina dallo spazio infinito, e mi chiedo sempre più spesso cosa ne pensassero i popoli della prateria, come vivessero il loro rapporto con le stelle." (Francesca Benedetti Pozzi, Lucca). La tua lettera giunge al momento giusto, Francesca, fornendoci lo spunto per l’introduzione a questo episodio molto particolare di MV che per la prima volta tratta un tema fantascientifico. Ci sarebbero molte cose da dire su questo argomento e non presumiamo di poterlo esaurire in una sola volta. Parlando del rapporto tra i nativi americani e le stelle, non si può che partire dai miti che riguardano la costellazione delle Pleiadi, importantissima per tutte le popolazioni antiche, dagli Egizi ai Greci, e fondamentale anche per gli indiani delle praterie. Le sette stelle principali che compongono le Pleiadi si mostrano al principio dell’estate e tramontano prima dell’inverno. questo spiega di per sé perché fossero considerate "speciali". Inoltre la. loro disposizione, che assume la forma di un cerchio aperto, suggerisce una danza. Sia gli antichi Greci che gli indiani d’America le hanno dunque rappresentate come una sorta di corpo di ballo celeste. Tutte le tribù del Nord America pensavano di provenire dalle Pleiadi e di essere state inviate sulla Terra allo scopo di preservarla. Molte cerimonie in onore delle Pleiadi si svolgevano sul pianoro del Mato Tipi (o Devil’s Tower), la loro montagna sacra (già apparsa su MV) con la vetta "mozzata" e solcata sui fianchi da lunghi graffi lasciati secondo un antico mito dalle unghie di un Orso Gigantesco Una leggenda indiana racconta che sette capi minacciati da questo mostruoso animale, si erano rifugiati in cima alla montagna per poi "salire in cielo", Un’altra leggenda, degli indiani irochesi, racconta che alle origini dei tempi sette bambini (bambine secondo altre versioni) si erano così appassionati al ballo da scansare qualsiasi altra attività, persino il mangiare. Col tempo, divennero talmente magri e leggeri da librarsi in cielo, diventando le Pleiadi. (Chi volesse leggere per intero questo mito può trovarlo al sito Internet www.councilfire.com/lsp/pleiades.htm). Come si ve, il legame degli indiani con le stelle era profondo e complesso e prevedeva viaggi d’andata e di ritorno. Il che ha naturalmente destato l’interesse di tutti gli appassionati di Ufo, che considerano le Pleiadi come la più importante base stellare di astronavi extraterrestri. In questa storia però concentreremo la nostra attenzione sui miti che riguardano i meteoriti. Mentre per gli indiani i proiettili caduti dal cielo erano "doni" inviati sulla Terra, per i bianchi si trattava di oggetti maledetti noti solo per le possibili catastrofi naturali che procurerebbero colpendo il nostro pianeta, tua anche come minaccia alle umane certezze. La letteratura di fantascienza ha sempre giocato su questo duplice aspetto: è come se la civiltà moderna (e occidentale), proprio mentre sviluppava una tecnologia spaziale si rivelasse al contempo atterrita dal contatto con una realtà stellare concepita come separata e aliena Gli antichi e gli indiani consideravano il cielo come la nostra origine, noi, spesso, come il nostro destino futuro, fatalmente assimilato all’idea della Fine... Ma siamo davvero convinti che la minaccia alla. nostra sopravvivenza venga dallo Spazio.


Anno 4 Numero 40
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I PIEDI NERI

Per quasi due secoli i tre raggruppamenti che formavano la nazione dei Piedi Neri furono considerati separati dai bianchi e chiamati con nomi distinti: i Pikuni o Piegan, i Kainah o Blood, e i Sisika o Piedi Neri propriamente detti. Questi tre gruppi, per quanto indipendenti, parlavano la stessa lingua e avevano gli stessi costumi, sì spesavano tra loro e avevano gli stessi nemici. Il nome di Piedi Neri, secondo l’opinione prevalente, era derivato dal fatto che questi indiani del nord erano eccellenti calzolai e fabbricavano mocassini probabilmente di pelle scura. Al di là della loro capacità artigiana, i Piedi Neri erano un popolo molto povero. Prima dell’incontro con i trafficanti bianchi, usavano coltelli di pietra, non possedevano cavalli, e si affidavano per il trasporto delle loro cose ai cani. Questo periodo della loro storia viene infatti definito: "i giorni del cane". Ovviamente l’uso del cane impediva loro di avere bagagli troppo ingombranti, così le tende erano molto piccole, gli utensili ridotti al minimo, i viveri scarsi, gli spostamenti molto brevi. In questo periodo però la loro comunità era assolutamente egualitaria e non conosceva differenze di ceto. I capi non avevano alcun reale potere, erano più che altro degli organizzatori che, esaurito il loro compito, rientravano nel gruppo senza alcun privilegio. L’incontro con i mercanti di pellicce bianchi, nel corso del secolo XVIII, cambiò profondamente la struttura sociale dei Piedi Neri, creando ricchi e poveri. Il metro della ricchezza era il numero di cavalli posseduti. Una famiglia di otto persone, composta da due maschi adulti, tre donne e tre bambini, aveva bisogno di una dozzina di cavalli per potersi muovere con efficienza: uno per la copertura della tenda, due per i pali, due per i viveri, tre per le donne che portavano con loro anche l’equipaggiamento, e due cavalli da corsa per gli uomini. Ciascuno degli uomini doveva possedere un cavallo adatto per la caccia al bisonte. Una famiglia di più di cinque adulti necessitava di almeno una ventina di cavalli. Le famiglie povere erano molte: costrette a campare con uno o due cavalli, si accontentavano di tende più piccole, di abiti e armi di scarsa qualità. I capi, scelti di solito tra i membri più ricchi della tribù, avevano il compito di aiutarle. La virtù essenziale richiesta a un capo era la generosità. Un capo avaro non durava a lungo. Per quanto riguarda i costumi di vita, i Piedi Neri non erano soggetti a leggi complesse: il furto era punito con la restituzione del maltolto, un delitto veniva considerato cosa privata, cioè il compito della vendetta era affidato alla famiglia della vittima. La poligamia non era un obbligo, né un credo, ma resa necessaria dal fatto che le donne erano molto più numerose degli uomini (che morivano spesso in battaglia). I capi famiglia dicevano di disprezzare la gelosia, ma se offrivano le loro mogli agli ospiti era solo perché le consideravano come una loro proprietà. Se erano esse a offrirsi, l’atteggiamento cambiava: infatti il numero delle donne con il naso tagliato causa adulterio era molto maggiore tra i Piedi Neri che tra i Lakota. E la punizione per un tradimento poteva andare ben oltre, come si intuisce in questo episodio di MV, nel quale leggerete anche dei profondi guasti che la piaga dell’alcolismo seminò in questo fiero popolo.


Anno 4 Numero 41
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GRILLETTO FACILE

Fa la sua apparizione in questo episodio di MV, il mitico James Butler Hickok, conosciuto con il soprannome di Wild Bill. Mentre degli eroi del west in genere sappiamo pochissimo (per esempio la vita di Calamity Jane, di cui parleremo nel prossimo Blizzard è un totale mistero) di Wild Bill conosciamo quasi ogni dettaglio. La sua inconfondibile figura ci è stata tramandata da una serie di fotografie e da un numero incalcolabile di disegni e ritratti. Era alto un metro e ottanta, un’altezza non comune per l’epoca, e per di più indossava stivali con tacchi di tre centimetri. Singolarmente elegante e pulito rispetto alla media degli uomini di frontiera, con i capelli lunghi, i baffi spioventi e un profilo aquilino, era considerato un bello. Portava almeno due pistole, con le impugnature in avorio, ma secondo alcuni testimoni d’epoca ne teneva altre due tascabili (delle derringer Williamson) nella giacca. Il termine "grilletto facile" divenne popolare grazie a lui, e a ragione. Più che di precisione di tiro, Wild Bill faceva sfoggio di quantità di fuoco, sparando all’impazzata. La leggenda racconta che abbia ucciso più di cento uomini (per limitarsi solo ai bianchi). Lui asseriva più modestamente d’averne ammazzati trentasei. La documentazione storica conferma soltanto sette omicidi certi, ma non esclude che siano stati di più. Wild Bili non era certo un santo. Spendeva i soldi delle sue paghe con le prostitute, al gioco e bevendo whisky. Le sue lettere rivelano un certo umorismo, le sue foto lo ritraggono spesso in espressione assorta e melanconica. Divenne famoso nel 1867 dopo aver rilasciato un’intervista alla popolare rivista Harper’s Magazine sulle sue imprese nella Guerra Civile. Quando la lesse, Hickok si infuriò per le inesattezze che vi erano contenute, ma presto dovette rassegnarsi al suo destino di perseguitato dalla fama, prigioniero del personaggio che gli era stato disegnato addosso. La sua famiglia d’origine era povera, ma animata da alti ideali di giustizia. Suo padre William, un fervente abolizionista aiutava gli schiavi neri in fuga, ostacolando chi dava loro la caccia, per esempio i miliziani conosciuti con il nome di "Farabutti della Frontiera". A soli diciannove anni, James Butler Hickok si unì alle truppe del Generale Jim Lane che combattevano simili bande di assassini. Fu allora che venne soprannominato "Bill", un nomignolo che all’epoca veniva attribuito ai ragazzi. Il suo primo amore, Mary Owen, era figlia di un’indiana Shawnee. La famiglia Hickok, che già aveva parecchi guai per il suo sostegno ai neri, giudicò inopportuno che Bill "esagerasse" facendo un matrimonio misto e glielo vietò. Bill non divenne famoso per i suoi ideali giovanili, ma per la spregiudicatezza con cui interpretò il molo dell’Uomo di Legge. Il mito americano dello Sceriffo Impavido che, pistole in pugno, ripulisce la città e poi finisce per essere inviso a tutti nasce con lui. Per Hickok questa dell’Uomo d’Ordine fu un’esperienza amara e dolorosa, aggravata col tempo da un problema gravissimo per un pistolero: un progressivo indebolimento della vista. Su Hickok si sano girati una quantità di film. Uno dei più recenti è il Wild Bill di Walter Hill, molto accurato nella ricostruzione storica, che potrete trovare senza difficoltà nella collana home video Gli Scudi. E ora, buona lettura.


Anno 5 Numero 42
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L'ENIGMA DI CALAMITY JANE

Si può dubitare dell’esistenza di Martha Canary più nota con lo pseudonimo di Calamity Jane? Abbiamo parecchie sue fotografie, qualche sua intervista d’epoca, una breve autobiografia, le lettere che scrisse alla figlia, le testimonianze di contemporanei illustri quali Buffalo Bill che la fece esibire nel suo circo, dunque cosa serve ancora? Eppure nel 1958, una giovane studentessa, Roberta Beed Sollid, entusiasta ammiratrice dell’eroina del West, ma forte di una notevole preparazione storico-critica, volle verificare approfonditamente il mito e dopo lunghe e appassionate ricerche finì per arrendersi a un’incredibile evidenza: nulla o quasi nulla di ciò che si era scritto di e su Calamity Jane corrispondeva al vero! La conclusione della giovane studiosa era disarmante: il personaggio ritratto nelle foto era ovviamente una persona reale, ma la sua leggenda doveva essere stata creata ad arte dalla stampa popolare e in particolare da quell’astuto e grande organizzatore di spettacoli che era Buffalo Bill. Secondo la Sollid, persino le Lettere alla figlia (che ancora potete trovare in libreria in moltissime edizioni) erano un clamoroso falso letterario. Il soprannome Calamity Jane, per la Sollid, nel West veniva usato per indicare genericamente le donne (Jane stava per "Tizia") che si erano ritrovate a svolgere mansioni solitamente maschili e perciò definite Calamity, cioè Disgrazia, nel senso di sfortuna subita, oppure, in senso svalutativo, procurata. In sostanza: "Una Porta-Jella". Secondo la Sollid dunque Calamity Jane non era altro che uno stereotipo diffuso e Martha Canary solo la persona che lo aveva incarnato per motivi spettacolari. In seguito, altri studiosi appurarono che nel suo furore iconoclasta, la Sollid aveva commesso alcuni errori negando credibilità a vicende e fatti che inseguito altre ricerche dimostrarono invece autentici. È però innegabile che la vera vita di Calamity Jane restò sempre avvolta nel mistero e che lei stessa ammise d’aver detto e scritto falsità per motivi puramente economici. Sostenne fino alla fine d’essere stata sposata con Wild Hill Hickok, nonostante nessuno l’avesse mai creduta. Quanto a Wild Bili, che certo l’aveva conosciuta, non lo confermò, né lo smentì mai, e in questo riserbo alcuni ravvisarono un sentimento di amicizia, altri di compassione per una donna malridotta dall’abuso di alcol. Ma il periodo più misterioso della sua vita Calamity Jane lo passò a Fort Laramie dove prestava servizio come scout dell’esercito, ed è proprio a questo periodo che si ispira la storia di Magico Vento che state per leggere. La nostra immaginazione è stata stimolata da una coincidenza a dir poco strabiliante: nello stesso periodo in cui Calamity era a Fort Laramie, si verificarono al Forte delle apparizioni di fantasmi, testimoniate da molte cronache d’epoca con tanto di nomi e cognomi dei fantasmi, visto che si trattava di due persone molto note e morte nella zona tempo addietro, cioè: la figlia di un famosissimo capo indiano, e un giovane ufficiale di cavalleria, innamorati l’una dell’altro e destinati entrambi a una tragica fine, degna di Giulietta e Romeo. Così, nella nostra ricostruzione fantastica, l’enigma di Calamity Jane si è unito a quest’altro mistero, lungo quell’incerta linea di confine che, nella Frontiera, non separa mai, anzi unisce in un’unica zona d’ombra, la Storia e la Leggenda.


Anno 5 Numero 43
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LUNE INDIANE

Molti lettori ci hanno chiesto conoscere più approfonditamente il calendario indiano. Citiamo per tutti Giuseppe Bulgarella di Trapani che ha anche ricavato l’elenco dei mesi dal libro "Alce Neri parla". Quello che vi proponiamo qui è il calendario in lingua Teton quale appare nel Dizionario Siow di Paul WarCloud. Le tribù Lakota erano molte e di ceppi diversi dunque i nomi delle lune (cioè de mesi) che trovate nei libri possono cambiare a seconda della tribù cui ci si riferisce oppure essere gli stessi, ma indicare mesi diversi. Per esempio La luna delle corna spezzate corrisponde a Novembre per i Santee e a Dicembre per i Teton. Altra complicazione deriva dal fatto che gli indiani seguivano cicli lunari e le lune in un anno sono tredici, non dodici. La luna in più, veniva "recuperata" contando due mezze lune, a Gennaio e a Luglio. I nomi delle lune sembrano (e sono) molto poetici, ma avevano anche un uso pratico: riconoscere da piccoli segni della natura il mutare del clima e delle stagioni. Ed eccovi il calendario o meglio il "Winter Count", Conto degli Inverni:

GENNAIO: Luna delle avversità/Mezza luna
FEBBRAIO: Luna del freddo dentro la tenda
MARZO: Luna del gelo sugli occhi
APRILE: Luna del ritorno delle anatre
MAGGIO: Luna delle foglie verdi
GIUGNO: Luna delle rape selvatiche
LUGLIO: Luna delle ciliegie/Mezza luna
AGOSTO: Luna in cui ogni cosa è matura
SETTEMBRE: Luna delle foglie marroni
OTTOBRE: Luna delle foglie cadenti
NOVEMBRE: Luna dei cervi che si accoppiano
DICEMBRE: Luna delle corna spezzate


Anno 5 Numero 44
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LA VERITA' SU CUSTER

Gian Luca Franconetti di Veroli e Claudio Visentini di Mantova ci chiedono se quanto raccontato nel n.45 "Gli Invasori", cioè la spedizione di Custer (nella foto) lungo il fiume Yellowstone e gli intrighi paralleli della Volta Nera, corrisponde alla realtà storica. Le due cose vanno naturalmente distinte. Di Custer il cinema ha raccontato solo l’episodio del Washita e quello del Little Big Horn, ignorando altri episodi cruciali come appunto la spedizione sullo Yellowstone o la successiva esplorazione delle Black Hills alla ricerca dell’oro. Vi abbiamo già suggerito in passato dei testi sulla vita del Generale Custer, ma vale la pena di approfondire. Il più preciso, puntiglioso e insieme di piacevole lettura, è il saggio "Cavallo Pazzo e Custer" di Stephen E. Ambrose, recentemente pubblicato in italiano dalla Rizzoli nella collana SUPERBUR al costo (quanto mai contenuto per un’opera di circa 600 pagine) di £ l6.900. Questo libro mette a confronto le biografie dei due grandi personaggi e offre una ricostruzione molto precisa dell’episodio dello Yellowstone. Sempre da Rizzoli è uscito lo studio biografico di Louise Barnett "Custer, l’ultimo eroe" (£ 34.000). Anche qui troverete riferimenti agli scontri dello Yellowstone, ma il libro ha il pregio di indagare sulla corrispondenza privata tra Custer e sua moglie Libbie, offrendoci un scorcio più "intimo" della vita del Generale. Un’interpretazione romanzata del carattere e della psicologia del personaggio potete leggerla in "La danza dell’ultimo bisonte" di Michael Blake (Sperling & Kupfer, £.29.900). Blake, già autore del famoso "Balia coi lupi", considera Custer come una sorta di eterno bambinone infatuato della vita libera e selvaggia della Frontiera. Questa ricostruzione è ovviamente più che opinabile, tanto più che il romanzo di Blake si presenta come un "Diario di Custer", di cui non si avvertiva l’esigenza, dato che il Generale già scrisse e pubblicò un proprio diario militare, cioé "La mia vita nelle pianure", recentemente ripubblicato negli Oscar Mondadori, un libro affascinante che ci testimonia una personalità vivacissima e ricca di sfumature. Riguardo invece alla Volta Nera, trattasi di un’organizzazione clandestina di pura fantasia. Comunque, al ruolo delle Società Segrete nella storia degli Stati Uniti, e alle loro caratteristiche, dedicheremo un Blizzard apposito.


Anno 5 Numero 45
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STRANO WEST

Si sa: un film horror fa paura, un film comico fa ridere e un film sentimentale fa piangere. Ma un film western che effetto fa?... Più d’uno! Il western è stato fin dalle origini un genere del tutto speciale, che ha accolto in sé ogni altro genere cinematografico. Abbiamo avuto western psicologici, politi­ci, musicali, comici, realistici e surreali, divertenti e angosciosi... insomma di tutti i tipi. Per quanto il western non rappresenti più da molti anni il filone più ricco dell’industria cinematografica, negli ultimi tempi sono fioriti, sempre più numerosi, film western insoliti, bizzarri, che ci ripresentano un genere "classico" sotto forme completamente nuove. Ci limitia­mo a segnalarvi alcuni di questi film, senza "fame la critica", né distinguere tra serie A e serie B. Potrete trovarli in cassetta, senza grandi difficoltà. Eccoli, uno do­po l’altro, finché lo spazio della rubrica ce lo consente. The Killing Box di George Hickenlooper, con Corbin Bernsen (1992). Antiche e oscure divinità africane, portate in America dagli schiavi neri, si risvegliano durante la Guerra di Secessione e "zombizzano" un reparto di soldati uccisi. Dead man di Jim Jarmush, con Johnny Depp (1995). La lunga fuga di un cadavere vivente da un infame paese industriale del profondo west attraverso le praterie più desolate, fino alle tribù indiane della costa occidentale, dove finalmente l’eroe realizza di essere morto da un pezzo e si abbandona a un mistico trapasso. Purgatory di Uli Edel con Sam Shepard (1999). Una banda di fuorilegge fuggiaschi si ferma in un paesino isolato e abitato da celebri banditi, sceriffi e pistoleri, tutti convertiti alla nonviolenza. Gli eroi sono passati a miglior vita anche in senso stretto: sono infatti defunti, dal primo all’ulti­mo, e il loro paese è il Purgatorio. Se uccideranno ancora li aspetta l’Inferno, se invece sapranno resistere alle provocazioni, andranno in Paradiso. Cannibal The Musi­cal di e con Trey Parker (1996). Dagli autori della serie televisiva di cartoni animati South Park, un western horror comico e musicale con attori in carne ed ossa, che si ispira alla storia autentica di un gruppo di cercatori d’oro dispersi sulle Montagne Rocciose e costretti al cannibalismo per sopravvivere. Il tutto condito da allegre cantate, parodia del classico mu­sical all’americana. Il film è stato distribuito in Italia qualche mese fa in edicola come allegato alla rivista di cinema Nocturno. Tema analogo, ma senza canzonette, anzi con tono potentemente drammatico, per L’insaziabile (da cui è tratto il fotogramma riprodotto in questa pagina) di Antonia Bird, con Robert Carlyle (1999) dove si esplora il mito del Windigo (già trattato su MV), terribile mostro cannibale del Nord America, qui trapiantato in California. Il film è stato girato in Europa, ma la rico­struzione d’epoca e d’ambiente è comunque impeccabile. Wild wild west di Barry Sonnenfeld con Will Smith e Kevin Kline (1999). Stravagante western "steam punk" (cioè riproposizione fantascienti­fica dell’epoca del vapore) con protagonisti due agenti segreti che combattono uno scienziato pazzo sudista. Stop. Se avete altre bizzarrie da segnalarci, fatelo!


Anno 5 Numero 46
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I SIOUX E LE ELEZIONI

Dopo una lunghissima e sfibrante campagna elettorale come quella che abbiamo appena attraversato, pensiamo possa essere interessante raccontarvi come affrontavano i Sioux queste circostanze, e più esattamente: come eleggevano i loro capi? Come si comportava chi si ritrovava all’opposizione? La nazione Sioux, originariamente composta da Sette Fuochi cioè da sette grandi raggruppamenti tribali, intorno al 1800 si era riunita in due grandi gruppi: i Saoni (tra i quali i Piedi Neri) e i Teton (tra i quali gli Oglala). Dopo il 1850 i gruppi erano diventati quattro o cinque. Tuttavia i Sioux continuavano per tradizione a considerarsi come una federazione di sette popoli che ogni anno si riunivano a consiglio. Durante questa assemblea i Wicasa Yatapika (Portatori di Casacca o Supremi Custodi, cioè i quattro capi dell’intera nazione) giudicavano la condotta dei singoli capi tribù nell’anno precedente. Questi quattro capi supremi venivano eletti a maggioranza dagli anziani dei Naca Ominicia, cioè il vero e proprio consiglio legislativo delle tribù che sulle grandi questioni generali doveva decidere sempre all’unanimità. Ciascun membro aveva diritto di veto; dunque durante le riunioni il problema principale era quello di mediare tra le varie posizioni. In caso di mancato accordo, nessuna decisione vincolante poteva essere presa. Però dopo il 1850 non si ebbe più notizia di nuove elezioni di Wicasa Yatapika. La dispersione delle tribù sul territorio o in distinte riserve e soprattutto la crisi della caccia al bisonte, che era la struttura economica e sociale di base tra gli indiani, ne avevano minato l’unità. Ma come andavano le cose nelle singole tribù? Vere e proprie elezioni non c’erano. I capi si tramandavano il comando per via dinastica: cioè gli anziani educavano i giovani che avrebbero dovuto sostituirli. Raramente però il comando passava di padre in figlio: la famiglia indiana era una struttura sociale molto allargata, che includeva parenti stretti, acquisiti, adottivi e semplici amici. Dopo il 1850 si misero in luce dei leader di tipo nuovo, primo fra tutti Nuvola Rossa, che si guadagnò il titolo di capo sul campo di battaglia, senza appartenere a una famiglia illustre. E dopo di lui, Cavallo Pazzo e Toro Seduto che non erano neppure dei capi tribù in senso stretto. Insomma: col tempo, il valore e il carisma del singolo individuo finirono per contare di più delle origini familiari. In ogni, caso, i capi dovevano mostrarsi generosi, efficienti e giusti, altrimenti nessuno li avrebbe seguiti. Chi non si trovava d’accordo con le loro decisioni, formava una tribù indipendente. La divisione netta tra governo e opposizione per i Sioux non esisteva. Se nelle recenti elezioni americane si fosse votato con il sistema Sioux, non ci sarebbe stato bisogno di complicati conteggi di schede: chi non voleva Bush, avrebbe potuto farsi governare da Gore, e viceversa. Ve la immaginate una riforma elettorale così per le democrazie occidentali?


Anno 5 Numero 47
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I TOTEM DI NASCITA

"Ho notato che in nessun numero di MV si è mai visto un Totem. Eppure il Totem è un manufatto importante nella cultura indiana. Sbaglio?" (Giuseppe Bulgarella, Trapani). Letteratura, cinema e fumetti hanno per moltissimi anni identificato il Totem con il cosiddetto "Palo della Tortura". In una recente intervista pubblicata sulla rivista Fumetto (n.38) Renzo Calegari, uno dei maggiori interpreti del fumetto western italiano, ha simpaticamente dichiarato a proposito dei disegnatori degli anni 50: "Eravamo tutti totemisti! A quei tempi non sapevamo che i Totem erano solo sulla costa occidentale ". Già. I Totem scolpiti erano in uso solo tra le tribù indiane della costa del Pacifico e non servivano a torturare nessuno, erano pure rappresentazioni simboliche di animali: È certo, comunque, che le tribù delle Grandi Pianure (Sioux compresi) non conoscevano simili manufatti: oltretutto, essendo nomadi, non avrebbero potuto portarsi dietro pesanti sculture di legno. Però anche loro avevano dei Totem, cioè un sistema di simboli: di nascita (segni zodiacali), di orientamento (punti cardinali) e di elemento (Fuoco, Acqua, Terra, Aria). L’insieme di questi totem definiva le caratteristiche di un individuo. I Totem natali erano legati a figure di animali che identificavano le predisposizioni dei nati sotto il segno.Eccoli:

Falco, cioè i nati dal 21 marzo al 19 aprile, irruenti ed estroversi, ma spesso poco tenaci;
Castoro (20 aprile/20 maggio) pratici e amanti della vita domestica, ma insofferenti ai conflitti;
Cervo (21 maggio/20 giugno) innovatori e irrequieti;
Picchio (21 giugno/21 luglio) sensibili e altruisti, ma spesso petulanti;
Salmone (22 luglio/21 agosto) pieni di energia e sicuri di sé, ma talvolta arroganti;
Orso Bruno (22 agosto/21 settembre) grandi faticatori, poco aperti ai cambiamenti;
Corvo (22 settembre/22 ottobre) compagnoni con gli amici, ma diffidenti con gli estranei;
Serpente (23 ottobre/22 novembre) misteriosi e un po' freddi, ma attrezzati a superare le difficoltà più aspre;
Gufo (23 novembre/21 dicembre) vivaci e indipendenti, ma con la tendenza a immischiarsi nei fatti degli altri;
Oca (22 dicembre/19 gennaio) esploratori e utopisti, con il vizio di farsi assorbire totalmente dai propri obiettivi;
Lontra (20 gennaio/18 febbraio) ribelli e anticonformisti, e tuttavia maniaci dell’ordine e della pulizia personale;
Lupo (19 febbraio/20 marzo) sinceri e amichevoli con tutti, e perciò facilmente influenzabili.

Come vedete, ogni Totem natale ha un suo rovescio della medaglia. E, per apprezzare le diversità personali, è bene ricordarsi che nessuno è perfetto e chiunque è migliorabile.


Anno 5 Numero 48
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LA BATTAGLIA DEL BELLY RIVER

Ci sono storie cui non è affatto facile trovare degli "happy end" perché le circostanze, anche per un eroe come Magico Vento, rendono impossibili soluzioni consolatorie. Ripercorreremo infatti in questo episodio una delle pagine più terribili delle guerre tra tribù indiane rivali (in questo caso tra i Piedi Neri e i Cree). La vicenda inizia nell’ottobre del 1870, quando bande di Cree, durante un raduno di massa stimato di 600/800 guerrieri, furono raggiunte dalla notizia che i nemici Piedi Neri, indeboliti da un’epidemia di vaiolo, si trovavano in una condizione di estrema vulnerabilità. La notizia era infondata, perché l’epidemia risaliva all’anno precedente, ma i Cree non si presero cura di verificarla. E neppure credettero a Corno d’Acciaio, un ragazzo di soli dieci anni, che aveva avuto una visione funesta. In essa un grande bisonte, appunto dalle corna d’acciaio, faceva il vuoto tra le fila dei Cree che, per quanto si sforzassero, non riuscivano ad abbatterlo. Il racconto del ragazzo venne ridicolizzato dai capi e la spedizione di guerra partì. I Cree attaccarono una famiglia isolata di Piedi Neri, massacrando tutti, tranne un bambino che riuscì a fuggire e a raggiungere un grosso accampamento (più di 200 tende), dando l’allarme.Distratti da un raggruppamento più piccolo, di sole 60 tende, nel quale vivevano i Blood (che facevano parte dei Piedi Neri), gli esploratoti Cree non si accorsero dell’esistenza del campo più grande e si lanciarono all’attacco mietendo vittime (donne e bambini compresi), ma trovando presto una valida resistenza, che, con l’accorrere del grosso dei Piedi Neri, divenne una potentissima controffensiva. La battaglia durò più di quattro ore, finché i Cree vennero costretti a ritirarsi in massa verso il Belly River, dove i Piedi Neri, infuriati per il precedente massacro di donne e bambini, li fecero letteralmente a pezzi. Il numero delle vittime è difficile da accertare, ma le stime degli storici vanno da un minimo di 70 a un massimo di 300 morti per i Cree, contro i 50 circa dei Piedi Neri, molti dei quali presumibilmente caduti sotto il fuoco dei loro stessi compagni durante il caotico contrattacco. La disparità delle perdite si spiega meglio se si considera che i Cree erano armati quasi esclusivamente di archi e mazze, mentre i Piedi Neri avevano fucili Henry, Spencer e persino Winchester a ripetizione. La sanguinosa battaglia portò a un trattato di pace tra i due popoli, che i Cree, dopo la pesante batosta subita, trovarono conveniente rispettare, anche se il sangue sparso continuò per anni ad alimentare l’odio e a provocare tentativi isolati di rappresaglia. Il tragico evento è oggi ricordato come l’ultima grande battaglia intertribale combattuta nel Nord America, ed è questa l’unica notizia che può consolare tutti gli amici del popolo rosso che giustamente prescindono da contrapposizioni tribali, oggi per fortuna improponibili.


Anno 5 Numero 49
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I TRASFORMISTI

Nella tradizione letteraria del romanzo popolare molti sono gli eroi che assumono identità diverse grazie a funambolici travestimenti: il Conte di Montecristo, la Primula Rossa, Arsenio Lupin, Fantomas... la lista completa sarebbe lunghissima e dovrebbe includere cloni, mutanti e miracolati dalla chirurgia plastica, tutte varianti moderne, ma non nuove. Per esempio John Travolta e Nicholas Cage, nel film Face 0ff, si scambiano la faccia, replicando la grottesca vicenda di un personaggio seriale che risale al lontano 1913, cioè il forzato evaso Chéri-Bibi (creato da Gaston Leroux, l’autore del Fantasma dell'Opera) che, ricorrendo alle arti di un chirurgo per cambiare aspetto e sfuggire alle ricerche, si ritrova, appunto, con la faccia del suo nemico giurato. È però in teatro che il trasformismo nasce e si perfeziona. Il milanese Edoardo Ferravilla, che debuttò sulle scene intorno al 1870, diede vita nella sua carriera a una ricchissima galleria di personaggi di tutte le età e condizioni sociali servendosi di travestimenti, truccature, posticci e timbri vocali alterati che lo rendevano ogni volta irriconoscibile. Dopo di lui, il romano Leopoldo Fregoli portò l’arte del trasformismo ai massimi vertici, cambiando vorticosamente ruolo in scena e impersonando persino personaggi femminili. Sentite il suo programma, dalle sue stesse parole: "mutare in tutto, sdoppiarsi senza posa, moltiplicarsi incessantemente, essere pluriforme e proteiforme: tutto questo muovendo da una diretta osservazione della vita." Questa nuova specie di attori che spopolava non rendendo celebre il proprio volto, ma annullandolo in una miriade d’altri volti, non era un fenomeno soltanto italiano. In America il più famoso divenne, senza alcun dubbio, Lon Chaney (1883-1930) che si specializzò in personaggi devianti, marginali, spesso mostruosi, sottoponendosi a vere e proprie torture fisiche per far assumere al suo corpo forme mutilate o contorte. Chaney (che vedete in una locandina di un suo film) cominciò a esibirsi in palcoscenico a soli tre anni, al fianco di sua madre, in piccole pantomime. La sua carriera teatrale non fu molto fortunata e anche gli inizi di quella cinematografica furono assai duri. Accettando ruoli da comparsa per sopravvivere, Chaney apparì in più di trenta film in soli sei anni, interpretando duri del west, gangster, cinesi, pirati, fino a cogliere la grande occasione con il personaggio del gobbo Quasimodo nella trasposizione di Notre-Dame de Paris di Victor Hugo. Il mostruoso make up del povero campanaro, ideato dallo stesso Chaney, fu il primo exploit di una lunga serie di incredibili performance che gli valsero il soprannome di "L’uomo dai mille volti". Lo slogan che accompagnava i suoi film era: "Se incontrate uno scarafaggio. non schiacciatelo, potrebbe essere Lon Chaney!" La vera arte di un trasformista è quella di essere se stesso diventando tutti..


Anno 5 Numero 50
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IL CASO FETTERMAN

Nella storia che state per leggere, si accennerà a un famoso episodio storico noto come "Il Massacro di Fetterman" (Dicembre 1866). Si trattò, più esattamente, e oggi tutti gli storici concordano in questo giudizio, di un trionfo militare di Nuvola Rossa e Cavallo Pazzo e di una delle più ingloriose sconfitte dell’esercito statunitense prima del Little Big Horn, addebitabile alla leggerezza e alla presunzione del giovane capitano William Judd Fetterman, imbaldanzito (come Custer, ma senza possedere un grammo della sua intelligenza) dai successi militari riportati durante la Guerra Civile. Il combattimento avvenne nella zona del Powder River, già dominio dei Crow, ma conquistata proprio in quell’anno dai Teton Sioux. Quell’area era molto appetita anche dai bianchi, data la sua vicinanza ai territori auriferi del Montana. Dopo la Guerra Civile, le esauste casse del Governo avevano necessità d’oro e di vie di comunicazione sicure con i centri minerari. Il Colonnello Henry Bebee Carrington, uomo di scarsa esperienza bellica, ma eccellente amministratore e ingegnere, venne incaricato di costruire un nuovo Forte sul Powder River. I boscaioli che dovevano procurare il materiale indispensabile all’edificazione del Forte vennero fatti subito oggetto di attacchi da parte di bande Sioux. Carrington assegnò allora delle scorte militari ai carri del legname, ordinando però ai suoi uomini di non abboccare alle provocazioni indiane e soprattutto di non lanciarsi in rischiosi inseguimenti. Fetterman (nella foto qui in alto), dal canto suo, non stimava affatto gli indiani come combattenti e giudicava Carrington, il suo comandante, un totale incompetente. Così, alla prima occasione, violò gli ordini e andò all’attacco insieme al suo amico capitano Fred Brown, e alla guida di ottanta soldati (di cui quarantanove fanti). Il cosiddetto "massacro" fu il risultato di questa sconsiderata azione. Ma come morirono Fetterman e Brown? Qui le versioni sono contrastanti. Ufficialmente essi, vistisi circondati e perduti, si uccisero l’un l’altro, contando fino a tre e sparandosi alle tempie, come prescriveva il codice d’onore militare in questi casi: mai consegnarsi vivi agli indiani, oltretutto si sarebbe rischiata una fine assai più penosa! Però un rapporto del chirurgo Samuel H. Horton, che esaminò i corpi dei due ufficiali prima della sepoltura, rivelò all’apposita commissione che Fetterman aveva la gola tagliata da un coltello e nessun foro alla tempia. Più tardi Cavallo Americano (un cugino di Nuvola Rossa) confermò questa versione, rivendicando a sé l'uccisione di Fetterman. Una simile verità sollevava un dubbio imbarazzante: che Fetterman avesse precipitosamente sparato alla tempia di Brown, senza poi trovare il coraggio di suicidarsi? Dunque la commissione, per non rendere ancor più censurabile il comportamento di Fetterman, preferì ufficializzare una versione più "onorevole".