IL CONSENSO INFORMATO

Dott. Franco Balzaretti (balzaret@net4u.it)

Dott. Arturo Citino (citino@net4u.it)

L'argomento è certamente fra i meno semplici da affrontare nella pratica quotidiana del medico ed in modo particolarmente difficoltoso in un contesto chirurgico, ma è opportuno chiarire alcuni aspetti :

1. Chiarire, in forma adeguata allo stato ed alla cultura del paziente, quali scelte diagnostiche o terapeutiche si intendono perseguire e quali sono i rischi ed i benefici di tali scelte è un obbligo.

2. La classe medica non è abituata ad informare il paziente ed a ricevere il consenso su quanto si appresta a fare, dato che nell'informare il paziente dovrà anche esplicitare i limiti dell'arte medica.

3. Sicuramente un errore da correggere nell'opinione pubblica è la convinzione dell'onnipotenza dell'operato del medico.

4. La mancanza di conoscenza dei limiti della medicina e dei rischi connessi con alcuni atti diagnostici o terapeutici ha portato alla meraviglia in caso di insuccessi ed all'aumento di denunce con richieste di danni da parte di pazienti nella convinzione comune che l'insuccesso sia legato sempre ad una colpa.

A questo punto è utile soffermarci quindi su alcuni aspetti del problema:

1. Il consenso è valido solo dopo che il medico (e solo lui) abbia spiegato in forma comprensibile al paziente:

· i vantaggi che l'atto medico procurerà al paziente

· il tipo di tecnica che intende usare

· le eventuali complicanze e gli atti medici che ne deriverebbero

· le possibilità di insuccesso

2. Il consenso dei parenti in Italia non è ammesso nè dalla Legge nè dalla Deontologia; è consentito solo per i minori o per chi è sottoposto a tutela

3. Il 'living will' o testamento biologico non è ammesso in Italia in quanto il consenso informato deve essere attuale

4. Lo stato di necessità non è un passe-partout ma va invocato solo in caso non sia possibile ottenere un consenso informato valido dal paziente (mancanza di possibilità di comprendere, tempi non sufficienti, ecc.)

5. Il consenso in forma scritta non ha valore senza un precedente colloquio informativo e non libera il medico da responsabilità. Non esiste obbligo per il consenso scritto tranne che per la trasfusione di sangue (Decreto 15.1.91)

6. Il dissenso che un paziente esprime, dopo una adeguata informazione, obbliga il medico ad astenersi dall'atto medico proposto

7. Il consenso deve essere esplicito, personale, specifico e consapevole


1. P. CATTORINI : UNA VERITÀ IN DIALOGO

2. COMITATO NAZIONALE DI BIOETICA : INFORMAZIONE E CONSENSO ALL’ATTO MEDICO

3. SANTOSUOSSO : IL CONSENSO INFORMATO

4. E. SGRECCIA : MANUALE DI BIOETICA


Il Comitato di Bioetica dell’ASR USL 11 di Vercelli riunitosi il 14 Maggio 1997 ha esaminato e discusso, su proposta del prof. Francesco Carcò (Presidente dell’Ordine dei Medici di Vercelli) e del dr Artemio Brusa (Presidente del Comitato di Bioetica e Direttore Sanitario dell’ ASR USL 11 di Vercelli), la problematica riguardante la validità del consenso ed effettiva capacità di intendere e di volere.

Validità del consenso informato ed effettiva capacità di intendere e volere

Il problema centrale è la sussistenza o meno della capacità di intendere e volere e di conseguenza come stabilire tale capacità. Sempre più spesso si verifica infatti la necessità di chiarire quale sia la capacità di comprendere di un paziente e la sua possibilità di esprimere un valido consenso, e va quindi anche deciso chi sia deputato a tale giudizio. Un valido consenso può essere espresso da parte di un individuo se si ritiene che costui abbia ben compreso quanto il Medico intende mettere in atto ed abbia la possibilità di esprimere un suo parere razionale in qualunque forma, anche dissentendo se necessario. La condizione di individuo in grado di intendere e di volere non appare essere un indirizzo diagnostico ma tutt’al più una formula di tipo giuridico. E tuttavia comprendere se un paziente sia o meno in grado di intendere e di volere è da ritenersi capacità insita in ogni medico abilitato all’esercizio della professione. L’ambiente ospedaliero offre comunque la possibilità di supporti specialistici alla diagnosi medesima che deve avvalorare dati di fatto (criterio di verità) e deve monitorare la permanenza dei sintomi ovvero escludere la occasionalità dei medesimi (criterio di certezza). Quindi il medico ospedaliero che mira a conoscere - attraverso i sintomi - il proprio paziente, per corroborare le proprie convinzioni, può ricorrere alle conclusioni dello specialista, soprattutto in quei casi in cui le interpretazioni non risultino univoche. Non sembra tuttavia opportuno ci si debba avvalere di una obbligatoria consulenza da parte dei Medici specialisti in Psichiatria in tutti i casi di dubbio sulle possibilità di comprensione del consenso da esprimere da parte del paziente. Tale consulenza, come qualsiasi altro tipo di consulenza, è da utilizzare allorquando il Medico abbia necessità di ottenere chiarimenti o di dirimere dubbi su patologie non di propria competenza (psichiatriche o di altre branche). Non sembra che la condizione di individuo non in grado di intendere e di volere sia da ritenersi, come già detto, una diagnosi esclusivamente psichiatrica. Il Comitato di Bioetica dell’A.R. USL 11 ritiene che il Medico che abbia necessità di ottenere un valido consenso dal paziente possa Egli stesso giudicare quanto una espressione di consenso sia valida e che, al pari di consulenze di altre branche della Medicina, debba essere richiesta una consulenza ai Medici specialisti in Psichiatria solo allorquando ci siano ragionevoli dubbi di trovarsi davanti ad una patologia psichiatrica, della quale, mancando dell’opportuna esperienza, il Medico voglia ottenere maggiori informazioni ed indirizzi terapeutici. Nel caso di paziente non in grado di esprimere un valido consenso il Comitato di Bioetica ritiene opportuna l’informazione ai parenti prossimi, lasciando comunque al Medico la decisione che in quel momento ritiene più opportuna, non potendo i familiari esprimere un consenso giuridicamente valido. Sussiste anche il problema delle dimissioni volontarie di persone incapaci di intendere e volere che riguarda in molti casi pazienti terminali, i cui parenti vorrebbero che il trapasso avvenisse tra le mura domestiche, oppure di pazienti che vorrebbero essere curati presso altre strutture sanitarie. Anche in questi casi è opportuno fare riferimento alle considerazioni di cui sopra. Il Comitato di Bioetica ha ritenuto unanimemente essenziale l’apporto del Medico di famiglia per avere una conoscenza più documentata e precisa delle condizioni fisiche, psicologiche e relazionali dei pazienti, oltre che del contesto ambientale in cui si svolge la storia della malattia.

Vercelli, 18 Giugno 1997

Il Comitato di Bioetica U.S.L. 11