COLLEZIONE DI FRANCOBOLLI

di Tito Livio

Caduta ormai l'illusione di una guerra-lampo che, al simbolico prezzo di un "migliaio di morti", ci restituisse alcune terre diventate francesi, nel 1942 le cose cominciavano a mettersi male per il Regime Fascista e per l'Italia, sino a sfociare poi nella tragedia del 43/45, di cui ancora oggi patiamo le conseguenze.

Difronte al prolungarsi degli eventi bellici ed al loro evolversi in senso negativo, il morale della popolazione italiana iniziava a vacillare, dell'entusiasmo di solo due anni prima sparivano le tracce a ritmo crescente.
In quelle condizioni, il Regime si rendeva conto della progressiva perdita di credibilità presso la popolazione e del serpeggiare di malumori e dissensi in seno al regime stesso.

Fu così che nell'agosto del '42 il Regime pensò di emettere una serie di francobolli per la posta ordinaria ove, a fianco dell'effigie del Re, si trovavano immagini di aerei, navi e cannoni con motti volitivi del tipo "Tutto e tutti per la Vittoria", o "La Vittoria sarà del Tripartito", o ancora "La disciplina è arma di Vittoria", e così via.

Lo scopo di quella emissione (indicata nei cataloghi come "Propaganda di Guerra"), oltre che far contenti i collezionisti futuri, era ovviamente di martellare la popolazione con ogni possibile forma di propaganda, mezzo normalmente adottato da tutti i regimi quando avvertono scricchiolii alle fondamenta.

Dobbiamo ringraziare la lentezza del progresso scientifico per non aver ancora inventato la TV in quegli anni, altrimenti il regime ne avrebbe approfittato per martellare gli Italiani con ben altra efficienza, rendendo superflua l'emissione di quei francobolli e privandoci quindi dell'odierno piacere di collezionarli.

Ma ancor più dobbiamo ringraziare Marconi & soci di non essere nati qualche decennio prima, in quanto una capillare diffusione della radio e della TV in ogni casa avrebbe consentito al Regime, nei suoi primi dieci anni, di raggiungere con facilità tutti i cittadini, semplicemente vaneggiando davanti ad un microfono o una telecamera, magari a reti unificate.

Non disponendo appunto di questi mezzi di comunicazione di massa, nel suo primo decennio il Regime Fascista fu costretto a cercare mezzi più complicati, quali l'iscrizione di motti maschi e gagliardi sulle facciate degli edifici pubblici ed opere pubbliche in genere, del tipo "Meglio un giorno da leone..." e così via.

Per poter far questo, il Regime pensò bene di costruire rapidamente stazioni ferroviarie, edifici scolastici per l'Opera Naz. Maternità e Infanzia, stadi per i suoi Balilla, strade e autostrade (che allora si chiavano autocamionabili) con ponti e trafori, acquedotti, piazze, palazzi pubblici e simili, che in quattro e quattr'otto cambiarono, modernizzandolo, il volto dell'Italia.

E noi posteri dovremmo ringraziare la solidità di quelle costruzioni, visto che ben poco è stato fatto nel seguito per rinnovarle o rimpiazzarle.

Chi, invece, di Marconi ha ben potuto approfittare, è stato l'Ulivo dei giorni nostri che, appena ha sentito ronzare nell'aria il pericolo della mosca olearia, non ha mancato di utilizzare a man bassa i potenti mezzi per cospargersi di DDT, nell'illusione magari che questo ne rinforzi forse rami e radici.

Così, il martellamento radiotelevisivo di regime che si erano risparmiati nel '42, gli Italiani se lo sono beccato nel '97 al grido, per la verità poco maschio e gagliardo di "Non dobbiamo impaurire i Mercati", o "Non dobbiamo dare un'immagine di instabilità agli esaminatori europei", o ancora "Non si può interrompere l'opera risanatrice di un Governo così efficiente".
Naturalmente in barba a qualsiasi vaneggiamento parcondicionistico a reti unificate.

Peccato. A meno che gli Ulivicultori, dopo aver saccheggiato tutto il suolo disponibile, non si accorgano di aver tralasciato questo piccolo settore, i futuri collezionisti di francobolli non potranno godere un giorno guardando la faccia di Prodi da 850 lire che ammonisce: "Tutto e tutti per l'Ulivo"!
Né potranno estasiarsi certi cosiddetti liberi giornalisti nel continuare a leccarne il didietro (del francobollo, ben inteso).

Ancor più peccato per l'Italia che continuerà a funzionare (si fà per dire) con le vetuste strutture pubbliche del ventennio, visto che dell'era dell'Ulivo non si riuscirà a trovare nemmeno una variante di valico, anche a cercarla col lanternino. Il guaio è che non si riesce a trovare nemmeno un container, pardon, modulo abitativo per i terremotati...
Paradossalmente, quelle che erano allora testimonianze di vitalità, sono ora e rischiano di essere in futuro testimonianze di decadenza.

E con l'augurio che gli scricchiolii alle radici dell'Ulivo non siano preludio ad eventi più tragici, come avvenne nel '42, anche se i segni che provengono da separatisti, mafiosi, clandestini, disoccupati, imprese, magistrati, stampa, ecc., non lasciano presagire nulla di buono.

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