Di fronte alle recenti timide aperture del Procuratore Generale dello Stato sulla drogha, si ripete lo scenario abituale. Gli unici ammessi a parlare sono i politici di professione ed i burocrati di Stato che, infischiandosene altamente degli aspetti "tecnici" del problema, si arrogano il diritto di sentenziare, in base a pure argomentazioni ideologiche o tattiche.
Abbiamo detto "ammessi a parlare" e non "ammessi a discutere", perché una discussione argomentata su un problema di eccezionale gravità come questo non è, in realtà, consentito.
L'andazzo non è solo italiano, ma riguarda tutti i Paesi occidentali, ad eccezione dell'Olanda. Vediamo il perché.
Il mondo della droga sfugge al controllo dello Stato, la droga viene sempre "da fuori", da mitiche regioni fuori dal mondo "civile", viene sempre introdotta da stranieri, da immigrati clandestini che lo Stato non riesce ad inquadrare nei suoi schemi, da un corpo estraneo insomma. Esso crea inoltre uno strato sociale di emarginati che vanno fatalmente a porsi fuori dagli schemi costituiti, non apporta contributi alle casse statali ma anzi, costituisce un onere notevole.
Il risultato è che la discussione non serve, la droga è un antistato e, come tale, va combatuta: "Lo Stato non può rinunciare alla lotta alla droga", ha sentenziato appunto un responsabile del PPI !
Ecco quindi che un'analisi oggetiva del "problema droga" non deve neppure iniziare, la logica di Stato impone immediatamente i ruoli da impersonare nella grande farsa della guerra santa.
Così i comunisti di ogni ordine e grado sono contro l'idea di liberalizzazione: conformemente alla loro formazione totalitaria, tutto ciò che sfugge al controllo verticistico della società deve essere combattuto anzi, non deve esistere.
Per la destra, certamente più sensibile ai valori di libertà dell'individuo, la liberalizzazione urta contro quel concetto di moralità e di probità cui essa tradizionalmente si ispira, ed il concetto stesso di antiproibizionismo evoca immagini di anarchia e "ribellione" all'autorità costituita, che mal si adattano al centralismo tipico della destra: "Iniziativa sciagurata" tuona infatti Gasparri!
Per i cattolici, la droga è assunta a simbolo del male nel mondo, del degrado della società materialista ormai priva di valori, e quindi va combattuta. E' pertanto comprensibile come in Italia, chi tenti di parlare un linguaggio differente, come i radicali alla Pannella, vengano additati come provocatori, pericolosi attentatori all'integrità morale del Paese, ostracizzati da destra e da sinistra e ridotti al silenzio forzato (inaccessibilità ai mezzi di informazione).
Ma l'aspetto più fastidioso della vicenda è che lo sviluppo di una seria discussione sull'argomento viene impedito soprattutto da quella casta interdisciplinare di burocrati e funzionari, educatori, animatori di comunità, che traggono dalla droga, o meglio, dalla guerra alla droga, la loro unica ragion d'essere ed i mezzi economici relativi.
La guerra di polizia ai trafficanti di droga è perduta in partenza, sia perché è ridicolo pensare ad un controllo di tutti i movimenti di uomini e mezzi che il commercio e le comunicazioni odierne producono, sia per la progressiva eliminazione di vere frontiere tra gli stati, sia perché l'enorme margine di guadagno in tale traffico (mai visto nella storia dell'umanità), lo rende insensibile a qualsiasi rischio, fosse anche la pena di morte.
I "sensazionali" sequestri di stupefacenti che ogni tanto le varie polizie sbandierano, oltre a verificarsi generalmente solo in presenza di occasionali soffiate, in realtà sono solo una goccia nel mare del traffico e del consumo quotidiano. Il traffico continua e si espande a vele spiegate, senza che il numero di consumatori diminuisca di una sola unità.
Viceversa, i costi di questa guerra in termini di risorse sottratte ad altre attività più produttive sono spaventosi.
In presenza di una guerra che si perde giorno dopo giorno, sembrerebbe dunque logico interrogarsi con obiettività sulla validità delle
strategie adottate.
Invece no. Le battaglie perdute, sono sempre immancabilmente perdute per insufficienza dei mezzi,
e questi diventano l'argomento chiave con cui i funzionari di polizia di tutto il mondo chiedono il continuo ampliamento di mezzi e di poteri.
Per combattere questa guerra santa naturalmente, in nome dei sacri principi della moralità e del bene comune.
Analogamente, tutto il variopinto mondo dei sociologhi, educatori, preti, che ruota intorno alla lotta alla droga ed al recupero dei tossicodipendenti, hanno tutto l'interesse a che questo stato di guerra permanente si prolunghi all'infinito, naturalmente in nome dei sacri principi della moralità e del bene comune.
Contro interessi "politici" così forti ed unanimi, è dunque possibile sperare in un dibattito serio, tecnico, medico-scientifico, argomentato insomma, sulla droga? Certamente no.
Come gestita attualmente, la guerra alla droga non sembra certo fatta per alleviare le pene di chi ne è rimasto vittima, anzi, sono probabilmente più devastanti gli effetti della guerra alla droga che non la droga stessa, in termini di violenza, situazione delle carceri, emarginazione, overdosi ecc., ma piuttosto per soddisfare le esigenze ideologiche degli Stati e gli interessi degli Stati stessi e dei loro apparati.
Non sarà stata certo la preoccupazione per la salute dei suoi sudditi a far sì che Luigi XIII proibisse nel 1620 il pubblico consumo del tabacco, quanto piuttosto il fatto che il suo commercio sfuggisse al suo fisco.
E che sia stato un improvviso sussulto di rimorso a spingere l'imperatore di Cina a interdire il secolare consumo di oppio, proprio nel momento in cui il relativo commercio passò sotto il controllo degli Inglesi?
Ancora, sarà casuale che gli Stati Uniti si siano accorti dei pericoli dell'oppio e della marjuana, vietandone il commercio, solo quando questo passò nelle mani degli immigrati cinesi e messicani rispettivamente?
Curiosamente, per tabacco ed alcool, che provocano ogni anno una quantità di vittime che non ha paragoni con la droga, gli
Stati non si mobilitano per analoghe guerre sante, forse perché gli introiti fiscali legati al loro commercio legale costituiscono una
delle voci più importanti dei loro bilanci.
Ma la morale è salva, basta scrivere sui pacchetti "il fumo nuoce gravemente alla salute",
perché l'individuo, in piena libertà ed autonomia, possa decidere se fumare o no!
Dicevamo dell'Olanda, croce delle EuroPolizie e delizia degli Eurotossicodipendenti. La libertà di acquistare a poco prezzo (5 mila lire la pastiglia di ecstasi che in Italia si vende a 70mila) droghe leggere, più o meno come le sigarette, ha fatto sì in effetti che circa l'80% dei giovani in età scolastica (fino a 18 anni) abbia almeno una volta provato uno stupefacente, magari una semplice tirata ad uno spinello (inchiesta effettuata nel 1996 presso tutte le scuole olandesi).
Cosa spaventosa, a prima vista, ma che acquista un valore emblematico se si considera che di questi giovani, solo una frazione trascurabile diventa tossicodipendente, non trovandovi i più un interesse particolare, magari rispetto al tabacco, e non essendo sollecitati a continuare da spacciatori a caccia di clienti. A questo contribuisce anche una politica di informazione oggettiva, non ideologizzata, presso le scuole, con la partecipazione di medici, psicologi e poliziotti, che rende i giovani consapevoli del fenomeno droga, senza drammi e senza inutili tabù.
Se poi si aggiunge la distribuzione gratuita da parte delle autorità di prodotti e siringhe agli "irrecuperabili", tramite campers attrezzati, otteniamo il risultato di non vedere siringhe per strada, né spacciatori davanti alle scuole, né morti per overdose sulle panchine dei parchi.
Con questo non vogliamo tirare conclusioni, né prospettare soluzioni definitive e miracolose, il problema è troppo grosso e complicato per essere liquidato con poche e sbrigative certezze. Vorremmo solo che le persone di buon senso, di qualunque parte politica, quindi anche di destra, invece di liquidare il problema con un "no" puramente ideologico o di schieramento, si aprissero alla discussione, rendendosi disponibili al dubbio ed alla considerazione delle opinioni diverse.