Assumendo l'interim del Ministero degli Esteri, Berlusconi ha voluto impegnarsi in prima persona su due fronti, quello della politica estera italiana, e quello della ristrutturazione della Farnesina, quest'ultima intesa come revisione delle strutture interne e come dinamicizzazione dell'attività diplomatica.
L'obiettivo della riforma è quello di fare delle Rappresentanze Diplomatiche italiane all'estero, degli strumenti di promozione e penetrazione commerciale, e di difesa dei nostri interessi.
Obiettivo sacrosanto, non solo e non tanto perché il ruolo tradizionale degli Ambasciatori è stato ormai soppiantato dalle relazioni dirette tra Capi di Stato e di Governo, ma soprattutto perché le decisioni in campo economico e industriale all'interno dell'Unione Europea vengono influenzate, o addirittura determinate, da spinte lobbistiche, in base al peso relativo dei vari sistemi di influenza (lobby).
A livello UE, i sistemi di influenza più dinamici sembrano essere quelli francese e britannico, ma ne esistono tanti altri, ben agguerriti nelle battaglie in difesa dei propri interessi nazionali o di settore, e ben preparati nelle battaglie di conquista di nuovi spazi.
Il sistema di influenza di un Paese dovrebbe essere basato su un principio fondamentale: nella difesa degli interessi nazionali non c'è distinzione tra destra e sinistra, tra appartenenza ad un gruppo politico e appartenenza al gruppo antagonista, ogni cittadino è Ambasciatore del proprio Paese e collabora con ogni suo connazionale ogniqualvolta sono in gioco gli interessi nazionali.
La capacità di esercitare pressioni ed influenzare le decisioni da parte di un Paese, può diventare reale quando:
- all'interno di ogni Organismo Internazionnale, i funzionari di quel Paese vegliano sul funzionamento
dell'Organismo stesso, attenti a cogliere in tempo i segnali di cambiamenti, ristrutturazioni, nomine ai vertici,
decisioni strategiche, tutti quegli elementi cioé suscettibili di creare vantaggi per il Paese X rispetto al Paese Y (o viceversa) a seconda che essi siano diretti da personaggi del Paese X o del Paese Y;
- questi funzionari sono in grado di fornirre alle Autorità del proprio Paese gli elementi tecnici utili per
intervenire sulle scelte, prima che queste siano state già concordate da altri;
- le Autorità Diplomatiche di quel Paese uttilizzano davvero questi funzionari come propri "agenti
d'informazione" e sanno allertare le competenti strutture del proprio Governo;
- le competenti strutture del Governo hannoo la competenza e la voglia di dedicarsi ai problemi segnalati, predisponendo la costante presenza in tutti gli Organismi internazionali decisionali di propri delegati e plenipotenziari che abbiano competenza e credibilità, e che possano agire avendo alle spalle tutto il peso del proprio Governo.
Un sistema di influenza non può prescindere da questo principio fondamentale e da questi criteri attuativi. Questo è quello che avviene regolarmente in alcuni Paesi, Francia e Gran Bretagna in testa.
Questo è quello che non avviene, purtroppo, in Italia.
A cominciare dalla solidarietà nazionale di fronte allo straniero. Non è una novità, questa rivista ne ha parlato tante volte, ed è inutile ripetersi. Con pervicacia l'opposizione parlamentare italiana, e più in generale le minoranze antigovernative, cercano di utilizzare lo straniero per denigrare, isolare, indebolire, possibilmente distruggere il proprio Governo, assolutamente indifferenti al fatto che tutto il Paese ne subisce conseguenze disastrose, difficilmente recuperabili.
E' inutile farsi illusioni su un cambiamento di mentalità, visto che questo atteggiamento vanta in Italia tradizioni secolari, l'unica soluzione rimane quella di avvicendare senza indugio, laddove possibile, i rappresentanti italiani manifestamente "infedeli" alla Patria in seno agli Organismi Internazionali, senza scadere peraltro in una logica di pura occupazione di poltrone in funzione del colore della tessera.
Viceversa, molto si può fare e molto si deve cambiare per quanto concerne la creazione di un efficiente "Sistema Italia", con la partecipazione di tutti gli Italiani portati a rappresentare, di fatto o di diritto, l'Italia in campo internazionale.
Non ci riferiamo tanto alle strutture istituzionali in quanto tali, come l'ICE, l'ENIT e gli Istituti di Cultura, già oggetto dell'attenzione riformatrice del Governo, ci riferiamo piuttosto ai funzionari italiani e ai delegati ufficiali delle Istituzioni italiane in seno alle Organizzazioni e Istituzioni internazionali.
Troppo spesso i delegati italiani, specie se prossimi al pensionamento, ci hanno dato l'impressione di considerare il loro incarico puramente onorifico e remunerativo, giungendo ai tavoli di discussione svogliati e impreparati, ritenendo in particolare come una fastidiosa incombenza raccogliere utili informazioni tra i funzionari italiani coinvolti negli argomenti in discussione.
E' capitato così recentemente che un Plenipotenziario italiano in seno al Consiglio di Amministrazione di una Organizzazione internazionale ha accettato l'esclusione dell'Italia da una sorta di Consiglio di Amministrazione "ristretto", creato in seno al CdA vero e proprio con il pretesto che in questo era diventato difficile elaborare decisioni, dato l'elevato numero di Delegazioni nazionali ormai presenti!
Ed ancora più recentemente che ai funzionari italiani che cercavano di allertarlo su un argomento urgente di particolare interesse ed in cui l'Italia risultava assente, quello stesso Plenipotenziario rispondeva alterato " di lasciar perdere e di non intromettersi" perché "non voglio creare casini...!".
Altrettanto criticabile e frustrante è l'atteggiamento di certi deputati al Parlamento Europeo di Bruxelles (per l'esattenza di Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo, visto che deputati, segretarie, portaborse, archivi e suppellettili si spostano continuamente tra le tre sedi: situazione scandalosa e rivoltante -creata con opportuni sistemi di influenza per soddisfare l'orgoglio nazionale francese- che vorremmo tanto che l'Italia cominciasse a denunciare senza mezzi termini).
Atteggiamento criticabile dicevamo, quando, pur sapendo che gran parte delle leggi votate dal Parlamento Europeo sono frutto di lobbying, certi eurodeputati italiani sembrano rifiutare l'idea di partecipazione ad una lobby italiana, mostrando una certa riluttanza al contatto con le realtà italiane esistenti in loco, siano anche Delegazioni locali del proprio partito costituite da funzionari italiani!
Ancora più criticabile quando, in occasione di qualche raro momento di incontro, a dispetto della presenza fisica, non si preoccupano di nascondere uno smaccato disinteresse.
Delle due l'una. O l'eurodeputato è stato mandato in Europa perché il leader del suo partito intendeva sbarazzarsene, toglierselo di torno (senza volerlo distruggere completamente), ed allora egli reagisce con una sorta di resistenza passiva, sfruttando il meglio della situazione e fregandosene di tutto e di tutti. Oppure si tratta di una figura di basso profilo, mandata in Europa tanto per occupare un seggio dovuto, senza che alcuno in Italia si interessi alle sue attività.
In entrambi i casi, questa situazione è intollerabile e deve essere corretta.
Da un lato, i partiti devono smetterla di considerare le Istituzioni Internazionali come il "recycle bin" di politici in parabola discendente, pena la perdita di peso del "Sistema Italia". Dall'altro, il Governo italiano deve pretendere dai suoi rappresentanti un "ritorno", che dovrà costituire poi il metro di valutazione per stabilire le (ri)candidature alle successive elezioni o lo spostamento ad altri incarichi.
"Ritorno" che ovviamente non significa solo, ad esempio, l'elenco dei convegni cui l'eurodeputato ha partecipato nel chiuso del Parlamento, ma che significa anche e soprattutto la quantità e qualità del suo apporto alla costruzione di un "Sistema Italia" in Europa. Attività questa che passa necessariamente per la creazione di una rete di contatti e di consultazioni con le varie realtà italiane all'estero, e con la facilitazione di contatti tra gli esperti dei vari Ministeri italiani con gli esperti italiani dislocati nelle varie sedi internazionali.
Crediamo che la riforma della Farnesina potrà dare i suoi frutti solo se accompagnata da questa profonda riforma di mentalità dei rappresentanti italiani e da un'opera di rivalutazione e migliore sfruttamento del potenziale italiano già presente negli Organismi internazionali.
Ci auguriamo che le riforme in atto vadano in questa direzione, anche se non nascondiamo i nostri dubbi sulla volontà di capire e di adeguarsi da parte di chi è stato abituato negli anni a politiche di tutt'altro spessore.