APRILE.
Mario Chiesa è in carcere da meno di due mesi e questo Antonio Di
Pietro comincia a dare fastidio. Il Gico di Firenze comincia ad indagare
sull'Autoparco della mafia a Milano. Nel mirino c'è il IV distretto
di polizia, lo stesso in cui Di Pietro lavorò come commissario nel
1981.
AGOSTO.
Tre corsivi anonimi (cioè craxiani) sull'Avanti! gettano "dubbi
su alcuni aspetti non chiari di Mani Pulite" e su Di Pietro, "tutt'altro
che l'eroe di cui si parla". Craxi fa incetta di dossier contro il magistrato,
ma per ora si limita a sventolarli da lontano. Secondo Carlo Ripa di Meana,
è in quei giorni che il capo della polizia Vincenzo Parisi, i vertici
dei servizi segreti e del governo Amato decidono di fermare Mani Pulite.
Il 5 agosto Giuliano Amato destituisce dopo soli 11 mesi il capo del Sismi
generale Luigi Ramponi ("volevano avere mano libera", dirà l'ufficiale).
Il 26, uscendo dalla segreteria socialista, Rino Formica gongola: "Bettino
ha un poker d'assi, anzi una scala reale". Il complottificio è tornato
in azione come ai vecchi tempi.
SETTEMBRE.
Si muovono le barbefinte. Il verde milanese Basilio Rizzo denuncia a Brescia
che un ex ufficiale dei carabinieri sta girando l'Italia per raccogliere
notizie sulla vita privata di Di Pietro. Due amici di Tonino ricevono offerte
di denaro per raccontare che il pm fa uso di droga. L'invito viene da un
tal Pagnoni, intimo di Pillitteri e della gentil consorte Rosilde Craxi:
ma tutto verrà archiviato senza troppe indagini. Intanto Parisi
- racconterà poi Craxi - va a trovare Bettino per raccontargli della
Mercedes di Tonino e di un suo misterioso viaggio in Svizzera con l'avvocato
Giuseppe Lucibello. Poi gli mostra i tabulati Sip delle telefonate, raccolti
"del tutto casualmente da corpi di polizia". Il giorno 9, un misterioso
detective consegna ad un altrettanto misterioso committente un rapporto
di 5 pagine sulla vita privata di Di Pietro, scritto in lingua inglese.
"Roba da FBI", lo definirà l'ammiraglio Fulvio Martini, che è
del mestiere. Il dossier ricomparirà alla procura di Brescia tre
anni dopo, consegnato al pm Fabio Salamone dal giornalista craxiano Filippo
Facci, oggi intimo amico di Giuliano Ferrara. Secondo l'architetto Bruno
De Mico (quello delle "carceri d'oro") è in quei mesi che Salvatore
Ligresti incarica il detective italoamericano De Vita di indagare sulla
vita privata di Di Pietro. In quel mentre, secondo alcuni pentiti, Cosa
Nostra progetta di eliminare Di Pietro insieme a Falcone e Borsellino.
 |
|
|