La morale della favola
è affidata a Vittorio Feltri versione 1992-93
(prima dell'ingaggio
berlusconiano):
* "Caro Di
Pietro, è meglio che si riguardi. Le faranno la guerra con disonestà,
che è la loro arma migliore... Già hanno detto che lei è
manovrato di Tizio, Caio e Sempronio... che lei fa il gioco oscuro di oscuri
golpisti... che lei è un esaltato e agisce non per spirito di giustizia,
ma per farsi bello con le folle... Ora diranno che lei in fondo non
è uno stinco di santo e troveranno qualche calunniatore disposto
a buttare lì qualche pettegolezzo velenoso... Se riescono a smontare
lei, smontano anche l'inchiesta. La sua fortuna è di essere bravo
e libero: cioè invidiato". (Vittorio Feltri, L'INDIPENDENTE, 15
giugno 1992).
* "Che i giudici
mirassero non a moralizzare bensì a condizionare la politica è
una menzogna. Onorevole Craxi, cosa vuole che importi a Di Pietro delle
finalità politiche. I giudici lavorano tranquilli, in assoluta serenità:
sanno che i cittadini sono dalla loro parte. Come dalla loro parte siamo
stati noi, sempre" (Vittorio Feltri, L'INDIPENDENTE, 16 dicembre 1992).
* "Delegittimando
i pentiti, gli imputati dei processi di mafia si assicurano l'impunibilità...
Svalutare la deposizione di chi ha commesso un reato e si è ravveduto
significa smantellare interi castelli accusatori. Ecco perché i
socialisti sono tra quelli che urlano con maggior vigore contro i pentiti...
Nelle deposizioni dei pentiti (che non vanno scambiati per oracoli, ma
neppure respinti a priori, e sottoposti a meticolose verifiche) vi saranno
forzature e falsità, ma non solo quelle. E' impossibile che tutto
il castello accusatorio su Andreotti sia parto della fantasia (malata o
remunerata) dei picciotti passati dalla piovra alla Giustizia" (Vittoio
Feltri, L'INDIPENDENTE, 4 dicembre 1992 e 21 aprile 1993).
Sante parole!.