Alla c.a. del Caporedattore
         per la rubrica delle "Lettere"
 

 La situazione della sanità in Emilia-Romagna assumerà, soprattutto nei prossimi mesi, un rilievo preminente per la qualità della vita delle cittadine e dei cittadini della nostra regione.
   La riforma del Welfare, di cui tanto si parla in questi giorni, in Emilia-Romagna è già cominciata, a partire proprio dalla sanità, ed i suoi frutti concreti si chiamano PAL, letteralmente Piani Attuativi Locali. Nel corso dell’ultima seduta straordinaria del Consiglio regionale, svoltasi il 10 settembre, sono stati definitivamente approvati i primi Piani, dopo che nel luglio scorso l’ostruzionismo di Rifondazione Comunista aveva impedito di votarli frettolosamente senza adeguati approfondimenti, e senza la partecipazione dei cittadini, degli operatori e delle forze sociali. Lo stesso sindacato ha espresso posizioni molto critiche nei confronti delle politiche sanitarie della Giunta regionale.
 L’Emilia Romagna funge così da ‘apripista’, in questa come in altre questioni, assumendo la veste di laboratorio sperimentale per il futuro dello Stato Sociale. Le notizie, però, non sono affatto rassicuranti: per i cittadini emiliano romagnoli sono in arrivo tagli, riduzioni di servizi, chiusura di reparti ed ospedali, interventi e tagli sul personale (circa 1.200 in meno nei prossimi anni), mentre si allungano i tempi di attesa per le visite specialistiche e si annunciano nuove tasse per risanare il deficit sanitario (dal 1998 aumenterà il bollo auto ed il gas metano da riscaldamento). La cosiddetta razionalizzazione del servizio ospedaliero, in particolare, prevede il taglio di circa 2.500 posti letto sugli oltre 20.000 attuali, mentre regredisce la qualità della prevenzione ed esplode la situazione in ambito psichiatrico laddove, dopo la chiusura delle strutture manicomiali, si rischia di disperdere un grande patrimonio di operatori motivati e dotati di sapienza medica, che avevano reso questa regione un modello per altre realtà del Paese.
 Qual è, dunque, la direzione di marcia che la maggioranza di centrosinistra al governo della Regione intende perseguire per il futuro del sistema sanitario pubblico? Lo chiedo non solo per ragioni evidentemente politiche, ma anche perché occorre fare chiarezza su questo punto, affinché l’opinione pubblica, i cittadini, gli operatori, i sindacati e tutti gli attori dello scenario politico e sociale della nostra regione possano avere sufficienti elementi di giudizio per approvare o respingere gli obiettivi che si intendono raggiungere. Le dichiarazioni contrastanti di due autorevoli membri della Giunta regionale, quali l’Assessore alla Sanità Bissoni (PDS) ed il Presidente della Regione La Forgia, autorevole esponente nazionale dell’area ulivista del PDS, non aiutano a dare trasparenza e comprensibilità ad un confronto che tocca diritti costituzionalmente garantiti. Il primo, infatti, in più occasioni ha riaffermato il principio dell’‘universalismo delle prestazioni’ e la superiorità dei servizi sanitari pubblici, il secondo, invece, manifesta evidenti nostalgie per un sistema sanitario basato su mutue private, rifacendosi ad un modello superato nel 1978 dalla legge 833 ed immagina uno "stato sociale minimo" che copre solo da alcuni rischi sanitari lasciando al mercato tutto il resto.
 E’ prioritario che il PDS sciolga i dubbi sulle sue intenzioni ed accantoni paure ed esitazioni nell’affrontare con franchezza un confronto serio sui temi della sanità. Innovazione e rilancio della Sanità Pubblica o Stato Sociale minimo? Lo sviluppo di rapporti unitari fra il PDS ed il PRC in Regione Emilia-Romagna, che pure perseguiamo con decisione, dipenderà in larga parte dal tipo di orientamento che prevarrà.
  Bisogna, invece, ricostruire un nuovo patto con i cittadini, teso a garantire il mantenimento di un modello di sanità pubblica ed universalistica che, anche con modalità diverse di finanziamento, continui ad assicurare gli alti standard delle prestazioni che da sempre hanno contraddistinto la nostra Regione. Occorre, inoltre, intervenire innanzitutto rifinanziando la spesa sanitaria nazionale (una delle più basse d’Europa) e solo in seguito, se le Regioni potranno godere di una maggiore autonomia finanziaria, si potrà pensare anche a forme di compartecipazione dei cittadini secondo criteri di equità e progressività.
 Rifondazione Comunista si impegnerà affinché questa svolta si realizzi e l’Emilia-Romagna divenga laboratorio per politiche sanitarie innovative che arginino l’onda neoliberista che rischia di travolgere anche gli alti livelli di civiltà raggiunti in questa regione.
 In Emilia-Romagna vi è un grumo forte di saperi, esperienze e tradizione che rendono possibile questa sfida.
 
        Rocco Giacomino
       capogruppo PRC Emilia-Romagna

Bologna, 19 settembre 1997