Rifondazione Comunista in Emilia-Romagna

notiziario ufficiale del Gruppo PRC dell'Emilia-Romagna

numero di NOVEMBRE 1997


Rifondazione la sanita’e la riforma del welfare emiliano (Rocco Giacomino)
PRC e PDS dopo la crisi in Emilia-Romagna (Leonardo Masella)
Diario di bordo (Ugo Boghetta)
Sanità: basta tasse, basta tagli (Rocco Giacomino)
Sanità: l'ostruzionismo di Rifondazione blocca l'approvazione dei piani locali (Barbieri)
Campagna d'autunno del PRC in difesa della sanità pubblica (Bonforte - Testi)
Psichiatria: le scelte sbagliate della Regione (Cantoni)
Contro l'alta velocità (Adelmi)
Riforme istituzionali e forma dello stato (Giacomino)
Fisco: lotta all'evasione e più autonomia alle Regioni (Albertini)
La difesa del sistema scolastico pubblico (Graziosi)
Più ombre che luci nella nuova legge regionale sulle deleghe nel settore agricolo (Cantoni)
Modena, record di infortuni sul lavoro: il PRC occupa l'ispettorato (De Simone)
Maxi concorso regionale. quali sviluppi (Mungo)
Rientro dei Savoia in Italia, respinto un odg del PRC (Bariani)
Una nuova disciplina del canone di concessione per lo sfruttamento delle acque minerali (Mungo)
Lula incontra il PRC dell'Emilia-Romagna
Brevi (sintesi dei documenti del PRC presentati in Consiglio Regionale)
 

Rifondazione la sanita’e la riforma del welfare emiliano

di ROCCO GIACOMINO

Capogruppo PRC Emilia-Romagna
La situazione della sanità in Emilia-Romagna assumerà, soprattutto nei prossimi mesi, un rilievo preminente per la qualità della vita delle cittadine e dei cittadini della nostra regione. Il PRC ha promosso a livello regionale una campagna d’autunno in difesa della sanità pubblica contro tagli e rischi di privatizzazione. Infatti, la riforma del Welfare, di cui tanto si parla in queste settimane, in Emilia-Romagna è già cominciata, a partire proprio dalla sanità, ed i suoi frutti concreti si chiamano PAL, letteralmente Piani Attuativi Locali. Nel corso delle ultime sedute del Consiglio regionale, sono stati definitivamente approvati i primi Piani, dopo che nel luglio scorso l’ostruzionismo di Rifondazione Comunista aveva impedito di votarli frettolosamente senza adeguati approfondimenti, e senza la partecipazione dei cittadini, degli operatori e delle forze sociali. Lo stesso sindacato ha espresso posizioni molto critiche nei confronti delle politiche sanitarie della Giunta regionale.
L’Emilia Romagna funge così da ‘apripista’, in questa come in altre questioni, assumendo la veste di laboratorio sperimentale per il futuro dello Stato Sociale. Le notizie, però, non sono affatto rassicuranti: per i cittadini emiliano romagnoli sono in arrivo tagli, riduzioni di servizi, chiusura di reparti ed ospedali, interventi e tagli sul personale (circa 1.200 in meno nei prossimi anni), mentre si allungano i tempi di attesa per le visite specialistiche e si annunciano nuove tasse per risanare il deficit sanitario (dal 1° gennaio 1998 aumenterà del 10% il bollo auto e di 30 lire al metro cubo il gas metano da riscaldamento), una stangatina che costerà 100 mila lire ad ogni famiglia emiliana. La cosiddetta razionalizzazione del servizio ospedaliero, in particolare, prevede il taglio di circa 2.500 posti letto sugli oltre 20.000 attuali, mentre regredisce la qualità della prevenzione ed esplode la situazione in ambito psichiatrico laddove, dopo la chiusura delle strutture manicomiali, si rischia di disperdere un grande patrimonio di operatori motivati e dotati di sapienza medica, che avevano reso questa regione un modello per altre realtà del Paese. E, nonostante questa cura dimagrante, Confindustria chiede spudoratamente un ulteriore taglio del 10% (circa 800 miliardi) della spesa sanitaria regionale che nel corso dell’ultimo quinquennio si è già ridotta significativamente.
Qual è, dunque, la direzione di marcia che la maggioranza di centrosinistra al governo della Regione intende perseguire per il futuro del sistema sanitario pubblico? Lo chiedo non solo per ragioni evidentemente politiche, ma anche perché occorre fare chiarezza su questo punto, affinché l’opinione pubblica, i cittadini, gli operatori, i sindacati e tutti gli attori dello scenario politico e sociale della nostra regione possano avere sufficienti elementi di giudizio per approvare o respingere gli obiettivi che si intendono raggiungere. Le dichiarazioni contrastanti di due membri della Giunta regionale, quali l’Assessore alla Sanità Bissoni (PDS) ed il Presidente della Regione La Forgia, autorevole esponente nazionale dell’area ulivista del PDS, non aiutano a dare trasparenza e comprensibilità ad un confronto che tocca diritti costituzionalmente garantiti. Il primo, infatti, in più occasioni ha riaffermato il principio dell’universalismo delle prestazioni’ e la superiorità dei servizi sanitari pubblici, il secondo, invece, manifesta evidenti nostalgie per un sistema sanitario basato su mutue private, rifacendosi ad un modello superato nel 1978 dalla legge 833 ed immagina uno "stato sociale minimo" che copre solo da alcuni rischi sanitari lasciando al mercato tutto il resto.
E’ prioritario che il PDS sciolga i dubbi sulle sue intenzioni ed accantoni paure ed esitazioni nell’affrontare con franchezza un confronto serio sui temi della sanità. Innovazione e rilancio della Sanità Pubblica o Stato Sociale minimo? Lo sviluppo di rapporti unitari fra il PDS ed il PRC in Regione Emilia-Romagna, che pure perseguiamo con decisione, dipenderà in larga parte dal tipo di orientamento che prevarrà.
Bisogna ricostruire un "Nuovo Patto" con i cittadini, teso a garantire il mantenimento di un modello di sanità pubblica ed universalistica che, anche con modalità diverse di finanziamento, continui ad assicurare gli alti standard delle prestazioni che da sempre hanno contraddistinto la nostra Regione. Occorre, inoltre, intervenire innanzitutto rifinanziando la spesa sanitaria nazionale (una delle più basse d’Europa) e solo in seguito, se le Regioni potranno godere di una maggiore autonomia finanziaria, si potrà pensare anche a forme di compartecipazione dei cittadini alla spesa, ma secondo criteri di equità e progressività.
Rifondazione Comunista si impegnerà affinché questa svolta si realizzi e l’Emilia-Romagna divenga laboratorio per politiche sanitarie innovative che arginino l’onda neoliberista che rischia di travolgere anche gli alti livelli di civiltà raggiunti in questa regione.
Questo è il nostro difficilissimo compito, e la stessa costruzione di un partito di massa, dipenderà in larga parte dalla nostra capacità di favorire una svolta che imprima al centrosinistra emiliano un segno autenticamente riformatore. Non sarà facile, ma con decisione si deve tentare di costruire, anche in Regione, rapporti unitari con le forze del centrosinistra, per far pesare le nostre proposte e le nostre idee, per invertire le tendenze in atto e rilanciare lo stato sociale in Emilia-Romagna. Nella nostra regione vi è ancora un grumo forte di saperi, esperienze, tradizione e coesione sociale che rendono possibile questa sfida: dalla speranza alla prospettiva concreta di maggior benessere e di una migliore qualità della vita per i ceti popolari. Dunque, senza timori, sfidiamo anche noi stessi; solo perseguendo questa linea con radicalità ed unità, eviteremo i rischi di omologazione o testimonianza.
 

PRC E PDS DOPO LA CRISI IN EMILIA-ROMAGNA

LA CRISI VISTA DA BOLOGNA

di LEONARDO MASELLA

Segretario regionale PRC Emilia-Romagna
Lo scontro fra Rifondazione Comunista e il governo sulla legge finanziaria si è per il momento concluso con un accordo, soddisfacente.
La salvaguardia dell’80% delle pensioni d’anzianità, lo spostamento di 500 miliardi dai tagli alla spesa sociale all’evasione fiscale, l’eliminazione di odiosi ticket sanitari e soprattutto il risultato storico delle 35 ore per legge dal 1° gennaio del 2001, sono i punti più significativi di un accordo che si è potuto raggiungere purtroppo solo passando da una rapida ma pesante crisi di governo. Le reazioni della Confindustria e dei leaders dei sindacati confederali, che il giorno prima dell’accordo applaudivano la finanziaria e il governo e il giorno dopo hanno scatenato l’attacco al governo e all’accordo con Rifondazione Comunista, sono la dimostrazione più evidente del successo della nostra iniziativa.
Ma ancora più illuminante del nostro successo è la reazione del PDS e del suo segretario nazionale, il quale appena concluso l’accordo non ha potuto trattenersi dal tornare a polemizzare con Rifondazione Comunista. Come mai questo nuovo attacco? Bisogna tornare un po’ indietro. L’obbiettivo tutto politico di D’Alema prima della crisi di governo era il seguente. Fare stipulare un accordo fra Governo, Confindustria e Sindacati sullo stato sociale (con contenuti peggiorativi per i lavoratori) per costringere Rifondazione Comunista o ad umiliarsi accettandolo o a isolarsi facendo cadere il governo Prodi. I contenuti non c’entravano niente, la finanziaria è stato un pretesto per il PDS. L’obiettivo era tutto politico, era ed è l’assillo, il chiodo fisso che ha Massimo D’Alema: cancellare Rifondazione Comunista. O ridurla ad una appendice subalterna al PDS e poi incorporarla nella Cosa-2 o Cosa-3 (come ha fatto con i cosiddetti comunisti unitari) oppure ridurla ad una forza testimoniale e minoritaria.
Rifondazione Comunista è ancora una volta riuscita a sfuggire a questa tenaglia. E Massimo D’Alema non ne può più e ritorna immediatamente alla carica, giungendo questa volta esplicitamente a negare la possibilità stessa di esistenza nel futuro di due partiti di sinistra, il PDS e il PRC, e quindi a rivelare qual è il suo vero obiettivo: cancellare Rifondazione Comunista come partito autonomo a sinistra del PDS.
Dopo questo ennesimo attacco al nostro partito ci rivolgiamo con molta pazienza al PDS dell’Emilia-Romagna, con cui pure prima dell’aggressione dei giorni della crisi di governo avevamo costruito rapporti positivi di collaborazione unitaria e improntati al rispetto reciproco. Rifondazione Comunista dell’Emilia-Romagna non ha intenzione di proseguire nei rapporti col PDS in questo modo. Noi siamo disponibili, anzi proponiamo accordi elettorali, iniziative unitarie, la massima unità d’azione delle sinistre, ma a partire dal riconoscimento e dal rispetto reciproco. Le affermazioni di D’Alema sono come se noi dicessimo che in Italia c’è solo una sinistra, la nostra, e che il PDS è destinato o a diventare un partito di centro oppure a fare assieme a Rifondazione Comunista un partito comunista più grande. Ovviamente una tesi del genere sarebbe offensiva per la dignità del PDS con cui si vuole costruire un rapporto unitario. Vogliamo anche far notare che queste minacce periodicamente rivolte nei nostri confronti non solo provocano un clima di diffidenza e di settarismo controproducente ai fini dell’unità delle sinistre e degli interessi dei lavoratori, ma sono destinate al fallimento come è già avvenuto in recenti precedenti tentativi (la Bolognina, 6 anni fa; la vicenda della fiducia al governo Dini, 2 anni fa; l’operazione della finanziaria ‘98, dei giorni scorsi).
Peraltro la tesi da cui parte D’Alema, e cioè che in tutto il mondo, dopo la fine dell’Unione Sovietica, non esisterebbero più partiti e forze comuniste e antagoniste al capitalismo, non ha nessun fondamento.
Pertanto invitiamo i dirigenti del PDS a rassegnarsi all’esistenza (consistente) e all’iniziativa autonoma del Partito della Rifondazione Comunista, che esce fra l’altro rafforzato dal confronto dei giorni scorsi con il governo Prodi. Questo è l’unico modo per riprendere, dopo le polemiche dei giorni scorsi, rapporti unitari a sinistra e un confronto nel merito e sui contenuti di una politica progressista a Roma e in Emilia-Romagna.
 

DIARIO DI BORDO

LA CRISI VISTA DA ROMA

di UGO BOGHETTA

Deputato PRC
La crisi vista dai Palazzi di Roma è in parte diversa da come è stata letta e vissuta dal normale cittadino. Infatti già dall’inizio di settembre si cominciava a percepire che la crisi vera e lo scontro sarebbe stato duro. Fuori, anche in Rifondazione, ci si è accorti di ciò solo nella fatidica settimana di crisi.
In quei giorni però la crisi nei palazzi era già fatta. Ha pesato infatti il palese cambio di atteggiamento di Prodi che da mediatore con il PRC era passato con D’Alema nel tentativo di svincolarsi dal condizionamento dei comunisti. Da settimane i parlamentari del PDS andavano ostinatamente minacciando il ricorso alle elezioni calcolando l’impatto elettorale di Di Pietro nella possibile sostituzione dei voti di Rifondazione Comunista. A questa supponenza facevano però riscontro le perplessità dei parlamentari ulivisti del nord, i quali vedevano già tutti i loro collegi vinti dai leghisti. Infatti i leghisti erano gli unici a tifare per D’Alema e le elezioni anticipate. Motivo comune, e solo apparentemente contraddittorio, era invece il pressing per la nostra entrata al governo: annacquati. Ciò giustificava ai loro occhi lo scontro con il PRC. Qui sta invece il senso comune con cui da tanti è stata vissuta la crisi: il politicismo. Nemmeno i parlamentari si accorgono che le divergenze fra Ulivo e PRC sono pesanti ed hanno carattere strategico tali per cui è impossibile allo stato attuale un accordo programmatico. Sapevano però che da mesi il governo operava in assoluta autosufficienza, senza o contro Rifondazione. La presentazione della Finanziaria dell’arroganza era il suggello di una politica che veniva da lontano.
Per questi motivi l’apertura della crisi fra i parlamentari non aveva la virulenza, ad esempio, dei tempi di Dini, né quella che invece si è manifestata a livello di base. In entrambi i casi però prevale l’incomprensione di un modo di far politica di Rifondazione che rompe gli schemi consueti della sinistra: coerenza fra il dire ed il fare, basta con i sacrifici, fine dei due tempi, no al suicida senso della responsabilità nazionale che riguarda sempre e solo le classi popolari. A tutti costoro sfugge, e c’è un’incapacità vera a comprendere, che il continuo scontro dentro la maggioranza, l’impossibilità attuale per il PRC di entrare al governo dipendono dalla rapida involuzione verso posizioni centriste sia sul piano politico e ideologico (pensiero unico). C’è ancora una lettura vecchia dell’evoluzione della sinistra. Si pensa ancora (qualcuno anche dentro Rifondazione) che il PDS evolva verso posizioni laburiste; ma il laburismo oggi non è nemmeno una foglia di fico (vedi Blair) di una versione moderata del liberismo. Lo vediamo nelle privatizzazioni spinte, nel modo in cui si affronta i problemi del mondo del lavoro e dello stato sociale, nonché riguardo alla democrazia (bicamerale).
Tutte le anime belle si stupiscono che il PRC ponga con tanta forza la politica al primo posto contro un modo di governare, che senza di noi, sarebbe assoggettato alle esigenze dei mercati finanziari. Non si accorgono che ciò che è vecchio è la politica che diventa amministrazione dell’esistente. Non si ricordano che contro questa politica nasce la sinistra. In realtà dunque è la mancanza di una sinistra moderata all’interno della maggioranza ad essere causa delle tensioni. Dall’altra sono i successi del PRC a non far dormire D’Alema e a rendere gli scontri così aspri. Il maggioritario produce i suoi mostri, la bicamerale farà il resto. La riduzione dell’orario di lavoro, lo stato sociale, la democrazia saranno temi di un duro confronto. Compagni tenetevi forte.
 

SANITÀ: BASTA TASSE, BASTA TAGLI!

PDS e centrosinistra sempre più in crisi di consenso. 
Il PRC per il rilancio ed il rifinanziamento del Welfare emiliano.

NOTA STAMPA del Capogruppo PRC Rocco Giacomino
La Giunta regionale ha varato il progetto di legge con il quale intende attuare la ‘manovrina’ per la copertura del mutuo quindicennale di 840 mld. acceso per il ripianamento del deficit sanitario. Gli interventi riguardano le tasse automobilistiche regionali, con un aumento del 10%, e il gas metano, che aumenta di 13 lire al metro cubo per uso domestico e di ben 30 lire al metro cubo per uso civile. Il nuovo, pesante balzello ricadrà sulle cittadine e sui cittadini emiliano romagnoli in maniera indiscriminata. Non si prevede nessun meccanismo di equità fiscale, nessun criterio di progressività per mitigare il rigore della nuova imposizione. Gli utenti del servizio sanitario, già provati da tagli e peggioramenti in termini quantitativi e qualitativi, saranno costretti ad accollarsi l’onere di risanare il settore sanitario, senza che, d’altra parte, si assista ad un intervento serio sulle reali diseconomie e sugli sprechi che  incidono sul disavanzo sanitario in questa Regione. Rifondazione dice ancora una volta ‘NO’ alla riproposizione di provvedimenti-tampone, che sanno di minestra riscaldata ed i cui effetti si ripercuotono sempre e comunque sulle tasche dei cittadini più deboli. Occorre pensare ad una soluzione di lungo periodo, che interrompa il trend negativo in atto in questa regione. Basta con i tagli e con le tasse: si agisca invece sulle cattive gestioni, sulle inefficienze, sugli scandalosi stipendi di manager e direttori sanitari, sulle spesso inutili e costose convenzioni. È necessario, inoltre, intervenire sui trasferimenti statali alle Regioni per il settore sanitario, in linea con gli standard quantitativi degli altri paesi europei, così da innalzare l’intera nazione al livello dell’Emilia Romagna ed evitare che sia l’Emilia Romagna a doversi adeguare alle realtà più arretrate del nostro paese. Si deve indicare un prospettiva che salvaguardi i livelli avanzati raggiunti da questa Regione, ripiani gradualmente il deficit sanitario e rifinanzi il welfare emiliano, con la compartecipazione di tutti i cittadini, ma con modalità che assicurino equità e progressività.  La maggioranza di governo dell’Emilia Romagna abbia il coraggio di aprire un confronto di alto profilo con tutte le forze politiche, sociali e sindacali della nostra Regione per rifondare una patto che garantisca alle generazioni future benessere, coesione e opportunità di vita. Questo i cittadini chiedono alle forze della sinistra: le politiche neoliberiste lasciamole fare alla destra.
 

Sanità: l’ostruzionismo di Rifondazione blocca l’approvazione dei piani locali

di Daniele Barbieri

Pubblichiamo l’articolo apparso sull’Unità Mattina Bologna il 30 Agosto 1997

L'ha spuntata Rifondazione: la discussione in Consiglio regionale sui primi 8 Pal (piani attuativi locali) della sanità è rinviata al 10 settembre. Dopo due giorni "bloccati" dall'ostruzionismo ("diritto alla resistenza" secondo Rc) i capigruppo hanno raggiunto questa mediazione che in pratica prende atto dell'impossibilità tecnica di arrivare al voto entro oggi. Già circolavano scommesse e qualcuno sosteneva che tutto si sarebbe deciso sul filo dei minuti. L'obiettivo della maggioranza era sbloccare entro le 18,14 di oggi l’ostruzionismo di Rifondazione Comunista. Opposta l'ambizione di Rocco Giacomino, Patrizia Cantoni e Carlo Rasmi (consiglieri regionali di Rc): arrivare alle 18, 16 per ottenere il rinvio a settembre oggetto del contendere sono i primi 8 "piani attuativi locali" (sui 18 complessivi) presentati dalle Ausl e approvati dalla Giunta il 9 luglio: il piano di Rimini, i 3 reggiani e i 5 bolognesi (Imola compresa).
In pratica i Pal ridisegnano la sanità della nostra regione. Come ha ricordato Giovanni Bissoni, assessore regionale alla Sanità, si tratta di una "cura dimagrante": sono previste riduzioni di personale (1150 entro il '97) e di posti-letto (806) che verranno in parte riconvertiti in lungodegenze riabilitative. L'obiettivo resta quello di garantire 5 Posti-letto ogni mille abitanti (uno standard un po’ più basso di quello nazionale, che è 5,5).
«Contro l’arroganza della maggioranza, esercitiamo il diritto di resistenza»: l'ostruzionismo di Rifondazione è esplicito e dichiarato. I tre consiglieri comunisti hanno presentato centinaia di emendamenti (e altri ne preannunciavano: col meccanismo dei submendamenti) su ogni delibera cercando tutte le scappatoie procedurali per rallentare il dibattito. «Vogliamo arrivare a un rinvio (a settembre) che consenta ai cittadini, agli amministratori locali, ai comitati, agli operatori del settore di partecipare a questa discussione e ribadire il dissenso già espresso nei mesi scorsi» è la posizione di Rc. «Proveremo a resistere un minuto più della maggioranza» aveva dichiarato Rocco Giacomino, capogruppo di Rifondazione. L'orologio gli ha dato ragione.
Oggi dunque si concluderà la discussione generale (5 minuti per ogni intervento) sui Pal bolognesi. Il confronto e il voto avverranno il 10 settembre. AI centro dello scontro non sono ovviamente i singoli provvedimenti previsti nei Pal ma l'intera logica dei tagli nella sanità, «iniqui» secondo Rifondazione. E' una riorganizzazione che non graverà sui cittadini, ribatte la maggioranza. Bisogna sanare il deficit «che non dipende da sprechi e inefficienze» ha ripetuto Bissoni più volte. Sostanzialmente esistono tre ragioni che fanno salire la spesa nella nostra regione. La prima è demografica: l'Emilia Romagna ha un'alta percentuale di popolazione anziana (il 20,8 per cento contro una media nazionale del 16,4) che ovviamente "consuma" la sanità maggiormente di altri. La seconda è un paradosso: i servizi sono migliori e più efficienti che altrove (anche in paragone alle altre zone del nord) e questo costa. La terza è che - proprio perché qui la sanità funziona - c'è una forte mobilità da altre regioni (circa il 10% dei 966.083 ricoverati nel '95 riguardava questi "pendolari" a cui va aggiunta una pur piccola quota di turisti).
Negli 8 Pal di cui finora si è discusso non ci sono solo tagli e ristrutturazioni, ma anche il rafforzamento (o la nascita) di alcune strutture: il potenziamento di Trapianti e Cardiochirurgia nel Pal di Bologna-ospedale; l'area pediatrica e quella oncologica Reggio Emilia, il potenziamento di medicina nucleare a Rimini. Ci sono poi integrazioni e collaborazioni fra diversi ospedali (in sostanza per evitare doppioni) come nel caso dei bolognesi Bellaria e Maggiore: il primo si "specializza" in Neurochirurgia, Oncologia e Gastroenterologia, il. secondo «per le funzioni legate a Traumatologia».
 

Campagna d’autunno del prc in difesa della sanita’ pubblica

In prima fila contro tagli e progetti di privatizzazione

di Michele Bonforte (Resp. Dipartim. Lavoro e Stato sociale PRC Emilia-Romagna)

e Mirna Testi  (Resp. Regionale Sanità PRC Emilia-Romagna)

L’autunno annuncia brutte sorprese per la salute di tutti.
Non stiamo parlando dell’arrivo di un nuovo virus influenzale, ma delle intenzioni, più volte esplicitate, di avviare una controriforma del sistema sanitario regionale.
La Giunta regionale ha già effettuato pesanti tagli ai servizi sanitari territoriali e ora cerca di scaricare sulle fasce popolari il debito accumulato finora, tassando i consumi energici più diffusi. Ciò però non basta, poiché i tagli alla prevenzione invece di risparmi causeranno maggiori spese in futuro.
E dunque si pensa alla reintroduzione delle mutue e alla nascita di una sanità pubblica per poveri e ad una sanità a pagamento per i ricchi.
Ecco perché il Prc ha appoggiato e sostiene l’iniziativa dei comitati locali nati contro i tagli alla sanità, e vede oggi l’urgenza di una mobilitazione preventiva, per impedire un peggioramento e non per criticarlo dopo che è già avvenuto.
Il Comitato Regionale del Prc ha deciso di avviare una campagna vasta ed articolata che mobiliti il partito e tutte le realtà che si battono per la sanità pubblica.
Per due mesi saremo nelle piazze della città dell’Emilia-Romagna per informare i cittadini dei rischi che corre la salute di tutti e per invitarli ad un gesto di preavviso verso la Giunta regionale: la salute non è una merce.
Migliaia di cartoline, e non una semplice petizione, per informare giorno dopo giorno il Presidente della Regione della volontà popolare di migliorare e non di affossare la sanità pubblica. Poi una tenda della salute nelle più grandi città come presidio politico e di informazione, mentre le piccole città dove sono stati già tagliati i servizi sanitari, verranno toccate da un camion attrezzato per effettuare dei comizi popolari.
Verrà preparato un convegno regionale dove confronteremo le proposte dei comunisti con quella dell’Ulivo e con altre esperienze regionali.
Non solo dunque opposizione dura alle prospettiva di arretramento del diritto alla salute, ma anche capacità di proposta alternativa per un nuovo modello sanitario che risponda alle nuove esigenze di tutela della salute della popolazione dell’Emilia-Romagna.
E’ una mobilitazione straordinaria del partito che avverrà mentre importanti evoluzioni della battaglia politica nazionale ci chiameranno alla vigilanza e alla mobilitazione. Ma è in questo intreccio che nasce un partito protagonista e non spettatore. Battere il rischio di una deriva privatizzatrice della sanità in Emilia-Romagna è il migliore contributo che possiamo dare alla svolta che abbiamo impresso alla politica sociale ed economica del Governo Prodi. A tutti i militanti, agli iscritti e agli operatori sanitari che ci sono vicini, giunge un invito al protagonismo. Occorre darsi degli obiettivi per ogni federazione: quanti banchetti per distribuire le cartoline, quanti comizi, per quanto tempo la tenda in piazza ecc...
Occorre cioè fare della sanità un elemento importante della nostra iniziativa, perché essa non riguarda gli specialisti del settore ma la natura del rapporto fra partito e masse popolari.
 

PSICHIATRIA: LE SCELTE SBAGLIATE DELLA REGIONE

di PATRIZIA CANTONI

Consigliera regionale PRC
Intervengo sulla specificità della riorganizzazione del Servizio di Salute Mentale per dire che nel quadro complessivo della sanità regionale l'area psichiatrica è quella che in modo più dirompente sta evidenziando momenti di profonda sofferenza, denunciati da più parti e tra gli altri proprio da operatori compe-tenti e con consolidata esperienza che stanno manifestando il proprio motivato dissenso rispetto alle scelte di rimodulazione dei servizi psichiatrici, scelte sulle quali in molti casi non è stato loro consentito di intervenire preventivamente tramite la formulazione di pareri qualificati.
In alcune realtà, infatti, si stanno manifestando punti di criticità rispetto alle scelte che si stanno attuando in ambito psichiatrico, anche perché non sono stati perseguiti in passato, da parte di chi ne aveva la responsabilità istituzionale, quegli obiettivi dettati dal DPR del 7.4.94 "Tutela della salute mentale anni '94-'96".
Il settore della prevenzione psichiatrica, d'importanza vitale per un serio intervento al fine di ridurre l'area del disagio mentale, non pare ricevere il giusto sostegno economico-finanziario per una sua reale diffusione sul territorio, in grado di far fronte alle crescenti richieste provenienti soprattutto da alcune fasce di popolazione, ad esempio i giovani e gli anziani.
E' preoccupante la vistosa sperequazione tra l'entità delle risorse economiche utilizzate per sostenere i costi di agenzie private presenti in alcune realtà, che operano su ambiti assolutamente parziali dell'assistenza psichiatrica, ad esempio i ricoveri, rispetto all'entità delle risorse economiche utilizzate a sostegno dei servizi psichiatrici pubblici, che hanno il compito invece per legge di occuparsi a tutto campo della tutela della salute mentale.
Il PAL di Modena, per esempio, parrebbe puntare alla riduzione di posti letto per la degenza psichiatrica, ma se si vanno ad analizzare i dati forniti si può vedere che i posti letto sottratti al settore privato nell'area acuti vengono riconvertiti in posti letto per la lungodegenza, proseguendo quindi in quel processo di progressiva espropriazione delle competenze riabilitative dei servizi pubblici, delegandole sempre più alle strutture private convenzionate nelle quali non è infrequente che i degenti si trasformino in lungodegenti con evidenti rischi di cronicizzazione. Rischi evidenziati anche da dati forniti dall'AUSL di Modena, dai quali si rileva che la degenza media dei pazienti psichiatrici ricoverati in strutture pubbliche varia da un minimo di 10,5 giorni ad un massimo di 12,3 giorni a fronte di un minimo di 40 giorni ad un massimo di 62 giorni nelle strutture private convenzionate.
Se a tutto ciò si aggiunge che il rimborso per le lungodegenze avviene in base al numero delle giornate di ricovero appare evidente l'interesse economico delle cliniche private a trattenere i pazienti il più a lungo possibile.
Non dimentichiamo poi che le cliniche private, anche quelle convenzionate, utilizzano la terapia elettroconvulsivante (elettroshock) che è bandita nelle strutture pubbliche. Ciò ci appare in contraddizione con quanto affermato dall'assessore regionale che ha più volte dichiarato di considerare l'elettroshock una pratica terapeutica superata e che tale scelta può ritenersi definitiva.
Considerando quindi che le convenzioni si pagano con soldi pubblici, appare evidente come sia inaccettabile che certi percorsi si debbano fermare davanti alle porte di strutture private finanziate da tutti: penso che vadano salvaguardati certi traguardi di civiltà, raggiunti grazie ad una sensibilità diffusa sui temi del disagio psichiatrico, cresciuta negli anni grazie all'impegno e alle battaglie condotte da coraggiosi professionisti e dagli operatori che hanno voluto ridare dignità a tanta umanità brutalizzata.
E’ allarmante che alcune realtà (es. A.U.S.L. di Modena) attribuiscano a strutture private i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura e ci chiediamo se si ritenga conciliabile il distacco dei reparti psichiatrici dal corpo delle strutture pubbliche generaliste e il loro confine in strutture universitarie o private specialistiche, che da un lato contrasta con i principi stabiliti dalla legge n. 180 del '78 che sancisce l'equiparazione del disturbo mentale a qualsiasi altro tipo di malattia di natura fisica e dall'altro con i possibili rischi per la salute dei pazienti, visto il largo uso di psicofarmaci e la pericolosità insita nell'adozione di alcune terapie, che tale separazione può comportare.
Si verifica inoltre un concentramento delle risorse ospedaliere in città, lasciando scoperto il territorio provinciale, con evidenti disagi per i degenti e per le loro famiglie.
Occorrerebbe quindi un provvedimento che riordini l'intera materia psichiatrica regionale, che individui precise responsabilità gestionali e che chiarisca la distribuzione di competenze per i reparti di Diagnosi e Cura.
 

Contro l’alta velocita’sit-in del PRC davanti alla regione

di Claudio Adelmi

Luglio 1997. Rifondazione Comunista non demorde sull’Alta Velocità: il capogruppo regionale Rocco Giacomino ed il segretario della federazione di Bologna, Roberto Sconciaforni, assieme ad altri esponenti del partito, ha manifestato davanti al Palazzo della Regione per ribadire il NO di Rifondazione Comunista sul mega-progetto della TAV, sulla base delle ragioni già esplicitate in una risoluzione proposta senza successo durante un Consiglio Regionale tenutosi nel mese di Luglio.
All’origine di tutto la scelta della chiusura fret-tolosa della tratta Milano-Parma entro luglio, un vero e proprio colpo di mano denunciato dal PRC. Forti critiche all’attuale progetto erano emerse anche delle associazioni ambientaliste, comitati e tecnici. Rifondazione Comunista ha ribadito la sua valutazione negativa sull’attuale progetto che non risponde alle reali esi-genze trasportistiche del nostro paese. Occorrerebbe rivisitare il progetto nell’ottica di un quadruplicamento delle linee che consenta lo spostamento di quote rilevanti di merci dalla gomma alla rotaia e favorisca l’intermodalità dei trasporti, in un quadro di gestione unitaria tra linea storica e nuovo tracciato che invece avrà una sede propria distante dal vecchio, determinando così costi finanziari elevati e danni ambientali tuttora non quantificabili.
La pressione delle grandi imprese, Fiat in testa, inte-ressate agli appalti hanno impedito in sede nazionale una reimpostazione del progetto che pure il ministro Burlando aveva indicato come necessaria.
Numerosi militanti del partito e diversi consiglieri provinciali e dei comuni attraversati dal tracciato dell’alta velocità hanno preso parte alla manife-stazione che si è conclusa con un incontro fra una delegazione del PRC, guidata dal capogruppo Rocco Giacomino e l’Assessore regionale ai Trasporti, Vittorio Pieri.
Questi in sostanza gli argomenti del documento riproposto all’Assessore Pieri:
· il progetto non risponde alle esigenze del trasporto merci e dei pendolari su distanze mediobrevi;
· ‘ferisce’ gravemente il territorio;
· privatizza i profitti, scaricando, però, sul pubblico le perdite.
· Così com’è, dunque, l’Alta Velocità è "inutile e dannosa", con interessi dei capitali privati e delle grandi imprese che rischiano di prevalere sull’obiettivo del rafforzamento del trasporto merci e persone su rotaia.
Nell’immediato, quindi, Rifondazione Comunista chiedeva di non ‘chiudere’ la conferenza dei servizi, in programma domani a Roma, per la subtratta Milano-Parma.

Risoluzione presentata dal Gruppo PRC sulla riqualificazione del sistema ferroviario nazionale e sul progetto di quadruplicamento della linea Milano-Bologna. 
 

Riforme istituzionali e forma dello stato

Un regionalismo forte contro il secessionismo e nuovi centrilismi presidenzialisti e federalisti

di Rocco Riacomino

Capogruppo PRC Emilia-Romagna
Pubblichiamo la sintesi della comunicazione svolta da Rocco Giacomino all’attivo regionale
del 5 luglio 1997 sui lavori della bicamerale e le proposte del PRC
 Dobbiamo tutti noi avere maggiore consapevolezza del fatto che discutendo di Riforme Istituzionali,
non parliamo di tecnicalità o mera ingegneria costituzionale, di materia delegabile a professori o
accademici bensì parliamo di un poderoso processo, in corso da decenni, di riorganizzazione e
riallocazione di poteri, dal cui esito dipende lo sviluppo e l’estensione dell’equilibrio democratico
indicato dai padri costituenti o la sua regressione verso forme di democrazia plebiscitaria e
leaderistica che accentuano la delega e riducono gli spazi di partecipazione di massa alle scelte ed
alle decisioni della “res publica”. Per intanto i risultati dei lavori della Bicamerale rendono probabile
questo secondo esito e questo Attivo, convocato dal Comitato regionale, serve appunto ad accrescere
quella maggiore consapevolezza di cui parlavo prima. Un esito nefasto che il PRC contrasta e
contrasterà ma che richiede soprattutto un gigantesco movimento di massa per evitare che davvero
prevalga e si traduca in norme costituzionali. In assenza di un grande movimento saremo di fronte a
questo rischio reale, in quanto la quasi generalità delle forze politiche si riconosce nelle conclusioni
della Bicamerale.  Dunque, sulla seconda parte della Costituzione, potrebbe realizzarsi un nuovo
patto costituzionale scritto con il concorso degli eredi di Almirante, ma senza  gli eredi di
quell’Umberto Terracini grande figura  di comunista e rivoluzionario, Presidente dell’Assemblea
Costituente che insieme a De Gasperi controfirmò la Carta Costituzionale vigente. Non c’è facile
allarmismo ma il richiamo forte ad un passaggio decisivo della vicenda politico costituzionale del
nostro paese che esige uno scatto a tutto il partito in termini appunto di maggiore consapevolezza dei
rischi di questa fase e richiede la difficile, ma ineludibile costruzione di un ampio movimento di
massa nella società, l’unico in grado di impedire la trasfigurazione degli attuali assetti costituzionali.
Ancora alcune brevi considerazioni di carattere generale. Innanzitutto perché siamo giunti a questo
punto di grave pericolo per la democrazia ? Solo la lettura dei processi istituzionali non basta, per
capire occorre invece la chiave di lettura di noi comunisti, quella cioè che tiene indissolubilmente
legate “questione istituzionale” e “questione sociale”. La tendenza in atto da circa un ventennio
(periodizzazione utile ma per certi versi arbitraria) e che è riassumibile nel concetto di “democrazia
autoritaria” si afferma e si sviluppa in relazione alla crisi della sinistra e del movimento operaio,
anzi sarebbe più corretto dire che questa tendenza si alimenta della crisi della sinistra italiana e non
solo, si pensi all’effetto devastante sulle forze antagoniste dell’ovest e nell’immaginario collettivo di
grandi masse, del crollo dei regimi dell’est. Insomma più la sinistra si moderava e smarriva le sue
ragioni fondanti, più la classe lavoratrice subiva sconfitte e arretramenti e più si affermava ed oggi si
rafforza una idea di “democrazia autoritaria” che tende a soppiantare le forme e le istituzioni della
“democrazia partecipata” costruita e sviluppatasi nel corso di decenni, a tratti anche con il consenso
di parte delle stesse classi dirigenti, ed in competizione con i modelli che si andavano sperimentando
ad est e che suscitavano speranze tra vasti strati popolari dei paesi occidentali. Il cosiddetto “caso
italiano” è tutto qui ossia una democrazia partecipata di massa che riconosce cittadinanza al conflitto
di classe, non nella forma americanizzata del ribellismo sociale - si pensi alle cicliche esplosioni
violente nei ghetti neri - ma come concreta possibilità per le lavoratrici e i lavoratori di costruirsi in
soggetto politico autonomo che vive nella società e nelle istituzioni, in un conflitto permanente per la
conquista di maggiori spazi di democrazia, di benessere e di felicità. Dunque una democrazia che
concepisce possibile l’alternativa, non la mera alternanza tra schieramenti simili per programmi e
proposte che nulla cambia nella vita delle persone in una sorta di “convergenza competitiva” tra Poli,
come è stata definita dal compagno Bertinotti. Convergenza sui programmi e mera competizione per
la guida del governo intesa solo come ricambio di classe dirigente. Dunque si approssima la “resa dei
conti” per questo nostro modello di democrazia , e quindi la posta in gioco è davvero alta, ma non è
tanto l’esistenza o meno di una forza comunista, dato acquisito, bensì la nostra possibile e
progressiva emarginazione a forza residuale non in grado di incidere e modificare i processi reali che
concernono la vita  e le condizioni materiali di milioni di persone. E’ forse eccessivo affermare che
riuscirà D’Alema in ciò in cui fallì Craxi? E’ forse eccessivo ricordare che Licio Gelli, il capo della
loggia massonica P2, si è recentemente dichiarato soddisfatto nel constatare che nella Bicamerale si
“copiavano” le proposte del famigerato “Piano di Rinascita Democratica” che all’epoca a sinistra fu
definito piano golpista? Non apro questo capitolo della riflessione che richiederebbe un
approfondimento oggi non possibile, ma non vi è dubbio che in forma grezza questa tendenza alla
democrazia autoritaria si segnala nella seconda metà degli anni settanta e coincide con il famoso
Midas e cioè l’avvento di Benedetto Craxi alla guida del PSI che per primo cominciò a parlare di
“Grande Riforma” avvalendosi della consulenza e della penna del “dottor sottile” Giuliano Amato.
Craxi introdusse con forza nel dibattito politico di allora l’idea, oggi in parte raggiunta, del
riequilibro dei poteri tra Parlamento e governo, tra assemblee elettive ed esecutivi. L’elezione diretta
del Sindaco e del Presidente della provincia con la legge 81 del 1993 che svuota di forza e ruolo i
consigli comunali e provinciali ed introduce in Italia una forte ed inedita personalizzazione della
politica, costituisce appunto il primo approdo normativo di quel processo politico avviato in quegli
anni. Berlinguer parlò di pericolo per la democrazia, di certo con il craxismo inizia un lavoro di
“scasso” istituzionale che mette al centro la decisione e la velocità della stessa da parte degli
esecutivi, subordinando il momento del controllo svolto dalle assemblee elettive. A questo proposito è
utile ricordare come una spinta al rafforzamento degli esecutivi si tradusse in proposte sin dalla
prima commissione Bicamerale presieduta dall’on. Bozzi ed istituita nell’autunno 1983. Quella
commissione naufragò e l’allora PCI, come oggi il PRC, elaborò una propria relazione di minoranza
a firma (Natta, Ingrao, Barbera e Zangheri) la quale imputò la mancata intesa in commissione al
fatto che la maggioranza pentapartitica perseguiva quasi esclusivamente l’obiettivo del rafforzamento
del governo intaccando la centralità del Parlamento. Nella relazione si legge testualmente di “....una
pretesa di subordinare tutte le proposte di riforma ad una sola esigenza: quella di garantire comunque
rapidità alle procedure parlamentari e sicurezza nel momento della decisione”. Il cosiddetto
decisionismo craxiano chiedeva di farsi norma. Un processo, ossia la tendenza al rafforzamento degli
esecutivi che si assomma all’assunzione dell’idea della centralità dell’impresa, e dei suoi interessi,
che richiede tempi rapidi nelle decisioni e che riduce l’amministrazione a mero strumento
d’accompagnamento alle ragioni di competitività del sistema delle imprese, svuotando così di
“senso” e di “autonomia” la politica che sempre più mutua le forme e il linguaggio dell’impresa
stessa. Dunque una vera e propria resa della politica, una brutta politica che, rinunciando al governo
dei processi economici, assume la coincidenza tra interesse generale e quello dell’impresa, spesso
addirittura teorizzata, dismettendo per questa via i compiti propri di sintesi e composizione di
interessi diversi con al centro i bisogni della persona e non quelli dell’impresa .  Non c’è furore
ideologico contro l’efficienza e l’efficacia possibile del mercato, bensì la contestazione della
intangibile e quasi sacrale  centralità dell’impresa. E’ dunque in questo quadro di riferimento e
dentro a questi processi che si deve discutere di Riforme Istituzionali. Per quel che concerne la
Forma dello Stato mi limiterò a tratteggiare alcuni elementi di fondo. Innanzitutto è senza precedenti
storici significativi il passaggio da una entità statuale unitaria al federalismo, è vero invece il
contrario e cioè il “foedus” nasce per unire ciò che era diviso, ossia Stati originariamente autonomi
che si federano. Dalla divisione all’unità e non dall’unità al federalismo, mentre invece abbiamo
assistito alla dissoluzione di stati unitari in entità statuali più piccole, ma separate, e non federate. E’
stata ed è giusta la nostra critica alla sinistra moderata circa la disinvoltura e la leggerezza con cui
ha assunto il concetto federalistico senza valutarne rischi e pericoli, traducendolo in senso comune in
parti significative del popolo di sinistra . La nostra preoccupazione non scaturisce dalla paura nel
misurarsi con processi sociali inediti, anzi noi siamo e dobbiamo essere innovatori, essa invece nasce
dalla constatazione che la globalizzazione spinge alla disgregazione degli stati moderni così come li
abbiamo conosciuti e si sono edificati. Kenichi Ohmae noto esponente dell’establishment giapponese
e consulente di grandi industrie, ha descritto in un libro la fine dello stato-nazione indicando le
ragioni per le quali uno stato unitario con al suo interno aree geografiche disomogenee costituisca
impedimento alla competitività.
Lo Stato come bardatura burocratica, disomogeneo al suo interno per aree economico-sociale è
dunque d’impaccio alla competizione che invece deve dispiegarsi tra aree economico-sociali
omogenee. Dunque piccoli Stati, forti ed aggressivi che competono aspramente lasciando al loro
destino aree con squilibri e disuguaglianze. Nella sua rozzezza questa analisi ha elementi forti di
verità, certo non si pone il problema dell’uguaglianza e della solidarietà, ma soprattutto non calcola
la moltiplicazione dei conflitti in un mondo sempre più giungla, conflitti e migrazioni bibliche, forse,
ritenuti “gestibili” dalle gendarmerie occidentali. Ma fino a quando? Cos’è dunque la Padania di
Bossi se non per l’appunto uno Stato piccolo, forte ed omogeneo al suo interno, adatto dunque a
competere e produrre ricchezza, che espunge ogni idea di uguaglianza e solidarietà con il resto del
paese. Non è in discussione la nostra ovvia contrarietà a questa prospettiva e dunque lo stato
nazionale come dimensione più idonea per realizzare l’uguaglianza, o l’assoluta modernità di questa
ipotesi che non è follia leghista, ma come Rifondazione ha sempre sottolineato frutto di processi
economici che spingono nella direzione di una possibile disgregazione. La domanda è invece se le
ipotesi federaliste delle quali si è discusso in Bicamerale e dunque la “forma di stato” che assumerà il
nostro paese, può favorire tale processo disgregativo o può arrestarlo, rivalutando e riaffermando le
ragioni dell’unità. Il testo sulla “Forma dello Stato” licenziato dalla Bicamerale può favorire spinte
separatiste e secessioniste. Un giudizio drastico che si fonda su dati di fatto, innanzitutto non c’è il
regionalismo forte da noi auspicato che si realizza con una ampia e più estesa funzione legislativa
delle Regioni e con una reale autonomia finanziaria per le stesse Regioni e gli Enti Locali. Nel
merito la proposta finale della Bicamerale, sebbene meno orripilante della prima bozza d’Onofrio
presenta, dal nostro punto di vista, diversi aspetti inaccettabili e riassumibili sinteticamente in sei
questioni. Innanzitutto è da respingere la stessa definizione della Repubblica come composta dalle
Regioni, dagli Enti Locali e dallo Stato, attribuendo a quest’ultimo un carattere residuale; vi è poi
una eccessiva e complessiva valorizzazione del ruolo delle Regioni a scapito degli Enti Locali con il
rischio di sostituire al centralismo dello Stato quello delle Regioni. Il Fondo perequativo andrebbe
destinato direttamente e espressamente alle Regioni con squilibri socio-economici. L’introduzione di
una tempistica differenziata, fino ad un quinquennio, per attuare le riforme federaliste attraverso gli
statuti appare di difficile comprensione e di complessa realizzazione. Risulta inoltre per noi
inaccettabile il riconoscimento della potestà legislativa a ciascuna Regione in materia elettorale da
esercitarsi con la maggioranza dei due terzi dei Consiglieri regionali. Concretamente ciò vuol dire
che in Emilia-Romagna, ad esempio, il centro-sinistra che numericamente dispone dei due terzi ha la
possibilità di cucirsi addosso la propria legge elettorale senza il concorso delle opposizioni di centro-
destra e di sinistra. Dunque in ciascuna Regione i ceti politici regionali potrebbero assicurarsi
condizioni favorevoli alla loro autoriproduzione. Le regole elettorali sono regole del gioco decisive
per la convivenza democratica e quindi debbono essere indicate dal Parlamento nazionale. Infine
l’ultimo punto ma forse il più preoccupante per gli effetti che può produrre riguarda l’art. 56 del
progetto di legge costituzionale in cui si afferma che “le funzioni che non possono essere più
adeguatamente svolte dall’autonomia dei privati sono ripartite tra le comunità locali”. Tale norma
costituzionalizza la centralità dell’impresa e del mercato attribuendo un ruolo residuale e marginale
all’intervento pubblico ed invade ed inquina principi della prima parte della costituzione come
l’articolo 3 laddove si attribuisce allo Stato il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica ed
economica del paese. Dunque lo Stato non dovrebbe più neppure porsi questo obiettivo tendenziale
mentre si costituzionalizza il principio che viene prima il mercato quale supremo regolatore e
dunque lo Stato potrà intervenire solo nei campi in cui i privati non hanno interessi o per porre
rimedio ai guasti prodotti dai privati. Si tratta dunque di una norma incostituzionale che di fatto
chiede allo Stato di abdicare ai compiti di promozione dell’uguaglianza previsti dall’articolo 3.
Infine una rapida notazione sulla riforma del Parlamento, si passa dal Bicameralismo perfetto ad un
Tricameralismo imperfetto, o meglio ad un “mostro tricameralista”; accanto alla Camera ed al
Senato cosiddetto delle garanzie e con funzioni differenziate, si aggiunge una Commissione per le
autonomie locali formata in parte da Senatori ed in parte da Sindaci e Presidenti delle Regioni e
dotata di alcuni poteri di intervento nelle procedure decisionali.  Dunque anziché compiere una
limpida e netta scelta monocameralista (una sola Camera con 400 deputati), una scelta che è nella
tradizione della sinistra italiana e che introdurrebbe elementi di semplificazione evitando la doppia
lettura e le cosiddette “navette” tra Camera e Senato, rafforzando il Parlamento nel rapporto con il
governo, mentre la cosiddetta funzione di raffreddamento della volontà e di perfezionamento delle
leggi potrebbe essere efficacemente svolta con altre modalità. Si è prodotto un pasticcio, una
mediazione che non sta in piedi in quanto si è preferito evitare ad esempio la scelta del cosiddetto
“Senato delle Regioni” sul modello del Bundesrat tedesco e sostenuta dai settori ulivisti del PDS e
dai Presidenti delle Regioni, ispiratore del testo l’assessore dell’Emilia Mariucci . Una soluzione da
noi contestata per ragioni di merito, in quanto se si realizzasse un reale processo di decentramento
non si giustificherebbe appieno l’istituzione di un organo apicale delle Regioni che potrebbe limitare
l’autonomia delle stesse. Il Senato delle Regioni sarebbe stata una scelta discutibile, ma limpida al
pari della nostra proposta monocameralista. Invece, si è scelto di non scegliere scontentando tutti e
partorendo questo “mostro tricameralista”. I lavori della Bicamerale ci consegnano brutti materiali
che ci auguriamo non vengano utilizzati per edificare il nuovo assetto costituzionale. Abbiamo solo
alcuni mesi di tempo, al massimo un biennio, prima di giungere al Referendum finale che dovrebbe
concludere l’iter delle riforme, dunque occorre da subito fare appello a tutte le nostre energie, ed a
tutto il partito per rivolgerci all’intera società italiana e ad ogni sincero democratico, in quanto solo
il protagonismo delle masse popolari potrà scongiurare un esito negativo del processo riformatore
che consegnerebbe alle prossime generazioni ed alle masse lavoratrici meno democrazia e meno
partecipazione.
 

FISCO: LOTTA ALL’EVASIONE E PIU’ AUTONOMIA ALLE REGIONI

LA BATTAGLIA DEI COMUNISTI

di RENATO ALBERTINI

Senatore PRC
Il nostro Paese si caratterizza per la macroscopica iniquità della leva fiscale che colpisce in modo ormai insopportabile i lavoratori dipendenti e gli strati inferiori del lavoro autonomo, mentre privilegia i titolari delle grandi rendite finanziarie, dei grandi patrimoni, dei profitti delle grandi imprese di capitale.
Ciò avviene attraverso due modi: da un lato una legislazione fiscale smaccatamente favorevole verso i redditi di capitale e le rendite finanziarie mediante aliquote ridotte e non informate alla progressività, dall’altro una elusione ed una evasione fiscale di proporzioni gigantesche (circa 250.000 miliardi all’anno) non solo tollerate, ma anche coperte dai passati Governi.
Il Governo Prodi non ha ricalcato le politiche di quelli precedenti, ed ha introdotto anche alcune misure innovative sia nella legislazione che nella lotta all’evasione fiscale, ma del tutto insufficienti a ribaltare la precedente situazione.
Restano tuttora in vigore i trattamenti privilegiati verso i redditi di capitale e le rendite finanziarie, e non sono stati introdotti strumenti adeguati per battere la pratica diffusa, dagli strati sociali con redditi più elevati, di sottrarsi al loro dovere tributario.
Resta pertanto un amplissimo lavoro da compiere per ottenere finalmente la piena attuazione dell’art. 53 della Costituzione in base al quale ogni cittadino deve concorrere alla spesa pubblica in ragione dei propri redditi e con criteri di progressività.
Noi comunisti abbiamo presentato nel giugno scorso al Senato un d.d.l. che prevede strumenti nuovi ed efficaci per battere l‘evasione.
Richiamo i principali per titoli:
- l’introduzione di una norma generale antielusiva per impedire la falsificazione dei bilanci delle società di capitale che finora nel 60% dei casi non hanno denunciato alcun utile per le loro attività;
- l’introduzione del contrasto di interessi fra fornitori e fruitori di beni e servizi attraverso la deduzione, totale o parziale, dall’imposta o dall’imponibile delle spese sostenute e documentate facendo così emergere una vasta area di attività e lavori oggi sommersi;
- l’effettiva uniformità della tassazione al 27% su ogni specie di redditi di capitale pari alla media del prelievo tributario sul lavoro dipendente, eliminando ogni area di privilegio fiscale come misura transitoria in attesa di riportare ogni reddito all’IRPEF, imposta personale ed universale;
- la tassazione dei movimenti finanziari da e per l’estero quale antidoto alle speculazioni a breve termine;
- il potenziamento dell’anagrafe tributaria attraverso l’archivio unico nazionale dei depositi bancari e postali;
- la responsabilità dei professionisti e dei membri dei collegi sindacali delle società in ordine alla corretta applicazione della normativa tributaria;
- l’effettiva partecipazione dei comuni all’accertamento delle imposte sui redditi, riconoscendo loro parte delle maggiori somme riscosse;
- l’effettiva pubblicità degli elenchi dei contribuenti con l’indicazione degli imponibili da ciascuno dichiarati;
- l’inasprimento delle ammende per i responsabili di reati fiscali.
Dal confronto in corso sulla Finanziaria, abbiamo ottenuto l’aumento di 500 miliardi nelle entrate per la lotta all’evasione e la riduzione di 500 miliardi di tagli allo stato sociale. Essi rappresentano risultati modesti, quanto alla consistenza, che tuttavia indicano una direttrice di marcia sulla quale il Governo si è impegnato.
A questo risultato si aggiunge l’impegno assunto dal Governo per la presentazione entro il prossimo gennaio di un d.d.l. che preveda la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali, a parità di retribuzione, da realizzare entro il 1° gennaio 2001. Inoltre è stato raggiunto l’accordo per la salvaguardia degli operai e delle categorie equivalenti, dai tagli alle pensioni di anzianità.
Resta fermo, sul paiano fiscale, che i punti fondamentali del nostro d.d.l. costituiranno gli obiettivi di fondo della nostra iniziativa politica e parlamentare nel prossimo futuro.
Per quanto attiene alla gestione del prelievo tributario ed alla ripartizione delle risorse che ne derivano, noi comunisti ribadiamo che, in attuazione del principio dell’autonomia impositiva, ogni livello dell’articolazione dello Stato debba essere titolare di proprie imposte da gestire in modo autonomo.
Allo Stato debbono rimanere le grandi imposte nazionali (IRPEF, IRPEG, IVA), ai Comuni l’ICI e gli altri tributi locali, alle Regioni l’IRAP, le tasse automobilistiche e gli altri tributi regionali.
Le imposte assegnate alle Regioni ed ai Comuni non riusciranno a coprire tutte le spese proprie dei vari Enti, pertanto si prevede che una parte delle entrate degli Enti stessi continuerà a derivare dai trasferimenti dello stato, assegnati in misura diversa da regione a regione in modo tale da consentire ad ogni cittadino italiano, qualunque sia l’ambito territoriale di appartenenza, di poter usufruire di uno standard base di servizi pubblici e sociali adeguato a soddisfare tutti i bisogni essenziali.
In tal modo il riequilibrio fra le entrate in capo alle diverse regioni, verrà esercitato in modo verticale dallo Stato piuttosto che in modo orizzontale tra le Regioni.
L’introduzione di una imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) avrà il merito di semplificare e razionalizzare l’attuale sistema fiscale, sostituendo a più tasse (ILOR, ICIAP, contributi al SSN, tassa sulla salute, patrimoniale sulle imprese) una unica imposta che graverà sulle imprese e sui lavoratori autonomi, la cui base imponibile sarà determinata dal valore della produzione netta e dall’ammontare dei salari dei dipendenti per l’attività esercitata nel territorio della regione.
Noi rivendichiamo che tale imposta sia rimessa alla completa ed autonoma gestione delle Regioni nel più breve arco di tempo, con l’affidamento alle Regioni stesse anche della determinazione dell’aliquota.
L’insieme delle risorse delle quali le Regioni potranno usufruire, sia gestendo le imposte proprie, sia con i trasferimenti dello Stato, dovrà essere assolutamente proporzionale ed adeguato alle rilevantissime funzioni di ordine legislativo e programmatorio delle quali le Regioni sono e saranno titolari.
L’impegno dei Comunisti nella discussione sull’IRAP, che avrà luogo in sede di Commissione Bicamerale sul Fisco, sarà quello di perseguire con decisione tale finalità.
 

LA DIFESA DEL SISTEMA SCOLASTICO PUBBLICO

continua la battaglia di Rifondazione

di MARCELLO GRAZIOSI

Responsabile regionale Scuola PRC Emilia-Romagna
La nostra Regione, che fin dall’immediato dopoguerra è stata all’avanguardia nella creazione di un sistema scolastico pubblico, soprattutto nei suoi gradi inferiori (asili nido e scuole materne) che rispondesse alle reali esigenze di lavoratori e cittadini, pare voler diventare in questi ultimi anni protagonista in negativo, decisa com’è a smantellare il sistema di garanzia pubblico a tutto vantaggio dei privati. Non a caso, nella nostra Regione, la creazione di un ‘sistema scolastico integrato’ è partita dagli asili nido e dalle scuola materne, dove maggiori sono la presenza ed il peso degli istituti privati, con una evidente preminenza di quelli confessionali. Protagonista, in negativo, di questo processo di smantellamento graduale della scuola pubblica è, purtroppo il centrosinistra. E’ difficile da accettare che, a fronte di continui tagli e ristrutturazioni del sistema scolastico pubblico, con 30.000 posti di lavoro a rischio, sia stato un Ministro del PDS a proporre, per la prima volta nella storia repubblicana, un Disegno di legge per finanziare direttamente le scuole private permettendo loro di continuare a selezionare il personale sulla base dei diversi progetti educativi ed utilizzare personale volontario. Nella nostra Regione, purtroppo, abbiamo anticipato, per quanto concerne nidi e materne, i contenuti del ddl Berlinguer. Il 25 aprile 1995, dopo un lungo processo che affonda le sue radici nella legge 25 gennaio 1983 n.° 6 "Diritto allo studio", il Consiglio Regionale ha approvato la legge n.° 52 che, integrando la precedente, è interamente incentrata sulla costituzione di un sistema di istruzione integrato pubblico-privato in riferimento a nidi e scuole dell’infanzia. Per garantire il funzionamento di questo nuovo sistema misto di gestione, la Regione istituisce un fondo attraverso il quale vengono parzialmente coperte le spese sostenute dai comuni che hanno stipulato convenzioni con asili nido e scuole materne private Di conseguenza, la Regione inizia ad attuare una politica di finanziamento indiretto alle scuole private. In applicazione della legge n.° 52/95, in data 17 agosto 1995, l’assessore regionale Gianluca Borghi emana la circolare n.° 20783/SCS, che prevede uno stanziamento complessivo di 3.000.000.000 per la concessione di contributi ai comuni titolari di convenzioni con asili nido e scuole materne private. Attraverso il fondo specifico legato al ‘diritto allo studio’, i finanziamenti regionali raggiungono, nel luglio 1995, 86 comuni su tutto il territorio regionale. Con l’approvazione del bilancio regionale di previsione del triennio 1996-1998, la politica di sostegno a nidi e materne private segna un ulteriore avanzamento. I fondi a disposizione degli enti locali titolari di convenzioni con nidi e materne private passavano da 3 a 4 miliardi e 500 milioni. All’interno di questo quadro politico, l’unica forza che ha manifestato e continua a manifestare la propria contrarietà ad ogni ipotesi diretta od indiretta di finanziamento alla scuola privata, insieme ad alcuni Comitati per la difesa e la riqualificazione della scuola pubblica, è Rifondazione Comunista. E’ proprio da uno di questi comitati, il Comitato ‘Scuola e Costituzione’ di Bologna, che è partito un ricorso al Tar contro la legge regionale 52/95, ritenuta incostituzionale sulla base degli art. 33 e 117 della nostra Carta. La sentenza del Tar, depositata in data 1 aprile 1997 (n.191), ha in parte accolto il ricorso rinviando alla Corte Costituzionale ogni decisione. Nonostante questo, non solo la Regione ha deciso di non interrompere l’erogazione dei finanziamenti indiretti ad asili e scuole materne privati ma, proprio in questi ultimi giorni, tanto la maggioranza quanto l’opposizione di destra hanno deciso di comune accordo di porre in discussione quattro progetti di legge di modifica alla legge n.52/95 senza attendere il giudizio della Corte Costituzionale. Dinanzi ad un’evidente forzatura della legalità democratica, Patrizia Cantoni, Consigliera Regionale del nostro partito e membro della Commissione Regionale Scuola, ha abbandonato per protesta i lavori della stessa. Nel 1997, con la delibera n.° 2552, approvata dal Consiglio in data 30 luglio, non solo viene confermato lo stanziamento di 4 miliardi e 500 milioni anche per l’anno in corso per il finanziamento a nidi e materne privati, ma, nonostante l’aumento del numero delle domande per asili nido e scuole materne pubblici, molte delle quali inevase, vengono attuati evidenti tagli al sistema pubblico. La delibera n.° 2552, inoltre, formalizza, nell’obiettivo n.° 3, la nascita di nuove metodologie di istruzione 0-3 anni, tra le quali la "promozione, in alcune realtà, di una forma di servizio sperimentale del tutto innovativa che prevede l’utilizzo, da parte di un minimo di due e un massimo di tre famiglie, di un/a operatore/trice con specifica professionalità educativa che si occupi della cura di educazione di bambini da 0 a 3 anni denominato/a "educatore/trice familiare" presso il domicilio di una delle famiglie interessate". Tali famiglie "stabiliscono un rapporto di lavoro privato mediante regolare contratto di lavoro con l’educatore/trice e prendono autonomamente accordi sulle modalità di erogazione del servizio". Questo modello, che nega la funzione sociale dell’istruzione ed è estensibile anche alla scuola materna, dimostra chiaramente la volontà della maggioranza di centrosinistra di smantellare gradualmente il sistema pubblico relegando alle famiglie la tutela e l’educazione dei figli e sfruttando figure professionali precarie e prive di garanzie. A tale proposito, il nostro partito ha presentato alla seduta del Consiglio del 30 luglio un emendamento per inserire queste nuove figure professionali all’interno del CCNL scuola in modo da garantire loro condizioni normative e salariali definite. Il nostro emendamento è stato respinto a larga maggioranza dal Consiglio Regionale grazie ai voti congiunti di Polo ed Ulivo ed il consigliere Fabbri (PDS) è intervenuto contro la nostra proposta. Evidentemente, dare certezze ai lavoratori non è materia che interessa il centrosinistra della nostra Regione.
 

PIÙ OMBRE CHE LUCI NELLA NUOVA LEGGE REGIONALE SULLE DELEGHE NEL SETTORE AGRICOLO

di PATRIZIA CANTONI

Consigliera regionale PRC
Nel marzo scorso si è concluso, con l’approvazione del Consiglio regionale, l’iter della nuova legge sull’Agricoltura. Sul progetto di legge, d’iniziativa della Giunta, il Gruppo comunista in Regione ha operato una valutazione molta attenta, che ci ha portato alla necessità di approfondire le questioni sollevate dall’articolato del progetto. Abbiamo attivato, perciò, una fitta rete di relazioni e contatti, che ha coinvolto lavoratori, esperti del settore ed anche il responsabile nazionale per l’Agricoltura del PRC, Vincenzo Aita. L’analisi di tale progetto ha determinato un giudizio fortemente critico. Cercherò in modo sintetico di illustrare i passaggi più controversi, sperando in tal modo di sollecitare sull’argomento un dibattito tra i compagni impegnati nel settore.
L’approvazione della legge regionale in questione ha rappresentato, a nostro avviso, un importante passaggio politico di questa legislatura, che va ben oltre il tema dell’attribuzione di funzioni in materia di agricoltura.
La privatizzazione delle attività istituzionali, l’uso flessibile del personale, l’adozione di modelli di lavoro interinale (tanto cari alla Confindustria), la dismissione di una parte significativa dell’organizzazione regionale, il trasferimento di 350 lavoratori alle Provincie - con la possibilità che questi non trovino una effettiva ricollocazione se non accettati, la mancanza di chiarezza e quindi di garanzie per i lavoratori regionali sul mantenimento delle vigenti condizioni economiche e normative una volta trasferiti, sono i temi sostanziali che caratterizzano questo provvedimento legislativo.
In sostanza, questa legge è diventata il pretesto politico per l’utilizzo di strumenti che sono unicamente funzionali ad una politica della gestione delle istituzioni da proporre su scala nazionale.
Questa linea non è condivisibile ed accettabile sia per quello di cui è portatrice e sia perché antepone ai specifici problemi un’adesione ideologica al liberismo, scoperto e trattato da molti come elemento taumaturgico in questa fase di vita politica.
Quando poi si vanno ad analizzare gli aspetti più inerenti al settore in oggetto ci si accorge che sono veramente poche le novità rispetto alla vecchia legge (L.R. 34/83), in particolare per ciò che riguarda i contenuti di fondo. Ci saremmo aspettati un progetto più innovativo a distanza di 14 anni dalla legge che introdusse le deleghe in agricoltura. Sembra quasi che tutto ciò che è avvenuto in questi anni (basti ricordare il ruolo guida che ha assunto l’Unione Europea nella definizione delle politiche agricole) non abbia toccato minimamente il legislatore regionale, le cui capacità progettuali appaiono alquanto opache ed inconsistenti.
Entrando nel merito del provvedimento, è criticabile la scelta di perseguire nell’affidamento di funzioni che richiedono un esercizio unitario, che solo la Regione può garantire; ci si riferisce, per esempio, all’applicazione dei regolamenti comunitari, che hanno trovato e stanno trovando notevoli difficoltà di gestione in Emilia Romagna.
Questa nuova legge, inoltre, attua il decentramento delle funzioni a livello locale, ponendo sullo stesso piano le Provincie (enti necessari previsti dalla nostra Costituzione, le cui competenze sono stabilite dalla legge 142/90) e le Comunità Montane (enti solo eventuali, la cui istituzione è demandata alla Regioni). L’equiparazione effettuata dalla L.R. 15/97 appare quindi arbitraria, perché attribuisce le medesime funzioni a due tipologie di enti locali di rango diverso.
Le difficoltà che potranno nascere da questa eccessiva frammentazione delle competenze rischiano di essere tali da determinare ritardi nelle rendicontazioni, negli impegni e nei trasferimenti delle risorse, un’utilizzazione dei fondi che non riesce a stare in linea con i tempi imposti in sede nazionale e comunitaria, producendo riduzione dei fondi o ritardi nell’assegnazione.
Riconosciamo che questa legge introduce alcuni elementi apprezzabili quali la razionalizzazione di certe funzioni, tolte ai Comuni ed assegnate alle Provincie, il superamento dei vecchi piani zonali per raccordare la pianificazione agricola locale a quella provinciale, la semplificazione di alcune procedure (come ad esempio l’eliminazione delle autorizzazioni all’inizio dei lavori a seguito di domande di contributo per investimento), l’introduzione di un sistema informativo agricolo (anche se il fatto di aver dovuto introdurre tale rete di informazioni con un articolo di legge, la dice lunga sulle difficoltà che la Regione ha incontrato sino ad oggi ad attivarla), l’istituzione di una Consulta agricola allargata al settore agroindustriale e rurale, coerentemente agli strumenti di programmazione regionale già approvati. Questi aspetti non sono tuttavia sufficienti ad esprimere un giudizio complessivamente positivo sulla legge in questione, visti gli  elementi critici in essa contenuti, che a parere nostro hanno un peso e una portata maggiore.
Rifondazione Comunista, comunque, non si è limitata ad esprimere solo critiche di fondo, ma al contrario ha proposto diversi emendamenti sostanziali, con l’obiettivo di contribuire a rendere il provvedimento maggiormente funzionale nell’ottica di un decentramento equilibrato e tale da non ingenerare rischi di ingovernabilità del sistema agricolo pubblico regionale. La fermezza dell’Assessore regionale competente nel respingere i nostri emendamenti (circa 30), prima in Commissione e successivamente in Consiglio, è stata tale, però, da determinare un voto negativo da parte del gruppo comunista in Regione.
L’approvazione della legge regionale sulle deleghe in agricoltura non ha rappresentato, comunque, l’atto finale della nostra azione propositiva. Subito dopo il voto in aula, il gruppo comunista ha, infatti, inviato le proprie osservazioni critiche sulla legge al Commissario di Governo prima dell’apposizione del visto governativo che attribuisce efficacia alle leggi regionali, iniziativa che non ha avuto l’esito da noi sperato. Il nostro impegno per il futuro è quello di vigilare sull’attuazione della legge, cercando, per quanto possibile, di correggerne gli aspetti più negativi.
 
 
 

Modena, record di Infortuni sul lavoro:

Il PRC occupa l’ispettorato

di TITTI DE SIMONE

Pubblichiamo l’articolo apparso su Liberazione il 27 luglio 1997
Record di infortuni e di morti sul lavoro. L’Emilia-Romagna è in testa alla classifica nazionale per quanto riguarda il settore dell’agricoltura ed è seconda in quello dell’industria dopo la Lombardia. Fra tutte le provincie Modena segna ancora il primato degli incidenti, che sulla base dei dati forniti dall’INAIL sarebbero in costante aumento nel triennio 1993-1996: il 20% del totale regionale w il 2,5 di quello nazionale. A denunciarlo è la CISL del capoluogo emiliano nell’ultimo dossier pubblicato dopo gli infortuni gravi e l’ennesimo morto di queste settimane: il caporeparto della Campopast di Campogalliano soffocato da un solvente giovedì sera, qualche giorno prima tre operai della linea ferroviaria ustionati in seguito all’esplosione di una bombola di gas.
Prendendo in esame la popolazione occupata nell’industria e nel terziario dal 1994, la provincia di Modena supera di un punto la percentuale regionale e quasi di tre punti quella nazionale. In tutto il 1996 si sono verificati 19.011 infortuni e 556 malattie professionali. Gli incidenti mortali sono stati 6 nell’edilizia, 2 nell’agricoltura fra dipendenti e 6 fra coltivatori diretti, 4 negli altri comparti. Una casistica in aumento rispetto agli anni precedenti. In sostanza se la media nazionale è di circa quattro infortuni ogni cento occupati a Modena sale a circa sette ogni cento che lavorano; uno in più della percentuale regionale. Ogni mille infortuni, 1,5 sono mortali. La maggior parte di questi si verifica nelle zone di Modena e Sassuolo, era il 50% nel 1994.
L’edilizia resta comunque il settore più a rischio. Gli addetti nell’ultimo anno sono diminuiti del 6%, ma ad ogni punto percentuale corrisponde un morto sul lavoro. La produzione è aumentata e questo fa intuire una escalation del lavoro nero. Meno allarmante seppur grave la situazione nell’intera regione, fornita da un’indagine conoscitiva sulla sicurezza e l’igiene nel lavoro effettuata da un comitato paritetico di Camera e Senato.
L’Emilia-Romagna è in testa quanto a infortuni nell’agricoltura: il 13% a fronte dell’8% del Veneto e della Lombardia. E per quanto riguarda l’industria se il primato spetta alla Lombardia con il 17,5%, il secondo posto è dell’Emilia-Romagna che con il 12,7% precede il Veneto. I dati nazionali parlano di 1.125 morti nel 1996 e di 864.000 infortuni.
Per denunciare la situazione modenese, il 26 luglio Rifondazione Comunista ha indetto una conferenza stampa durante la quale sono stati forniti i dati dell’ultimo censimento elaborato dalla CISL. Presenti fra gli altri Angela Bellei, il senatore Renato Albertini ed il capogruppo alla Regione Rocco Giacomino. Nel corso della mattinata è stata organizzata una occupazione simbolica dell’ispettorato del lavoro e si è svolto un incontro con il direttore dell’ispettorato di Modena.
Ne è emerso un quadro non troppo confortante degli strumenti operativi per l’applicazione della legge sulla sicurezza nel lavoro. Al momento gli ispettori di cui dispone la città e l’intera provincia sono sei, su 36.000 aziende presenti nel territorio.
Su questa ennesima emergenza si è messa in moto la Commissione lavoro del Senato, che nei prossimi giorni risponderà all’interrogazione presentata dai rappresentanti di Rifondazione comunista, Manzi, Albertini e Cò.
Le reazioni della CISL e del PRC modenese intanto si fanno sentire. Puntano il dito contro il protocollo d’intesa siglato ad ottobre dalle associazioni imprenditoriali e la provincia per ridurre il rischio di infortuni che è rimasto lettera morta.
La federazione del PRC in un documento diffuso ieri mattina sollecita il sindacato tutto ed i lavoratori a mobilitarsi per le garanzie di sicurezza sul lavoro. "Al sindacato - spiega Angela Bellei - chiediamo un atto di coraggio ed ai lavoratori di non subire passivamente ma di denunciare i rischi a cui sono sottoposti.
 

MAXICONCORSO REGIONALE:

QUALI SVILUPPI?

di DONATELLA MUNGO.

Lo svolgimento del ‘maxiconcorso’ indetto dalla Regione Emilia-Romagna per la copertura di 140 posti di 7° qualifica funzionale, a cui hanno partecipato 3.800 concorrenti, ha provocato aspre polemiche e reazioni sia da parte degli stessi concorrenti, che delle organizzazioni sindacali.
Questo episodio costituisce la conferma ulteriore della leggerezza e dell’incuria con cui, negli ultimi tempi, le strutture di questa Regione "maneggiano" procedure o esercitano controlli, venendo meno ad una tradizione di buon governo e di buona amministrazione che ha contraddistinto in passato l’Emilia Romagna.
Nel caso specifico, le procedure adottate - la cui pratica attuazione è stata demandata ad una società di consulenza esterna (la Praxi) -  hanno compromesso i diritti e le fondate aspettative dei candidati legittimati a partecipare alla fase successiva dell’iter concorsuale. A sostegno di tale tesi, in sede di verifica dei questionari compilati dai concorrenti, sono stati individuati diversi errori sia nella formulazione delle domande, sia nell’attribuzione delle risposte corrette, errori che inficiano una corretta valutazione dei concorrenti.
A più riprese e da più parti è stato richiesto alla Giunta di ammettere gli errori e di annullare il concorso; ma tant’è, la Regione ha deciso di andare avanti. Abbiamo assistito al balletto delle dimissioni (poi rientrate) dell’Assessore regionale Mariucci, alla ripubblicazione della graduatoria con gli aggiustamenti del caso, alla difesa spassionata condotta in Consiglio dalla Giunta sull’operato dei funzionari responsabili.
Com’era prevedibile, la decisione della Giunta di proseguire nelle attività concorsuali ha provocato una serie di ricorsi collettivi davanti al TAR, promossi sia dalle RdB che dalla Cisl. A questi hanno fatto seguito controricorsi da parte di alcuni dei concorrenti che, in base alle graduatorie, sarebbero stati idonei a partecipare alle successive fasi concorsuali. Si è determinata, in questo modo, una situazione di grave incertezza, che si sarebbe potuta evitare fin dall’inizio con l’annullamento dei provvedimento, decisione certo non facile, ma a nostro parere inevitabile.
Attendiamo l’esito finale dell’intera vicenda, prima di emettere giudizi definitivi. In conclusione segnaliamo soltanto che, in sede di movimentazione dei dirigenti, proprio la dirigente al Personale e all’Organizzazione, responsabile della procedura concorsuale in questione, è stata spostata ad altro incarico: sarà un caso oppure no?
 

RIENTRO DEI SAVOIA:

CONSIGLIO REGIONALE RESPINGE DOCUMENTO PRC

di ANGELO BARIANI

della Segreteria Regionale PRC Emilia-Romagna
Il Consiglio Regionale ha respinto a maggioranza (astensione della lega nord) una risoluzione di Rifondazione Comunista, presentata il 12 maggio 97, nella quale si esprimeva una "ferma contrarietà all’abrogazione dell’articolo 13 delle Disposizioni transitorie e finali della Costituzione che, tra le altre cose, vieta l’ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale ai discendenti maschi della Casa reale dei Savoia.
Rocco Giacomino, illustrando il documento, ha sottolineato le "gravissime responsabilità della monarchia in relazione all’avvento del fascismo in Italia che condusse il Paese ad una sanguinosa e rovinosa guerra mondiale ed alla promulgazione delle leggi di discriminazione razziale del 1938" ed ha ribadito che la "lotta antifascista, da cui è nata la Costituzione repubblicana, ha scritto indelebilmente la condanna di quel regime".
Contro la risoluzione, oltre la destra, ha votato anche il PDS. Daniele Alni, consigliere PDS, ha sottolineato: " La questione, a cui il PRC ha dato rilievo, non mi appassiona" aggiungendo di "comprenderne le ragioni", ma di valutarla sotto un’ottica simbolica che questa Repubblica può superare senza enfatizzare, perchè ormai passata alla storia. Sono convinto- ha concluso- che, a 50 anni di distanza e con tutto ciò che è accaduto dopo, l’Italia può senza traumi, pur rispettando le regole costituzionali, accettare come un fatto "normale" il rientro dei Savoia.
La stessa "normalità" ha ritenuto risolutoria la maggioranza del Consiglio Regionale della Toscana respingendo anche qui un ordine del giorno presentato dal PRC.
Il Consiglio Comunale di Torino ha invece approvato lo stesso ordine del giorno, con 24 voti a favore e 16 contrari, cioè la coalizione di sinistra (con Rifondazione) che governa contro le destre all’opposizione.
Considerazione finale: ciò è forse dovuto alla situazione storica che ha vissuto Torino con la famiglia reale in casa, oppure è la presenza di Rifondazione nella maggioranza che legittima le proposte del PRC ?

RISOLUZIONE
Il Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna
premesso
· che, ad oltre 50 anni dalla nascita della Repubblica, i valori di antifascismo, di libertà e di democrazia, incarnati nella Carta Costituzionale, fanno parte della nostra storia e sono profondamente radicati nelle coscienze degli italiani;
· che ritiene compito delle istituzioni mantenere viva la memoria del sacrificio umano e degli ideali che condussero alla lotta di liberazione e seppero ricostruire il paese al termine della guerra;
· che considera gravissime le responsabilità della monarchia in relazione all’avvento del fascismo in Italia, che condusse il paese ad una sanguinosa e rovinosa guerra mondiale, ed alla promulgazione delle vergognose leggi di discriminazione razziale del 1938;
ribadisce
· che la lotta antifascista, da cui è nata la Costituzione repubblicana, ha scritto indelebilmente la condanna di quel regime;
esprime
la propria ferma contrarietà all’abrogazione dell’articolo 13 delle Disposizioni Transitorie e Finali della Costituzione della Repubblica italiana, in assenza tra l’altro di un’esplicita rinuncia da parte dei discendenti di Casa Savoia alle prerogative dinastiche, che generano ambiguità sul loro ruolo istituzionale.
 

Una nuova disciplina del canone di concessione per lo sfruttamento delle acque minerali

La proposta del PRC

di DONATELLA MUNGO

Il progetto di legge, depositato dal nostro gruppo nel luglio scorso, parte dal presupposto che le acque sono un bene pubblico da tutelare e da salvaguardare, in linea con le disposizioni  della legge n. 36/94 (c.d. legge Galli). Le acque minerali e termali, superficiali e sotterranee, costituiscono, quindi, una preziosa risorsa che, a norma della nostra Costituzione e di successivi provvedimenti legislativi, appartiene ora al patrimonio regionale.
La Regione Emilia Romagna ha disciplinato la materia con L.R. 32/88, che si occupa delle concessioni di ricerca, di coltivazione e di estrazione delle acque minerali e termali, nonché delle norme igienico sanitarie e degli stabilimenti termali. Nella normativa regionale vigente è, però, assente la considerazione del bene "acqua" come risorsa, soprattutto in rapporto alla sua commercializzazione. Infatti, il concessionario di una fonte, indipendentemente dalla quantità d’acqua destinata all’imbottigliamento, versa attualmente un canone fisso, rapportato alla estensione in ettari della concessione.
In verità, l’utilizzo a fini commerciali delle acque minerali rappresenta l’aspetto più importante della questione. Basti pensare al consumo crescente di acqua minerale in bottiglia, stimato in Italia in più di 7.000 milioni di litri annui. Questa tendenza è confermata anche in Emilia Romagna, nel cui territorio si trovano ben 28 fonti destinate alla commercializzazione. Le acque minerali, quindi, sono una risorsa dei cui ingenti vantaggi economici traggono profitto solo le imprese commerciali.
Il progetto di legge di Rifondazione comunista, presentato dal capogruppo Rocco Giacomino e dalla consigliera Patrizia Cantoni, vuole salvaguardare l’impianto generale della legge regionale vigente, ma si propone l’obiettivo di mutare l’attuale impostazione del canone di concessione per lo sfruttamento a fini commerciali delle acque: non più l’estensione in ettari della concessione, bensì la quantità d’acqua sorgiva o captata, prevedendo altresì l’obbligatoria installazione degli appositi strumenti di misurazione.
Per mitigare il rigore di queste disposizioni  e per incentivare i produttori che si dimostrino sensibili al rispetto dell’ambiente e ad un uso collettivo dei beni pubblici, il nostro progetto di legge introduce delle agevolazioni che incidono sulla determinazione della base di calcolo. Le agevolazioni riguardano l’imbottigliamento in contenitori di vetro o in contenitori riciclabili, mentre per il quantitativo d’acqua fornito agli enti locali per l’uso pubblico di acqua potabile  non è dovuto alcun corrispettivo.
 

LULA, FONDATORE DEL PARTITO DEI LAVORATORI DEL BRASILE, INCONTRA IL PRC DELL’EMILIA-ROMAGNA

"Un incontro importante e significativo dal punto di vista politico, ma anche umanamente molto toccante ed emozionante". Così si è espresso il capogruppo di Rifondazione Comunista al Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna, Rocco Giacomino, dopo il colloquio durato oltre 50 minuti con Louis Ignacio da Silva, meglio conosciuto come Lula, fondatore  e leader carismatico del partito dei lavoratori brasiliano, artefice di innumerevoli lotte sindacali negli anni ’70 e ’80 contro il regime dittatoriale militare brasiliano, ed in seguito per due volte candidato alla Presidenza del Brasile: nel 1989 e 1994.
All’incontro con Lula, accompagnato da Gilberto Carballo (resp. Dipartimento comunicazione del PT) e dall’economista Paolo Vannucci, svoltosi il 16 Ottobre scorso presso la sede del gruppo PRC nell’ambito della visita dell’esponente brasiliano nella nostra regione, erano presenti anche la Consigliera Patrizia Cantoni, l’addetto stampa Claudio Adelmi e  Stefano Maruca, della segreteria della Camera del lavoro della CGIL di Bologna. L’enorme seguito popolare tra i poveri e gli esclusi del Brasile e l’eco in tutto il mondo delle sue battaglie per la libertà e per i diritti dei lavoratori fanno di Lula uno dei personaggi di spicco dell’intero movimento internazionale dei lavoratori e della sinistra di questo secolo, che lotta contro il neoliberismo.
Giacomino ha dato il saluto di benvenuto a Lula, a nome di tutti i comunisti dell’Emilia-Romagna, seguito da uno scambio di informazioni ed impressioni sulla situazione dei rispettivi paesi. Il leader brasiliano si è dimostrato particolarmente interessato agli sviluppi della recente crisi di governo in Italia e al ruolo avuto da Rifondazione Comunista per una sua positiva conclusione. Anche in Brasile il tema dell’unità delle sinistre è all’ordine del giorno, in vista delle presidenziali dell’anno prossimo. Lula ha denunciato la chiusura dell’attuale governo brasiliano verso ogni ipotesi di riforma agraria e di miglioramento della condizione di vita dei lavoratori, un governo che punta solo al neoliberismo ed agli aiuti al grande capitale, pagati con i soldi dei brasiliani.
Giacomino, richiamandosi ad una frase di Lula ("non è possibile che l’umanità continui ad essere divisa tra quelli che non dormono perché hanno fame e quelli che non dormono perché hanno paura di quelli che hanno fame"),  ha affermato l’importanza di "costruire luoghi e percorsi dove, gli antagonisti alla religione del neoliberismo, i comunisti, la sinistra, dal Chiapas, al Sudamerica, dall’Europa, all’Asia, tutti fratelli e compagni nella stessa lotta, possano incontrarsi, scambiarsi esperienze e lottare per una prospettiva comune, in un contesto internazionale che vive la realtà della mondializzazione". Il fraterno incontro si è concluso con un lungo abbraccio ed un simbolico scambio di doni, così Lula tornerà nel suo paese con la bandiera di Rifondazione Comunista.
 

BREVI

sintesi dei documenti del prc

presentati in consiglio regionale

di ALESSANDRA BARBONI

Scadeva il 10 aprile il termine per predisporre negli edifici pubblici un sistema di chiamata per l’assistenza ai disabili. A rammentarlo è Rocco Giacomino, capogruppo regionale PRC che ha presentato il 22 aprile un’interpellanza per sapere cosa sia stato fatto in questo senso dalla Regione negli edifici di propria competenza.

Il 22 aprile Rocco Giacomino interroga la giunta affinché solleciti il Governo per individuare con urgenza un luogo idoneo per lo stoccaggio definitivo delle scorie nucleari ancora presenti nella centrale di Caorso (PC) inattiva dopo la scelta antinucleare compiuta dal popolo italiano con referendum, subordinando a questo ed alla garanzia della sicurezza delle operazioni l’avvio dello scaricamento del reattore da elementi combustibili ancora presenti.

Il 23 aprile il PRC interviene con un’interpellanza di Giacomino sulla vicenda dei tributi non dovuti ai Consorzi di bonifica. Lo spunto è offerto dall’iniziativa del Comune di Ferrara che ha intimato ai Consorzi la restituzione, interessi inclusi, di quelle somme raccolte dal 1986 ad oggi ma non dovute. Si chiede se la Giunta condivida l’iniziativa ferrarese che prevede anche la contestuale cancellazione dello stesso Comune dall’elenco dei soggetti al tributo delle bonifiche.

Il 23 aprile Rocco Giacomino è intervenuto, con un’interrogazione, sull'intenzione delle Ferrovie dello Stato di attuare, nella bozza di orario estivo, tagli alle linee locali, in particolare, sulla linea Carpi-Modena, rilevando che simili tagli penalizzano i pendolari che utilizzano il servizio pubblico per motivi di lavoro.

Il 29 aprile l’ipotesi di un ridimensionamento del reparto di ostetricia e ginecologia dell’Ospedale di Porretta Terme (Bo) è nuovamente al centro di un’interpellanza del gruppo di Rifondazione Comunista, insoddisfatto della risposta data dall’assessore regionale alla sanità ad una precedente interrogazione. I consiglieri sollevano numerose perplessità sul fatto che le dichiarazioni di Bissoni si basano su di una bozza programmatica predisposta dall’Ausl Bologna sud che si discosta dal Piano attuativo locale, approvato dalla Conferenza dei sindaci, il quale prevede la riorganizzazione del reparto in oggetto, ma non la soppressione delle attività legate al parto.

Il 29 aprile Rifondazione chiama la Regione in "soccorso" del Comune ferrarese di Ostellato. All’origine dell’appello - ufficializzato con una interrogazione di Giacomino - la complessa e lunga vicenda di un impianto di riciclaggio rifiuti con produzione di compost. Un’opera accettata dal Comune per il "diktat" della Provincia e per creare occupazione, ma troppo onerosa per un piccolo Comune che si ritroverebbe ora in stato di completo abbandono.

Il 6 maggio sul caso di alcuni immobili dell’Inps a Montecatone, presso Imola, Patrizia Cantoni e Daniela Guerra, dei verdi, interrogando la giunta, chiedono di verificare la possibilità di dare in locazione questi beni allo stesso Comune di Imola ed inoltre evitare eventuali manovre speculative.

Il 22 maggio il mancato rilascio, da parte della Commissione Tecnica sulle Malattie Professionali dell'Inail, a 150 operai bolognesi della certificazione che testimoniasse l'effettivo contatto ultradecennale con l'amianto ha provocato la reazione dei consiglieri Giacomino e Cantoni che in un’interrogazione chiedono se la Giunta regionale ha intenzione di intervenire presso l'Inps per trovare una opportuna soluzione al problema.

Il 12 giugno la consigliera di rifondazione comunista Patrizia Cantoni in una interpellanza chiede, come avviene in molti paesi europei, fin dagli anni ‘70, sostegno ed incentivi alla coltivazione della canapa sativa. L’utilizzo di questa coltura, visti i non trascurabili vantaggi, andrebbe incentivato anche nella nostra regione; per questo la Cantoni chiede di utilizzare i fondi CEE.

La decisione della società Ferrovie dello Stato, assunta nell’ambito della riorganizzazione del trasporto merci della tratta Bologna-Piacenza, di declassare, dal 1° al 2° livello, lo scalo merci di Fidenza, mantenendo come scalo di 1° livello nel reparto territoriale di Parma solo quello del capoluogo, ha spinto il capogruppo del PRC, Rocco Giacomino, a presentare un’interrogazione per sapere se la Giunta regionale ritenga opportuna tale intenzione e, in caso negativo, quali azioni intenda intraprendere per ottenere un ripensamento da parte della società FS.

Il 18 giugno un’interpellanza di Patrizia Cantoni fa presente che in oculistica è in uso una metodica di correzione dei difetti rifrattivi che si avvale di una nuova tecnologia, il laser ad eccimeri, che, tuttavia, non è in grado di affrontare patologie della vista e quindi non ha finalità curative, se non in un ridottissimo numero di casi. Visto che i costi del laser ad eccimeri e la sua manutenzione sono elevatissimi, Patrizia Cantoni chiede se tali prestazioni sono a carico della sanità pubblica e se le strutture sanitarie pubbliche si stanno dotando i questi costosi macchinari.

Il 24 giugno Rifondazione Comunista ha chiesto, con una risoluzione, l’istituzione di una Commissione d’inchiesta per l’accertamento di possibili responsabilità o di colpevoli omissioni nella conduzione della vicenda della sparizione dei verbali, relativi all‘attività istruttoria del nucleo di valutazione tecnica circa i progetti da ammettere a contributo per l’anno 1996, secondo quanto previsto dalla legge regionale 37/1992.

Il 24 giugno i gravissimi episodi di violenza nei confronti della popolazione civile somala di cui, secondo notizie stampa, si sarebbero resi responsabili alcuni militari italiani durante la missione di pace Ibis, sono al centro di una risoluzione, presentata dai consiglieri regionali PRC. Il documento impegna la Giunta ad intervenire presso il Ministero affinché, da un lato, sia data piena collaborazione ai membri della Commissione d’inchiesta, incaricata di far luce sullo svolgersi degli avvenimenti in questione e di ricercarne i responsabili e, dall’altro, sia esercitata compiutamente una severa attività di vigilanza per scongiurare il pericolo di violenze gratuite durante successive missioni di pace all’estero.

Il 27 giugno la consigliera regionale del PRC, Patrizia Cantoni, ha presentato un’interpellanza alla Giunta della Regione Emilia-Romagna affinché intervenga presso il Governo per salvaguardare i fondi destinati ai programmi di accoglienza per i profughi della ex Jugoslavia. Molti piccoli comuni della nostra regione, impegnati sin dal 1994 nell’accoglienza per i profughi della ex Jugoslavia, ancora aspettano i finanziamenti per il 1996 (è il caso, ad esempio, di Malalbergo, in provincia di Bologna), nonostante il rifinanziamento della legge 390/92. Si chiede di ripristinare la destinazione dei fondi perché l’emergenza dei profughi della ex Jugoslavia, vista la situazione in Bosnia del dopo Dayton, è tutt’altro che esaurita.

Il 14 luglio i consiglieri del PRC Giacomino e Cantoni con un’interrogazione denunciano il grave comportamento di una cooperativa edilizia di Fidenza (PR), beneficiaria di finanziamenti regionali, che avrebbe imposto ad alcune famiglie di cittadini immigrati, residenti nel comune e soci della cooperativa stessa, canoni di affitto incredibilmente elevati, non rispettando i criteri fissati dalla Regione per poter accedere ai finanziamenti (appartamenti di almeno 64 metri quadrati con canoni di affitto ai quali dovrebbe essere applicato l’equo canone e obbligo dell’integrazione etnica). I consiglieri giudicano estremamente negativa la lentezza della Regione nell’attuazione dei controlli previsti dalla normativa nazionale e nell’accertamento della verità.

Il 14 luglio viene presentata una interrogazione dal capogruppo Rocco Giacomino in merito al  progetto di trasporto rapido costiero (TRC) (metropolitana di costa) che prevede la realizzazione di una corsia per filobus a fianco alla linea ferroviaria Rimini-Ancona. Questo progetto comporta pesanti conseguenze di impatto ambientale e costi elevati. Si chiede di conoscere se siano stati presentati o richiesti progetti alternativi che abbiano tenuto conto dei risultati degli studi sulla viabilità condotti per conto della Regione Emilia-Romagna, dai quali emergeva l’oppor-tunità di procedere ad un potenziamento della linea ferroviaria, quali siano stati i motivi che hanno indotto a scegliere il progetto della metropolitana di costa rispetto ad altri e se siano stati richiesti finanziamenti alla Commissione Europea.

Il 16 luglio Patrizia Cantoni, assieme ad altre consigliere del PDS e alla verde Guerra, è firmataria di una risoluzione, approvata dalla maggioranza, in merito ai recenti episodi di teppismo contro la Case delle Donne, a Ravenna, e contro la Casa per non subire violenza, a Bologna. Nel documento, oltre alla denuncia della estrema gravità di quanto accaduto (danni agli ambienti, furti di denaro e di schedari con l’elenco delle socie), si esprime solidarietà alle donne colpite e si chiede alla Giunta regionale di proseguire nel sostegno alla rete dei centri che svolgono, grazie all’opera di centinaia di volontarie, un servizio alle donne colpite da atti di violenza sessuale.

Il 22 luglio Patrizia Cantoni e Rocco Giacomino, con una interrogazione, chiedono di sapere se la Regione ha partecipato al finanziamento della Fondazione Alma Mater di Bologna, in quanto giudicano estremamente grave che soggetti privati, detentori della maggioranza del capitale di partenza della Fondazione, intervengano direttamente nella gestione delle strutture universitarie, (vedi ad esempio la costruzione da parte della Fondazione di uno studentato di lusso a fronte di richieste di studenti a reddito medio-basso che devono pagare canoni di affitto esorbitanti) utilizzando denaro pubblico senza alcuna possibilità di controllo o verifica da parte degli Enti erogatori.

Il 23 luglio Il Gruppo PRC chiede alla Giunta regionale di impartire ai direttori generali delle Ausl disposizioni per dare applicazione alle regole sulla mobilità del personale tenendo conto, in particolare, di documentate esigenze familiari e sociali.

Del 31 luglio l’interpellanza con l’intento di far riaprire e modificare il bando di un appalto concorso, indetto dal Consiglio regionale, per un ciclo sperimentale di trasmissioni radiofoniche sulla propria attività. Il bando, così come congegnato, non distingueva tra radio commerciali e comunitarie; prevedeva inoltre che le radio concorrenti si organizzassero comunque tassativamente in pool di più emittenti - per coprire tutta la regione - anche quando una singola emittente fosse in grado di raggiungere da sola tutto il territorio regionale. Obiettivo del PRC è consentire alle radio escluse la reale possibilità di contribuire ad una più ampia comunicazione delle attività del Consiglio regionale.

Il 1 agosto il Gruppo PRC ha chiesto alla Giunta regionale, interrogandola, di intervenire presso le Ferrovie dello Stato per verificare il rispetto dell’accordo sottoscritto con i sindacati, in tema di applicazione delle norme di sicurezza all’interno delle ditte a cui vengono appaltati i lavori di manutenzione delle linee, ricordando l’incidente, l’ultimo di una lunga serie accaduta sulla linea Milano-Bologna, accaduto all’altezza di Castelfranco Emilia (Mo), provocato dall’esplosione di una bombola che avrebbe procurato gravi ustioni a tre lavoratori. I consiglieri domandano se siano rispettate tutte le norme di sicurezza sul lavoro nel tratto ferroviario in oggetto e quali interventi, nell’ambito delle competenze regionali, si intendano porre in essere per garantire una maggiore sicurezza nei luoghi di lavoro.

Il 23 settembre una interpellanza del PRC chiede di conoscere le ragioni del mancato avvio in Emilia Romagna del televideo regionale RAI. E’ dovuto ad uno scarso interessamento da parte della RAI o alla scelta di privilegiare il teletest regionale, tramite l’URP, che garantisce maggior risalto alle attività della Giunta regionale?

Il 30 settembre il capogruppo Giacomino, con una interpellanza, prende posizione contro l’iniziativa privata autorizzata dal Comune di Cento (FE) per la realizzazione di un parcheggio e di mini appartamenti nel centro storico con interventi di demolizione e ristrutturazione all’interno del ghetto ebraico. Giacomino chiede alla Giunta regionale di verificare la compatibilità dei sopra descritti interventi con il preminente interesse, storico e architettonico, alla tutela del ghetto ebraico.

Il 10 ottobre Rocco Giacomino ha portato direttamente sui banchi della Giunta regionale il caso di una vasta nube tossica sprigionatasi lo scorso 26 settembre tra Vignola e Spilamberto, nel modenese, ed i problemi dell’area interessata da alcuni stabilimenti dell’"ex Sipe Nobel", una società impegnata in prodotti esplodenti. La nube, composta perlopiù di nitrocellulosa e gas ammoniacali, ha provocato l’evacuazione delle scuole della località Bettolino e l’abbandono del lavoro da parte di numerosi operai.

Rocco Giacomino in un’interpellanza denuncia la scarsa collaborazione ed i costanti ritardi nelle informazioni, anche nelle più semplici e meramente statistiche, stile che caratterizzerebbe in più di una occasione l’assessorato alla sanità della Regione, a differenza di altri assessorati ben organizzati. Tutto ciò, tenuto conto della importanza strategica del settore sanità, crea notevoli problemi al lavoro dei consiglieri regionali.

Il 7 ottobre diversi gruppi consiliari (PRC - PDS - Verdi - Socialisti - CDU) con una risoluzione esprimono un rifiuto alla "manipolazione" dei prodotti naturali, quali soia e mais.