Rifondazione Comunista in Emilia-Romagna
notiziario ufficiale del Gruppo PRC dell'Emilia-Romagna
numero di NOVEMBRE 1997
Rifondazione la sanita’e la riforma del welfare emiliano
(Rocco Giacomino)
PRC e PDS dopo la crisi in Emilia-Romagna (Leonardo Masella)
Diario di bordo (Ugo Boghetta)
Sanità: basta tasse, basta tagli (Rocco Giacomino)
Sanità: l'ostruzionismo di Rifondazione blocca
l'approvazione dei piani locali (Barbieri)
Campagna d'autunno del PRC in difesa della sanità
pubblica (Bonforte - Testi)
Psichiatria: le scelte sbagliate della Regione (Cantoni)
Contro l'alta velocità (Adelmi)
Riforme istituzionali e forma dello stato (Giacomino)
Fisco: lotta all'evasione e più autonomia alle
Regioni (Albertini)
La difesa del sistema scolastico pubblico (Graziosi)
Più ombre che luci nella nuova legge regionale
sulle deleghe nel settore agricolo (Cantoni)
Modena, record di infortuni sul lavoro: il PRC occupa
l'ispettorato (De Simone)
Maxi concorso regionale. quali sviluppi (Mungo)
Rientro dei Savoia in Italia, respinto un odg del PRC
(Bariani)
Una nuova disciplina del canone di concessione per lo
sfruttamento delle acque minerali (Mungo)
Lula incontra il PRC dell'Emilia-Romagna
Brevi (sintesi dei documenti del PRC presentati in Consiglio
Regionale)
Rifondazione la sanita’e la riforma del welfare emiliano
di ROCCO GIACOMINO
Capogruppo PRC Emilia-Romagna
La situazione della sanità in Emilia-Romagna assumerà, soprattutto
nei prossimi mesi, un rilievo preminente per la qualità della vita
delle cittadine e dei cittadini della nostra regione. Il PRC ha promosso
a livello regionale una campagna d’autunno in difesa della sanità
pubblica contro tagli e rischi di privatizzazione. Infatti, la riforma
del Welfare, di cui tanto si parla in queste settimane, in Emilia-Romagna
è già cominciata, a partire proprio dalla sanità,
ed i suoi frutti concreti si chiamano PAL, letteralmente Piani Attuativi
Locali. Nel corso delle ultime sedute del Consiglio regionale, sono stati
definitivamente approvati i primi Piani, dopo che nel luglio scorso l’ostruzionismo
di Rifondazione Comunista aveva impedito di votarli frettolosamente senza
adeguati approfondimenti, e senza la partecipazione dei cittadini, degli
operatori e delle forze sociali. Lo stesso sindacato ha espresso posizioni
molto critiche nei confronti delle politiche sanitarie della Giunta regionale.
L’Emilia Romagna funge così da ‘apripista’, in questa come in
altre questioni, assumendo la veste di laboratorio sperimentale per il
futuro dello Stato Sociale. Le notizie, però, non sono affatto rassicuranti:
per i cittadini emiliano romagnoli sono in arrivo tagli, riduzioni di servizi,
chiusura di reparti ed ospedali, interventi e tagli sul personale (circa
1.200 in meno nei prossimi anni), mentre si allungano i tempi di attesa
per le visite specialistiche e si annunciano nuove tasse per risanare il
deficit sanitario (dal 1° gennaio 1998 aumenterà del 10% il
bollo auto e di 30 lire al metro cubo il gas metano da riscaldamento),
una stangatina che costerà 100 mila lire ad ogni famiglia emiliana.
La cosiddetta razionalizzazione del servizio ospedaliero, in particolare,
prevede il taglio di circa 2.500 posti letto sugli oltre 20.000 attuali,
mentre regredisce la qualità della prevenzione ed esplode la situazione
in ambito psichiatrico laddove, dopo la chiusura delle strutture manicomiali,
si rischia di disperdere un grande patrimonio di operatori motivati e dotati
di sapienza medica, che avevano reso questa regione un modello per altre
realtà del Paese. E, nonostante questa cura dimagrante, Confindustria
chiede spudoratamente un ulteriore taglio del 10% (circa 800 miliardi)
della spesa sanitaria regionale che nel corso dell’ultimo quinquennio si
è già ridotta significativamente.
Qual è, dunque, la direzione di marcia che la maggioranza di
centrosinistra al governo della Regione intende perseguire per il futuro
del sistema sanitario pubblico? Lo chiedo non solo per ragioni evidentemente
politiche, ma anche perché occorre fare chiarezza su questo punto,
affinché l’opinione pubblica, i cittadini, gli operatori, i sindacati
e tutti gli attori dello scenario politico e sociale della nostra regione
possano avere sufficienti elementi di giudizio per approvare o respingere
gli obiettivi che si intendono raggiungere. Le dichiarazioni contrastanti
di due membri della Giunta regionale, quali l’Assessore alla Sanità
Bissoni (PDS) ed il Presidente della Regione La Forgia, autorevole esponente
nazionale dell’area ulivista del PDS, non aiutano a dare trasparenza e
comprensibilità ad un confronto che tocca diritti costituzionalmente
garantiti. Il primo, infatti, in più occasioni ha riaffermato il
principio dell’universalismo delle prestazioni’ e la superiorità
dei servizi sanitari pubblici, il secondo, invece, manifesta evidenti nostalgie
per un sistema sanitario basato su mutue private, rifacendosi ad un modello
superato nel 1978 dalla legge 833 ed immagina uno "stato sociale minimo"
che copre solo da alcuni rischi sanitari lasciando al mercato tutto il
resto.
E’ prioritario che il PDS sciolga i dubbi sulle sue intenzioni ed accantoni
paure ed esitazioni nell’affrontare con franchezza un confronto serio sui
temi della sanità. Innovazione e rilancio della Sanità Pubblica
o Stato Sociale minimo? Lo sviluppo di rapporti unitari fra il PDS ed il
PRC in Regione Emilia-Romagna, che pure perseguiamo con decisione, dipenderà
in larga parte dal tipo di orientamento che prevarrà.
Bisogna ricostruire un "Nuovo Patto" con i cittadini, teso a garantire
il mantenimento di un modello di sanità pubblica ed universalistica
che, anche con modalità diverse di finanziamento, continui ad assicurare
gli alti standard delle prestazioni che da sempre hanno contraddistinto
la nostra Regione. Occorre, inoltre, intervenire innanzitutto rifinanziando
la spesa sanitaria nazionale (una delle più basse d’Europa) e solo
in seguito, se le Regioni potranno godere di una maggiore autonomia finanziaria,
si potrà pensare anche a forme di compartecipazione dei cittadini
alla spesa, ma secondo criteri di equità e progressività.
Rifondazione Comunista si impegnerà affinché questa svolta
si realizzi e l’Emilia-Romagna divenga laboratorio per politiche sanitarie
innovative che arginino l’onda neoliberista che rischia di travolgere anche
gli alti livelli di civiltà raggiunti in questa regione.
Questo è il nostro difficilissimo compito, e la stessa costruzione
di un partito di massa, dipenderà in larga parte dalla nostra capacità
di favorire una svolta che imprima al centrosinistra emiliano un segno
autenticamente riformatore. Non sarà facile, ma con decisione si
deve tentare di costruire, anche in Regione, rapporti unitari con le forze
del centrosinistra, per far pesare le nostre proposte e le nostre idee,
per invertire le tendenze in atto e rilanciare lo stato sociale in Emilia-Romagna.
Nella nostra regione vi è ancora un grumo forte di saperi, esperienze,
tradizione e coesione sociale che rendono possibile questa sfida: dalla
speranza alla prospettiva concreta di maggior benessere e di una migliore
qualità della vita per i ceti popolari. Dunque, senza timori, sfidiamo
anche noi stessi; solo perseguendo questa linea con radicalità ed
unità, eviteremo i rischi di omologazione o testimonianza.
PRC E PDS DOPO LA CRISI IN EMILIA-ROMAGNA
LA CRISI VISTA DA BOLOGNA
di LEONARDO MASELLA
Segretario regionale PRC Emilia-Romagna
Lo scontro fra Rifondazione Comunista e il governo sulla legge finanziaria
si è per il momento concluso con un accordo, soddisfacente.
La salvaguardia dell’80% delle pensioni d’anzianità, lo spostamento
di 500 miliardi dai tagli alla spesa sociale all’evasione fiscale, l’eliminazione
di odiosi ticket sanitari e soprattutto il risultato storico delle 35 ore
per legge dal 1° gennaio del 2001, sono i punti più significativi
di un accordo che si è potuto raggiungere purtroppo solo passando
da una rapida ma pesante crisi di governo. Le reazioni della Confindustria
e dei leaders dei sindacati confederali, che il giorno prima dell’accordo
applaudivano la finanziaria e il governo e il giorno dopo hanno scatenato
l’attacco al governo e all’accordo con Rifondazione Comunista, sono la
dimostrazione più evidente del successo della nostra iniziativa.
Ma ancora più illuminante del nostro successo è la reazione
del PDS e del suo segretario nazionale, il quale appena concluso l’accordo
non ha potuto trattenersi dal tornare a polemizzare con Rifondazione Comunista.
Come mai questo nuovo attacco? Bisogna tornare un po’ indietro. L’obbiettivo
tutto politico di D’Alema prima della crisi di governo era il seguente.
Fare stipulare un accordo fra Governo, Confindustria e Sindacati sullo
stato sociale (con contenuti peggiorativi per i lavoratori) per costringere
Rifondazione Comunista o ad umiliarsi accettandolo o a isolarsi facendo
cadere il governo Prodi. I contenuti non c’entravano niente, la finanziaria
è stato un pretesto per il PDS. L’obiettivo era tutto politico,
era ed è l’assillo, il chiodo fisso che ha Massimo D’Alema: cancellare
Rifondazione Comunista. O ridurla ad una appendice subalterna al PDS e
poi incorporarla nella Cosa-2 o Cosa-3 (come ha fatto con i cosiddetti
comunisti unitari) oppure ridurla ad una forza testimoniale e minoritaria.
Rifondazione Comunista è ancora una volta riuscita a sfuggire
a questa tenaglia. E Massimo D’Alema non ne può più e ritorna
immediatamente alla carica, giungendo questa volta esplicitamente a negare
la possibilità stessa di esistenza nel futuro di due partiti di
sinistra, il PDS e il PRC, e quindi a rivelare qual è il suo vero
obiettivo: cancellare Rifondazione Comunista come partito autonomo a sinistra
del PDS.
Dopo questo ennesimo attacco al nostro partito ci rivolgiamo con molta
pazienza al PDS dell’Emilia-Romagna, con cui pure prima dell’aggressione
dei giorni della crisi di governo avevamo costruito rapporti positivi di
collaborazione unitaria e improntati al rispetto reciproco. Rifondazione
Comunista dell’Emilia-Romagna non ha intenzione di proseguire nei rapporti
col PDS in questo modo. Noi siamo disponibili, anzi proponiamo accordi
elettorali, iniziative unitarie, la massima unità d’azione delle
sinistre, ma a partire dal riconoscimento e dal rispetto reciproco. Le
affermazioni di D’Alema sono come se noi dicessimo che in Italia c’è
solo una sinistra, la nostra, e che il PDS è destinato o a diventare
un partito di centro oppure a fare assieme a Rifondazione Comunista un
partito comunista più grande. Ovviamente una tesi del genere sarebbe
offensiva per la dignità del PDS con cui si vuole costruire un rapporto
unitario. Vogliamo anche far notare che queste minacce periodicamente rivolte
nei nostri confronti non solo provocano un clima di diffidenza e di settarismo
controproducente ai fini dell’unità delle sinistre e degli interessi
dei lavoratori, ma sono destinate al fallimento come è già
avvenuto in recenti precedenti tentativi (la Bolognina, 6 anni fa; la vicenda
della fiducia al governo Dini, 2 anni fa; l’operazione della finanziaria
‘98, dei giorni scorsi).
Peraltro la tesi da cui parte D’Alema, e cioè che in tutto il
mondo, dopo la fine dell’Unione Sovietica, non esisterebbero più
partiti e forze comuniste e antagoniste al capitalismo, non ha nessun fondamento.
Pertanto invitiamo i dirigenti del PDS a rassegnarsi all’esistenza
(consistente) e all’iniziativa autonoma del Partito della Rifondazione
Comunista, che esce fra l’altro rafforzato dal confronto dei giorni scorsi
con il governo Prodi. Questo è l’unico modo per riprendere, dopo
le polemiche dei giorni scorsi, rapporti unitari a sinistra e un confronto
nel merito e sui contenuti di una politica progressista a Roma e in Emilia-Romagna.
DIARIO DI BORDO
LA CRISI VISTA DA ROMA
di UGO BOGHETTA
Deputato PRC
La crisi vista dai Palazzi di Roma è in parte diversa da come è
stata letta e vissuta dal normale cittadino. Infatti già dall’inizio
di settembre si cominciava a percepire che la crisi vera e lo scontro sarebbe
stato duro. Fuori, anche in Rifondazione, ci si è accorti di ciò
solo nella fatidica settimana di crisi.
In quei giorni però la crisi nei palazzi era già fatta.
Ha pesato infatti il palese cambio di atteggiamento di Prodi che da mediatore
con il PRC era passato con D’Alema nel tentativo di svincolarsi dal condizionamento
dei comunisti. Da settimane i parlamentari del PDS andavano ostinatamente
minacciando il ricorso alle elezioni calcolando l’impatto elettorale di
Di Pietro nella possibile sostituzione dei voti di Rifondazione Comunista.
A questa supponenza facevano però riscontro le perplessità
dei parlamentari ulivisti del nord, i quali vedevano già tutti i
loro collegi vinti dai leghisti. Infatti i leghisti erano gli unici a tifare
per D’Alema e le elezioni anticipate. Motivo comune, e solo apparentemente
contraddittorio, era invece il pressing per la nostra entrata al governo:
annacquati. Ciò giustificava ai loro occhi lo scontro con il PRC.
Qui sta invece il senso comune con cui da tanti è stata vissuta
la crisi: il politicismo. Nemmeno i parlamentari si accorgono che le divergenze
fra Ulivo e PRC sono pesanti ed hanno carattere strategico tali per cui
è impossibile allo stato attuale un accordo programmatico. Sapevano
però che da mesi il governo operava in assoluta autosufficienza,
senza o contro Rifondazione. La presentazione della Finanziaria dell’arroganza
era il suggello di una politica che veniva da lontano.
Per questi motivi l’apertura della crisi fra i parlamentari non aveva
la virulenza, ad esempio, dei tempi di Dini, né quella che invece
si è manifestata a livello di base. In entrambi i casi però
prevale l’incomprensione di un modo di far politica di Rifondazione che
rompe gli schemi consueti della sinistra: coerenza fra il dire ed il fare,
basta con i sacrifici, fine dei due tempi, no al suicida senso della responsabilità
nazionale che riguarda sempre e solo le classi popolari. A tutti costoro
sfugge, e c’è un’incapacità vera a comprendere, che il continuo
scontro dentro la maggioranza, l’impossibilità attuale per il PRC
di entrare al governo dipendono dalla rapida involuzione verso posizioni
centriste sia sul piano politico e ideologico (pensiero unico). C’è
ancora una lettura vecchia dell’evoluzione della sinistra. Si pensa ancora
(qualcuno anche dentro Rifondazione) che il PDS evolva verso posizioni
laburiste; ma il laburismo oggi non è nemmeno una foglia di fico
(vedi Blair) di una versione moderata del liberismo. Lo vediamo nelle privatizzazioni
spinte, nel modo in cui si affronta i problemi del mondo del lavoro e dello
stato sociale, nonché riguardo alla democrazia (bicamerale).
Tutte le anime belle si stupiscono che il PRC ponga con tanta forza
la politica al primo posto contro un modo di governare, che senza di noi,
sarebbe assoggettato alle esigenze dei mercati finanziari. Non si accorgono
che ciò che è vecchio è la politica che diventa amministrazione
dell’esistente. Non si ricordano che contro questa politica nasce la sinistra.
In realtà dunque è la mancanza di una sinistra moderata all’interno
della maggioranza ad essere causa delle tensioni. Dall’altra sono i successi
del PRC a non far dormire D’Alema e a rendere gli scontri così aspri.
Il maggioritario produce i suoi mostri, la bicamerale farà il resto.
La riduzione dell’orario di lavoro, lo stato sociale, la democrazia saranno
temi di un duro confronto. Compagni tenetevi forte.
SANITÀ: BASTA TASSE, BASTA TAGLI!
PDS e centrosinistra sempre più in crisi di consenso.
Il PRC per il rilancio ed il rifinanziamento del Welfare emiliano.
NOTA STAMPA del Capogruppo PRC Rocco Giacomino
La Giunta regionale ha varato il progetto di legge con il quale intende
attuare la ‘manovrina’ per la copertura del mutuo quindicennale di 840
mld. acceso per il ripianamento del deficit sanitario. Gli interventi riguardano
le tasse automobilistiche regionali, con un aumento del 10%, e il gas metano,
che aumenta di 13 lire al metro cubo per uso domestico e di ben 30 lire
al metro cubo per uso civile. Il nuovo, pesante balzello ricadrà
sulle cittadine e sui cittadini emiliano romagnoli in maniera indiscriminata.
Non si prevede nessun meccanismo di equità fiscale, nessun criterio
di progressività per mitigare il rigore della nuova imposizione.
Gli utenti del servizio sanitario, già provati da tagli e peggioramenti
in termini quantitativi e qualitativi, saranno costretti ad accollarsi
l’onere di risanare il settore sanitario, senza che, d’altra parte, si
assista ad un intervento serio sulle reali diseconomie e sugli sprechi
che incidono sul disavanzo sanitario in questa Regione. Rifondazione
dice ancora una volta ‘NO’ alla riproposizione di provvedimenti-tampone,
che sanno di minestra riscaldata ed i cui effetti si ripercuotono sempre
e comunque sulle tasche dei cittadini più deboli. Occorre pensare
ad una soluzione di lungo periodo, che interrompa il trend negativo in
atto in questa regione. Basta con i tagli e con le tasse: si agisca invece
sulle cattive gestioni, sulle inefficienze, sugli scandalosi stipendi di
manager e direttori sanitari, sulle spesso inutili e costose convenzioni.
È necessario, inoltre, intervenire sui trasferimenti statali alle
Regioni per il settore sanitario, in linea con gli standard quantitativi
degli altri paesi europei, così da innalzare l’intera nazione al
livello dell’Emilia Romagna ed evitare che sia l’Emilia Romagna a doversi
adeguare alle realtà più arretrate del nostro paese. Si deve
indicare un prospettiva che salvaguardi i livelli avanzati raggiunti da
questa Regione, ripiani gradualmente il deficit sanitario e rifinanzi il
welfare emiliano, con la compartecipazione di tutti i cittadini, ma con
modalità che assicurino equità e progressività.
La maggioranza di governo dell’Emilia Romagna abbia il coraggio di aprire
un confronto di alto profilo con tutte le forze politiche, sociali e sindacali
della nostra Regione per rifondare una patto che garantisca alle generazioni
future benessere, coesione e opportunità di vita. Questo i cittadini
chiedono alle forze della sinistra: le politiche neoliberiste lasciamole
fare alla destra.
Sanità: l’ostruzionismo di Rifondazione blocca l’approvazione
dei piani locali
di Daniele Barbieri
Pubblichiamo l’articolo apparso sull’Unità Mattina Bologna il 30
Agosto 1997
L'ha spuntata Rifondazione: la discussione in Consiglio regionale sui primi
8 Pal (piani attuativi locali) della sanità è rinviata al
10 settembre. Dopo due giorni "bloccati" dall'ostruzionismo ("diritto alla
resistenza" secondo Rc) i capigruppo hanno raggiunto questa mediazione
che in pratica prende atto dell'impossibilità tecnica di arrivare
al voto entro oggi. Già circolavano scommesse e qualcuno sosteneva
che tutto si sarebbe deciso sul filo dei minuti. L'obiettivo della maggioranza
era sbloccare entro le 18,14 di oggi l’ostruzionismo di Rifondazione Comunista.
Opposta l'ambizione di Rocco Giacomino, Patrizia Cantoni e Carlo Rasmi
(consiglieri regionali di Rc): arrivare alle 18, 16 per ottenere il rinvio
a settembre oggetto del contendere sono i primi 8 "piani attuativi locali"
(sui 18 complessivi) presentati dalle Ausl e approvati dalla Giunta il
9 luglio: il piano di Rimini, i 3 reggiani e i 5 bolognesi (Imola compresa).
In pratica i Pal ridisegnano la sanità della nostra regione.
Come ha ricordato Giovanni Bissoni, assessore regionale alla Sanità,
si tratta di una "cura dimagrante": sono previste riduzioni di personale
(1150 entro il '97) e di posti-letto (806) che verranno in parte riconvertiti
in lungodegenze riabilitative. L'obiettivo resta quello di garantire 5
Posti-letto ogni mille abitanti (uno standard un po’ più basso di
quello nazionale, che è 5,5).
«Contro l’arroganza della maggioranza, esercitiamo il diritto
di resistenza»: l'ostruzionismo di Rifondazione è esplicito
e dichiarato. I tre consiglieri comunisti hanno presentato centinaia di
emendamenti (e altri ne preannunciavano: col meccanismo dei submendamenti)
su ogni delibera cercando tutte le scappatoie procedurali per rallentare
il dibattito. «Vogliamo arrivare a un rinvio (a settembre) che consenta
ai cittadini, agli amministratori locali, ai comitati, agli operatori del
settore di partecipare a questa discussione e ribadire il dissenso già
espresso nei mesi scorsi» è la posizione di Rc. «Proveremo
a resistere un minuto più della maggioranza» aveva dichiarato
Rocco Giacomino, capogruppo di Rifondazione. L'orologio gli ha dato ragione.
Oggi dunque si concluderà la discussione generale (5 minuti
per ogni intervento) sui Pal bolognesi. Il confronto e il voto avverranno
il 10 settembre. AI centro dello scontro non sono ovviamente i singoli
provvedimenti previsti nei Pal ma l'intera logica dei tagli nella sanità,
«iniqui» secondo Rifondazione. E' una riorganizzazione che
non graverà sui cittadini, ribatte la maggioranza. Bisogna sanare
il deficit «che non dipende da sprechi e inefficienze» ha ripetuto
Bissoni più volte. Sostanzialmente esistono tre ragioni che fanno
salire la spesa nella nostra regione. La prima è demografica: l'Emilia
Romagna ha un'alta percentuale di popolazione anziana (il 20,8 per cento
contro una media nazionale del 16,4) che ovviamente "consuma" la sanità
maggiormente di altri. La seconda è un paradosso: i servizi sono
migliori e più efficienti che altrove (anche in paragone alle altre
zone del nord) e questo costa. La terza è che - proprio perché
qui la sanità funziona - c'è una forte mobilità da
altre regioni (circa il 10% dei 966.083 ricoverati nel '95 riguardava questi
"pendolari" a cui va aggiunta una pur piccola quota di turisti).
Negli 8 Pal di cui finora si è discusso non ci sono solo tagli
e ristrutturazioni, ma anche il rafforzamento (o la nascita) di alcune
strutture: il potenziamento di Trapianti e Cardiochirurgia nel Pal di Bologna-ospedale;
l'area pediatrica e quella oncologica Reggio Emilia, il potenziamento di
medicina nucleare a Rimini. Ci sono poi integrazioni e collaborazioni fra
diversi ospedali (in sostanza per evitare doppioni) come nel caso dei bolognesi
Bellaria e Maggiore: il primo si "specializza" in Neurochirurgia, Oncologia
e Gastroenterologia, il. secondo «per le funzioni legate a Traumatologia».
Campagna d’autunno del prc in difesa della sanita’ pubblica
In prima fila contro tagli e progetti di privatizzazione
di Michele Bonforte (Resp. Dipartim. Lavoro e Stato sociale PRC Emilia-Romagna)
e Mirna Testi (Resp. Regionale Sanità PRC Emilia-Romagna)
L’autunno annuncia brutte sorprese per la salute di tutti.
Non stiamo parlando dell’arrivo di un nuovo virus influenzale, ma delle
intenzioni, più volte esplicitate, di avviare una controriforma
del sistema sanitario regionale.
La Giunta regionale ha già effettuato pesanti tagli ai servizi
sanitari territoriali e ora cerca di scaricare sulle fasce popolari il
debito accumulato finora, tassando i consumi energici più diffusi.
Ciò però non basta, poiché i tagli alla prevenzione
invece di risparmi causeranno maggiori spese in futuro.
E dunque si pensa alla reintroduzione delle mutue e alla nascita di
una sanità pubblica per poveri e ad una sanità a pagamento
per i ricchi.
Ecco perché il Prc ha appoggiato e sostiene l’iniziativa dei
comitati locali nati contro i tagli alla sanità, e vede oggi l’urgenza
di una mobilitazione preventiva, per impedire un peggioramento e non per
criticarlo dopo che è già avvenuto.
Il Comitato Regionale del Prc ha deciso di avviare una campagna vasta
ed articolata che mobiliti il partito e tutte le realtà che si battono
per la sanità pubblica.
Per due mesi saremo nelle piazze della città dell’Emilia-Romagna
per informare i cittadini dei rischi che corre la salute di tutti e per
invitarli ad un gesto di preavviso verso la Giunta regionale: la salute
non è una merce.
Migliaia di cartoline, e non una semplice petizione, per informare
giorno dopo giorno il Presidente della Regione della volontà popolare
di migliorare e non di affossare la sanità pubblica. Poi una tenda
della salute nelle più grandi città come presidio politico
e di informazione, mentre le piccole città dove sono stati già
tagliati i servizi sanitari, verranno toccate da un camion attrezzato per
effettuare dei comizi popolari.
Verrà preparato un convegno regionale dove confronteremo le
proposte dei comunisti con quella dell’Ulivo e con altre esperienze regionali.
Non solo dunque opposizione dura alle prospettiva di arretramento del
diritto alla salute, ma anche capacità di proposta alternativa per
un nuovo modello sanitario che risponda alle nuove esigenze di tutela della
salute della popolazione dell’Emilia-Romagna.
E’ una mobilitazione straordinaria del partito che avverrà mentre
importanti evoluzioni della battaglia politica nazionale ci chiameranno
alla vigilanza e alla mobilitazione. Ma è in questo intreccio che
nasce un partito protagonista e non spettatore. Battere il rischio di una
deriva privatizzatrice della sanità in Emilia-Romagna è il
migliore contributo che possiamo dare alla svolta che abbiamo impresso
alla politica sociale ed economica del Governo Prodi. A tutti i militanti,
agli iscritti e agli operatori sanitari che ci sono vicini, giunge un invito
al protagonismo. Occorre darsi degli obiettivi per ogni federazione: quanti
banchetti per distribuire le cartoline, quanti comizi, per quanto tempo
la tenda in piazza ecc...
Occorre cioè fare della sanità un elemento importante
della nostra iniziativa, perché essa non riguarda gli specialisti
del settore ma la natura del rapporto fra partito e masse popolari.
PSICHIATRIA: LE SCELTE SBAGLIATE DELLA REGIONE
di PATRIZIA CANTONI
Consigliera regionale PRC
Intervengo sulla specificità della riorganizzazione del Servizio
di Salute Mentale per dire che nel quadro complessivo della sanità
regionale l'area psichiatrica è quella che in modo più dirompente
sta evidenziando momenti di profonda sofferenza, denunciati da più
parti e tra gli altri proprio da operatori compe-tenti e con consolidata
esperienza che stanno manifestando il proprio motivato dissenso rispetto
alle scelte di rimodulazione dei servizi psichiatrici, scelte sulle quali
in molti casi non è stato loro consentito di intervenire preventivamente
tramite la formulazione di pareri qualificati.
In alcune realtà, infatti, si stanno manifestando punti di criticità
rispetto alle scelte che si stanno attuando in ambito psichiatrico, anche
perché non sono stati perseguiti in passato, da parte di chi ne
aveva la responsabilità istituzionale, quegli obiettivi dettati
dal DPR del 7.4.94 "Tutela della salute mentale anni '94-'96".
Il settore della prevenzione psichiatrica, d'importanza vitale per
un serio intervento al fine di ridurre l'area del disagio mentale, non
pare ricevere il giusto sostegno economico-finanziario per una sua reale
diffusione sul territorio, in grado di far fronte alle crescenti richieste
provenienti soprattutto da alcune fasce di popolazione, ad esempio i giovani
e gli anziani.
E' preoccupante la vistosa sperequazione tra l'entità delle
risorse economiche utilizzate per sostenere i costi di agenzie private
presenti in alcune realtà, che operano su ambiti assolutamente parziali
dell'assistenza psichiatrica, ad esempio i ricoveri, rispetto all'entità
delle risorse economiche utilizzate a sostegno dei servizi psichiatrici
pubblici, che hanno il compito invece per legge di occuparsi a tutto campo
della tutela della salute mentale.
Il PAL di Modena, per esempio, parrebbe puntare alla riduzione di posti
letto per la degenza psichiatrica, ma se si vanno ad analizzare i dati
forniti si può vedere che i posti letto sottratti al settore privato
nell'area acuti vengono riconvertiti in posti letto per la lungodegenza,
proseguendo quindi in quel processo di progressiva espropriazione delle
competenze riabilitative dei servizi pubblici, delegandole sempre più
alle strutture private convenzionate nelle quali non è infrequente
che i degenti si trasformino in lungodegenti con evidenti rischi di cronicizzazione.
Rischi evidenziati anche da dati forniti dall'AUSL di Modena, dai quali
si rileva che la degenza media dei pazienti psichiatrici ricoverati in
strutture pubbliche varia da un minimo di 10,5 giorni ad un massimo di
12,3 giorni a fronte di un minimo di 40 giorni ad un massimo di 62 giorni
nelle strutture private convenzionate.
Se a tutto ciò si aggiunge che il rimborso per le lungodegenze
avviene in base al numero delle giornate di ricovero appare evidente l'interesse
economico delle cliniche private a trattenere i pazienti il più
a lungo possibile.
Non dimentichiamo poi che le cliniche private, anche quelle convenzionate,
utilizzano la terapia elettroconvulsivante (elettroshock) che è
bandita nelle strutture pubbliche. Ciò ci appare in contraddizione
con quanto affermato dall'assessore regionale che ha più volte dichiarato
di considerare l'elettroshock una pratica terapeutica superata e che tale
scelta può ritenersi definitiva.
Considerando quindi che le convenzioni si pagano con soldi pubblici,
appare evidente come sia inaccettabile che certi percorsi si debbano fermare
davanti alle porte di strutture private finanziate da tutti: penso che
vadano salvaguardati certi traguardi di civiltà, raggiunti grazie
ad una sensibilità diffusa sui temi del disagio psichiatrico, cresciuta
negli anni grazie all'impegno e alle battaglie condotte da coraggiosi professionisti
e dagli operatori che hanno voluto ridare dignità a tanta umanità
brutalizzata.
E’ allarmante che alcune realtà (es. A.U.S.L. di Modena) attribuiscano
a strutture private i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura e ci chiediamo
se si ritenga conciliabile il distacco dei reparti psichiatrici dal corpo
delle strutture pubbliche generaliste e il loro confine in strutture universitarie
o private specialistiche, che da un lato contrasta con i principi stabiliti
dalla legge n. 180 del '78 che sancisce l'equiparazione del disturbo mentale
a qualsiasi altro tipo di malattia di natura fisica e dall'altro con i
possibili rischi per la salute dei pazienti, visto il largo uso di psicofarmaci
e la pericolosità insita nell'adozione di alcune terapie, che tale
separazione può comportare.
Si verifica inoltre un concentramento delle risorse ospedaliere in
città, lasciando scoperto il territorio provinciale, con evidenti
disagi per i degenti e per le loro famiglie.
Occorrerebbe quindi un provvedimento che riordini l'intera materia
psichiatrica regionale, che individui precise responsabilità gestionali
e che chiarisca la distribuzione di competenze per i reparti di Diagnosi
e Cura.
Contro l’alta velocita’sit-in del PRC davanti alla regione
di Claudio Adelmi
Luglio 1997. Rifondazione Comunista non demorde sull’Alta Velocità:
il capogruppo regionale Rocco Giacomino ed il segretario della federazione
di Bologna, Roberto Sconciaforni, assieme ad altri esponenti del partito,
ha manifestato davanti al Palazzo della Regione per ribadire il NO di Rifondazione
Comunista sul mega-progetto della TAV, sulla base delle ragioni già
esplicitate in una risoluzione proposta senza successo durante un Consiglio
Regionale tenutosi nel mese di Luglio.
All’origine di tutto la scelta della chiusura fret-tolosa della tratta
Milano-Parma entro luglio, un vero e proprio colpo di mano denunciato dal
PRC. Forti critiche all’attuale progetto erano emerse anche delle associazioni
ambientaliste, comitati e tecnici. Rifondazione Comunista ha ribadito la
sua valutazione negativa sull’attuale progetto che non risponde alle reali
esi-genze trasportistiche del nostro paese. Occorrerebbe rivisitare il
progetto nell’ottica di un quadruplicamento delle linee che consenta lo
spostamento di quote rilevanti di merci dalla gomma alla rotaia e favorisca
l’intermodalità dei trasporti, in un quadro di gestione unitaria
tra linea storica e nuovo tracciato che invece avrà una sede propria
distante dal vecchio, determinando così costi finanziari elevati
e danni ambientali tuttora non quantificabili.
La pressione delle grandi imprese, Fiat in testa, inte-ressate agli
appalti hanno impedito in sede nazionale una reimpostazione del progetto
che pure il ministro Burlando aveva indicato come necessaria.
Numerosi militanti del partito e diversi consiglieri provinciali e
dei comuni attraversati dal tracciato dell’alta velocità hanno preso
parte alla manife-stazione che si è conclusa con un incontro fra
una delegazione del PRC, guidata dal capogruppo Rocco Giacomino e l’Assessore
regionale ai Trasporti, Vittorio Pieri.
Questi in sostanza gli argomenti del documento riproposto all’Assessore
Pieri:
· il progetto non risponde alle esigenze del trasporto merci
e dei pendolari su distanze mediobrevi;
· ‘ferisce’ gravemente il territorio;
· privatizza i profitti, scaricando, però, sul pubblico
le perdite.
· Così com’è, dunque, l’Alta Velocità è
"inutile e dannosa", con interessi dei capitali privati e delle grandi
imprese che rischiano di prevalere sull’obiettivo del rafforzamento del
trasporto merci e persone su rotaia.
Nell’immediato, quindi, Rifondazione Comunista chiedeva di non ‘chiudere’
la conferenza dei servizi, in programma domani a Roma, per la subtratta
Milano-Parma.
Risoluzione
presentata dal Gruppo PRC sulla riqualificazione del sistema ferroviario
nazionale e sul progetto di quadruplicamento della linea Milano-Bologna.
Riforme istituzionali e forma dello stato
Un regionalismo forte contro il secessionismo e nuovi centrilismi presidenzialisti
e federalisti
di Rocco Riacomino
Capogruppo PRC Emilia-Romagna
Pubblichiamo la sintesi della comunicazione svolta da
Rocco Giacomino all’attivo regionale
del 5 luglio 1997 sui lavori della bicamerale e le proposte del PRC
Dobbiamo tutti noi avere maggiore consapevolezza del fatto che discutendo
di Riforme Istituzionali,
non parliamo di tecnicalità o mera ingegneria costituzionale,
di materia delegabile a professori o
accademici bensì parliamo di un poderoso processo, in corso
da decenni, di riorganizzazione e
riallocazione di poteri, dal cui esito dipende lo sviluppo e l’estensione
dell’equilibrio democratico
indicato dai padri costituenti o la sua regressione verso forme di
democrazia plebiscitaria e
leaderistica che accentuano la delega e riducono gli spazi di partecipazione
di massa alle scelte ed
alle decisioni della “res publica”. Per intanto i risultati dei lavori
della Bicamerale rendono probabile
questo secondo esito e questo Attivo, convocato dal Comitato regionale,
serve appunto ad accrescere
quella maggiore consapevolezza di cui parlavo prima. Un esito nefasto
che il PRC contrasta e
contrasterà ma che richiede soprattutto un gigantesco movimento
di massa per evitare che davvero
prevalga e si traduca in norme costituzionali. In assenza di un grande
movimento saremo di fronte a
questo rischio reale, in quanto la quasi generalità delle forze
politiche si riconosce nelle conclusioni
della Bicamerale. Dunque, sulla seconda parte della Costituzione,
potrebbe realizzarsi un nuovo
patto costituzionale scritto con il concorso degli eredi di Almirante,
ma senza gli eredi di
quell’Umberto Terracini grande figura di comunista e rivoluzionario,
Presidente dell’Assemblea
Costituente che insieme a De Gasperi controfirmò la Carta Costituzionale
vigente. Non c’è facile
allarmismo ma il richiamo forte ad un passaggio decisivo della vicenda
politico costituzionale del
nostro paese che esige uno scatto a tutto il partito in termini appunto
di maggiore consapevolezza dei
rischi di questa fase e richiede la difficile, ma ineludibile costruzione
di un ampio movimento di
massa nella società, l’unico in grado di impedire la trasfigurazione
degli attuali assetti costituzionali.
Ancora alcune brevi considerazioni di carattere generale. Innanzitutto
perché siamo giunti a questo
punto di grave pericolo per la democrazia ? Solo la lettura dei processi
istituzionali non basta, per
capire occorre invece la chiave di lettura di noi comunisti, quella
cioè che tiene indissolubilmente
legate “questione istituzionale” e “questione sociale”. La tendenza
in atto da circa un ventennio
(periodizzazione utile ma per certi versi arbitraria) e che è
riassumibile nel concetto di “democrazia
autoritaria” si afferma e si sviluppa in relazione alla crisi della
sinistra e del movimento operaio,
anzi sarebbe più corretto dire che questa tendenza si alimenta
della crisi della sinistra italiana e non
solo, si pensi all’effetto devastante sulle forze antagoniste dell’ovest
e nell’immaginario collettivo di
grandi masse, del crollo dei regimi dell’est. Insomma più la
sinistra si moderava e smarriva le sue
ragioni fondanti, più la classe lavoratrice subiva sconfitte
e arretramenti e più si affermava ed oggi si
rafforza una idea di “democrazia autoritaria” che tende a soppiantare
le forme e le istituzioni della
“democrazia partecipata” costruita e sviluppatasi nel corso di decenni,
a tratti anche con il consenso
di parte delle stesse classi dirigenti, ed in competizione con i modelli
che si andavano sperimentando
ad est e che suscitavano speranze tra vasti strati popolari dei paesi
occidentali. Il cosiddetto “caso
italiano” è tutto qui ossia una democrazia partecipata di massa
che riconosce cittadinanza al conflitto
di classe, non nella forma americanizzata del ribellismo sociale -
si pensi alle cicliche esplosioni
violente nei ghetti neri - ma come concreta possibilità per
le lavoratrici e i lavoratori di costruirsi in
soggetto politico autonomo che vive nella società e nelle istituzioni,
in un conflitto permanente per la
conquista di maggiori spazi di democrazia, di benessere e di felicità.
Dunque una democrazia che
concepisce possibile l’alternativa, non la mera alternanza tra schieramenti
simili per programmi e
proposte che nulla cambia nella vita delle persone in una sorta di
“convergenza competitiva” tra Poli,
come è stata definita dal compagno Bertinotti. Convergenza sui
programmi e mera competizione per
la guida del governo intesa solo come ricambio di classe dirigente.
Dunque si approssima la “resa dei
conti” per questo nostro modello di democrazia , e quindi la posta
in gioco è davvero alta, ma non è
tanto l’esistenza o meno di una forza comunista, dato acquisito, bensì
la nostra possibile e
progressiva emarginazione a forza residuale non in grado di incidere
e modificare i processi reali che
concernono la vita e le condizioni materiali di milioni di persone.
E’ forse eccessivo affermare che
riuscirà D’Alema in ciò in cui fallì Craxi? E’
forse eccessivo ricordare che Licio Gelli, il capo della
loggia massonica P2, si è recentemente dichiarato soddisfatto
nel constatare che nella Bicamerale si
“copiavano” le proposte del famigerato “Piano di Rinascita Democratica”
che all’epoca a sinistra fu
definito piano golpista? Non apro questo capitolo della riflessione
che richiederebbe un
approfondimento oggi non possibile, ma non vi è dubbio che in
forma grezza questa tendenza alla
democrazia autoritaria si segnala nella seconda metà degli anni
settanta e coincide con il famoso
Midas e cioè l’avvento di Benedetto Craxi alla guida del PSI
che per primo cominciò a parlare di
“Grande Riforma” avvalendosi della consulenza e della penna del “dottor
sottile” Giuliano Amato.
Craxi introdusse con forza nel dibattito politico di allora l’idea,
oggi in parte raggiunta, del
riequilibro dei poteri tra Parlamento e governo, tra assemblee elettive
ed esecutivi. L’elezione diretta
del Sindaco e del Presidente della provincia con la legge 81 del 1993
che svuota di forza e ruolo i
consigli comunali e provinciali ed introduce in Italia una forte ed
inedita personalizzazione della
politica, costituisce appunto il primo approdo normativo di quel processo
politico avviato in quegli
anni. Berlinguer parlò di pericolo per la democrazia, di certo
con il craxismo inizia un lavoro di
“scasso” istituzionale che mette al centro la decisione e la velocità
della stessa da parte degli
esecutivi, subordinando il momento del controllo svolto dalle assemblee
elettive. A questo proposito è
utile ricordare come una spinta al rafforzamento degli esecutivi si
tradusse in proposte sin dalla
prima commissione Bicamerale presieduta dall’on. Bozzi ed istituita
nell’autunno 1983. Quella
commissione naufragò e l’allora PCI, come oggi il PRC, elaborò
una propria relazione di minoranza
a firma (Natta, Ingrao, Barbera e Zangheri) la quale imputò
la mancata intesa in commissione al
fatto che la maggioranza pentapartitica perseguiva quasi esclusivamente
l’obiettivo del rafforzamento
del governo intaccando la centralità del Parlamento. Nella relazione
si legge testualmente di “....una
pretesa di subordinare tutte le proposte di riforma ad una sola esigenza:
quella di garantire comunque
rapidità alle procedure parlamentari e sicurezza nel momento
della decisione”. Il cosiddetto
decisionismo craxiano chiedeva di farsi norma. Un processo, ossia la
tendenza al rafforzamento degli
esecutivi che si assomma all’assunzione dell’idea della centralità
dell’impresa, e dei suoi interessi,
che richiede tempi rapidi nelle decisioni e che riduce l’amministrazione
a mero strumento
d’accompagnamento alle ragioni di competitività del sistema
delle imprese, svuotando così di
“senso” e di “autonomia” la politica che sempre più mutua le
forme e il linguaggio dell’impresa
stessa. Dunque una vera e propria resa della politica, una brutta politica
che, rinunciando al governo
dei processi economici, assume la coincidenza tra interesse generale
e quello dell’impresa, spesso
addirittura teorizzata, dismettendo per questa via i compiti propri
di sintesi e composizione di
interessi diversi con al centro i bisogni della persona e non quelli
dell’impresa . Non c’è furore
ideologico contro l’efficienza e l’efficacia possibile del mercato,
bensì la contestazione della
intangibile e quasi sacrale centralità dell’impresa. E’
dunque in questo quadro di riferimento e
dentro a questi processi che si deve discutere di Riforme Istituzionali.
Per quel che concerne la
Forma dello Stato mi limiterò a tratteggiare alcuni elementi
di fondo. Innanzitutto è senza precedenti
storici significativi il passaggio da una entità statuale unitaria
al federalismo, è vero invece il
contrario e cioè il “foedus” nasce per unire ciò che
era diviso, ossia Stati originariamente autonomi
che si federano. Dalla divisione all’unità e non dall’unità
al federalismo, mentre invece abbiamo
assistito alla dissoluzione di stati unitari in entità statuali
più piccole, ma separate, e non federate. E’
stata ed è giusta la nostra critica alla sinistra moderata circa
la disinvoltura e la leggerezza con cui
ha assunto il concetto federalistico senza valutarne rischi e pericoli,
traducendolo in senso comune in
parti significative del popolo di sinistra . La nostra preoccupazione
non scaturisce dalla paura nel
misurarsi con processi sociali inediti, anzi noi siamo e dobbiamo essere
innovatori, essa invece nasce
dalla constatazione che la globalizzazione spinge alla disgregazione
degli stati moderni così come li
abbiamo conosciuti e si sono edificati. Kenichi Ohmae noto esponente
dell’establishment giapponese
e consulente di grandi industrie, ha descritto in un libro la fine
dello stato-nazione indicando le
ragioni per le quali uno stato unitario con al suo interno aree geografiche
disomogenee costituisca
impedimento alla competitività.
Lo Stato come bardatura burocratica, disomogeneo al suo interno per
aree economico-sociale è
dunque d’impaccio alla competizione che invece deve dispiegarsi tra
aree economico-sociali
omogenee. Dunque piccoli Stati, forti ed aggressivi che competono aspramente
lasciando al loro
destino aree con squilibri e disuguaglianze. Nella sua rozzezza questa
analisi ha elementi forti di
verità, certo non si pone il problema dell’uguaglianza e della
solidarietà, ma soprattutto non calcola
la moltiplicazione dei conflitti in un mondo sempre più giungla,
conflitti e migrazioni bibliche, forse,
ritenuti “gestibili” dalle gendarmerie occidentali. Ma fino a quando?
Cos’è dunque la Padania di
Bossi se non per l’appunto uno Stato piccolo, forte ed omogeneo al
suo interno, adatto dunque a
competere e produrre ricchezza, che espunge ogni idea di uguaglianza
e solidarietà con il resto del
paese. Non è in discussione la nostra ovvia contrarietà
a questa prospettiva e dunque lo stato
nazionale come dimensione più idonea per realizzare l’uguaglianza,
o l’assoluta modernità di questa
ipotesi che non è follia leghista, ma come Rifondazione ha sempre
sottolineato frutto di processi
economici che spingono nella direzione di una possibile disgregazione.
La domanda è invece se le
ipotesi federaliste delle quali si è discusso in Bicamerale
e dunque la “forma di stato” che assumerà il
nostro paese, può favorire tale processo disgregativo o può
arrestarlo, rivalutando e riaffermando le
ragioni dell’unità. Il testo sulla “Forma dello Stato” licenziato
dalla Bicamerale può favorire spinte
separatiste e secessioniste. Un giudizio drastico che si fonda su dati
di fatto, innanzitutto non c’è il
regionalismo forte da noi auspicato che si realizza con una ampia e
più estesa funzione legislativa
delle Regioni e con una reale autonomia finanziaria per le stesse Regioni
e gli Enti Locali. Nel
merito la proposta finale della Bicamerale, sebbene meno orripilante
della prima bozza d’Onofrio
presenta, dal nostro punto di vista, diversi aspetti inaccettabili
e riassumibili sinteticamente in sei
questioni. Innanzitutto è da respingere la stessa definizione
della Repubblica come composta dalle
Regioni, dagli Enti Locali e dallo Stato, attribuendo a quest’ultimo
un carattere residuale; vi è poi
una eccessiva e complessiva valorizzazione del ruolo delle Regioni
a scapito degli Enti Locali con il
rischio di sostituire al centralismo dello Stato quello delle Regioni.
Il Fondo perequativo andrebbe
destinato direttamente e espressamente alle Regioni con squilibri socio-economici.
L’introduzione di
una tempistica differenziata, fino ad un quinquennio, per attuare le
riforme federaliste attraverso gli
statuti appare di difficile comprensione e di complessa realizzazione.
Risulta inoltre per noi
inaccettabile il riconoscimento della potestà legislativa a
ciascuna Regione in materia elettorale da
esercitarsi con la maggioranza dei due terzi dei Consiglieri regionali.
Concretamente ciò vuol dire
che in Emilia-Romagna, ad esempio, il centro-sinistra che numericamente
dispone dei due terzi ha la
possibilità di cucirsi addosso la propria legge elettorale senza
il concorso delle opposizioni di centro-
destra e di sinistra. Dunque in ciascuna Regione i ceti politici regionali
potrebbero assicurarsi
condizioni favorevoli alla loro autoriproduzione. Le regole elettorali
sono regole del gioco decisive
per la convivenza democratica e quindi debbono essere indicate dal
Parlamento nazionale. Infine
l’ultimo punto ma forse il più preoccupante per gli effetti
che può produrre riguarda l’art. 56 del
progetto di legge costituzionale in cui si afferma che “le funzioni
che non possono essere più
adeguatamente svolte dall’autonomia dei privati sono ripartite tra
le comunità locali”. Tale norma
costituzionalizza la centralità dell’impresa e del mercato attribuendo
un ruolo residuale e marginale
all’intervento pubblico ed invade ed inquina principi della prima parte
della costituzione come
l’articolo 3 laddove si attribuisce allo Stato il compito di rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e
sociale che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei
cittadini impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica ed
economica del paese. Dunque lo Stato non dovrebbe più neppure
porsi questo obiettivo tendenziale
mentre si costituzionalizza il principio che viene prima il mercato
quale supremo regolatore e
dunque lo Stato potrà intervenire solo nei campi in cui i privati
non hanno interessi o per porre
rimedio ai guasti prodotti dai privati. Si tratta dunque di una norma
incostituzionale che di fatto
chiede allo Stato di abdicare ai compiti di promozione dell’uguaglianza
previsti dall’articolo 3.
Infine una rapida notazione sulla riforma del Parlamento, si passa
dal Bicameralismo perfetto ad un
Tricameralismo imperfetto, o meglio ad un “mostro tricameralista”;
accanto alla Camera ed al
Senato cosiddetto delle garanzie e con funzioni differenziate, si aggiunge
una Commissione per le
autonomie locali formata in parte da Senatori ed in parte da Sindaci
e Presidenti delle Regioni e
dotata di alcuni poteri di intervento nelle procedure decisionali.
Dunque anziché compiere una
limpida e netta scelta monocameralista (una sola Camera con 400 deputati),
una scelta che è nella
tradizione della sinistra italiana e che introdurrebbe elementi di
semplificazione evitando la doppia
lettura e le cosiddette “navette” tra Camera e Senato, rafforzando
il Parlamento nel rapporto con il
governo, mentre la cosiddetta funzione di raffreddamento della volontà
e di perfezionamento delle
leggi potrebbe essere efficacemente svolta con altre modalità.
Si è prodotto un pasticcio, una
mediazione che non sta in piedi in quanto si è preferito evitare
ad esempio la scelta del cosiddetto
“Senato delle Regioni” sul modello del Bundesrat tedesco e sostenuta
dai settori ulivisti del PDS e
dai Presidenti delle Regioni, ispiratore del testo l’assessore dell’Emilia
Mariucci . Una soluzione da
noi contestata per ragioni di merito, in quanto se si realizzasse un
reale processo di decentramento
non si giustificherebbe appieno l’istituzione di un organo apicale
delle Regioni che potrebbe limitare
l’autonomia delle stesse. Il Senato delle Regioni sarebbe stata una
scelta discutibile, ma limpida al
pari della nostra proposta monocameralista. Invece, si è scelto
di non scegliere scontentando tutti e
partorendo questo “mostro tricameralista”. I lavori della Bicamerale
ci consegnano brutti materiali
che ci auguriamo non vengano utilizzati per edificare il nuovo assetto
costituzionale. Abbiamo solo
alcuni mesi di tempo, al massimo un biennio, prima di giungere al Referendum
finale che dovrebbe
concludere l’iter delle riforme, dunque occorre da subito fare appello
a tutte le nostre energie, ed a
tutto il partito per rivolgerci all’intera società italiana
e ad ogni sincero democratico, in quanto solo
il protagonismo delle masse popolari potrà scongiurare un esito
negativo del processo riformatore
che consegnerebbe alle prossime generazioni ed alle masse lavoratrici
meno democrazia e meno
partecipazione.
FISCO: LOTTA ALL’EVASIONE E PIU’ AUTONOMIA ALLE REGIONI
LA BATTAGLIA DEI COMUNISTI
di RENATO ALBERTINI
Senatore PRC
Il nostro Paese si caratterizza per la macroscopica iniquità della
leva fiscale che colpisce in modo ormai insopportabile i lavoratori dipendenti
e gli strati inferiori del lavoro autonomo, mentre privilegia i titolari
delle grandi rendite finanziarie, dei grandi patrimoni, dei profitti delle
grandi imprese di capitale.
Ciò avviene attraverso due modi: da un lato una legislazione
fiscale smaccatamente favorevole verso i redditi di capitale e le rendite
finanziarie mediante aliquote ridotte e non informate alla progressività,
dall’altro una elusione ed una evasione fiscale di proporzioni gigantesche
(circa 250.000 miliardi all’anno) non solo tollerate, ma anche coperte
dai passati Governi.
Il Governo Prodi non ha ricalcato le politiche di quelli precedenti,
ed ha introdotto anche alcune misure innovative sia nella legislazione
che nella lotta all’evasione fiscale, ma del tutto insufficienti a ribaltare
la precedente situazione.
Restano tuttora in vigore i trattamenti privilegiati verso i redditi
di capitale e le rendite finanziarie, e non sono stati introdotti strumenti
adeguati per battere la pratica diffusa, dagli strati sociali con redditi
più elevati, di sottrarsi al loro dovere tributario.
Resta pertanto un amplissimo lavoro da compiere per ottenere finalmente
la piena attuazione dell’art. 53 della Costituzione in base al quale ogni
cittadino deve concorrere alla spesa pubblica in ragione dei propri redditi
e con criteri di progressività.
Noi comunisti abbiamo presentato nel giugno scorso al Senato un d.d.l.
che prevede strumenti nuovi ed efficaci per battere l‘evasione.
Richiamo i principali per titoli:
- l’introduzione di una norma generale antielusiva per impedire la
falsificazione dei bilanci delle società di capitale che finora
nel 60% dei casi non hanno denunciato alcun utile per le loro attività;
- l’introduzione del contrasto di interessi fra fornitori e fruitori
di beni e servizi attraverso la deduzione, totale o parziale, dall’imposta
o dall’imponibile delle spese sostenute e documentate facendo così
emergere una vasta area di attività e lavori oggi sommersi;
- l’effettiva uniformità della tassazione al 27% su ogni specie
di redditi di capitale pari alla media del prelievo tributario sul lavoro
dipendente, eliminando ogni area di privilegio fiscale come misura transitoria
in attesa di riportare ogni reddito all’IRPEF, imposta personale ed universale;
- la tassazione dei movimenti finanziari da e per l’estero quale antidoto
alle speculazioni a breve termine;
- il potenziamento dell’anagrafe tributaria attraverso l’archivio unico
nazionale dei depositi bancari e postali;
- la responsabilità dei professionisti e dei membri dei collegi
sindacali delle società in ordine alla corretta applicazione della
normativa tributaria;
- l’effettiva partecipazione dei comuni all’accertamento delle imposte
sui redditi, riconoscendo loro parte delle maggiori somme riscosse;
- l’effettiva pubblicità degli elenchi dei contribuenti con
l’indicazione degli imponibili da ciascuno dichiarati;
- l’inasprimento delle ammende per i responsabili di reati fiscali.
Dal confronto in corso sulla Finanziaria, abbiamo ottenuto l’aumento
di 500 miliardi nelle entrate per la lotta all’evasione e la riduzione
di 500 miliardi di tagli allo stato sociale. Essi rappresentano risultati
modesti, quanto alla consistenza, che tuttavia indicano una direttrice
di marcia sulla quale il Governo si è impegnato.
A questo risultato si aggiunge l’impegno assunto dal Governo per la
presentazione entro il prossimo gennaio di un d.d.l. che preveda la riduzione
dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali, a parità di retribuzione,
da realizzare entro il 1° gennaio 2001. Inoltre è stato raggiunto
l’accordo per la salvaguardia degli operai e delle categorie equivalenti,
dai tagli alle pensioni di anzianità.
Resta fermo, sul paiano fiscale, che i punti fondamentali del nostro
d.d.l. costituiranno gli obiettivi di fondo della nostra iniziativa politica
e parlamentare nel prossimo futuro.
Per quanto attiene alla gestione del prelievo tributario ed alla ripartizione
delle risorse che ne derivano, noi comunisti ribadiamo che, in attuazione
del principio dell’autonomia impositiva, ogni livello dell’articolazione
dello Stato debba essere titolare di proprie imposte da gestire in modo
autonomo.
Allo Stato debbono rimanere le grandi imposte nazionali (IRPEF, IRPEG,
IVA), ai Comuni l’ICI e gli altri tributi locali, alle Regioni l’IRAP,
le tasse automobilistiche e gli altri tributi regionali.
Le imposte assegnate alle Regioni ed ai Comuni non riusciranno a coprire
tutte le spese proprie dei vari Enti, pertanto si prevede che una parte
delle entrate degli Enti stessi continuerà a derivare dai trasferimenti
dello stato, assegnati in misura diversa da regione a regione in modo tale
da consentire ad ogni cittadino italiano, qualunque sia l’ambito territoriale
di appartenenza, di poter usufruire di uno standard base di servizi pubblici
e sociali adeguato a soddisfare tutti i bisogni essenziali.
In tal modo il riequilibrio fra le entrate in capo alle diverse regioni,
verrà esercitato in modo verticale dallo Stato piuttosto che in
modo orizzontale tra le Regioni.
L’introduzione di una imposta regionale sulle attività produttive
(IRAP) avrà il merito di semplificare e razionalizzare l’attuale
sistema fiscale, sostituendo a più tasse (ILOR, ICIAP, contributi
al SSN, tassa sulla salute, patrimoniale sulle imprese) una unica imposta
che graverà sulle imprese e sui lavoratori autonomi, la cui base
imponibile sarà determinata dal valore della produzione netta e
dall’ammontare dei salari dei dipendenti per l’attività esercitata
nel territorio della regione.
Noi rivendichiamo che tale imposta sia rimessa alla completa ed autonoma
gestione delle Regioni nel più breve arco di tempo, con l’affidamento
alle Regioni stesse anche della determinazione dell’aliquota.
L’insieme delle risorse delle quali le Regioni potranno usufruire,
sia gestendo le imposte proprie, sia con i trasferimenti dello Stato, dovrà
essere assolutamente proporzionale ed adeguato alle rilevantissime funzioni
di ordine legislativo e programmatorio delle quali le Regioni sono e saranno
titolari.
L’impegno dei Comunisti nella discussione sull’IRAP, che avrà
luogo in sede di Commissione Bicamerale sul Fisco, sarà quello di
perseguire con decisione tale finalità.
LA DIFESA DEL SISTEMA SCOLASTICO PUBBLICO
continua la battaglia di Rifondazione
di MARCELLO GRAZIOSI
Responsabile regionale Scuola PRC Emilia-Romagna
La nostra Regione, che fin dall’immediato dopoguerra è stata all’avanguardia
nella creazione di un sistema scolastico pubblico, soprattutto nei suoi
gradi inferiori (asili nido e scuole materne) che rispondesse alle reali
esigenze di lavoratori e cittadini, pare voler diventare in questi ultimi
anni protagonista in negativo, decisa com’è a smantellare il sistema
di garanzia pubblico a tutto vantaggio dei privati. Non a caso, nella nostra
Regione, la creazione di un ‘sistema scolastico integrato’ è partita
dagli asili nido e dalle scuola materne, dove maggiori sono la presenza
ed il peso degli istituti privati, con una evidente preminenza di quelli
confessionali. Protagonista, in negativo, di questo processo di smantellamento
graduale della scuola pubblica è, purtroppo il centrosinistra. E’
difficile da accettare che, a fronte di continui tagli e ristrutturazioni
del sistema scolastico pubblico, con 30.000 posti di lavoro a rischio,
sia stato un Ministro del PDS a proporre, per la prima volta nella storia
repubblicana, un Disegno di legge per finanziare direttamente le scuole
private permettendo loro di continuare a selezionare il personale sulla
base dei diversi progetti educativi ed utilizzare personale volontario.
Nella nostra Regione, purtroppo, abbiamo anticipato, per quanto concerne
nidi e materne, i contenuti del ddl Berlinguer. Il 25 aprile 1995, dopo
un lungo processo che affonda le sue radici nella legge 25 gennaio 1983
n.° 6 "Diritto allo studio", il Consiglio Regionale ha approvato la
legge n.° 52 che, integrando la precedente, è interamente incentrata
sulla costituzione di un sistema di istruzione integrato pubblico-privato
in riferimento a nidi e scuole dell’infanzia. Per garantire il funzionamento
di questo nuovo sistema misto di gestione, la Regione istituisce un fondo
attraverso il quale vengono parzialmente coperte le spese sostenute dai
comuni che hanno stipulato convenzioni con asili nido e scuole materne
private Di conseguenza, la Regione inizia ad attuare una politica di finanziamento
indiretto alle scuole private. In applicazione della legge n.° 52/95,
in data 17 agosto 1995, l’assessore regionale Gianluca Borghi emana la
circolare n.° 20783/SCS, che prevede uno stanziamento complessivo di
3.000.000.000 per la concessione di contributi ai comuni titolari di convenzioni
con asili nido e scuole materne private. Attraverso il fondo specifico
legato al ‘diritto allo studio’, i finanziamenti regionali raggiungono,
nel luglio 1995, 86 comuni su tutto il territorio regionale. Con l’approvazione
del bilancio regionale di previsione del triennio 1996-1998, la politica
di sostegno a nidi e materne private segna un ulteriore avanzamento. I
fondi a disposizione degli enti locali titolari di convenzioni con nidi
e materne private passavano da 3 a 4 miliardi e 500 milioni. All’interno
di questo quadro politico, l’unica forza che ha manifestato e continua
a manifestare la propria contrarietà ad ogni ipotesi diretta od
indiretta di finanziamento alla scuola privata, insieme ad alcuni Comitati
per la difesa e la riqualificazione della scuola pubblica, è Rifondazione
Comunista. E’ proprio da uno di questi comitati, il Comitato ‘Scuola e
Costituzione’ di Bologna, che è partito un ricorso al Tar contro
la legge regionale 52/95, ritenuta incostituzionale sulla base degli art.
33 e 117 della nostra Carta. La sentenza del Tar, depositata in data 1
aprile 1997 (n.191), ha in parte accolto il ricorso rinviando alla Corte
Costituzionale ogni decisione. Nonostante questo, non solo la Regione ha
deciso di non interrompere l’erogazione dei finanziamenti indiretti ad
asili e scuole materne privati ma, proprio in questi ultimi giorni, tanto
la maggioranza quanto l’opposizione di destra hanno deciso di comune accordo
di porre in discussione quattro progetti di legge di modifica alla legge
n.52/95 senza attendere il giudizio della Corte Costituzionale. Dinanzi
ad un’evidente forzatura della legalità democratica, Patrizia Cantoni,
Consigliera Regionale del nostro partito e membro della Commissione Regionale
Scuola, ha abbandonato per protesta i lavori della stessa. Nel 1997, con
la delibera n.° 2552, approvata dal Consiglio in data 30 luglio, non
solo viene confermato lo stanziamento di 4 miliardi e 500 milioni anche
per l’anno in corso per il finanziamento a nidi e materne privati, ma,
nonostante l’aumento del numero delle domande per asili nido e scuole materne
pubblici, molte delle quali inevase, vengono attuati evidenti tagli al
sistema pubblico. La delibera n.° 2552, inoltre, formalizza, nell’obiettivo
n.° 3, la nascita di nuove metodologie di istruzione 0-3 anni, tra
le quali la "promozione, in alcune realtà, di una forma di servizio
sperimentale del tutto innovativa che prevede l’utilizzo, da parte di un
minimo di due e un massimo di tre famiglie, di un/a operatore/trice con
specifica professionalità educativa che si occupi della cura di
educazione di bambini da 0 a 3 anni denominato/a "educatore/trice familiare"
presso il domicilio di una delle famiglie interessate". Tali famiglie "stabiliscono
un rapporto di lavoro privato mediante regolare contratto di lavoro con
l’educatore/trice e prendono autonomamente accordi sulle modalità
di erogazione del servizio". Questo modello, che nega la funzione sociale
dell’istruzione ed è estensibile anche alla scuola materna, dimostra
chiaramente la volontà della maggioranza di centrosinistra di smantellare
gradualmente il sistema pubblico relegando alle famiglie la tutela e l’educazione
dei figli e sfruttando figure professionali precarie e prive di garanzie.
A tale proposito, il nostro partito ha presentato alla seduta del Consiglio
del 30 luglio un emendamento per inserire queste nuove figure professionali
all’interno del CCNL scuola in modo da garantire loro condizioni normative
e salariali definite. Il nostro emendamento è stato respinto a larga
maggioranza dal Consiglio Regionale grazie ai voti congiunti di Polo ed
Ulivo ed il consigliere Fabbri (PDS) è intervenuto contro la nostra
proposta. Evidentemente, dare certezze ai lavoratori non è materia
che interessa il centrosinistra della nostra Regione.
PIÙ OMBRE CHE LUCI NELLA NUOVA LEGGE REGIONALE
SULLE DELEGHE NEL SETTORE AGRICOLO
di PATRIZIA CANTONI
Consigliera regionale PRC
Nel marzo scorso si è concluso, con l’approvazione del Consiglio
regionale, l’iter della nuova legge sull’Agricoltura. Sul progetto di legge,
d’iniziativa della Giunta, il Gruppo comunista in Regione ha operato una
valutazione molta attenta, che ci ha portato alla necessità di approfondire
le questioni sollevate dall’articolato del progetto. Abbiamo attivato,
perciò, una fitta rete di relazioni e contatti, che ha coinvolto
lavoratori, esperti del settore ed anche il responsabile nazionale per
l’Agricoltura del PRC, Vincenzo Aita. L’analisi di tale progetto ha determinato
un giudizio fortemente critico. Cercherò in modo sintetico di illustrare
i passaggi più controversi, sperando in tal modo di sollecitare
sull’argomento un dibattito tra i compagni impegnati nel settore.
L’approvazione della legge regionale in questione ha rappresentato,
a nostro avviso, un importante passaggio politico di questa legislatura,
che va ben oltre il tema dell’attribuzione di funzioni in materia di agricoltura.
La privatizzazione delle attività istituzionali, l’uso flessibile
del personale, l’adozione di modelli di lavoro interinale (tanto cari alla
Confindustria), la dismissione di una parte significativa dell’organizzazione
regionale, il trasferimento di 350 lavoratori alle Provincie - con la possibilità
che questi non trovino una effettiva ricollocazione se non accettati, la
mancanza di chiarezza e quindi di garanzie per i lavoratori regionali sul
mantenimento delle vigenti condizioni economiche e normative una volta
trasferiti, sono i temi sostanziali che caratterizzano questo provvedimento
legislativo.
In sostanza, questa legge è diventata il pretesto politico per
l’utilizzo di strumenti che sono unicamente funzionali ad una politica
della gestione delle istituzioni da proporre su scala nazionale.
Questa linea non è condivisibile ed accettabile sia per quello
di cui è portatrice e sia perché antepone ai specifici problemi
un’adesione ideologica al liberismo, scoperto e trattato da molti come
elemento taumaturgico in questa fase di vita politica.
Quando poi si vanno ad analizzare gli aspetti più inerenti al
settore in oggetto ci si accorge che sono veramente poche le novità
rispetto alla vecchia legge (L.R. 34/83), in particolare per ciò
che riguarda i contenuti di fondo. Ci saremmo aspettati un progetto più
innovativo a distanza di 14 anni dalla legge che introdusse le deleghe
in agricoltura. Sembra quasi che tutto ciò che è avvenuto
in questi anni (basti ricordare il ruolo guida che ha assunto l’Unione
Europea nella definizione delle politiche agricole) non abbia toccato minimamente
il legislatore regionale, le cui capacità progettuali appaiono alquanto
opache ed inconsistenti.
Entrando nel merito del provvedimento, è criticabile la scelta
di perseguire nell’affidamento di funzioni che richiedono un esercizio
unitario, che solo la Regione può garantire; ci si riferisce, per
esempio, all’applicazione dei regolamenti comunitari, che hanno trovato
e stanno trovando notevoli difficoltà di gestione in Emilia Romagna.
Questa nuova legge, inoltre, attua il decentramento delle funzioni
a livello locale, ponendo sullo stesso piano le Provincie (enti necessari
previsti dalla nostra Costituzione, le cui competenze sono stabilite dalla
legge 142/90) e le Comunità Montane (enti solo eventuali, la cui
istituzione è demandata alla Regioni). L’equiparazione effettuata
dalla L.R. 15/97 appare quindi arbitraria, perché attribuisce le
medesime funzioni a due tipologie di enti locali di rango diverso.
Le difficoltà che potranno nascere da questa eccessiva frammentazione
delle competenze rischiano di essere tali da determinare ritardi nelle
rendicontazioni, negli impegni e nei trasferimenti delle risorse, un’utilizzazione
dei fondi che non riesce a stare in linea con i tempi imposti in sede nazionale
e comunitaria, producendo riduzione dei fondi o ritardi nell’assegnazione.
Riconosciamo che questa legge introduce alcuni elementi apprezzabili
quali la razionalizzazione di certe funzioni, tolte ai Comuni ed assegnate
alle Provincie, il superamento dei vecchi piani zonali per raccordare la
pianificazione agricola locale a quella provinciale, la semplificazione
di alcune procedure (come ad esempio l’eliminazione delle autorizzazioni
all’inizio dei lavori a seguito di domande di contributo per investimento),
l’introduzione di un sistema informativo agricolo (anche se il fatto di
aver dovuto introdurre tale rete di informazioni con un articolo di legge,
la dice lunga sulle difficoltà che la Regione ha incontrato sino
ad oggi ad attivarla), l’istituzione di una Consulta agricola allargata
al settore agroindustriale e rurale, coerentemente agli strumenti di programmazione
regionale già approvati. Questi aspetti non sono tuttavia sufficienti
ad esprimere un giudizio complessivamente positivo sulla legge in questione,
visti gli elementi critici in essa contenuti, che a parere nostro
hanno un peso e una portata maggiore.
Rifondazione Comunista, comunque, non si è limitata ad esprimere
solo critiche di fondo, ma al contrario ha proposto diversi emendamenti
sostanziali, con l’obiettivo di contribuire a rendere il provvedimento
maggiormente funzionale nell’ottica di un decentramento equilibrato e tale
da non ingenerare rischi di ingovernabilità del sistema agricolo
pubblico regionale. La fermezza dell’Assessore regionale competente nel
respingere i nostri emendamenti (circa 30), prima in Commissione e successivamente
in Consiglio, è stata tale, però, da determinare un voto
negativo da parte del gruppo comunista in Regione.
L’approvazione della legge regionale sulle deleghe in agricoltura non
ha rappresentato, comunque, l’atto finale della nostra azione propositiva.
Subito dopo il voto in aula, il gruppo comunista ha, infatti, inviato le
proprie osservazioni critiche sulla legge al Commissario di Governo prima
dell’apposizione del visto governativo che attribuisce efficacia alle leggi
regionali, iniziativa che non ha avuto l’esito da noi sperato. Il nostro
impegno per il futuro è quello di vigilare sull’attuazione della
legge, cercando, per quanto possibile, di correggerne gli aspetti più
negativi.
Modena, record di Infortuni sul lavoro:
Il PRC occupa l’ispettorato
di TITTI DE SIMONE
Pubblichiamo l’articolo apparso su Liberazione il 27 luglio
1997
Record di infortuni e di morti sul lavoro. L’Emilia-Romagna è in
testa alla classifica nazionale per quanto riguarda il settore dell’agricoltura
ed è seconda in quello dell’industria dopo la Lombardia. Fra tutte
le provincie Modena segna ancora il primato degli incidenti, che sulla
base dei dati forniti dall’INAIL sarebbero in costante aumento nel triennio
1993-1996: il 20% del totale regionale w il 2,5 di quello nazionale. A
denunciarlo è la CISL del capoluogo emiliano nell’ultimo dossier
pubblicato dopo gli infortuni gravi e l’ennesimo morto di queste settimane:
il caporeparto della Campopast di Campogalliano soffocato da un solvente
giovedì sera, qualche giorno prima tre operai della linea ferroviaria
ustionati in seguito all’esplosione di una bombola di gas.
Prendendo in esame la popolazione occupata nell’industria e nel terziario
dal 1994, la provincia di Modena supera di un punto la percentuale regionale
e quasi di tre punti quella nazionale. In tutto il 1996 si sono verificati
19.011 infortuni e 556 malattie professionali. Gli incidenti mortali sono
stati 6 nell’edilizia, 2 nell’agricoltura fra dipendenti e 6 fra coltivatori
diretti, 4 negli altri comparti. Una casistica in aumento rispetto agli
anni precedenti. In sostanza se la media nazionale è di circa quattro
infortuni ogni cento occupati a Modena sale a circa sette ogni cento che
lavorano; uno in più della percentuale regionale. Ogni mille infortuni,
1,5 sono mortali. La maggior parte di questi si verifica nelle zone di
Modena e Sassuolo, era il 50% nel 1994.
L’edilizia resta comunque il settore più a rischio. Gli addetti
nell’ultimo anno sono diminuiti del 6%, ma ad ogni punto percentuale corrisponde
un morto sul lavoro. La produzione è aumentata e questo fa intuire
una escalation del lavoro nero. Meno allarmante seppur grave la situazione
nell’intera regione, fornita da un’indagine conoscitiva sulla sicurezza
e l’igiene nel lavoro effettuata da un comitato paritetico di Camera e
Senato.
L’Emilia-Romagna è in testa quanto a infortuni nell’agricoltura:
il 13% a fronte dell’8% del Veneto e della Lombardia. E per quanto riguarda
l’industria se il primato spetta alla Lombardia con il 17,5%, il secondo
posto è dell’Emilia-Romagna che con il 12,7% precede il Veneto.
I dati nazionali parlano di 1.125 morti nel 1996 e di 864.000 infortuni.
Per denunciare la situazione modenese, il 26 luglio Rifondazione Comunista
ha indetto una conferenza stampa durante la quale sono stati forniti i
dati dell’ultimo censimento elaborato dalla CISL. Presenti fra gli altri
Angela Bellei, il senatore Renato Albertini ed il capogruppo alla Regione
Rocco Giacomino. Nel corso della mattinata è stata organizzata una
occupazione simbolica dell’ispettorato del lavoro e si è svolto
un incontro con il direttore dell’ispettorato di Modena.
Ne è emerso un quadro non troppo confortante degli strumenti
operativi per l’applicazione della legge sulla sicurezza nel lavoro. Al
momento gli ispettori di cui dispone la città e l’intera provincia
sono sei, su 36.000 aziende presenti nel territorio.
Su questa ennesima emergenza si è messa in moto la Commissione
lavoro del Senato, che nei prossimi giorni risponderà all’interrogazione
presentata dai rappresentanti di Rifondazione comunista, Manzi, Albertini
e Cò.
Le reazioni della CISL e del PRC modenese intanto si fanno sentire.
Puntano il dito contro il protocollo d’intesa siglato ad ottobre dalle
associazioni imprenditoriali e la provincia per ridurre il rischio di infortuni
che è rimasto lettera morta.
La federazione del PRC in un documento diffuso ieri mattina sollecita
il sindacato tutto ed i lavoratori a mobilitarsi per le garanzie di sicurezza
sul lavoro. "Al sindacato - spiega Angela Bellei - chiediamo un atto di
coraggio ed ai lavoratori di non subire passivamente ma di denunciare i
rischi a cui sono sottoposti.
MAXICONCORSO REGIONALE:
QUALI SVILUPPI?
di DONATELLA MUNGO.
Lo svolgimento del ‘maxiconcorso’ indetto dalla Regione Emilia-Romagna
per la copertura di 140 posti di 7° qualifica funzionale, a cui hanno
partecipato 3.800 concorrenti, ha provocato aspre polemiche e reazioni
sia da parte degli stessi concorrenti, che delle organizzazioni sindacali.
Questo episodio costituisce la conferma ulteriore della leggerezza
e dell’incuria con cui, negli ultimi tempi, le strutture di questa Regione
"maneggiano" procedure o esercitano controlli, venendo meno ad una tradizione
di buon governo e di buona amministrazione che ha contraddistinto in passato
l’Emilia Romagna.
Nel caso specifico, le procedure adottate - la cui pratica attuazione
è stata demandata ad una società di consulenza esterna (la
Praxi) - hanno compromesso i diritti e le fondate aspettative dei
candidati legittimati a partecipare alla fase successiva dell’iter concorsuale.
A sostegno di tale tesi, in sede di verifica dei questionari compilati
dai concorrenti, sono stati individuati diversi errori sia nella formulazione
delle domande, sia nell’attribuzione delle risposte corrette, errori che
inficiano una corretta valutazione dei concorrenti.
A più riprese e da più parti è stato richiesto
alla Giunta di ammettere gli errori e di annullare il concorso; ma tant’è,
la Regione ha deciso di andare avanti. Abbiamo assistito al balletto delle
dimissioni (poi rientrate) dell’Assessore regionale Mariucci, alla ripubblicazione
della graduatoria con gli aggiustamenti del caso, alla difesa spassionata
condotta in Consiglio dalla Giunta sull’operato dei funzionari responsabili.
Com’era prevedibile, la decisione della Giunta di proseguire nelle
attività concorsuali ha provocato una serie di ricorsi collettivi
davanti al TAR, promossi sia dalle RdB che dalla Cisl. A questi hanno fatto
seguito controricorsi da parte di alcuni dei concorrenti che, in base alle
graduatorie, sarebbero stati idonei a partecipare alle successive fasi
concorsuali. Si è determinata, in questo modo, una situazione di
grave incertezza, che si sarebbe potuta evitare fin dall’inizio con l’annullamento
dei provvedimento, decisione certo non facile, ma a nostro parere inevitabile.
Attendiamo l’esito finale dell’intera vicenda, prima di emettere giudizi
definitivi. In conclusione segnaliamo soltanto che, in sede di movimentazione
dei dirigenti, proprio la dirigente al Personale e all’Organizzazione,
responsabile della procedura concorsuale in questione, è stata spostata
ad altro incarico: sarà un caso oppure no?
RIENTRO DEI SAVOIA:
CONSIGLIO REGIONALE RESPINGE DOCUMENTO PRC
di ANGELO BARIANI
della Segreteria Regionale PRC Emilia-Romagna
Il Consiglio Regionale ha respinto a maggioranza (astensione della lega
nord) una risoluzione di Rifondazione Comunista, presentata il 12 maggio
97, nella quale si esprimeva una "ferma contrarietà all’abrogazione
dell’articolo 13 delle Disposizioni transitorie e finali della Costituzione
che, tra le altre cose, vieta l’ingresso ed il soggiorno nel territorio
nazionale ai discendenti maschi della Casa reale dei Savoia.
Rocco Giacomino, illustrando il documento, ha sottolineato le "gravissime
responsabilità della monarchia in relazione all’avvento del fascismo
in Italia che condusse il Paese ad una sanguinosa e rovinosa guerra mondiale
ed alla promulgazione delle leggi di discriminazione razziale del 1938"
ed ha ribadito che la "lotta antifascista, da cui è nata la Costituzione
repubblicana, ha scritto indelebilmente la condanna di quel regime".
Contro la risoluzione, oltre la destra, ha votato anche il PDS. Daniele
Alni, consigliere PDS, ha sottolineato: " La questione, a cui il PRC ha
dato rilievo, non mi appassiona" aggiungendo di "comprenderne le ragioni",
ma di valutarla sotto un’ottica simbolica che questa Repubblica può
superare senza enfatizzare, perchè ormai passata alla storia. Sono
convinto- ha concluso- che, a 50 anni di distanza e con tutto ciò
che è accaduto dopo, l’Italia può senza traumi, pur rispettando
le regole costituzionali, accettare come un fatto "normale" il rientro
dei Savoia.
La stessa "normalità" ha ritenuto risolutoria la maggioranza
del Consiglio Regionale della Toscana respingendo anche qui un ordine del
giorno presentato dal PRC.
Il Consiglio Comunale di Torino ha invece approvato lo stesso ordine
del giorno, con 24 voti a favore e 16 contrari, cioè la coalizione
di sinistra (con Rifondazione) che governa contro le destre all’opposizione.
Considerazione finale: ciò è forse dovuto alla situazione
storica che ha vissuto Torino con la famiglia reale in casa, oppure è
la presenza di Rifondazione nella maggioranza che legittima le proposte
del PRC ?
RISOLUZIONE
Il Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna
premesso
· che, ad oltre 50 anni dalla nascita della Repubblica, i valori
di antifascismo, di libertà e di democrazia, incarnati nella Carta
Costituzionale, fanno parte della nostra storia e sono profondamente radicati
nelle coscienze degli italiani;
· che ritiene compito delle istituzioni mantenere viva la memoria
del sacrificio umano e degli ideali che condussero alla lotta di liberazione
e seppero ricostruire il paese al termine della guerra;
· che considera gravissime le responsabilità della monarchia
in relazione all’avvento del fascismo in Italia, che condusse il paese
ad una sanguinosa e rovinosa guerra mondiale, ed alla promulgazione delle
vergognose leggi di discriminazione razziale del 1938;
ribadisce
· che la lotta antifascista, da cui è nata la Costituzione
repubblicana, ha scritto indelebilmente la condanna di quel regime;
esprime
la propria ferma contrarietà all’abrogazione dell’articolo 13
delle Disposizioni Transitorie e Finali della Costituzione della Repubblica
italiana, in assenza tra l’altro di un’esplicita rinuncia da parte dei
discendenti di Casa Savoia alle prerogative dinastiche, che generano ambiguità
sul loro ruolo istituzionale.
Una nuova disciplina del canone di concessione per lo
sfruttamento delle acque minerali
La proposta del PRC
di DONATELLA MUNGO
Il progetto
di legge, depositato dal nostro gruppo nel luglio scorso, parte dal
presupposto che le acque sono un bene pubblico da tutelare e da salvaguardare,
in linea con le disposizioni della legge n. 36/94 (c.d. legge Galli).
Le acque minerali e termali, superficiali e sotterranee, costituiscono,
quindi, una preziosa risorsa che, a norma della nostra Costituzione e di
successivi provvedimenti legislativi, appartiene ora al patrimonio regionale.
La Regione Emilia Romagna ha disciplinato la materia con L.R. 32/88,
che si occupa delle concessioni di ricerca, di coltivazione e di estrazione
delle acque minerali e termali, nonché delle norme igienico sanitarie
e degli stabilimenti termali. Nella normativa regionale vigente è,
però, assente la considerazione del bene "acqua" come risorsa, soprattutto
in rapporto alla sua commercializzazione. Infatti, il concessionario di
una fonte, indipendentemente dalla quantità d’acqua destinata all’imbottigliamento,
versa attualmente un canone fisso, rapportato alla estensione in ettari
della concessione.
In verità, l’utilizzo a fini commerciali delle acque minerali
rappresenta l’aspetto più importante della questione. Basti pensare
al consumo crescente di acqua minerale in bottiglia, stimato in Italia
in più di 7.000 milioni di litri annui. Questa tendenza è
confermata anche in Emilia Romagna, nel cui territorio si trovano ben 28
fonti destinate alla commercializzazione. Le acque minerali, quindi, sono
una risorsa dei cui ingenti vantaggi economici traggono profitto solo le
imprese commerciali.
Il progetto di legge di Rifondazione comunista, presentato dal capogruppo
Rocco Giacomino e dalla consigliera Patrizia Cantoni, vuole salvaguardare
l’impianto generale della legge regionale vigente, ma si propone l’obiettivo
di mutare l’attuale impostazione del canone di concessione per lo sfruttamento
a fini commerciali delle acque: non più l’estensione in ettari della
concessione, bensì la quantità d’acqua sorgiva o captata,
prevedendo altresì l’obbligatoria installazione degli appositi strumenti
di misurazione.
Per mitigare il rigore di queste disposizioni e per incentivare
i produttori che si dimostrino sensibili al rispetto dell’ambiente e ad
un uso collettivo dei beni pubblici, il nostro progetto di legge introduce
delle agevolazioni che incidono sulla determinazione della base di calcolo.
Le agevolazioni riguardano l’imbottigliamento in contenitori di vetro o
in contenitori riciclabili, mentre per il quantitativo d’acqua fornito
agli enti locali per l’uso pubblico di acqua potabile non è
dovuto alcun corrispettivo.
LULA, FONDATORE DEL PARTITO DEI LAVORATORI DEL BRASILE,
INCONTRA IL PRC DELL’EMILIA-ROMAGNA
"Un incontro importante e significativo dal punto di vista politico, ma
anche umanamente molto toccante ed emozionante". Così si è
espresso il capogruppo di Rifondazione Comunista al Consiglio regionale
dell’Emilia-Romagna, Rocco Giacomino, dopo il colloquio durato oltre 50
minuti con Louis Ignacio da Silva, meglio conosciuto come Lula, fondatore
e leader carismatico del partito dei lavoratori brasiliano, artefice di
innumerevoli lotte sindacali negli anni ’70 e ’80 contro il regime dittatoriale
militare brasiliano, ed in seguito per due volte candidato alla Presidenza
del Brasile: nel 1989 e 1994.
All’incontro con Lula, accompagnato da Gilberto Carballo (resp. Dipartimento
comunicazione del PT) e dall’economista Paolo Vannucci, svoltosi il 16
Ottobre scorso presso la sede del gruppo PRC nell’ambito della visita dell’esponente
brasiliano nella nostra regione, erano presenti anche la Consigliera Patrizia
Cantoni, l’addetto stampa Claudio Adelmi e Stefano Maruca, della
segreteria della Camera del lavoro della CGIL di Bologna. L’enorme seguito
popolare tra i poveri e gli esclusi del Brasile e l’eco in tutto il mondo
delle sue battaglie per la libertà e per i diritti dei lavoratori
fanno di Lula uno dei personaggi di spicco dell’intero movimento internazionale
dei lavoratori e della sinistra di questo secolo, che lotta contro il neoliberismo.
Giacomino ha dato il saluto di benvenuto a Lula, a nome di tutti i
comunisti dell’Emilia-Romagna, seguito da uno scambio di informazioni ed
impressioni sulla situazione dei rispettivi paesi. Il leader brasiliano
si è dimostrato particolarmente interessato agli sviluppi della
recente crisi di governo in Italia e al ruolo avuto da Rifondazione Comunista
per una sua positiva conclusione. Anche in Brasile il tema dell’unità
delle sinistre è all’ordine del giorno, in vista delle presidenziali
dell’anno prossimo. Lula ha denunciato la chiusura dell’attuale governo
brasiliano verso ogni ipotesi di riforma agraria e di miglioramento della
condizione di vita dei lavoratori, un governo che punta solo al neoliberismo
ed agli aiuti al grande capitale, pagati con i soldi dei brasiliani.
Giacomino, richiamandosi ad una frase di Lula ("non è possibile
che l’umanità continui ad essere divisa tra quelli che non dormono
perché hanno fame e quelli che non dormono perché hanno paura
di quelli che hanno fame"), ha affermato l’importanza di "costruire
luoghi e percorsi dove, gli antagonisti alla religione del neoliberismo,
i comunisti, la sinistra, dal Chiapas, al Sudamerica, dall’Europa, all’Asia,
tutti fratelli e compagni nella stessa lotta, possano incontrarsi, scambiarsi
esperienze e lottare per una prospettiva comune, in un contesto internazionale
che vive la realtà della mondializzazione". Il fraterno incontro
si è concluso con un lungo abbraccio ed un simbolico scambio di
doni, così Lula tornerà nel suo paese con la bandiera di
Rifondazione Comunista.
BREVI
sintesi dei documenti
del prc
presentati in consiglio regionale
di ALESSANDRA BARBONI
Scadeva il 10 aprile il termine per predisporre negli edifici pubblici
un sistema di chiamata per l’assistenza
ai disabili. A rammentarlo è Rocco Giacomino, capogruppo regionale
PRC che ha presentato il 22 aprile un’interpellanza per sapere cosa sia
stato fatto in questo senso dalla Regione negli edifici di propria competenza.
Il 22 aprile Rocco Giacomino interroga la giunta affinché solleciti
il Governo per individuare con urgenza un luogo idoneo per lo stoccaggio
definitivo delle scorie nucleari ancora presenti nella centrale
di Caorso (PC) inattiva dopo la scelta antinucleare compiuta dal popolo
italiano con referendum, subordinando a questo ed alla garanzia della sicurezza
delle operazioni l’avvio dello scaricamento del reattore da elementi combustibili
ancora presenti.
Il 23 aprile il PRC interviene con un’interpellanza di Giacomino sulla
vicenda dei tributi non dovuti ai Consorzi
di bonifica. Lo spunto è offerto dall’iniziativa del Comune
di Ferrara che ha intimato ai Consorzi la restituzione, interessi inclusi,
di quelle somme raccolte dal 1986 ad oggi ma non dovute. Si chiede se la
Giunta condivida l’iniziativa ferrarese che prevede anche la contestuale
cancellazione dello stesso Comune dall’elenco dei soggetti al tributo delle
bonifiche.
Il 23 aprile Rocco Giacomino è intervenuto, con un’interrogazione,
sull'intenzione delle Ferrovie dello Stato di attuare, nella bozza di orario
estivo, tagli
alle linee locali, in particolare, sulla linea Carpi-Modena, rilevando
che simili tagli penalizzano i pendolari che utilizzano il servizio pubblico
per motivi di lavoro.
Il 29 aprile l’ipotesi di un ridimensionamento del reparto di ostetricia
e ginecologia
dell’Ospedale di Porretta Terme (Bo) è nuovamente al centro
di un’interpellanza del gruppo di Rifondazione Comunista, insoddisfatto
della risposta data dall’assessore regionale alla sanità ad una
precedente interrogazione. I consiglieri sollevano numerose perplessità
sul fatto che le dichiarazioni di Bissoni si basano su di una bozza programmatica
predisposta dall’Ausl Bologna sud che si discosta dal Piano attuativo locale,
approvato dalla Conferenza dei sindaci, il quale prevede la riorganizzazione
del reparto in oggetto, ma non la soppressione delle attività legate
al parto.
Il 29 aprile Rifondazione chiama la Regione in "soccorso" del Comune
ferrarese di Ostellato. All’origine dell’appello - ufficializzato con una
interrogazione di Giacomino - la complessa e lunga vicenda di un
impianto di riciclaggio rifiuti con produzione di compost. Un’opera
accettata dal Comune per il "diktat" della Provincia e per creare occupazione,
ma troppo onerosa per un piccolo Comune che si ritroverebbe ora in stato
di completo abbandono.
Il 6 maggio sul caso di alcuni immobili dell’Inps
a Montecatone, presso Imola, Patrizia Cantoni e Daniela Guerra, dei
verdi, interrogando la giunta, chiedono di verificare la possibilità
di dare in locazione questi beni allo stesso Comune di Imola ed inoltre
evitare eventuali manovre speculative.
Il 22 maggio il mancato rilascio, da parte della Commissione Tecnica
sulle Malattie Professionali dell'Inail, a 150 operai bolognesi della certificazione
che testimoniasse l'effettivo contatto
ultradecennale con l'amianto ha provocato la reazione dei consiglieri
Giacomino e Cantoni che in un’interrogazione chiedono se la Giunta regionale
ha intenzione di intervenire presso l'Inps per trovare una opportuna soluzione
al problema.
Il 12 giugno la consigliera di rifondazione comunista Patrizia Cantoni
in una interpellanza chiede, come avviene in molti paesi europei, fin dagli
anni ‘70, sostegno ed incentivi alla coltivazione della canapa
sativa. L’utilizzo di questa coltura, visti i non trascurabili vantaggi,
andrebbe incentivato anche nella nostra regione; per questo la Cantoni
chiede di utilizzare i fondi CEE.
La decisione della società Ferrovie dello Stato, assunta nell’ambito
della riorganizzazione del trasporto merci della tratta Bologna-Piacenza,
di declassare, dal 1° al 2° livello, lo scalo
merci di Fidenza, mantenendo come scalo di 1° livello nel reparto
territoriale di Parma solo quello del capoluogo, ha spinto il capogruppo
del PRC, Rocco Giacomino, a presentare un’interrogazione per sapere se
la Giunta regionale ritenga opportuna tale intenzione e, in caso negativo,
quali azioni intenda intraprendere per ottenere un ripensamento da parte
della società FS.
Il 18 giugno un’interpellanza di Patrizia Cantoni fa presente che in
oculistica è in uso una metodica di correzione dei difetti rifrattivi
che si avvale di una nuova tecnologia, il laser
ad eccimeri, che, tuttavia, non è in grado di affrontare patologie
della vista e quindi non ha finalità curative, se non in un ridottissimo
numero di casi. Visto che i costi del laser ad eccimeri e la sua manutenzione
sono elevatissimi, Patrizia Cantoni chiede se tali prestazioni sono a carico
della sanità pubblica e se le strutture sanitarie pubbliche si stanno
dotando i questi costosi macchinari.
Il 24 giugno Rifondazione Comunista ha chiesto, con una risoluzione,
l’istituzione di una Commissione d’inchiesta per l’accertamento di possibili
responsabilità o di colpevoli omissioni nella conduzione della vicenda
della sparizione
dei verbali, relativi all‘attività istruttoria del nucleo di
valutazione tecnica circa i progetti da ammettere a contributo per l’anno
1996, secondo quanto previsto dalla legge regionale 37/1992.
Il 24 giugno i gravissimi episodi di violenza
nei confronti della popolazione civile somala di cui, secondo notizie
stampa, si sarebbero resi responsabili alcuni militari italiani durante
la missione di pace Ibis, sono al centro di una risoluzione, presentata
dai consiglieri regionali PRC. Il documento impegna la Giunta ad intervenire
presso il Ministero affinché, da un lato, sia data piena collaborazione
ai membri della Commissione d’inchiesta, incaricata di far luce sullo svolgersi
degli avvenimenti in questione e di ricercarne i responsabili e, dall’altro,
sia esercitata compiutamente una severa attività di vigilanza per
scongiurare il pericolo di violenze gratuite durante successive missioni
di pace all’estero.
Il 27 giugno la consigliera regionale del PRC, Patrizia Cantoni, ha
presentato un’interpellanza alla Giunta della Regione Emilia-Romagna affinché
intervenga presso il Governo per salvaguardare i fondi destinati ai programmi
di accoglienza per i profughi
della ex Jugoslavia. Molti piccoli comuni della nostra regione, impegnati
sin dal 1994 nell’accoglienza per i profughi della ex Jugoslavia, ancora
aspettano i finanziamenti per il 1996 (è il caso, ad esempio, di
Malalbergo, in provincia di Bologna), nonostante il rifinanziamento della
legge 390/92. Si chiede di ripristinare la destinazione dei fondi perché
l’emergenza dei profughi della ex Jugoslavia, vista la situazione in Bosnia
del dopo Dayton, è tutt’altro che esaurita.
Il 14 luglio i consiglieri del PRC Giacomino e Cantoni con un’interrogazione
denunciano il grave comportamento di una cooperativa
edilizia di Fidenza (PR), beneficiaria di finanziamenti regionali,
che avrebbe imposto ad alcune famiglie di cittadini immigrati, residenti
nel comune e soci della cooperativa stessa, canoni di affitto incredibilmente
elevati, non rispettando i criteri fissati dalla Regione per poter accedere
ai finanziamenti (appartamenti di almeno 64 metri quadrati con canoni di
affitto ai quali dovrebbe essere applicato l’equo canone e obbligo dell’integrazione
etnica). I consiglieri giudicano estremamente negativa la lentezza della
Regione nell’attuazione dei controlli previsti dalla normativa nazionale
e nell’accertamento della verità.
Il 14 luglio viene presentata una interrogazione dal capogruppo Rocco
Giacomino in merito al progetto di trasporto
rapido costiero (TRC) (metropolitana di costa) che prevede la realizzazione
di una corsia per filobus a fianco alla linea ferroviaria Rimini-Ancona.
Questo progetto comporta pesanti conseguenze di impatto ambientale e costi
elevati. Si chiede di conoscere se siano stati presentati o richiesti progetti
alternativi che abbiano tenuto conto dei risultati degli studi sulla viabilità
condotti per conto della Regione Emilia-Romagna, dai quali emergeva l’oppor-tunità
di procedere ad un potenziamento della linea ferroviaria, quali siano stati
i motivi che hanno indotto a scegliere il progetto della metropolitana
di costa rispetto ad altri e se siano stati richiesti finanziamenti alla
Commissione Europea.
Il 16 luglio Patrizia Cantoni, assieme ad altre consigliere del PDS
e alla verde Guerra, è firmataria di una risoluzione, approvata
dalla maggioranza, in merito ai recenti episodi di teppismo contro la Case
delle Donne, a Ravenna, e contro la Casa per non subire violenza, a Bologna.
Nel documento, oltre alla denuncia della estrema gravità di quanto
accaduto (danni agli ambienti, furti di denaro e di schedari con l’elenco
delle socie), si esprime solidarietà alle donne colpite e si chiede
alla Giunta regionale di proseguire nel sostegno alla rete dei centri che
svolgono, grazie all’opera di centinaia di volontarie, un servizio alle
donne colpite da atti di violenza sessuale.
Il 22 luglio Patrizia Cantoni e Rocco Giacomino, con una interrogazione,
chiedono di sapere se la Regione ha partecipato al finanziamento della
Fondazione
Alma Mater di Bologna, in quanto giudicano estremamente grave che soggetti
privati, detentori della maggioranza del capitale di partenza della Fondazione,
intervengano direttamente nella gestione delle strutture universitarie,
(vedi ad esempio la costruzione da parte della Fondazione di uno studentato
di lusso a fronte di richieste di studenti a reddito medio-basso che devono
pagare canoni di affitto esorbitanti) utilizzando denaro pubblico senza
alcuna possibilità di controllo o verifica da parte degli Enti erogatori.
Il 23 luglio Il Gruppo PRC chiede alla Giunta regionale di impartire
ai direttori generali delle Ausl disposizioni per dare applicazione alle
regole sulla mobilità
del personale tenendo conto, in particolare, di documentate esigenze
familiari e sociali.
Del 31 luglio l’interpellanza con l’intento di far riaprire e modificare
il bando di un appalto concorso, indetto dal Consiglio regionale, per un
ciclo sperimentale di trasmissioni
radiofoniche sulla propria attività. Il bando, così come
congegnato, non distingueva tra radio commerciali e comunitarie; prevedeva
inoltre che le radio concorrenti si organizzassero comunque tassativamente
in pool di più emittenti - per coprire tutta la regione - anche
quando una singola emittente fosse in grado di raggiungere da sola tutto
il territorio regionale. Obiettivo del PRC è consentire alle radio
escluse la reale possibilità di contribuire ad una più ampia
comunicazione delle attività del Consiglio regionale.
Il 1 agosto il Gruppo PRC ha chiesto alla Giunta regionale, interrogandola,
di intervenire presso le Ferrovie dello Stato per verificare il rispetto
dell’accordo sottoscritto con i sindacati, in tema di applicazione delle
norme di sicurezza all’interno delle ditte a cui vengono appaltati i lavori
di manutenzione delle linee, ricordando l’incidente,
l’ultimo di una lunga serie accaduta sulla linea Milano-Bologna, accaduto
all’altezza di Castelfranco Emilia (Mo), provocato dall’esplosione di una
bombola che avrebbe procurato gravi ustioni a tre lavoratori. I consiglieri
domandano se siano rispettate tutte le norme di sicurezza sul lavoro nel
tratto ferroviario in oggetto e quali interventi, nell’ambito delle competenze
regionali, si intendano porre in essere per garantire una maggiore sicurezza
nei luoghi di lavoro.
Il 23 settembre una interpellanza del PRC chiede di conoscere le ragioni
del mancato avvio in Emilia Romagna del televideo
regionale RAI. E’ dovuto ad uno scarso interessamento da parte della
RAI o alla scelta di privilegiare il teletest regionale, tramite l’URP,
che garantisce maggior risalto alle attività della Giunta regionale?
Il 30 settembre il capogruppo Giacomino, con una interpellanza, prende
posizione contro l’iniziativa privata autorizzata dal Comune di Cento (FE)
per la realizzazione di un parcheggio e di mini appartamenti nel centro
storico con interventi di demolizione e ristrutturazione all’interno del
ghetto
ebraico. Giacomino chiede alla Giunta regionale di verificare la compatibilità
dei sopra descritti interventi con il preminente interesse, storico e architettonico,
alla tutela del ghetto ebraico.
Il 10 ottobre Rocco Giacomino ha portato direttamente sui banchi della
Giunta regionale il caso di una vasta nube
tossica sprigionatasi lo scorso 26 settembre tra Vignola e Spilamberto,
nel modenese, ed i problemi dell’area interessata da alcuni stabilimenti
dell’"ex Sipe Nobel", una società impegnata in prodotti esplodenti.
La nube, composta perlopiù di nitrocellulosa e gas ammoniacali,
ha provocato l’evacuazione delle scuole della località Bettolino
e l’abbandono del lavoro da parte di numerosi operai.
Rocco Giacomino in un’interpellanza denuncia la scarsa collaborazione
ed i costanti ritardi nelle informazioni, anche nelle più semplici
e meramente statistiche, stile che caratterizzerebbe in più di una
occasione l’assessorato
alla sanità della Regione, a differenza di altri assessorati
ben organizzati. Tutto ciò, tenuto conto della importanza strategica
del settore sanità, crea notevoli problemi al lavoro dei consiglieri
regionali.
Il 7 ottobre diversi gruppi consiliari (PRC - PDS - Verdi - Socialisti
- CDU) con una risoluzione esprimono un rifiuto alla "manipolazione" dei
prodotti naturali, quali soia e mais.