E’ tempo di consuntivi. Abbiamo superato la "boa" di metà
mandato: quali sono gli elementi di novità nel rapporto tra il PRC
e l’Ulivo che governa la Regione?
Vedo crescere le distanze tra noi e le scelte e gli orientamenti di
fondo della Giunta, anche se rimane aperto un confronto di merito sui singoli
atti e provvedimenti. Tuttavia ritengo necessario, partendo da una analisi
rigorosa della società emiliana, precisare meglio i nostri compiti
e la nostra linea rispetto alla maggioranza di centrosinistra che governa
dal ’95 la Regione. Nel triennio trascorso la nostra azione politica in
Consiglio Regionale è sempre stata orientata dal binomio autonomia
ed unità sui contenuti. Anche per il futuro questo binomio costituirà
la nostra bussola, ma il punto da approfondire ed indagare di più
oggi è quale ruolo noi comunisti intendiamo svolgere rispetto ai
processi regressivi che investono la società regionale, accrescendone
il malessere.
Però sul piano dei contenuti concreti sui quali tentare di
costruire l’unità tra Ulivo e PRC in Regione vi è già
una sorta di "piattaforma"?
Certo, ovviamente vi è alle nostre spalle un insieme denso di
scelte compiute e di analisi precise sulle tendenze neoliberiste presenti
nelle politiche regionali, penso alla sanità, alla scuola, alle
politiche del lavoro, ai servizi sociali, e complessivamente alla riforma
del Welfare in Emilia-Romagna, in parte già realizzata dalla Giunta.
Tali scelte hanno sempre visto la nostra coerente ma costruttiva opposizione,
tesa comunque a strappare risultati, anche piccoli, ma concreti. Insomma
i nostri interlocutori, a cominciare dai Democratici di Sinistra, conoscono
bene i punti programmatici decisivi per il PRC. Ma nello stesso tempo avverto
la necessità di produrre un ulteriore salto di qualità collettivo,
di tutto il partito, nel delineare il quadro d’insieme in cui si colloca
la nostra azione quotidiana. Ecco perché occorre ripartire dall’analisi
puntuale della concreta realtà sociale, delle forze in campo, degli
interessi organizzati, dei bisogni insoddisfatti.
Cosa vuoi dire?
In questi anni la "coesione sociale", che era il tratto distintivo
di questa Regione, ha subito un processo di crisi, lento ma evidente. La
coesione è il risultato finale, il prodotto ultimo che deriva dal
concorso di molti fattori; una condizione di lavoro ricca di tutele e garanzie,
un sistema produttivo competitivo, una rete di servizi sociali diffusa,
articolata e fruibile, una sanità con alti standard qualitativi,
politiche abitative in grado di dare compiutezza al diritto alla casa,
un sistema trasportistico locale ed una mobilità moderni ed efficienti,
infine, ma non per ultimo, un alto tasso di partecipazione e protagonismo
dei cittadini alle scelte ed al governo della cosa pubblica. Ebbene molti
di questi indicatori di coesione oggi appaiono in crisi, ad esempio preoccupante
è il fenomeno astensionistico registrato nelle ultime amministrative
in Emilia-Romagna. Dunque ripartire da qui per capire che fare e come caratterizzare
l’azione di noi comunisti, di fronte ad una società regionale che
segnala elementi acuti di sofferenza e di disgregazione. I tagli ed il
contenimento della spesa nel servizio sanitario e nei servizi sociali e
processi di flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro hanno colpito
i ceti popolari anche in Emilia-Romagna.
Allora, quali idee, quali proposte, quali programmi e soprattutto
quale strategia i comunisti possono mettere in campo in questa Regione.
In due parole: che fare?
Va ricostruita e rilanciata la coesione sociale, attraverso il conflitto,
e il movimento per riportare al centro gli interessi popolari e dei lavoratori,
e per contrastare una concezione dell’azione politica amministrativa come
puro sostegno alle ragioni della competitività delle imprese. Semplificando
potremmo dire che il binomio unità e autonomia può tradursi
a livello regionale in "fare coesione e costruire conflitto", una coppia
che indica i nostri compiti ed il nostro ruolo.
Ma si potrebbe obiettare che "coesione" può essere sinonimo
di "pacificazione".
Il punto è delicato. Ho presente che vi può essere una
visione che intende la coesione come pacificazione, assenza di conflitto,
normalizzazione. Si tratta, a mio avviso, di una concezione rozza ideologicamente
e primitiva politicamente, in quanto non tiene conto che in un quadro avanzato
socialmente, può meglio dispiegarsi il conflitto e si impongono
bisogni ed esigenze innovative e di cambiamento. Se l’insieme della società
emiliana arretra, e la nostra Regione è sempre meno laboratorio
di politiche progressiste ed innovative, anche le nostre idee e valori
avranno maggiori difficoltà ad affermarsi. Dunque occorre creare
le condizioni per una svolta a sinistra, che va perseguita lanciando una
sfida unitaria al centrosinistra e costruendo rapporti unitari innanzitutto
con la sinistra moderata. Dobbiamo incalzare i D.S. in Regione che, dopo
la crisi elettorale, appaiono sempre più confusi ed incerti sulla
prospettiva, ancora prigionieri delle politiche centriste e moderate dei
popolari ed esitanti nell’aprirsi ad un confronto vero e di merito a sinistra
con il PRC.
La famosa svolta che attendiamo da troppo tempo, ma riusciremo finalmente
a conquistarla?
Non è possibile dire a priori se ci riusciremo, di certo dovremo
agire come se fosse possibile. La politica non è la matematica ed
ha un carattere processuale influenzabile dalle dinamiche sociali. L’intesa
con il centrosinistra va perseguita ed in ogni caso il successo di una
nostra offensiva unitaria collocherebbe il PRC in una condizione più
favorevole alle proprie battaglie politiche. Una offensiva unitaria, convinta
e determinata, per impedire il prevalere delle politiche e delle
tendenze neoliberiste che si sono manifestate in questi anni e per rilanciare
quella diversità positiva che fece di questa Regione un modello
a cui ispirarsi. Abbiamo sulle nostre spalle una grande responsabilità,
e vedo tante attese, non sarà un percorso facile e scontato, avremo
bisogno di tutte le nostre energie ed intelligenze. Dobbiamo incidere sui
processi reali, tentare di mutarne il corso neoliberista per ricollocare
al centro i bisogni della società e per questa via ci affrancheremo
anche dal rischio della residualità o della mera nobile testimonianza.
La tornata parziale di elezioni amministrative ha portato a grandi novità
nella situazione politica, sia sul piano nazionale che nella nostra regione.
La situazione nazionale mi sembra si possa sintetizzare in tre punti.
1) Siamo di fronte ad una ulteriore accelerazione del processo di allontanamento
di larghe masse popolari dalla politica. Due sono i fenomeni più
rilevanti: innanzitutto il forte ulteriore aumento dell’astensionismo che
raggiunge cifre mai viste anche nella nostra regione (in media il 22% al
primo turno e il 35% al secondo turno, ma in altre zone del paese siamo
già al 50% di astensionismo al secondo turno, quindi con sindaci
e presidenti di provincie eletti con meno della metà dei votanti).
In secondo luogo c’è un processo di disincanto di massa rispetto
al governo Prodi che coinvolge tutto il paese ma innanzitutto il Mezzogiorno
a causa della politica del governo sull’occupazione, una politica finora
fallimentare, basata su ricette liberistiche e su una logica antimeridionalistica,
che considera cioè il sud sostanzialmente come un mercato di forza
lavoro a basso prezzo.
2) C’è un evidente rafforzamento delle forze di centro, delle
forze moderate sia del centro-sinistra che del centro-destra. La crescita
elettorale di tutti i tronconi ex-democristiani, lo spostamento al centro
di Forza Italia e il suo ingresso nel Partito Popolare europeo rafforzano
il progetto di Cossiga di costruzione di un nuovo grande schieramento di
centro laico e cattolico ed aprono la strada ad una possibile ed auspicabile
crisi del bipolarismo.
3) Siamo di fronte ad una crisi profonda del PDS, sia nell’insuccesso
della cosa-due, sia nel fallimento della Bicamerale e del suo presidente,
fallimento per il quale, anche se non è merito nostro, esprimiamo
grande soddisfazione per la grave pericolosità dei cambiamenti istituzionali
e costituzionali che la Bicamerale stava perseguendo.
In questa nuova situazione politica è necessario muovere una
offensiva unitaria nei confronti del PDS e incalzare il governo con maggiore
decisione. Dopo l’ingresso nell’Euro e dopo il negativo responso elettorale,
è ancora più necessaria e urgente una svolta riformatrice.
La nostra bussola per giudicare l’azione del governo è basata sui
contenuti programmatici. Con questa bussola abbiamo giudicato positivamente
il DPEF e negativamente altri atti del governo successivi al DPEF, come
per esempio la nomina di Rastrelli commissario straordinario in Campania;
la fuga di Licio Gelli anziché finalmente la verità sulle
stragi; il sanitometro che così come è stato approvato dal
governo aumenta i ticket per i ceti popolari e lo slittamento ulteriore
della legge sulle 35 ore. Con questa bussola affronteremo il confronto
con il governo su imminenti nodi spinosi e importanti sui quali vi sono
divergenze profonde, come per esempio: la politica estera e in particolare
il ruolo dell’Italia nella NATO, sia nell’allargamento ad Est, sia nell’intervento
nel Kosovo o in altre aree del mondo in sostituzione dell’ONU; la questione
delle riforme istituzionali, con una particolare attenzione alla legge
elettorale, su cui c’è una parte dell’Ulivo e del PDS, e lo stesso
D’Alema, che spinge verso una accentuazione del bipolarismo e verso una
riduzione della quota proporzionale anche col referendum; la questione
del finanziamento pubblico della scuola privata; il problema dell’occupazione
nel Mezzogiorno su cui c’è bisogno di un cambiamento radicale che
dia immediate risposte concrete alla drammaticità della situazione
e della condizione di sempre più ampie masse popolari. In Emilia-Romagna
il nostro risultato elettorale, che è l’unico che cresce nelle alleanze
col centro-sinistra, conferma la giustezza della linea della ricerca di
accordi elettorali col centro-sinistra non a tutti i costi ma se vi sono
le condizioni programmatiche e nella nostra piena autonomia e visibilità,
come è avvenuto a Parma, a Piacenza e a Faenza. Nella nostra regione
vi sono due ragioni in più che ci fanno dire che si è creata
una nuova situazione politica a nostro favore: il PDS ha avuto uno dei
risultati peggiori e il PRC uno dei risultati migliori, come sta ad evidenziare
in particolare l’ottimo risultato di Parma. A maggior ragione nella nostra
regione, quindi, facciamo bene a lanciare una offensiva unitaria nei confronti
del PDS, basata essenzialmente su tre punti.
1) Una iniziativa tesa ad incalzare con spirito unitario le forti contraddizioni
che vi sono nel PDS emiliano. Da un lato vi è una evidente corrente
ulivista-liberaldemocratica rappresentata dal Presidente della Regione,
che propone ed esplicita coerentemente una linea chiara: sul piano economico-sociale,
liberismo e privatizzazioni, superamento dello stato sociale e di ogni
intevento pubblico in economia; sul piano politico-istituzionale, accordo
organico col PPI e col centro moderato, trasformazione dell’Ulivo da coalizione
a nuovo soggetto politico, sistema elettorale ultramaggioritario, forma
di governo presidenzialistica. Dall’altra parte, come si è visto
sulla nomina di Montezemolo, uomo FIAT, a presidente della Fiera di Bologna,
c’è tutta un’area di dirigenti del PDS, della cooperazione, amministratori
locali, dirigenti sindacali, che non è d’accordo con il Presidente
della Regione ma, diversamente dai liberal-ulivisti, non propone una chiara
linea politica e quindi rischia di essere alla fine subalterna alle tesi
e alle proposte uliviste-liberaldemocratiche. E’ avvenuto così infatti,
per esempio, per l’assurda posizione presa dal segretario regionale del
PDS sulle primarie come risposta alla sconfitta elettorale. Di fronte al
35% di elettori che a Parma e Piacenza non va più neanche a votare,
di fronte all’aumento del malessere sociale che nei quartieri popolari
si riversa a Parma su Tommasini e a Piacenza sulla Lega Nord, qual è
la soluzione del PDS? Qual è il messaggio che il PDS dà al
popolo emiliano ? Le primarie ! Cioè un modo, ancora una volta,
per non parlare dei problemi della gente, un modo per tagliare ancora più
fuori le masse popolari dalla politica e per ridurre ulteriormente la partecipazione
al voto, un modo per rendere ancora di più la politica un fatto
d’élite. La risposta delle primarie è la risposta della politica
che invece di parlare della società e alla società, parla
di sé e a sé stessa. E’ una risposta di destra alla crisi
del PDS e alla crisi della politica nel rapporto con la società.
Come si vede, dunque, la contraddizione nel PDS di cui parliamo non
è una contraddizione strategica, ma fra due tendenze comunque interne
alla sinistra moderata e socialdemocratica europea. Tuttavia la nostra
iniziativa deve essere ugualmente tesa a far prevalere nel PDS le tendenze
che guardano a sinistra, alle masse lavoratrici e popolari e al malessere
sociale in aumento anche nella nostra regione, affinché si determinino
le condizioni per una maggiore unità d’azione, programmatica ed
elettorale fra riformisti e comunisti.
2) C’è la necessità di proporre al PDS e a tutte le forze
politiche e sociali progressiste un rilancio dei tratti caratteristici
e positivi della diversità del modello emiliano, per tentare di
fare della nostra regione un laboratorio di un moderno modello sociale
non omologato al neoliberismo imperante. Costruire le direttrici fondamentali
di questo progetto è lo scopo della nostra conferenza programmatica
regionale che abbiamo promosso per i mesi prossimi.
3) Il PDS va incalzato - oltre che dal confronto unitario a sinistra,
oltre che da belle idee e convegni - dalle reali e concrete esigenze della
popolazione dell’Emilia-Romagna che dobbiamo riuscire a far esprimere attraverso
una ripresa della lotta di classe e del conflitto sociale, di movimenti
di massa e di opinione sui principali temi sociali sui quali c’è
la maggiore sensibilità e sofferenza di massa anche in una regione
come la nostra. Abbiamo fatto così a Bologna due anni fa con le
Farmacie Comunali e quest’anno con la sanità dove abbiamo individuato
bene il terreno su cui il processo di riduzione e di privatizzazione delle
strutture sanitarie pubbliche produce un forte malessere sociale di ampie
masse lavoratrici e popolari. La campagna sulla sanità e sui servizi
sociali, contro i tagli e i processi di svendita ai privati di questa immensa
ricchezza originale della nostra regione, è la battaglia principale
del nostro partito. "La salute non è una merce" deve essere sempre
di più la bandiera dei comunisti dell’Emilia-Romagna.
Il voto su un Bilancio preventivo è fortemente influenzato dal
giudizio sulla Giunta. In Regione Emilia-Romagna il rapporto fra PRC e
maggioranza di centro sinistra è critico e sofferente. Non manca
il dialogo, il confronto e soprattutto la nostra proposta, ma la maggioranza
che governa la Regione sta subendo una forte deriva moderata, dovuta in
una certa misura al peso politico che sta assumendo il PPI. I popolari
contano troppo: al punto che stanno bloccando importanti progetti di legge
fermi nelle commissioni ormai da mesi, come la Valutazione d’Impatto Ambientale,
la legge sulle Bonifiche e l’attuazione della legge Galli.
Tutto questo sotto gli occhi consenzienti del PDS, al punto che addirittura
si è giunti ad un passaggio di deleghe a favore dell’Assessore PPI
Rivola, che oltre al lavoro ed alla formazione acquisisce la Scuola. Sì,
quella scuola che i popolari in prima fila vogliono privatizzare.
Il Bilancio preventivo 1998 dell’Emilia-Romagna rispecchia queste tendenze,
ed il PRC ha almeno cinque ragioni, cinque dissensi su cinque politiche
sbagliate che comporteranno ricadute negative verso i lavoratori e gli
strati più deboli della popolazione, quindi cinque no al Bilancio
regionale: Sanità, Casa, Trasferimenti agli Enti Locali, Trasporto
pubblico, Scuola.
Sanità: la politica di contenimento della spesa, di riduzione
di servizi, di taglio ai posti letto, sta portando ad una forte regressione
del servizio sanitario regionale, fino ad alcuni anni or sono fiore all’occhiello
delle "giunte rosse". Per contro i super poteri dei super pagati Direttori
Generali stanno portando ad una impostazione verticistica e gerarchizzata
delle Aziende Sanitarie e degli Ospedali, che avrebbero invece bisogno
della collaborazione di tutti gli addetti per eliminare gli sprechi e giungere
ad una razionalizzazione che parta dalle domande e dai bisogni dei cittadini.
Prosegue lo sforzo straordinario del nostro partito in difesa della Sanità
pubblica.
Casa: La politica abitativa dell’Assessore Sandri è basata sul
Fondo per gli affitti ed i Piani di Riqualificazione Urbana, a discapito
dell’Edilizia Residenziale Pubblica, che diviene residuale mentre andrebbe
invece rilanciata. Abbiamo ritenuto talmente distante da noi la politica
della Giunta sulla casa che non ci è stato possibile formulare emendamenti
al bilancio. Va anche detto che la Regione investe per la casa poche risorse
proprie, limitandosi a destinare i fondi statali, tra i quali quelli della
Gescal. Proprio per questo motivo ci battiamo contro la distrazione di
tali fondi ormai in via di esaurimento, ottenuti con i versamenti dei lavoratori
italiani, da quella che era e deve rimanere la loro finalità, cioè
la costruzione di alloggi pubblici.
Tagli agli enti locali: abbiamo presentato alcuni emendamenti al Bilancio,
soprattutto per chiedere maggiori trasferimenti correnti per gli asili
nido e per altri servizi socio assistenziali, perché condividiamo
la politica del decentramento, e proprio per questo le amministrazioni
locali non vanno lasciate sole e senza fondi. Tagliando risorse alle Province
ed ai Comuni significa obbligarli a sospendere i servizi o a chiedere tariffe
più alte ai cittadini: è un modo subdolo di taglio allo stato
sociale, obbligando le amministrazioni locali a farlo. Finalmente su questo
tema si è fatta sentire la protesta dell’ANCI e del Presidente della
Provincia di Bologna, Vittorio Prodi. Ma non dimentichiamo che queste politiche
hanno finora visto complici molti Sindaci della Regione. Per esempio alcuni
Sindaci di centro sinistra della montagna reggiana l’autunno scorso addirittura
rifiutarono sdegnati la solidarietà del PRC, critico sui tagli regionali
a danno dei loro Comuni, ancor più disagiati in quanto montani.
Trasporto pubblico locale: abbiamo proposto emendamenti che attraverso
risparmi, quali convegni, consulenze e spese non prioritarie, recuperavano
5,4 miliardi da destinare al trasporto locale, che per noi è fondamentale
per una questione strategica legata all’economia ed all’ambiente. Occorrono
più investimenti ed un aiuto maggiore in termini correnti alle aziende
trasportistiche pubbliche anche per non gravare sull’utenza con prezzi
salati dei biglietti, disincentivando di fatto l’uso del mezzo pubblico.
Scuola: questo tema è diventato prioritario nel nostro impegno
politico, e le nostre posizioni sono sempre più condivise da larghi
strati di popolazione e di addetti ai lavori. La Regione Emilia-Romagna
è stata antesignana della politica di finanziamento della scuola
privata. Quest’anno i fondi previsti per le scuole private sono addirittura
aumentati da 4,5 miliardi a 4,7. Abbiamo presentato un progetto di legge
per abrogare la norma sui finanziamenti alla scuola privata, che impoveriscono
la scuola pubblica, la quale avrebbe invece bisogno di maggiori finanziamenti
e di una riforma seria. Gli emendamenti che abbiamo presentato prevedevano
l’azzeramento dei contributi per le convenzioni con le scuole private,
a favore di altri trasferimenti agli enti locali per il diritto allo studio,
per l’handicap, per le attività extrascolastiche: capitoli che negli
ultimi anni hanno subito drastici ridimensionamenti.
La confindustria plaude al Bilancio della Regione. Questo dato, se
ce ne fosse bisogno, conforta le nostre tesi. Per questo ritengo utile
approfondire il dialogo con il centro sinistra, soli i comunisti possono
creare un contrappeso in grado di contrastare questa deriva moderata.
Nel marzo scorso, il Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna ha approvato
una legge che istituisce la Fondazione ‘Istituto per il Lavoro’, i cui
obiettivi possono essere così sintetizzati: studio e sviluppo delle
conoscenze necessarie a favorire l’evoluzione organizzativa delle imprese
e degli enti pubblici, valorizzazione del lavoro e dei processi di partecipazione,
promozione di processi di qualità nelle relazioni fra parti sociali
all’interno delle realtà organizzative e produttive della Regione.
In sostanza, si tratta di un Istituto pubblico che si occuperà di
organizzazione del lavoro. Il progetto di legge - sul quale si è
registrata la dura e rabbiosa opposizione delle forze del Polo e della
sia pur ‘illuminata’ Confindustria emiliana - ha avuto il sostegno decisivo
del Gruppo consiliare di Rifondazione Comunista (che si è visto
accogliere, tra l’altro, due emendamenti migliorativi all’articolato) e
della CGIL Emilia-Romagna, mentre poco convinte si sono dimostrate le forze
moderate dell’Ulivo (ad es. il PPI) e, sul versante sindacale, la CISL
e la UIL. Il nostro sostegno alla Fondazione ‘Istituto per il Lavoro’ è
stato motivato dalla considerazione che essa costituisce una parziale inversione
di tendenza, in un momento nel quale, anche a sinistra, si afferma sempre
più l’idea del ‘libero mercato arbitro di sé stesso’. Con
la nascita di questo Istituto, infatti, si riattribuisce al ‘pubblico’
un ruolo fondamentale nel governare i processi innovativi nel mondo del
lavoro. Un vecchio modo di dire comunista collegava la ‘bontà’ e
l’efficacia di un’azione politica al grado di opposizione di Confindustria:
in questo caso le associazioni imprenditoriali sono insorte per contestare
il diritto del ‘pubblico’ (in specifico, della Regione Emilia-Romagna)
di potersi occupare di una materia, l’organizzazione del lavoro, da sempre
ritenuta loro esclusivo appannaggio. Il fronte comune che si è venuto
a creare a sinistra in occasione del voto sull’Istituto per il Lavoro
in Consiglio regionale testimonia la possibilità, anche in Emilia
Romagna, di aprire spazi concreti di confronto fra Rifondazione Comunista
e le forze politiche che compongono l’Ulivo. In altri termini, questo voto
sta a dimostrare che si possono realizzare intese fra il PRC ed il centro-sinistra
(intese sempre auspicabili quando sono in gioco le condizioni di vita e
di lavoro di ceti popolari), senza rinunciare alle nostre imprescindibili
esigenze di unità ed autonomia.
La legge sulla riduzione dell’orario di lavoro, punto fondante dell’accordo
raggiunto lo scorso ottobre tra Rifondazione Comunista e le forze politiche
che compongono l’Ulivo, ha finalmente visto la
luce: il Consiglio dei Ministri ha, infatti, varato nei
mesi scorsi un disegno di legge, che si prepara ora ad affrontare l’iter
parlamentare. Nel frattempo, dalla Regione Emilia-Romagna, arrivano, invece,
segnali contrastanti ed, in alcuni casi, addirittura preoccupanti. Già
in febbraio, nel corso di un incontro sulle 35 ore svoltosi nella Commissione
"Scuola, cultura e turismo" (competente anche in materia di lavoro e formazione
professionale) e sollecitato proprio da Rifondazione Comunista, l’Assessore
regionale Pier Antonio Rivola, targato PPI, aveva espresso, seppure a titolo
personale, l’opinione che la riduzione dell’orario di lavoro, obiettivo
in sé latamente condivisibile, non possa assolutamente essere imposta
per legge: una posizione, questa, pericolosamente simile a quella
assunta a livello nazionale e locale da Confindustria. Ma gli autentici
segnali di preoccupazione sono scaturiti dalla discussione in aula sulle
35 ore, avvenuta per pura combinazione proprio il giorno successivo all’approvazione
del disegno di legge sulla riduzione d’orario. Ancora una volta era stato
il gruppo di Rifondazione Comunista a dare l’avvio alla discussione, presentando
un risoluzione che invitava il Governo ed il Parlamento alla rapida approvazione
della legge sulla riduzione d’orario e proponeva una sperimentazione per
i dipendenti della Regione, delle Aziende USL e degli Enti regionali.
Questo documento, perfettamente in linea, peraltro, con gli intenti del
Governo, evidentemente è parso "troppo avanzato", visto che i gruppi
della maggioranza hanno ritenuto di presentarne un altro dai contenuti
molto più blandi e con riferimenti assolutamente non condivisibili
alla possibilità di rendere "flessibile" la legge per adattarla
alle esigenze territoriali. La risoluzione della maggioranza, non votata
dal Gruppo PRC, è stata approvata dal Consiglio, mentre il documento
di Rifondazione Comunista ha ricevuto il voto favorevole dei Verdi, l’astensione
del PDS e il voto contrario dei popolari. Anche in questa occasione, come
in altre, la maggioranza che governa la nostra Regione si rivela quindi
"ostaggio"! del PPI emiliano-romagnolo, il quale su diversi temi, tra i
quali quello delle 35 ore per legge, si dimostra più arretrato del
PPI nazionale. Infatti, è stato proprio il dissenso del PPI ad impedire
che venisse approvata la risoluzione del PRC ed a costringere il PDS alla
presentazione di un documento alternativo, compiendo una di quelle operazioni
di "equilibrismo" nelle quali si è in questi ultimi anni specializzato.
Mentre la riforma del sistema scolastico sta divenendo sempre più
terreno di confronto e, più probabilmente, scontro con il governo
e la maggioranza di centrosinistra, nella nostra regione d’avanguardia
si registrano nuove spinte verso la costruzione di un sistema scolastico
integrato. Il 24 gennaio 1998, in occasione di un riuscito convegno organizzato
dal Comitato Politico Regionale e dal Gruppo regionale del nostro partito
dal titolo significativo "Scuola pubblica o scuole private?", tanto l’assessore
regionale Gianluca Borghi quanto il Presidente della Commissione Regionale
Scuola Ferdinando Fabbri (PDS) hanno ribadito la validità del sistema
integrato pubblico-privato e delle convenzioni tra Enti Locali ed asili
nido e scuole materne private aderenti alla FISM. In attesa della sentenza
della Corte Costituzionale, che avrebbe dovuto pronunciarsi sulla costituzionalità
della L.R. 52/95 e sul sistema delle convenzioni, il nostro partito, oltre
a dare inizio ad una raccolta di firme su un appello al Ministro della
Pubblica Istruzione sottoscritto insieme a diversi comitati della nostra
Regione, ha presentato, attraverso il gruppo consiliare, un progetto di
legge di abrogazione della 52/95 e di modifica della L.R. 6/83 sul Diritto
allo studio. Punto di partenza è stata l’analisi approfondita dei
dati complessivi del biennio 1996-1997 e sulle prospettive future del biennio
1998-1999. A fronte di continui tagli ai servizi sociali ed alla scuola
pubblica, la Giunta Regionale continua ad accrescere i fondi destinati
al sostegno delle convenzioni tra Enti Locali ed asili nido e scuole materne
private passando dai 3 miliardi del 1995 ai 4 miliardi e mezzo annui per
il biennio 1996 e 1997 ed ai prospettati 4 miliardi e 700 milioni annui
per il biennio 1998 e 1999. Questa marcata tendenza alla privatizzazione
dei nidi e dei gradi inferiori d’istruzione stride con il bilancio
consuntivo della politica scolastica per l’anno 1996, che pesa come un
macigno sulla Giunta: 18.646.634.000 erogati da Comuni e Regione ad asili
nido e scuole materne private e 4.325 domande di accesso ai soli nidi pubblici,
dove le richieste sono in netto aumento, rimaste inevase con grave danno
per le famiglie. All’inizio del 1997, inoltre, si sono verificati altri
casi di grave carenza di posti ai nidi pubblici (per Carpi e Serramazzoni,
in provincia di Modena, il Gruppo regionale ha presentato specifiche interpellanze).
Alla luce di tutto questo, il progetto di legge del nostro partito non
solo prevede l’abrogazione della L.R. 52/95 ma evidenzia la necessità
di creare un apposito fondo regionale per potenziare la presenza delle
materne pubbliche sul territorio, con particolare riferimento ai 52 comuni
della nostra regione che ancora ne sono privi e per quelli dove si è
verificato un consistente scostamento tra richieste e posti disponibili.
Mentre eravamo in attesa del progetto di legge di modifica della 52/95
della Giunta, è giunta la sentenza-non-sentenza (ordinanza squisitamente
formale) della Corte Costituzionale che, a fronte di una netta divisione
al proprio interno, si è astenuta dall’assumere ogni decisione,
lasciando ai rapporti di forza politici il rispetto della legalità
costituzionale. Segno evidente dei tempi. La maggioranza che governa la
nostra regione, al pari di quella nazionale, ha interpretato strumentalmente
l’ordinanza formale della Corte Costituzionale come un via libera per i
propri ulteriori progetti di allargamento del sistema integrato pubblico-privato.
Prima tappa il progetto di legge di abrogazione della L.R. 52/95 e di modifica
della 6/83, dove non solo viene confermata la volontà regionale
di partecipare al finanziamento delle convenzioni tra Enti Locali ed asili
nido e scuole materne private ma dove si prevede l’estensione diretta di
tali finanziamenti alle associazioni rappresentative di dette scuole, vale
a dire alla FISM. Evidentemente le polemiche sollevate da quest’ultima
nella Commissione Regionale Scuola e la subalternità del PDS al
PPI hanno cominciato a dare i loro frutti. Durante i lavori della Commissione
Regionale Scuola il colpo di scena: la Giunta ritira il proprio progetto
di legge e chiede tempo per poterne approntare un secondo che estenda il
sistema delle convenzioni alle scuole dell’obbligo (elementari e medie)
e, contemporaneamente, la Giunta presenta una proposta di modifica delle
deleghe al proprio interno in base alla quale la competenza in materia
di sistema scolastico obbligatorio e superiore passa dall’assessorato di
Borghi a quello di Pier Antonio Rivola (PPI), che unisce formazione
professionale, università e mercato del lavoro. Nonostante il capogruppo
del PDS in Consiglio Regionale Daniele Alni abbia spacciato questa modifica
di deleghe come dettata da semplici esigenze organizzative, l’appiattimento
del PDS sulle posizioni dei Popolari si staglia in tutta la sua forza ed
evidenza. Non si può, infatti, non collegare il cambio delle deleghe
con le finalità contenute nel Protocollo d’intesa del giugno 1997
e con la L.R. 45/97 sulla formazione professionale, che prevedono la creazione
di un sistema integrato tra scuola, formazione professionale ed imprese
su base territoriale che subordini i primi due elementi alle esigenze di
reperimento della manodopera da parte delle aziende su base locale. Le
nostre preoccupazioni, purtroppo, sono state confermate dalla presentazione
del progetto di legge sui servizi per l’impiego, che dà attuazione
al conferimento di deleghe alle regioni sull’impiego contenute nella Bassanini.
Di fronte alle nostre proteste e richieste di chiarimenti, siamo stati
accusati dall’assessore Rivola di essere faziosi e di sostenere una posizione
già sconfitta dalla Corte Costituzionale. Nonostante questo, ribadiamo
con forza la nostra volontà di proseguire la battaglia contro il
sistema integrato pubblico-privato fino in fondo, collaborando con tutti
i soggetti che condividono questa finalità e forti tanto della posizione
assunta dal nostro partito contro la proposta ministeriale di parità
scolastica e contro i decreti attuativi dell’autonomia che equiparano la
gestione scolastica a quella d’impresa, quanto delle 3.000 firme che abbiamo
raccolto nel territorio regionale in poco più di tre mesi sul nostro
appello in difesa della scuola pubblica. Al PDS ribadiamo di essersi appiattito
sulle posizioni dei Popolari e di aver permesso la gestione del sistema
scolastico pubblico a chi ha tutto l’interesse a dequalificarlo per potenziare
il ruolo della scuola privata, mentre all’assessore Rivola forniremo una
versione semplificata dell’ordinanza della Corte Costituzionale affinché
possa comprenderne l’esatto significato.
Consigliera regionale PRC
La Giunta regionale dell’Emilia-Romagna, prima in Italia, ha adottato
la direttiva emanata dal Governo per "promuovere l’attribuzione di poteri
e responsabilità alle donne" ed ha invitato la Ministra per le Pari
Opportunità, l’On. Anna Finocchiaro, ad assistere al dibattito Consiliare
sulla proposta di legge regionale.
Ciò ha offerto l’opportunità per una seria ed approfondita
riflessione sui problemi dell’affermazione delle donne nella società.
Sono temi questi che non vengono molto spesso affrontati nelle nostre aule
e quindi ho colto l’occasione per esprimere alla Ministra l’opinione di
una donna comunista impegnata in politica sul documento di adozione della
direttiva.
I tre obiettivi indicati come prioritari dal documento di adozione
predisposto dalla Giunta Regionale (ossia la valorizzazione del punto di
vista di genere, l’acquisizione di poteri e responsabilità, le politiche
dei tempi e dell’organizzazione del lavoro) sono interconnessi ed inscindibili
fra loro. Non si può promuovere il punto di vista femminile e la
rappresentazione della differenza sessuale se la presenza femminile nei
luoghi della politica e del lavoro non è quantitativamente sufficiente
a garantire un bilanciamento fra i sessi e viceversa. Così come
non è possibile garantire un accesso effettivo nella "stanza dei
bottoni" alle donne fino a quando le condizioni esterne non saranno tali
da consentire realmente le stesse opportunità a donne e uomini.
Certamente è molto positivo il graduale abbandono dei cosiddetti
"luoghi di donne", isolati dal contesto delle politiche generali, anche
se va riconosciuto il lavoro prezioso che le Commissioni Pari Opportunità
e lo stesso apposito Ministero hanno svolto in questi anni, in considerazione
del fatto che in assenza di tali strumenti di studio e di lavoro non potremmo
oggi discutere di queste cose. E’ altrettanto importante la trasformazione
delle Commissioni pari opportunità da gruppi di lavoro sulle tematiche
femminili a luoghi di elaborazione di un punto di vista femminile sul totale
delle decisioni politiche ed istituzionali.
Attraverso la trasversalità, potrà essere avviata una
utile dialettica fra i sessi, che non potrà che apportare benefici
effetti sulla qualità delle decisioni da assumere e sui provvedimenti
da mettere in campo. Naturalmente, per fare ciò, occorre che sempre
più donne siano messe nelle condizioni di partecipare alla vita
attiva del nostro Paese, e di potere fare emergere le proprie competenze
ed il proprio diverso approccio ai problemi, di poter proporre le proprie
capacità specifiche di analizzare e risolvere le situazioni.
In questo senso, il documento di adozione della direttiva di Governo
è senz’altro positivo, anche se molte delle azioni proposte abbisognano
di una più concreta esplicazione per poter essere attuate.
L’unico punto sul quale avanzo delle perplessità riguarda il
terzo degli obiettivi indicati, ossia quello che si occupa delle condizioni
oggettive per consentire un ingresso realmente rappresentativo delle donne
nel mondo del lavoro e della politica. Si dà, infatti, una grande
rilevanza ai tempi e all’organizzazione del lavoro, cosa di per sé
lodevole ma non sufficiente a risolvere i problemi specifici delle donne.
Occorre infatti una seria politica che rilanci il tema dei servizi alla
persona (bambini, anziani, disabili, etc.) e dei servizi sociali in generale.
La semplice acquisizione del dado, pur vero, che sulle donne grava il maggior
peso della cura dei propri cari non può, a mio avviso, essere preso
come dato immutabile e non modificabile. La suddivisione dei compiti familiari
fra donne e uomini è parte di un processo culturale che, sia pure
lentamente, si sta affermando anche nel nostro paese. Ma questo processo
può solo essere aiutato e stimolato da tutta una serie di provvedimenti
previsti per entrambi i sessi (part-time, congedi parentali, etc.) ma non
può essere imposto: in questo senso, e per fornire un reale e immediato
aiuto a tutte le donne con famiglia che lavorano o che sono impegnate in
politica o nel sociale, è importante che sia mantenuta ed anzi potenziata
la rete dei servizi pubblici. Devo constatare che, invece, assistiamo anche
nella nostra regione, nella quale i servizi sociali sono sempre stati modello
di efficacia e di efficienza, ad un’operazione di smantellamento, lenta,
strisciante, ma continua. Al loro posto ci vengono forniti come equivalenti
(ma equivalenti non sono!) tutta una serie di aiuti alla famiglia (educatore
domiciliare, assegno di cura, etc.). Questa visione familistica del sostegno
pubblico incentiva il ritorno delle donne all’interno delle mura domestiche,
allontanando nel tempo l’obiettivo dell’affermazione femminile e di fatto
ostacolando la possibilità che la società possa beneficiare
delle potenzialità dello scambio culturale fra i sessi.
E’ stata recentemente approvata dal Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna
la legge regionale "Norme in materia di riqualificazione urbanistica",
strumento regionale che affiancherà gli attuali PRU (Programmi di
Riqualificazione Urbana), ma a differenza di questi ultimi interesserà
anche Comuni di medie e piccole dimensioni. La legge sancisce, citando
testualmente dalla relazione presentata dalla Giunta Regionale, una "svolta
delle politiche regionali nel settore dell’Edilizia Residenziale Pubblica"
determinata dall’abbandono del principio della realizzazione di nuova residenza,
a favore del recupero urbano, con il risanamento delle aree degradate ed
il riuso delle aree dismesse. Un principio tanto condivisibile quanto foriero
di incomprensioni, ambiguità ed ipocrisie, visto il pulpito da cui
viene enunciato.
Per sgombrare il campo da equivoci diciamo subito che Rifondazione
Comunista è d’accordo sull’esigenza dal punto di vista urbanistico
ed ambientale, di limitare al minimo ogni tipo di espansione residenziale,
industriale e commerciale caratterizzata da nuove costruzioni, puntando
sul recupero, la riqualificazione ed il riuso dell’esistente. E’ però
anche vero che la politica della realizzazione di nuova residenza, almeno
per quanto riguarda l’ERP, citata nella relazione al progetto di legge
è stata poco più di un miraggio in questa regione, almeno
negli ultimi anni. Abbiamo visto sul nostro territorio gru e cantieri edili,
abbiamo visto nascere dal nulla quartieri e zone artigianali e industriali,
ma la quota riservata all’edilizia pubblica destinata all’affitto, le cosiddette
case popolari, è stata a dir poco residuale, nonostante la rilevante
entità dei fondi Gescal, versata dai lavoratori a tale scopo. E
qua sorge il primo grosso dubbio. La legge dà l’indicazione di destinare
al recupero urbanistico tutte le risorse dell’Edilizia Residenziale Pubblica,
compresi i fondi Gescal, garantendo solo una quota di recupero a favore
di alloggi pubblici e con un ruolo determinante del privato.
E’ il proseguimento della politica regionale sulla Casa, portata avanti
in questi anni dall’Assessore del PDS Sandri, definito un "liberal" dagli
stessi ambienti del centro destra. Limitare l’offerta di alloggi pubblici
(nella nostra regione i sindacati stimano che più di 75.000 famiglie
rientrano nei requisiti per avere un alloggio ERP e queste famiglie non
sono né proprietarie di casa, né affittuarie di un alloggio
pubblico) e istituire una particolare forma assistenzialistica: il Fondo
Sociale per l’Affitto. Come dichiarò qualche tempo fa il nostro
capogruppo Rocco Giacomino, l’assessore Sandri è un Robin Hood alla
rovescia: ruba ai poveri per dare ad altri poveri. Quattro soldi destinati
ad un numero ridotto di famiglie come contributo al pagamento dell’affitto
pagato a prezzi di mercato, finanziati dal rincaro degli affitti dell’edilizia
pubblica, pagati da chi è ancora più povero. Il problema
della casa invece non può essere risolto con l’assistenzialismo
ma occorre aumentare l’offerta pubblica di alloggi, adeguandoci agli standard
europei (che invece vengono presi ad esempio solo quando fa comodo a lor
signori).
In questo senso la Riqualificazione Urbanistica andava concepita diversamente,
dando maggior peso all’intervento pubblico e soprattutto finalizzando in
massima parte il recupero alla realizzazione di alloggi pubblici. Si rischia
invece che questa legge sia l’ennesimo regalo a certa imprenditoria, in
questo caso i costruttori. Pensate che la Confindustria, appoggiata dal
centro destra, era addirittura arrivata a proporre che le aree da recuperare
fossero individuate dal privato, anziché dall’Ente Pubblico. Ci
manca solo che i Piani Regolatori li faccia la Fiat!!
Il PRC ha ottenuto l’accoglimento di due emendamenti che hanno migliorato
il testo della legge, cercando di ancorarla maggiormente alle finalità
dell’Edilizia Residenziale Pubblica e della qualità sociale. Anche
in funzione di ciò il Gruppo di Rifondazione Comunista ha espresso
un voto di astensione per una legge che partendo da buoni presupposti non
trae le necessarie conseguenze. Sarà ora compito dei compagni impegnati
nei Consigli Comunali vigilare sull’attuazione della legge. Bisogna evitare
che il recupero urbanistico divenga l’ennesima occasione di speculazioni
edilizie, bisogna limitare quindi le ingerenze dei privati nella pianificazione,
occorre molta prudenza nell’individuazione delle aree e bisogna chiedere
che la quota maggioritaria di alloggi venga destinata all’Edilizia pubblica
destinata all’affitto.
La Regione Emilia-Romagna ha una nuova legge sul turismo, votata anche
dai comunisti.
Qual è, secondo me, il valore di questa legge e di quel voto?
Non si tratta solo dall'aver visto accolte molte delle istanze di gestione
democratica che avevamo avanzato per quanto riguarda l'APT, non più
commissariata e non riportata a modello "manager" tipo AUSL. Si tratta
di molto di più. Si tratta di appoggiare un esperimento che porterà
ad accrescere le capacità di promozione degli enti pubblici e quelle
di commercializzazione dei privati. Fino ad ora gli enti pubblici spendevano
comunque, nel turismo, cospicue somme per la promozione della regione o
delle singole realtà. Si trattava, si tratta tuttora a livello nazionale,
di denaro pubblico investito in modo eclettico, disperso in mille rivoli
capricciosi, in decine di fiere spesso inutili, senza verifiche dell'efficacia
reale. Con il meccanismo della nuova legge regionale si apre la strada
ad un diverso utilizzo di queste risorse. La legge infatti istituisce delle
Unioni di Prodotto di cui faranno parte enti pubblici e operatori privati.
Come opereranno insieme? Le Unioni agiranno come dei rompighiaccio renderanno
raggiungibile un porto, un mercato turistico, facendo promozione del loro
prodotto, la riviera, le città d'arte, le terme, l’Appennino. Lo
faranno con un meccanismo che però avrà verificato a priori
un accordo sulla meta da raggiungere, tra il pubblico che fa la promozione
e gli operatori che faranno seguire la commercializzazione. Dietro il rompighiaccio
Unione si muoverà infatti la flottiglia degli operatori che raggiungeranno
quel porto per concludervi dei contratti. Uno strumento del genere era
necessario perché la nuova realtà dei mercati turistici imponeva
un salto qualitativo e quantitativo e il raggiungimento di una "massa critica"
sufficiente a farsi ascoltare. Il termine "globalizzazione" è fin
troppo abusato, ma rende comunque l'idea di un mercato in cui la costa
romagnola è in concorrenza diretta con i Caraibi, la Turchia, la
Spagna: Paesi e località che ci hanno sottratto in grandissima misura
quote crescenti di turisti offrendo loro un prodotto meglio organizzato.
Con i Club di Prodotto che i privati dovranno costituire potremo tentare
di riaffacciarci su mercati in declino o su mercati inediti, se comporremo
dei prodotti il più possibile "unici", abbinando risorse diverse
e opportunità esclusive. Non si tratta in questo caso di proporre
solo mare e città d'arte, ma anche la nostra qualità urbana,
se la sapremo difendere, la nostra qualità sociale, se non la perderemo
sull'altare del neoliberismo, la nostra qualità ambientale, se ne
avremo ancora una.
A me pare che in questa serie di considerazioni si condensi il significato
del nostro voto. L'industria turistica è una realtà primaria
nella nostra regione, una realtà dalla quale dipendono migliaia
di posti di lavoro anche per il futuro. Si tratta di un'industria che si
alimenta di qualità, a cui servono un territorio preservato, ambiente
e città protette, qualità dei servizi in tutti i settori,
dai trasporti pubblici alla sanità. Si tratta dunque di un ciclo
produttivo che può innescare dinamiche virtuose, ad alto contenuto
di lavoro e di sapere e che può e deve scoraggiare il consumo dissennato
del territorio e delle risorse scarse. Con questa legge si indirizzano
risorse pubbliche e private ad alimentare questo ciclo virtuoso. Non si
tratta, come si vede, del semplice trasferimento di risorse pubbliche all'industria,
schema a cui ci siamo purtroppo abituati e a cui forse pensa la destra
anche in questo caso. Se così fosse, se dovessero prevalere campanilismi
e corporativismi, se qualcuno interpretasse questa legge come risorse pubbliche
da dirottare al privato essa fallirebbe. Si tratta viceversa di programmare
meglio l'insieme delle risorse disponibili per favorire la competitività
di un intero sistema territoriale. Non è una cosa semplice a farsi,
ma è così che paesi come la Francia o la Spagna hanno saputo
riposizionarsi, ottenendo il risultato di precederci come paesi turistici
a livello mondiale.
I piani territoriali di coordinamento provinciale traggono la loro ragione
d’essere da una legge regionale: precisamente la L.R. 6/95. L’intento del
legislatore, sicuramente apprezzabile, era, a nostro giudizio, quello di
cercare di accordare in un unico strumento, il PTCP appunto, i diversi
piani che compongono l’ossatura programmatoria dell’Ente Provincia. Le
province, come è noto, affidano le loro strategie pianificatorie
a diversi piani, quali appunto il PISR (Piano Smaltimento Rifiuti), il
PIAE (Piano Infraregionale delle Attività Estrattive), il Piano
della Viabilità Provinciale, etc.
Coordinare ed accordare i vari strumenti pare ed è una necessità.
Premesso che è aperto e non concluso un dibattito istituzionale
e politico sul ruolo che le Province abbiano da svolgere, ci preme osservare
un passaggio della legge regionale 6/95 che può indurre in qualcuno
eccessive ambizioni, come, a nostro giudizio, è accaduto in quel
di Reggio Emilia.
Il comma 9 dell’art. 3 della L.R. 6/95 recita: "Le Province possono
motivatamente proporre con il PTCP varianti agli strumenti regionali di
programmazione e pianificazione territoriale.....". Abbiamo rilevato che
la più grande ed innovativa operazione del PTCP della Provincia
di Reggio Emilia è stata la revisione, o meglio la riscrittura,
del Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR).
Abbiamo posto questa domanda: "E’ legittimo che un ente in ordine gerarchico
inferiore, come è il caso della Provincia, possa sovvertire la programmazione
concertata fino a poco tempo fa con un ente in ordine gerarchico superiore,
la Regione?". E’ chiaro che le Province non devono comunque essere la sommatoria
delle istanze, pur legittime, locali dei Comuni perché in questo
caso prende il sopravvento un municipalismo spinto (comunalismo) che vanifica
un ente come la Regione, ente appunto che dovrebbe avere orizzonti (e cuore!)
più grandi quali si richiedono per la programmazione e pianificazione
territoriale. Bene ha fatto la Giunta della Regione Emilia-Romagna a deliberare
una nutrita serie di riserve al PTCP della Provincia di Reggio Emilia e
bene si fa ad aprire un dibattito, il più ampio possibile, sul nuovo
Piano Territoriale Regionale, strumento principe di indirizzi cui gli stessi
PTCP dovranno adeguarsi. Emerge chiaramente, e la storia recente del PTCP
della Provincia di Reggio Emilia lo dimostra, che se si lascia ad ogni
soggetto con poteri programmatori l’iniziativa, la fase concertativa tra
i vari enti (Regione, Provincia e Comuni) rischia di saltare.
Borgo Val di Taro è il più popolato paese dell’Appennino
parmense, con 7.196 abitanti. La popolazione anziana ultra settantenne
rappresenta il 34% e gli ultra settantacinquenni sono il 14,17%. Dal 21
aprile 1997 è amministrato, per la prima volta, da una Giunta di
centrosinistra. Il Comune offriva per la popolazione anziana un ventaglio
di proposte: una Casa Protetta con 38 posti (di cui 35 per non autosufficienti),
12 mini alloggi, un servizio di assistenza domiciliare, la presenza di
un Presidio Ospedaliero e si prevedeva l’apertura di una RSA. Nonostante
la presenza di questi servizi il primo problema che mi si è posto
è stato: "Quale qualità di vita garantire ad una popolazione
anziana composta in prevalenza da midle-old (75-79 anni) ed old-old (80
anni ed oltre) ed in prevalenza soli". La scelta è stata quella
di evitare l’istituzionalizzazione dell’anziano, l’ultima esistente dopo
il superamento degli Ospedali Psichiatrici, costruendo una pluralità
di risposte: aumento di ore di assistenza domiciliare, attivazione del
telesoccorso, studio di un progetto di teleassistenza, costruzione di altri
15 appartamenti, costruzione di un centro sociale, apertura di un centro
diurno come elemento importante a sostegno delle famiglie affinché
l’anziano possa vivere il più a lungo possibile nel proprio contesto
abitativo. Si sta trasformando la filosofia della Casa Protetta non solo
come luogo "assistenza", ma come momento di recupero e mantenimento delle
capacità psicopratiche residue dell’anziano, al fine di raggiungere,
attraverso un mirato e specifico intervento socio - sanitario - assistenziale,
una migliore "qualità di vita". Al di là delle ambiziose
enunciazioni delle leggi regionali, la realtà odierna del sociale
appare più complessa ed in via di evoluzione (od involuzione?).
Esiste, infatti, uno stretto collegamento tra ciò che è di
competenza sanitaria e ciò che invece concerne il sociale (sempre
afflitto da risorse economiche molto limitate) e francamente a volte si
fraintendono i due termini generando non risposte ai bisogni, ma confusione
ed anche addebiti impropri. Oggi basta una malattia che priva di reddito
una famiglia per un periodo abbastanza lungo ed immediatamente si diventa
un "caso" sociale con un sostegno limitato del sanitario. Il sociale non
deve essere il fratello povero nelle scelte delle politiche nazionali e
regionali.
Nella provincia di Rimini la stagione estiva coincide con il grande
business turistico con i soliti bagnanti italiani e tedeschi. Ma la stagione
turistica è spesso portatrice di grandi conflitti sociali legati
al problema dell’abusivismo commerciale che a sua volta si identifica nella
presenza di immigrati extracomunitari.
Nell’estate scorsa tale conflitto ha raggiunto toni parossistici; i
Sindaci volevano spazzare via gli abusivi con le ruspe o altri che volevano
fare frontiere regionali. Da allora è passato un anno e una legge
sull’immigrazione è stata varata.
In Italia gli extra CEE sono l’1,50% della popolazione. In Europa la
media è molto più alta, intorno al 7%, ma da noi basta questa
percentuale per mandare in tilt tutti gli assetti organizzativi delle Amministrazioni
locali e per far gridare nell’immaginario collettivo: "via gli immigrati
e i problemi si risolvono".
Dunque una nuova legge che a tutt’oggi sembra che sia servita più
per le espulsioni che per dare le opportunità agli immigrati regolari
di inserirsi nel tessuto sociale. Intanto gli Enti Locali cosa fanno per
porre le condizioni di una società pronta all’accoglienza? Sicuramente
poco. Nella nostra provincia solo un comune si è dotato di strutture
abitative e servizi per una integrazione decente. E’ proprio su questo
terreno che si deve lavorare, mancano strutture abitative, opportunità
di regolarizzazione nel campo lavorativo; infatti molti immigrati che operano
nel campo del commercio ed artigianato non hanno la possibilità
di iscrizione al REC per motivi burocratici.
Poi c’è tutto il processo di vera integrazione sociale che deve
partire dalla scuola. Molti figli di cittadini immigrati si trovano spesso
nelle condizioni di non poter seguire le lezioni scolastiche per difficoltà
linguistiche, quando a volte basterebbe un’insegnante preparato in francese
o in inglese.
In sostanza il processo di integrazione è molto complesso e
non si può pensare di risolverlo con la promulgazione di una legge,
ci vuole una volontà politica e sociale maggiore. Intanto l’estate
riminese riprende con tutti i suoi canoni e speriamo di non rivedere le
solite bande di camicie verdi o le ipotesi di ruspe risolutrici.
Più che di elementi di programmazione territoriali sui quali
Rifondazione Comunista è intervenuta nell’attività istituzionale
dell’Amministrazione provinciale di Piacenza voglio qui fare riferimento
sintetico al sistema di governo introdotto dalla coalizione dell’Ulivo.
La Provincia di Piacenza, abbastanza anomala nel quadro provinciale con
una destra forte ed un radicamento leghista abbastanza consolidato, sperimenta
da tempo un sistema di governo ulivista come quello della maggioranza in
Regione. Era molto forte il potere democristiano allora e determinante
risulta ora l’influenza dei popolari nelle scelte amministrative e nelle
strategie operative; il vecchio potere democristiano sta perseguendo una
politica di occupazione delle istituzioni e delle unità operative
che dopo tre anni ha una visibilità assoluta.
Prima di tutto il potere democristiano nelle campagne e nelle aziende
collegate è entrato in Giunta: il Presidente della Giunta, ex segretario
provinciale DC, è un imprenditore nella trasformazione del pomodoro,
l’assessore all’agricoltura è amministratore delegato di una cooperativa
dello stesso settore nonché membro di punta dell’Unione Agricoltori,
i Presidenti delle due comunità montane sono ex democristiani, i
consorzi di bonifica sono gestiti da uomini organici ai popolari, quando
non sono parenti degli stessi uomini ai vertici dell’Amministrazione provinciale.
Se si passa poi ai servizi sociali ed alla pubblica istruzione ci si
rende conto che l’asse Piacenza - Bologna sta creando una struttura assistenziale
completamente legata a vecchi istituti che da anni dominano la scena in
modo quasi vincolistico sfruttando in alcuni casi l’alea di cattolicità
dietro la quale emergono invece personaggi tipici del clientelismo democristiano
degli ultimi vent’anni nonché professionisti e dirigenti superpagati.
Non deve quindi stupire se poi la strategia dell’Amministrazione provinciale
a livello di programmazione territoriale riproduce lo status quo esistente
e non sa invece sfruttare le opportunità che il territorio offre
allo sviluppo del turismo, al recupero di una viabilità delle colline
e delle montagne, ad un riordino del sistema acquedottistico, allo sviluppo
dei progetti d’area capaci di esaltare le peculiarità di alcuni
territori. C’è invece piuttosto la corsa a come dividere i proventi
delle grandi opere pubbliche ipotizzate: progetto TAV con annesso reperimento
di materiali inerti, 2° ponte sul Po, tangenziale di Piacenza, ecc....
senza che sia valutata la ricaduta locale che mostra ancora il 12% di disoccupazione.
Tutto il territorio in Emilia-Romagna è ora sottoposto alle tasse
di bonifica, tutti i proprietari di beni immobili agricoli ed extragricoli
sono tenuti a pagare. Ma a questa tassa non corrisponde alcun intervento
dei Consorzi, alcun beneficio per i contribuenti in oltre la metà
del territorio regionale, provincia per provincia, cioè nel territorio
montano, nei centri urbani, in vaste zone pedemontane. Ciò avviene
in montagna perché le attività forestali ed idraulico-forestali
sono svolte dalle Comunità Montane, o, all’interno dei parchi, dagli
appositi Enti; mentre gli interventi sui corsi d’acqua sono riservati ai
servizi regionali per la Difesa del Suolo (ex Uffici del Genio Civile).
In questi territori, d’altra parte, non esistono (salvo rare eccezioni)
strutture ed attività irrigue, cioè canali artificiali per
uso irriguo o promiscuo, come notoriamente esistono invece in pianura.
Per quanto riguarda i centri abitati, da anni tutti i proprietari o affittuari
di beni immobili sono tenuti a pagare al Comune il canone per lo scarico
e la depurazione delle acque bianche e nere, cioè piovane o reflue;
il Comune deve a sua volta provvedere a recapitare tali acque, depurate
o meno, nei corsi d’acqua pubblici, generalmente attraverso proprie condotte
e talvolta anche utilizzando canali di Consorzi di Bonifica. Soltanto in
quest’ultimo caso dovrebbe corrispondersi il rimborso delle spese che i
Consorzi sostengono per l’adeguamento, la manutenzione e la gestione dei
loro canali utilizzati dai Comuni; ma a tale corresponsione dovrebbe provvedere
direttamente il Comune, in rapporto convenzionato col Consorzio ed utilizzando
parte dei proventi del canone di fognatura. In nessun caso, pertanto, si
giustifica in una doppia imposizione di oneri a carico dei proprietari
urbani. D’altra parte, nei centri urbani non esiste il servizio irriguo,
se non per orti e giardini, per cui si provvede con acque di pozzo o dell’acquedotto.
Per la montagna e per i centri abitati vanno quindi soppressi i Consorzi
di Bonifica e la relativa contribuenza. Anche per le opere interaziendali
ed aziendali, per le imprese agricole (quali strade interpoderali, acquedotti
rurali, ecc.) potrebbero intervenire, come del resto spesso già
lo fanno, le Comunità Montane, le quali ormai sono dotate di adeguate
strutture tecniche. Per i territori dell’alta pianura di nuova classifica,
come i dieci Comuni modenesi del triangolo Vignola-Sassuolo-Modena, la
contribuenza di bonifica si giustifica soltanto, nelle zone extraurbane,
per gli utenti attuali degli antichi canali, come quelli modenesi che dal
Panaro a Vignola e dal Secchia a Sassuolo, convergono verso la città,
formando a valle di questa il Canale Naviglio. Per questi utenti la contribuenza
non costituisce novità e non viene contestata, poiché da
sempre pagano questo servizio al Comune di Modena, proprietario e gestore
di questi canali fino al 1996. Per quanto riguarda i territori di pianura,
dove i Consorzi svolgono il servizio di scolo e smaltimento delle acque
piovane ed il servizio irriguo, con proprie strutture anche imponenti,
quali gli impianti idrovori ed i tanti grandi canali, i Consorzi di Bonifica
vanno certo profondamente riformati ma certo non soppressi. Poiché
qui essi svolgono effettivamente importanti attività non sopprimibili,
sarebbe immotivato procedere ad una sorta di publicizzazione di bonifica
ed irrigazione (come avverrebbe affidandone i compiti alle Province) e
poi proprio di questi tempi, quando impera la tendenza alle privatizzazioni
dei servizi pubblici in ogni settore.
Le ultime tornate amministrative, a maggiore o minore coinvolgimento,
hanno lanciato alcuni segnali tra i quali assume grande rilievo l’alta
percentuale delle astensioni che, per la prima volta, ci fanno, oggettivamente,
pensare appartengano a potenziali elettori della sinistra. Ci sono cittadini
che, terminato il bombardamento "pubblicitario", cominciano a capire che
non sono sufficienti ministri provenienti dal PCI-PDS per costruire un
governo di sinistra e che non basta eleggere direttamente il Sindaco, il
Presidente della Giunta provinciale o i deputati con il sistema maggioritario
per diventare cittadini che "contano di più".
Come possono, in questa situazione agire gli eletti di Rifondazione
Comunista negli Enti Locali per riprendere i contatti con gli elettori.
Bisogna adoperarsi per approfondire due punti, in particolar modo:
1) stante l’esistenza di una legislazione (leggi Bassanini in particolare)
che contribuisce (è positivo) a snellire le procedure burocratiche
ma che contemporaneamente sviluppa l’accentramento di poteri (è
negativo) è necessario imporre una discussione tesa a precisare
nel modo più definito possibile il significato dei termini indirizzo
e gestione per impedire che tutto venga visto in termini gestionali sottraendolo
alla discussione dei Consigli;
2) altro elemento importante è la necessità di spostare
la priorità delle risorse ai bisogni. Troppo spesso nelle delibere
si legge che la realizzazione degli obiettivi è condizionata dalle
risorse esistenti.
Per gli eletti di Rifondazione Comunista non può e non deve
essere così; si deve ottenere che venga data la priorità
ai bisogni, e solamente dopo averli determinati con chiarezza Rifondazione
sarà disponibile a ragionare responsabilmente sulla ricerca delle
risorse. Ne consegue che è necessario pretendere l’interpretazione
del concetto "poteri di indirizzo" nella accezione più estesa perché
questo comporterebbe il potenziamento del ruolo dei Consigli dando così
maggior peso alla democrazia a scapito della gestione e imporre anche lo
spostamento della priorità dei bisogni sulle risorse perché
questo metterebbe il nostro partito nelle condizioni di operare per costruire
sedi molteplici nelle quali informare i cittadini e permettere loro di
discutere e contare concretamente nella formazione delle decisioni.
La salute è un bene prezioso: va innanzi tutto preservata con
la prevenzione e salvaguardata con le cure idonee, in qualità e
tempo.
Su questo problema chiunque è sensibile, ancor più coloro
a cui rivolgiamo la nostra politica: i ceti più deboli, quelli più
ricattabili, con problemi di salute da risolvere urgentemente, che per
ovviare le lunghe liste di attesa sono costretti a rivolgersi alle strutture
private a pagamento.
Soprattutto nella nostra regione, non deve passare la logica del "privato
è bello".
Dobbiamo prevenire la privatizzazione della sanità.
Il nostro partito ha fatto stampare 20.000 cartoline in autunno dello
scorso anno, e altrettante nei primi mesi di quest’anno.
Cartoline indirizzate al Presidente della Giunta Regionale perchè
sappia del disaccordo sul cammino di privatizzazione della sanità
pubblica.
Diverse migliaia sono giunte a destinazione, anzi fatte dirottare dal
destinatario all’assessorato alla sanità.
Le cartoline, insieme ai volantini e materiale informativo, sono state
distribuite ai banchetti organizzati dai diversi circoli, soprattutto là
dove il taglio, la chiusura di interi reparti era più sentito.
Sono state organizzate anche delle "tende della sanità", veri
e propri presidi di piazza (a Bologna e Ferrara) dove la continua presenza
di cittadini ci ha fatto capire che il problema è centrale e fortemente
sentito.
Sono stati organizzati anche momenti di discussione e riflessione attraverso
assemblee di circolo e federazione, convegni regionali con esponenti di
rilievo.
Una considerazione che possiamo fare è questa: sono senz’altro
più vissuti e partecipati quei momenti di contatto diretto con la
gente che vive sulla propria pelle quest’ingiustizia sociale: nelle piazze,
davanti agli ospedali, cioè noi dobbiamo andare sul campo a sentire
i problemi della gente.
Oggi si continuano ad organizzare banchetti di raccolta firme contro
il "sanitometro", per la riduzione dei ticket, contro la privatizzazione
dei servizi territoriali; dobbiamo continuare a tenere viva e alta la tensione,
una occasione da sfruttare senz’altro sono le nostre feste di Liberazione,
usando lo striscione che ogni federazione possiede ("La salute non è
una merce"), organizzare almeno un dibattito per incontrare e fare discutere
le migliaia di persone, di compagni, di iscritti e non iscritti, perchè
tutti capiscano che per noi ....... "privato è peggio".
Modena: inaugurato un Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura in una clinica
privata.
Come già annunciato dai vertici dell’ASL modenese, incuranti
delle critiche sollevatesi da più parti in merito a questa decisione,
è stato inaugurato nel mese di aprile il Servizio Psichiatrico di
Diagnosi e Cura (SPDC) del Dipartimento Modena Sud, presso la clinica privata
"Villa Igea". Una scelta grave che Rifondazione Comunista va denunciando
da tempo in quanto relegare un SPDC in una struttura specialistica, per
di più privata, è una atto illegale, in contrasto con le
leggi 180/78 (cosiddetta legge Basaglia) e 833/78 (riforma del Servizio
Sanitario) e con i progetti obiettivo nazionali e regionali sulla tutela
della salute mentale. Inoltre rappresenta un segnale negativo per il futuro
della psichiatria nel nostro paese, tanto più in quanto proveniente
dall’Emilia-Romagna, da sempre all’avanguardia nell’attuazione della legge
Basaglia. Non siamo comunque soli nella nostra battaglia, la consulta regionale
per la salute mentale, per tramite del suo presidente Evangelisti, ha infatti
impugnato davanti al TAR i provvedimenti amministrativi che hanno autorizzato
l’apertura del Diagnosi e Cura a Villa Igea. Inoltre siamo in attesa di
sentire la risposta della Ministra Bindi all’interrogazione presentata,
su nostra sollecitazione, dall’On. Maura Cossutta su questa vicenda.
Colorno: l’AUSL di Parma fa pagare ad ex degenti psichiatrici parte
dei costi delle strutture socio-riabilitative.
Circa il caso degli ex degenti dell’Ospedale psichiatrico di Colorno,
tenuti, ai sensi di una delibera dell’AUSL di Parma, a compartecipare alle
spese di carattere non sanitario nelle residenze e nei centri attivati
dopo la chiusura delle strutture manicomiali, esiste un contrasto tra questa
decisione dell’AUSL parmense e l’orientamento del Ministero della Sanità.
Infatti una circolare ministeriale inviata nel dicembre scorso agli Assessori
regionali alla Sanità chiarisce che "nessun obbligo di contribuzione
alla spesa può essere posto a carico degli ex degenti degli ospedali
psichiatrici, in quanto inseriti in strutture sanitarie caratterizzate
da un continuativo intervento da parte del Dipartimento di Salute Mentale
con presenza di operatori 24 ore su 24 e che dubbi sussistono anche sulla
possibilità di far partecipare alle spese i pazienti psichiatrici
con un minor bisogno assistenziale, inseriti in strutture socio-riabilitative.
Come gruppo comunista regionale abbiamo chiesto la revoca di tale delibera
da parte dell’AUSL, in attesa di direttive nazionali che regolamentino
questa delicata materia in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale
per non creare situazioni di evidente disparità, richiesta per altro
già formulata in un’interrogazione alla Giunta regionale depositata
nel febbraio scorso.
Nei mesi scorsi, il nostro Partito ha lanciato una campagna nazionale
di informazione e di sensibilizzazione sui problemi carcerari. Lo scopo
di questa campagna è duplice: da un lato, essa si rivolge agli stessi
detenuti, per renderli partecipi delle iniziative parlamentari che li riguardano,
nonché del contenuto delle proposte legislative1 portate avanti
da Rifondazione Comunista, da sola o insieme ad altri gruppi parlamentari;
dall’altra, essa si pone l’obiettivo di coinvolgere anche le strutture
periferiche del partito, per arrivare ad ottenere un quadro più
chiaro e documentato delle singole realtà carcerarie del nostro
paese. Nell’ambito di questa campagna nazionale ed in qualità di
componente della Commissione regionale ‘Sicurezza Sociale’, sono stata
investita del compito di documentare ed analizzare la situazione carceraria
emiliano-romagnola.
In Emilia-Romagna ci sono nove Case circondariali2, quattro cosiddette
‘Case di lavoro’3, una Casa di reclusione (che si distingue dalla Casa
circondariale in quanto la maggioranza dei detenuti nella casa di reclusione
è soggetta a pena definitiva)4 e un Ospedale Psichiatrico Giudiziario
(cosiddetto OPG)5. Le situazioni locali sono molto diverse da loro, in
quanto le condizioni dipendono da una serie di variabili, legate alla tipologia
della popolazione carceraria: prevalenza o meno di detenuti italiani rispetto
agli extracomunitari, presenza o meno del braccio femminile, incidenza
sul totale dei detenuti tossicodipendenti, presenza o meno di bracci di
massima sicurezza, prevalenza di detenuti a condanna definitiva rispetto
a quelli in attesa di giudizio, ecc. Ma non è solo la composizione
dei detenuti a determinare il mutamento delle condizioni: una grossa importanza
deve essere annessa anche al rapporto esistente fra il numero dei detenuti
ed il numero degli agenti di custodia e degli educatori6. Nella gran parte
degli istituti di pena della nostra regione tale rapporto è assolutamente
insufficiente, con conseguenze negative, come è facile immaginare,
sulle possibilità di rieducazione del detenuto, sancite dalla nostra
Costituzione; infatti, un numero inadeguato di agenti di custodia determina
una difficoltà per l’ammissione di una percentuale veramente
significativa di detenuti alle attività lavorative, formative e
scolastiche (queste ultime particolarmente importanti, visto il bassissimo
grado di scolarizzazione posseduto, in media, dalle persone detenute in
carcere); uno scarso numero di educatori, d’altro canto, ha l’effetto di
rendere troppo sporadici i colloqui e quindi inefficaci le disposizioni
della legge penitenziaria sulla concessione dei regimi di favore per i
detenuti meritevoli.
Qualche passo in avanti è stato compiuto con la firma, lo scorso
5 marzo, di un Protocollo d’Intesa fra il Ministro di Grazia e Giustizia
Flick, il Presidente della Regione Emilia-Romagna Antonio La Forgia ed
il Direttore dell’Amministrazione Penitenziaria Alessandro Margara; questo
protocollo prevede, tra le altre cose, una sorta di specializzazione delle
Carceri, così da poter fornire, per ciascuna situazione, la risposta
quantitativa e qualitativa più efficace. Occorrerà, naturalmente,
attendere i provvedimenti concreti per la realizzazione degli obiettivi
indicati nel Protocollo d’Intesa prima di emettere un giudizio definitivo.
Per quanto riguarda la presa d’atto diretta delle diverse situazioni
carcerarie regionali, per il momento il giro di visite ha già riguardato
gli Istituti penitenziari di Parma (Casa circondariale e Casa di reclusione)
e la Casa circondariale della Dozza di Bologna (in quest’ultimo caso, sono
stata accompagnata dal consigliere comunale PRC di Bologna Valerio Monteventi),
mentre sono in programma una visita alla Casa circondariale di Rimini (nella
quale è in corso una interessante sperimentazione relativa ai detenuti
tossicodipendenti) e all’OPG di Reggio Emilia. Per le valutazioni definitive
sulla situazione emiliano-romagnola e per fare il punto di quali potrebbero
essere le nostre proposte concrete di intervento per un miglioramento delle
condizioni carcerarie, ritengo sia più opportuno attendere il completamento
del programma di visite, al fine di poter procedere ad una elaborazione
critica sulla base del maggior numero di dati e di informazioni. Nel frattempo,
chi fosse interessato a fornire indicazioni, a documentare esperienze conosciute
in prima persona, a dare propri suggerimenti sulla base di informazioni
riguardanti situazioni carcerarie della Regione, può mettersi in
contatto con il Gruppo consiliare PRC in Regione.
NOTE
1) Le proposte legislative depositate alla Camera ed al Senato riguardano:
a) la depenalizzazione dei reati minori; b) la riforma dell’ordinamento
penitenziario; c) le misure alternative la carcere per i portatori di AIDS
e altre gravi malattie; d) modalità diverse per la liberazione anticipata;
e) una maggiore efficacia dell’istituto del difensore d’ufficio; f) la
possibilità per il detenuto di coltivare i propri legami affettivi;
g) l’abolizione dell’ergastolo.
2) Bologna, Ferrara, Forlì, Modena, Parma, Piacenza, Ravenna,
Reggio Emilia, Rimini.
3) Bologna, Castelfranco Emilia (Mo), Saliceta S. Giuliano (Mo), Reggio
Emilia.
4) Parma.
5) Reggio Emilia.
6) Con il termine di ‘educatori’ sono indicati coloro i quali, tramite
colloqui e contatti diretti con i detenuti con condanna definitiva, danno
istituzionalmente indicazioni al Magistrato di Sorveglianza per la concessione
dei permessi, delle misure di semilibertà e di ogni altra situazione
di favore.
Il 10 novembre Rocco Giacomino e Patrizia Cantoni chiedono alla Giunta regionale, quali siano le sue intenzioni sull’utilizzo del centro agroalimentare di Bologna: circolerebbe anche l’ipotesi di trasferirvi l’assessorato regionale agricoltura, in contrasto con l’impegno di concentrare tutti gli uffici regionali al Fiera district.
Il 10 novembre il PRC interviene con una risoluzione che riguarda lo schema nazionale di decreto sulle rappresentanze sindacali, che non lascerebbe spazio autonomo alle amministrazioni nei rapporti sindacali e potrebbe comportare l’esclusione di alcune organizzazioni dei lavoratori dalle contrattazioni. Da qui la richiesta di interventi sul Governo e di garanzie per l’accesso alle contrattazioni del lavoro per tutte le organizzazioni sindacali.
Il 14 novembre, la previsione, da parte della Regione, di operare drastiche riduzioni dei trasferimenti di fondi ai Comuni per i settori dei servizi sociali e dei trasporti scolastici per l’anno in corso, ha spinto Giacomino ad interrogare la Giunta regionale. I provvedimenti hanno già trovato concreta attuazione? Quali sono i criteri adottati per la riduzione dei trasferimenti? Qual è l’incidenza sui bilanci comunali? Sono previste riduzioni differenziate a seconda della diversa consistenza? Non è possibile, almeno per il corrente esercizio, soprassedere per evitare gravi danni gestionali ai piccoli comuni?
Il 28 novembre il capogruppo di Rifondazione Comunista scende in campo sul caso degli asili nido di Carpi (MO) e delle 102 domande inevase, creando gravi disagi, in particolare per quei nuclei famigliari nei quali entrambi i genitori lavorano. Nell’interpellanza presentata, Giacomino sollecita la Giunta affinché siano date risposte positive alle famiglie che hanno fatto richiesta per l’accesso ai nidi pubblici.
Il 1 dicembre Rocco Giacomino interviene sulla grave crisi socio-economica che affligge l’Appennino piacentino: la costruzione della nuova strada non basta a salvaguardare e valorizzare le prerogative economiche, turistiche, ambientali della valle e delle zone montane del piacentino. Giacomino prende posizione contro il raddoppio della SS 45, Val Trebbia. Il 16 febbraio, la risposta dell’assessore all’ambiente Renato Cocchi, che dà ragione al capogruppo PRC. Meglio dunque privilegiare l’adeguamento in sede dell’attuale arteria, al fine in ogni caso di agevolare i trasporti nella valle, fatto giudicato da Cocchi importante quanto gli aspetti ambientali per "rivitalizzare" l’Appennino e favorirne lo sviluppo, secondo modelli che non ne aggravino il dissesto idrogeologico. L’assessore sostiene che la giunta sta già intervenendo a favore della rivitalizzazione delle aree montane, anche in base all’obiettivo 5b dei fondi strutturali europei, e sulla SS 45 informa che la Regione ha già assegnato un contributo alla Provincia per la progettazione di alcune tratte della strada.
Il 2 dicembre Rocco Giacomino ha interpellato la Giunta regionale sul ‘mistero’ del verbale della Conferenza dei Sindaci e del Consulto provinciale per la Sanità, per l’approvazione del PAL (Piano Attuativo Locale) di Modena. In particolare, dopo le contestazioni espresse dal Sindaco di Castelfranco Emilia sulla verbalizzazione del proprio intervento, il consigliere Giacomino chiede di sapere se esista una registrazione integrale dei lavori della Conferenza, se la Giunta regionale intenda attivarsi per accertare la regolarità delle procedure seguite ed infine se, nel caso in cui il verbale dovesse risultare incompleto o stravolto, non si debba ritenere inficiata la stessa procedura di approvazione del PAL di Modena in Consiglio regionale.
Il 3 dicembre un’interpellanza del capogruppo del PRC segnala che nel progetto di riqualificazione ambientale e valorizzazione della fascia fluviale media Val d’Enza non si fa alcun cenno alle modalità di ripristino di tale zona, ignorando la delibera della Giunta regionale di parziale approvazione del Piano Infraregionale delle Attività Estrattive della Provincia di Reggio Emilia. Si sollecita la Regione ad attivarsi per l’applicazione della propria deliberazione. Il 12 gennaio Giacomino "torna in zona", parlando di una ex cava, trasformata in discarica, in località Pioppini, nel comune reggiano di Sant’Ilario d’Enza, interessata da un’operazione di riequilibrio ecologico. La Regione finanzia l’operazione, ma l’intenzione delle amministrazioni locali sembra essere quella di procedere al riequilibrio senza prima bonificare l’area della ex discarica. Giacomino, in un’interpellanza, chiede, in base al progetto di riqualificazione della media Val d’Enza, di bonificare l’ex discarica prima della creazione dell’area di riequilibrio ecologico, operazione resa possibile da un emendamento del PRC al bilancio ’98 della Provincia di Reggio Emilia.
Il 9 dicembre, in un’interpellanza, Rocco Giacomino e Patrizia Cantoni, sostenengono, sollecitando un intervento della Giunta regionale, che il consultorio ostetrico-ginecologico di villa Mazzacorati a Bologna va mantenuto nell’attuale sede e non trasferito ed accorpato al consultorio del Carpaccio, come invece sembra intenda fare l’amministrazione locale, lasciando così scoperta la zona di San Ruffillo.
Il 23 dicembre Patrizia Cantoni ha presentato un’interrogazione per denunciare la difficile situazione in cui versa il servizio di ristorazione all’interno dell’Ateneo bolognese. Nel documento si polemizza anche con l’assessore regionale Rivola, per aver affermato, in relazione alle richieste degli studenti sul problema mense, che "la festa è finita": come se fino ad ora gli studenti avessero mangiato gratuitamente.
Il 12 gennaio il capogruppo del PRC, in un’interpellanza, chiede alla giunta di intervenire per modificare la proposta delle Ferrovie dello Stato sull’ipotesi di orario estivo 1998 che penalizzerebbe i collegamenti tra Ferrara e Ravenna e tra Bologna, Ravenna e Rimini. Si chiede che l’orario estivo delle Ferrovie sia predisposto nell’ottica di un Servizio Ferroviario Regionale efficiente e sia in grado di spostare sulla rotaia quantità rilevanti di traffico pendolare e turistico.
Il 15 gennaio Rocco Giacomino, rivolgendo una interrogazione alla giunta regionale, si è detto contrario al progetto per la realizzazione di una nuova cava nel territorio di San Lazzaro di Savena finalizzata a reperire ulteriori 900.000 mc di inerti pregiati per la tratta TAV Bologna-Firenze. Si chiede alla Giunta di scongiurare tale ipotesi che produrrebbe danni ed impoverimenti al territorio e di attivarsi per consentire il ritombamento delle cave dismesse nel territorio di San Lazzaro solo alla condizione che venga trovato il modo per trasportare il materiale su ferrovia. Si chiede inoltre di rivedere la scelta della costruzione della strada 870, destinando i fondi per la sua realizzazione ad altri interventi più urgenti, come la realizzazione del servizio ferroviario metropolitano.
Il 19 gennaio Rocco Giacomino e Patrizia Cantoni, hanno presentato una risoluzione (approvata il 5 febbraio) al Consiglio regionale perché chieda al governo italiano di condannare il barbaro eccidio del 22 dicembre scorso in Chiapas dove persero la vita 45 indigeni. Quell’atto brutale di violenza ha radici politiche ed è causato dal tentativo di una minoranza di profittatori di sfruttare a fini economici la comunità indigena. I due consiglieri chiedono un impegno a smilitarizzare il Chiapas, a costituire una commissione per investigare sulle responsabilità della strage e costringere il governo messicano (finora colpevolmente distratto di fronte a questi gravi fatti di violenza) a risolvere il contenzioso in essere col dialogo e il negoziato.
Il 3 febbraio Rocco Giacomino e Patrizia Cantoni annunciano tempi duri per i malati di diabete di Modena. In una interrogazione chiedono alla Giunta che cosa ci sia di vero su quanto riporta la stampa di una presunta riorganizzazione del servizio antidiabetico che prevede di distribuire i farmaci non più nei centri all’uopo predisposti ma attraverso le farmacie. Con questo piano l’Ausl non risparmierà come prevede ma aggraverebbe la spesa in ticket sanitari a carico dei malati. All’assessore chiedono di intervenire a tutela degli interessi legittimi dei diabetici.
Una recente sentenza della Cassazione - che ha sancito che sottoporre i candidati all’assunzione ad indagini diagnostiche di carattere strettamente personale (ad es. test antidroga o, per le aspiranti lavoratrici, test di gravidanza) non costituisce reato - non trova d’accordo in Consiglio regionale Rifondazione Comunista, proponente di una risoluzione sul caso. Il documento, approvato il 5 febbraio con i voti di una parte della maggioranza di centro sinistra (contrario invece il PPI) invita i Ministeri del Lavoro, di Grazia e giustizia e delle Pari opportunità ad emanare circolari che confermino l’illiceità delle indagini personali nei confronti di persone che stiano per essere assunte e ad intervenire per evitare discriminazioni nei confronti delle donne che entrano nel mercato del lavoro.
Il 5 febbraio Rocco Giacomino interviene in aiuto degli studenti delle scuole superiori di Modena che rischiano di non potere più servirsi dell’ultimo convitto cittadino rimasto (il San Filippo Neri). Il motivo sarebbe da attribuire alla volontà della Provincia di Modena, che lo gestisce, di chiuderlo a causa del calo delle iscrizioni o di trasformarlo in alloggio per studenti universitari. In una interrogazione, si chiede alla Giunta di attivarsi per impedire che gli studenti dell’alto e medio Appennino e della Bassa modenese siano costretti a far fronte a gravi disagi a causa di tale decisione.
Il 6 febbraio Patrizia Cantoni e Rocco Giacomino presentano una risoluzione al Consiglio regionale dopo la tragedia del Cermis a Cavalese. Oltre ad esprimere il cordoglio ai familiari delle vittime, chiedono che venga ridiscussa la partecipazione italiana alla Nato e l’esistenza stessa delle basi straniere presenti nel paese che, dopo la fine della guerra fredda, non avrebbero più ragione d’essere. Il Consiglio dovrà poi intervenire presso il Governo perché faccia il necessario per garantire la sicurezza delle popolazioni imponendo che i tracciati di volo siano predisposti in modo tale da non costituire pericoli.
Il 9 febbraio una interrogazione di Rocco Giacomino rivela che il nuovo PRG del Comune di Rimini, non ancora in vigore, essendo da poco terminata la fase delle osservazioni e dei pareri, prevede la destinazione di un’area per l’apertura di un nuovo ipermercato. Giacomino, nel sottolineare la mancanza di elementi formali a sostegno di questa ipotesi dal momento che non risulterebbe avviata alcuna pratica da parte del Comune per l’apertura di un centro commerciale, chiede di sapere se tali informazioni corrispondano al vero e, in caso affermativo, le motivazioni addotte dal Comune di Rimini per la modifica del PRG. Giacomino chiede inoltre di sapere se l’apertura di un ipermercato a Rimini rientra nella pianificazione regionale degli esercizi commerciali destinati alla grande distribuzione.
Il 12 marzo Patrizia Cantoni e Rocco Giacomino in un’interpellanza, sollecitano la Giunta regionale ad intervenire sulle difficoltà che incontrano i reparti di Pronto Soccorso della nostra regione, testimoniate recentemente dalla situazione modenese e da quella imolese. E’ il sovraffollamento il problema più rilevate fra quelli non certo nuovi, ma aggravatisi notevolmente in questi ultimi tempi. Si suggerisce un ampliamento degli organici, per ovviare ai disagi degli operatori di tali strutture e per non mettere a repentaglio la sicurezza delle persone.
Il 30 marzo Patrizia Cantoni interpella la giunta sul futuro dell’Ospedale di Castel S.Pietro (BO) oggetto di tagli e ridimensionamenti, polemizzando per l’ulteriore riduzione dell’ambulanza medicalizzata, con la soppressione della presenza diurna di un medico disponibile. Rifondazione denuncia problemi analoghi nella valle del Santerno, dove viceversa è presente un’ambulanza medicalizzata solo nelle ore diurne.
Il 2 aprile Patrizia Cantoni ha presentato un’interpellanza in merito alle motivazioni, alquanto discutibili, portate dall’Ausl di Imola (Bo) per giustificare la soppressione definitiva, nel dicembre scorso, delle terapie di gruppo (psicomotricità, training autogeno, training psicosomatico, ecc.) che il Servizio di Psicologia, fin dalla metà degli anni ‘80, ha messo a disposizione dei cittadini per aiutare le persone che attraversano periodi difficili a superare il loro disagio.
Il 2 aprile Rocco Giacomino chiede, con una dettagliata interrogazione, quanto è costata e quando finirà la vicenda dell’ex albergo Milano di Parma. Oltre a ricostruire il caso dall’inizio degli anni ‘90, con il contenzioso innescatosi tra Comune e Regione e tra Regione e proprietario dell’immobile, sulla ristrutturazione dell’immobile e la sua destinazione d’uso, Giacomino vuole sapere per quale motivo nel contratto di locazione sia stata inserita una clausola che impedirebbe alla Regione di risolvere il contratto prima del 2004. Ultimo quesito è a chi verrà destinato l’ex albergo e per quale uso.
Il 6 aprile le vicende di "Bologna 2", lo stabile di Calderara di Reno (Bo) più volte al centro di polemiche anche per problemi di microcriminalità, sono state portate direttamente all’attenzione della Giunta regionale da Rocco Giacomino. Tutta la vicenda di "Bologna 2" è netta contraddizione con gli orientamenti pubblici di Regione ed enti locali, impegnatisi più volte a lavorare per una maggiore sicurezza dei centri abitati e per città "a misura di bambino". L’interpellanza invita l’esecutivo regionale a seguire da vicino la ristrutturazione dello stabile, inserendolo tra le priorità dei propri piani di recupero, con l’utilizzo di risorse pubbliche, utilizzando ad esempio i contratti di quartiere, il nuovo strumento urbanistico, attuabile in zone con problemi e degrado, che prevede anche possibili finanziamenti pubblici
L’8 aprile Rifondazione Comunista presenta una risoluzione, approvata dall’assemblea regionale, per sollecitare la liberazione dalle carceri turche del cittadino italiano Dino Frisullo, arrestato per aver difeso i diritti del popolo curdo. Alla fine di aprile Frisullo è stato rilasciato.
Il 9 aprile Rocco Giacomino ritorna sul problema dell’attivazione del televideo su Rai 3 che è attivo già in diverse regioni, come Piemonte, Veneto, Marche ed altre e, dal 6 aprile, anche in Friuli Venezia Giulia. Viceversa risulta che la Giunta regionale sarebbe intenzionata a confermare il servizio di teletext in collaborazione con televisioni locali.
Il 23 aprile Rifondazione Comunista scende in campo per chiedere alla Regione di fare la sua parte per scongiurare la chiusura dello stabilimento "Capolo" a Tresigallo, nel ferrarese, sono 60 tra lavoratori e lavoratrici a rischio di restare senza lavoro, per la decisione della multinazionale "Impress Metal Packaging" di far cessare l’attività dello stabilimento.
Il 29 aprile Rocco Giacomino presenta un’interpellanza contro i troppi
ritardi nei fondi pubblici per eliminare le barriere architettoniche nelle
case private. A Modena risulta che diverse domande presentate fin dal 1989
per avere i fondi antibarriere siano state riconosciute ammissibili solo
a fine 1997, in taluni casi addirittura dopo il decesso del disabile per
il quale erano stati richiesti i finanziamenti.
Il Consigliere Rasmi con i suoi atti e le sue dichiarazioni, si è
reso consapevole strumento del tentativo di alimentare una campagna tesa
a delegittimare Rifondazione Comunista ed a colpirne la credibilità.
Pertanto ritenendo incompatibile la sua permanenza nel Gruppo Consiliare
regionale del PRC, l’assemblea del Gruppo ne ha revocato l’adesione in
base al Regolamento interno. Il ruolo, la forza ed il radicamento assunti
dal PRC nel corso di questi anni, insieme ad una linea politica unitaria
ma autonoma hanno rotto gli attuali equilibri politici in Emilia-Romagna.
Le destre e taluni settori moderati del centrosinistra contrastano
la nuova fase di dialogo che si è aperta a sinistra e dunque anche
una campagna scandalistica fondata su episodi privi di alcuna consistenza
può rivelarsi utile per colpire un interlocutore scomodo come il
PRC che esprime gli interessi dei ceti popolari. Tale campagna essendo
fondata sul nulla naufragherà miseramente ed in ogni caso il PRC
potrà dimostrare in tutte le sedi, ove richiesto, l’assoluta correttezza
politica, istituzionale e giuridica del suo operato.
Fra il dicembre ‘97 e il gennaio 1998, il Gruppo regionale PRC presentò
due progetti di proposta di legge alle Camere(1), che insieme costituiscono
quello che possiamo definire ‘un pacchetto legislativo per la pace’. Si
tratta di un’iniziativa messa in campo dal nostro Partito sia a livello
nazionale che regionale: la nostra proposta del Gruppo PRC Emilia-Romagna,
infatti, si affianca ad altre analoghe presentate dai compagni eletti nei
Consigli regionali di Campania, Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia-Giulia
e Veneto, nonché a quelle depositate successivamente dai Gruppi
PRC di Camera e Senato.
La prima proposta(2) ha l’obiettivo di far riacquistare al Parlamento
la pienezza dei poteri nella delicata materia degli insediamenti militari
stranieri e della Nato sul nostro territorio; una materia per troppo tempo
sottratta alla competenza delle Camere attribuita loro dalla Costituzione,
e gestita, invece, dagli Esecutivi tramite la conclusione di accordi semplificati,
quando non segreti, ossia accordi privi della necessaria ratifica parlamentare.
Il nostro progetto si propone anche di attribuire finalmente un ruolo centrale
ai Consigli regionali, che dovrebbero essere chiamati a dare il proprio
parere consultivo obbligatorio, se pur non vincolante, sulla presenza di
basi e truppe militari sul territorio di competenza.
La seconda proposta(3), invece, ha un duplice scopo: a) servire
da stimolo al nostro Parlamento, per il ripudio sul nostro territorio delle
armi di sterminio di massa, nucleari, chimiche e batteriologiche, di cui,
peraltro, l’Italia attualmente è teatro, in quanto gli insediamenti
atomici tuttora esistenti ospitano armi dei nostri alleati del Patto Atlantico,
segnatamente gli Stati Uniti; b) investire il Governo della necessità
di farsi promotore presso gli alleati occidentali di tutte le azioni necessarie
a proseguire sulla strada del disarmo totale.
Riattribuire sovranità agli organi istituzionali della Repubblica,
riaffermare i contenuti pacifisti contenuti nell’art. 11 della nostra Carta
costituzionale, continuare sulla via del disarmo totale, ridiscutere la
necessità della stessa esistenza di un Patto Atlantico : sono questi
gli obiettivi di Rifondazione Comunista deve sostenere con forza, affinché
venga finalmente data attuazione ai principi costituzionali, tra i quali
l’affermazione della pace(4) è senz’altro uno dei più importanti.
Mai come in questo caso l’azione del nostro Partito, anche se in maniera
del tutto casuale, si è rivelata così tempestiva, essendosi
purtroppo verificati, a distanza di pochi giorni dal deposito dei nostri
progetti di legge, due episodi gravissimi: la tragedia del Cermis e le
consistenti minacce di guerre degli Stati Uniti nei confronti dell’Iraq.
É di qualche settimana fa, invece, la riapertura del dibattito fra
i patners della NATO relativo all’allargamento formale ad alcuni Paesi
dell’Est europeo, già di fatto entrati a far parte dell’Alleanza
atlantica fin dal luglio ‘97. Ed ancora più gravi sono le notizie
sugli esperimenti atomici che ci provengono dal subcontinente indiano,
con il rischio che si riapra drammaticamente la corsa al riarmo anche da
parte dei paesi firmatari del Trattato di non proliferazione nucleare.
Con i nostri progetti di legge in materia abbiamo rimesso il dito in
una piaga antica mai sanata, abbiamo ridato voce ad una storica battaglia
della sinistra che ha radici profonde nel passato, ma che, alla luce degli
ultimi eventi, si rivela più che mai attuale. Le manifestazioni
contro le basi NATO, promosse nei mesi scorsi dal PRC e da altre forze
sociali, testimoniano la necessità di chiudere con il passato e
di aprire una fase nuova, in cui le esigenze di difesa nazionali ed internazionali
siano salvaguardate solo dalle forze multinazionali di pace dell’ONU.
NOTE.
1) L’art. 121 della Costituzione, infatti, prevede la possibilità
che i Consigli regionali presentino proposte di legge alle Camere in materie
di competenza del Parlamento. Di conseguenza, i Gruppi consiliari regionali
possono depositare progetti di proposte di legge alle Camere ai sensi dell’art.
121 Cost., che, se approvati dal Consiglio, verranno trasmessi al Parlamento
e seguiranno l’iter normale delle proposte di legge nazionale.
2) "Norme per la pubblicazione degli accordi internazionali concernenti
la difesa nazionale e la presenza sul territorio italiano di truppe e basi
militari di Paesi stranieri", a firma dei consiglieri Giacomino e Cantoni,
depositata il 15 dicembre 1997.
3) "Messa al bando delle armi di sterminio di massa dal territorio
e dalle acque nazionali della Repubblica", sempre a firma dei consiglieri
Giacomino e Cantoni, depositata il 28 gennaio 1998.
4) art. 11 Cost.: L'Italia ripudia la guerra come strumento di
offesa alla libertà degli altri popoli e come
mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente,
in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri
la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.