Il quinto fronte: gli strumenti militari dell'egemonia globale
di Carlo JEAN
Con la “nuova rivoluzione negli affari militari”, basata
sulle tecnologie dell’informazione, gli Usa stanno realizzando capacità
operative di nuovo tipo atte a mantenere, a costi contenuti e in modo politicamente
accettabile, la loro leadership mondiale.
La National Security Strategy degli Stati Uniti mira a
consolidare la vittoria nella guerra fredda e a difendere la prosperità
americana. Questi obiettivi rappresentano gli interessi vitali della nuova
geopolitica americana. Essi escludono un’America isolazionista. Nel mondo
attuale, infatti, non c’è semplicemente spazio per l’autarchia.
Non avrebbe senso né dal punto di vista economico, né da
quello geopolitico e geostrategico.
La “grande strategia” americana contempla dunque la presenza
sia in Europa che nell’Asia-Pacifico. Nessuno parla più negli Stati
Uniti di una geopolitica emisferica, limitata alle due Americhe, riflesso
della dottrina Monroe. Ma nel nuovo contesto internazionale, in cui gli
Stati Uniti sono l’unica superpotenza a pieno titolo, Washington deve poter
agire unilateralmente per salvaguardare i suoi interessi. È esaurita
la retorica del globalismo multilateralista, del “governo mondiale” sotto
la bandiera dell’Onu - pur ricorrente nei primi anni della presidenza Clinton.
Visti dalla Casa Bianca, gli alleati sono considerati utili solo in quanto
non perseguano interessi differenti - per non dire divergenti o contrastanti
- con quelli americani. È del tutto naturale che sia così.
Sarebbe strano il contrario.
Ma il mantenimento della supremazia mondiale deve individuare
nuovi strumenti e tener conto dei limiti politici ed economici derivanti
dalla vittoria nella guerra fredda. Sotto il profilo politico, il governo
americano deve tenere conto della maggiore difficoltà a chiedere
sacrifici ai cittadini e a mobilitarli, ora che il Nemico è scomparso.
E deve considerare la riluttanza dell’opinione pubblica ad accettare perdite
e persino a provocarle fra le fila nemiche, soprattutto se civili (90).
Sotto il profilo economico, la superiorità militare non deve pesare
troppo sull’economia statunitense. Le guerre tradizionali sono diventate
sempre più costose, mentre i benefici che possono produrre sono
sempre più ridotti. Né si possono sempre trovare alleati
disposti a pagare, come fecero alcuni Stati arabi, la Germania e il Giappone
durante la guerra del Golfo.
Dall’incrocio fra le ambizioni egemoniche e i vincoli
politico-economici scaturisce l’idea di sviluppare nuovi strumenti militari
adatti al cambiamento dell’ambiente geostrategico.
La chiave per fronteggiare questi condizionamenti
sta nelle tecnologie dell’informazione (91). L’uso sistematico e coordinato
di tali tecnologie progettato dagli strateghi americani consente una vera
e propria “rivoluzione negli affari militari” (RMA). Rispetto alla “rivoluzione
tecnico-militare” (RTM), evolutiva e incrementale, la RMA esprime, nel
linguaggio tecnico-strategico, un salto di qualità. Essa infatti
non si limita alla costruzione di nuovi mezzi e sistemi d’arma grazie alle
nuove tecnologie, ma propone strutture ordinative e dottrine operative
destinate a ottimizzare l’impiego di tali tecnologie. Taluni aggiungono
una terza “rivoluzione”, ancora più integrale, la “rivoluzione negli
affari di sicurezza” (RSA) che prende in considerazione nuovi cambiamenti
- come la “soft-war” o “CNN-war” - e apre nuovi teatri di operazione affiancati
o sovrapposti a quelli tradizionali (92).
Al di là delle definizioni, la rivoluzione dell’informazione
ha già determinato tre conseguenze enormi in campo militare. Come
in economia l’informazione ha sostituito il capitale e il lavoro, così
in campo militare ha sostituito la potenza di fuoco e la manovra classica
delle forze. La rivoluzione dell’informazione ha aumentato la tempestività
e l’accuratezza dell’intelligence. Associata a sistemi di fuoco di precisione
in profondità e a sistemi elettronici sostitutivi o integrativi
per l’attacco contro gli analoghi mezzi dell’avversario, la capacità
di informazione (IRSTA = Intelligence, Reconnaissance, Surveillance and
Target Acquisition) consente di condurre operazioni simultanee su tutta
la profondità dei teatri operativi, colpendo a distanza di centinaia,
o addirittura migliaia di kilometri, obiettivi puntuali, mobili e duri
come i carri armati.
I sistemi ora in servizio sono suscettibili di rapidi,
cospicui miglioramenti. Ad esempio, si parla già di dotare gli Stati
Uniti della capacità di intervenire dal loro stesso territorio contro
offensive terrestri nel Golfo o in caso di conflitto fra le due Coree (93)
o, quanto meno di ridurre enormemente sia l’entità delle forze da
schierare sia i fabbisogni logistici dei corpi di spedizione, tanto da
poter ricorrere, anche per conflitti regionali maggiori, al trasporto aereo
anziché a quello marittimo, molto più lento e finora necessario
(94). Ciò aumenterebbe enormemente la rapidità e la flessibilità
di intervento degli Stati Uniti, ora condizionate dalla scarsa velocità
dei trasporti marittimi, dall’enorme peso e volume dei rifornimenti da
trasportare e dal preposizionamento dei materiali più pesanti, che
spesso comporta delicati problemi politici, oltre che immobilizzazione
di capitale.
Beninteso l’impiego dei bitstreams potrebbe far sorgere
qualche problema. Per la loro facile impiegabilità al di fuori di
ogni controllo parlamentare o dell’opinione pubblica, gli Usa potrebbero
essere indotti a utilizzarli disinvoltamente, con il rischio di trovarsi
poi coinvolti in conflitti, al di fuori di ogni logica e necessità
strategica o politica. Si tratta però di pericoli marginali. Invece,
l’apporto degli Stati Uniti ai propri alleati regionali potrebbe mutare
profondamente. Ad esempio nel caso delle CJTF (Combined Joint Task Forces),
cioè degli assetti Nato che potrebbero essere impiegati in operazioni
autonome dall’Unione europea occidentale e che sono stati approvati dal
Consiglio atlantico tenutosi a Berlino nel giugno 1996. Anziché
inviare forze di combattimento e di supporto tattico, Washington potrebbe
limitarsi a inviare informazioni. Rafforzerebbe così la capacità
dei suoi alleati in modo molto più compatibile con le tendenze isolazionistiche
e con la richiesta di operazioni “a zero morti”, emergenti nell’opinione
pubblica statunitense. Diventerebbero anche più efficaci e meno
visibili operazioni covert, penetrando nelle reti informatiche di altri
Stati, alterando le banche dati e bloccando i delicati meccanismi automatizzati
su cui si reggono ormai società, economie e pubbliche amministrazioni.
L’Extended Information Dominance diventerebbe lo strumento
essenziale per il mantenimento della pax americana nel XXI secolo, come
nel secolo scorso lo era stata la Royal Navy per la pax britannica. Tale
dominio sarà basato in campo militare sul cosiddetto “System of
Systems”. Esso si fonda sull’integrazione e sulla realizzazione di sinergie
fra tre componenti che erano state sinora considerate e organizzate separatamente:
i sistemi informativi e di sorveglianza, quelli di comando e controllo
e quelli di fuoco di precisione in profondità.
Il sistema informativo è concepito come un’entità
autonoma, che distribuisce informazioni a una varietà di utilizzatori
ed è collegato con sistemi di attacco sia convenzionali, con testate
stand-off, sia elettronici, in grado di coprire un’area orientativamente
di 300x300 km. Il nuovo sistema informativo è associato a sistemi
di comando avanzato, come il Global Command and Central System e il C4I
for Warrior, entrambi interforze e concepiti modularmente, per essere impiegabili
in coalizioni multinazionali “a geometria variabile”.
Le azioni di fuoco in profondità, svolte da aerei,
da lanciarazzi a lunga gittata e da missili Cruise, saranno coordinate
da un lato con operazioni svolte da “forze speciali”, infiltratesi in piccoli
gruppi per colpire punti cruciali dello schieramento nemico su tutto il
teatro d’operazione, e dall’altro lato con attacchi elettronici sui dispositivi
avversari di C4I (Comando, Controllo, Comunicazioni, Computer e Intelligence).
Nel passato solo i tiri diretti, effettuati cioè
entro limitati campi di vista e di tiro, erano in condizione di avere un’alta
probabilità di distruggere obiettivi puntuali, duri e mobili. Con
l’odierna precisione, anche i tiri indiretti e a grande distanza hanno
acquisito tale capacità, sovvertendo la meccanica tradizionale della
battaglia terrestre, che era basata sulla successione e combinazione di
combattimenti e di manovre per portarsi a distanza di tiro diretto. In
un certo senso la battaglia terrestre è divenuta simile a quella
navale. La capacità di fuoco preciso a grande distanza minimizza
poi la vulnerabilità, consentendo di ridurre le perdite delle forze
di intervento. La precisione di tiro diminuisce infine anche le perdite
avversarie, nonché i danni collaterali alle popolazioni civili e
ai territori.
All’Extended Information Dominance e al System of Systems
si aggiungerà la Hacker Warfare, cioè l’attacco con operazioni
covert ai sistemi informatizzati avversari, sia politico-militari sia amministrativo-economico-commerciali,
ad esempio con l’introduzione di virus nei computer nemici.
Non si tratta di concetti del tutto nuovi, eccetto beninteso
per quanto riguarda l’attacco ai sistemi informatizzati del nemico e alla
difesa dei propri. Nel corso della storia militare tutti i condottieri
hanno sempre cercato di conoscere quanto più possibile del nemico,
impedendo nel contempo a quest’ultimo di acquisire informazioni su di loro.
Sun Tzu dedica gran parte del suo trattato sulla guerra all’esigenza di
realizzare la superiorità nel settore dell’informazione e della
conoscenza. Gengis Khan è considerato un modello da imitare dagli
esperti dell’Information Based Warfare (95). Si aprirà, in altre
parole, un quinto fronte: quello elettronico-informatico, che si affiancherà
a quelli terrestre, marittimo, aereo e spaziale.
Il dibattito negli Stati Uniti sulla RMA è molto
intenso (96). Due gruppi di pressione si affrontano al Pentagono. Il primo
è quello dei “tradizionalisti”, che sostengono che non si tratta
di rivoluzione ma di evoluzione, caratterizzata da uno sviluppo tecnologico
accelerato ma lineare, da incorporare nelle dottrine operative e nelle
strutture attuali delle forze. Il secondo gruppo è quello dei “modernisti”,
che sostengono la necessità di sviluppare dottrine e strutture delle
forze completamente nuove. Il secondo gruppo è chiamato anche dei
“cheap hawks”, dei “falchi a buon prezzo”, poiché mira a conservare
la superiorità americana nel mondo con un bilancio della Difesa
in corso di riduzione (da 345 miliardi di dollari nel 1986 a 220 miliardi
di dollari previsti nel 1999).
Mentre i tradizionalisti pensano che la guerra del Golfo
sia stata la prima guerra dell’informazione, i modernisti capeggiati dall’ammiraglio
Owens, già dinamico vicepresidente del Joint Chiefs of Staff e fautore
del System of Systems, affermano che è stata l’ultima guerra delle
piattaforme. Essi sostengono anche che gli Stati Uniti potranno mantenere
la loro superiorità mondiale, data la riduzione cospicua dei bilanci
della Difesa, solo se non sostituiranno i vecchi sistemi, giunti ormai
in gran parte all’obsolescenza tecnica e operativa, con sistemi analoghi
anche se più potenti, ma se adotteranno invece dottrine, strutture
ed equipaggiamenti del tutto innovativi, sostituendo cioè la potenza
di fuoco con la precisione, la manovra con il fuoco a lunga gittata ed
entrambe con l’informazione. Non è chiara la rapidità con
cui avverrà la trasformazione. Sicuramente essa deve superare grossi
ostacoli da parte delle singole forze armate, gelose della loro autonomia.
Quest’ultima sarebbe molto ridotta con la RMA, che concentrerebbe a livello
interforze tutta la concezione strategica, dalla preparazione all’impiego
delle forze. Si oppone alla RMA anche gran parte delle industrie tradizionali
della difesa, che sperano in un poderoso sforzo di ricapitalizzazione delle
forze americane con sistemi tradizionali. Le resistenze sono molto forti.
Potranno essere superate solo se crescerà il livello di tensione
militare internazionale. Essa ha sempre costituito l’incentivo essenziale
per le trasformazioni dottrinali e strutturali. Il Joint Chiefs of Staff
è per ora molto cauto: parla di evoluzione, anziché di rivoluzione
e non è orientato a mutare strategia operativa nei prossimi dieci
anni (97).
Forse la proliferazione di armi di distruzione di massa
potrebbe imporre un’accelerazione dell’adozione delle nuove strutture quanto
meno negli Stati Uniti. La RMA non è ancora dibattuta negli altri
paesi con l’eccezione della Francia. La Russia non ha le risorse economiche
e la Cina quelle tecnologiche necessarie per una revisione profonda delle
loro attuali strutture militari.
Con la “guerra dell’informazione” uno Stato acquisisce
la possibilità di infliggere enormi danni non solo alle forze militari,
ma anche alle strutture politiche, amministrative ed economiche degli Stati
nemici, senza impiegare armi nucleari. Per avere un’idea del pensiero del
Pentagono sull’Information Warfare basta considerarne le possibili applicazioni
riportate in figura (98).
La guerra basata sull’informazione dovrebbe essere in
condizioni di compensare ai fini del mantenimento della sicurezza (cioè
dello status quo internazionale) la diminuzione della credibilità
della dissuasione nucleare e la possibilità che gli Stati perturbatori
si dotino di armi di distruzione di massa. Diventerebbe quindi l’elemento
portante dell’azione di controproliferazione, che sta affiancandosi agli
sforzi internazionali di non-proliferazione, in grado di ritardare ma non
di impedire la diffusione delle armi di distruzione di massa.
Tuttavia lo sviluppo di tali nuove capacità militari
è caratterizzato da un’elevata instabilità, non solo per
il rapido corso del progresso tecnologico, destinato a durare per almeno
altri dieci anni, ma anche perché esso è trainato dalle applicazioni
commerciali delle tecnologie dell’informazione e non da sforzi di ricerca
dedicata e sviluppo militare. Molti Stati quindi possono venirne in possesso,
soprattutto nel Sud-Est asiatico e nell’Estremo Oriente, distruggendo l’Information
Dominance, su cui i modernisti vorrebbero fondare la pax americana del
prossimo secolo. La tendenza dell’attuale tecnologia non è quella
di trasformare le spade in aratri. È invece quella contraria, di
impiegare a fini bellici tecnologie e capacità civili o, se vogliamo,
gli aratri come spade. Lo si è già visto nel Golfo, con l’utilizzazione
massiccia di satelliti civili di telecomunicazione e anche di osservazione
della terra, di posizionamento satellitare e così via.
Ma la RMA avrebbe anche altre conseguenze. Alleanze tradizionali,
come quella atlantica, sarebbero notevolmente squilibrate. Gli Stati Uniti,
che sono avanzatissimi nel settore della guerra dell’informazione, ma non
possono trasferire le tecnologie agli alleati per i danni commerciali che
ne riceverebbero, potrebbero infatti limitarsi a fornire alla Nato sistemi
informativi avanzati, mentre i loro partner dovrebbero mettere a disposizione
le fanterie. Inoltre, dato il ridotto livello tecnologico e di spesa militare
europea, gli Stati Uniti aumenterebbero il loro peso già dominante
strategicamente e quindi anche politicamente nella Nato, che sembrava essere
attenuato dalla diminuzione dell’importanza delle armi nucleari. Verrà
quindi rimesso in discussione ogni progetto di difesa europea pienamente
autonoma, ammesso e non concesso che l’Unione europea trovi la volontà
di elaborare una politica estera e di sicurezza comune.
La possibilità di attacchi più o meno covert
alle reti e ai sistemi informatici, da cui dipendono in misura crescente
l’economia e i servizi pubblici dei vari paesi, impone di elaborare una
strategia specifica volta alla loro difesa (99).
Infine, per quanto riguarda più specificatamente
l’organizzazione delle forze, le strutture militari, che tradizionalmente
erano gerarchizzate e verticali, dovranno essere modificate assumendo un’organizzazione
più orizzontale e a rete, simile a quella di una corporation come
la Benetton, almeno per la parte System of Systems che, come si è
detto, copre tutta la profondità del teatro di operazioni. Il livello
strategico e quello tattico avranno un’ampia fascia di sovrapposizione.
Concetti tradizionali, come quello di linea, di fronte, di retrovie, di
attacco sequenziale per scaglioni successivi e di manovra in ritirata subiranno
profonde modifiche. Il centro di gravità dell’attacco (Schwerpunkt)
sarà costituito dai sistemi C4I del nemico. I concetti di tempo
e di spazio subiranno una modifica radicale nella loro importanza e significato
strategici.
Il problema principale che si presenterà alle
forze di intervento sarà quello di distruggere i mezzi di fuoco
in profondità del nemico e i sistemi C4I ad essi associati. Le soluzioni
finora individuate non sono del tutto soddisfacenti, come risulta evidente
dalla difficoltà che si è avuta nella guerra del Golfo nella
neutralizzazione degli Scud iracheni, nonostante che fossero stati concentrati
su di essi il 15% degli attacchi aerei della coalizione e gran parte delle
forze speciali americane e britanniche.
Si sta materializzando quella che Alvin e Heidi Toffler
hanno chiamato “guerra della terza ondata”(100), propria delle moderne
società postindustriali e che vedrà coinvolte altre tecnologie,
in particolare la robotica e le armi non letali o a ridotta letalità.
A fianco di esse un ruolo crescente avranno i media che mobiliteranno le
società dell’informazione, in modo in un certo senso analogo a quanto
è avvenuto nelle società industriali con il ricorso alla
mobilitazione degli eserciti di massa, fondati sulla coscrizione obbligatoria
e sul richiamo di un numero rilevante di riservisti.
Con la guerra dell’informazione gli Stati Uniti avrebbero
insomma individuato lo strumento che dovrebbe garantire la loro supremazia
globale anche nel prossimo secolo. È interesse di tutti, in particolare
degli alleati occidentali, analizzare le conseguenze e le implicazioni
geostrategiche e geopolitiche della rivoluzione che si sta preparando.