LA COMUNICAZIONE E L'INFORMAZIONE NELL'ATTIVITA' DELL'OSSERVATORIO DIOCESANO DELLE POVERTA' E DELLE RISORSE
"Lavorare con … "
La povertà non è un dato statico e assoluto ma un percorso nel quale si entra e dal quale si può uscire. E' un processo sociale complesso che interagisce con altri processi e altri soggetti territoriali che a loro volta scavano percorsi e svolgono azioni.
Leggere la povertà sul territorio significa interagire con questi processi e con i soggetti che li determinano. Presuppone una lettura dinamica di situazioni in movimento dentro un contesto territoriale a sua volta fortemente mutevole al centro del quale c'è l'uomo nei suoi comportamenti e nelle sue relazioni.
Per poter svolgere correttamente il proprio lavoro di indagine e di ricerca, l'"Osservatorio" deve interagire ( sul piano dello scambio informativo) costantemente con gli attori protagonisti della vita del territorio: enti locali, istituzioni religiose , istituti e centri culturali, volontariato e privato sociale, mondo dell'economia. Deve disegnare percorsi di collaborazione, azioni complementari, reti di comunicazione interattive. Deve promuovere il metodo del concertare per capire ma anche per progettare. Interrogarsi e interrogare : ad esempio sul deficit di beni relazionali, sulla crisi delle forme di coesione e partecipazione sociale, sulla mancanza di reti di infrastrutture culturali e sociali adeguate ai tempi. Deve aiutare la società del proprio territorio a raffigurarsi nel suo divenire. Farne crescere la consapevolezza, promuoverne la qualità. Deve ragionare dentro i processi coinvolgendo e coinvolgendosi con i soggetti sociali attivi in comuni percorsi di conoscenza.
I processi di esclusione sociale rispondono ad una molteplicità di ragioni e avanzano una pluralità di domande chiamando in causa una varietà di soggetti.
"Lavorare con…" significa passare da una lettura finalizzata alla denuncia ad una finalizzata alla ricerca-intervento, dove la realizzazione del rapporto di indagine coinvolge fin dalla fase della progettazione i soggetti attori dei processi sociali. Ad esempio lo studio del disagio minorile può diventare l'occasione per ordire la tessitura di una rete che vede collaborare la scuola , l'ente locale , il volontariato, ecc. , che insieme concorrono all'indagine fin dalla fase di progettazione e ne finalizzano i risultati in progetti operativi.
Insomma dobbiamo immaginare un '"Osservatorio che non osserva meramente il proprio contesto ma aiuta il territorio a pensare se stesso in modo riflessivo e attivo. Non esprime posizioni precostituite o mere denunce ma trasferisce l'indagine in percorsi collettivi di cambiamento.
Non "lavora per" ma "lavora con" (alla costante ricerca di momenti di complementerietà, collaborazione, concertazione, comunione) , non pone solo problemi ma cerca anche soluzioni, non vuole essere sale sulle ferite ma lievito per il cambiamento.
"Lavorare comunicando"
Rispondere in pieno a questa impostazione metodologica è impossibile se non si impara a "lavorare comunicando"
C'è un primo livello di valorizzazione dell'attività dell'"Osservatorio", che attraversa tutto l'arco delle sue iniziative, ed è il livello della "comunicazione orizzontale/circolare". Non si trasmettono informazioni lungo un percorso verticale ma ci si scambiano informazioni. Lavorare comunicando significa privilegiare il momento dello scambio interattivo rispetto all'informazione unilineare.
Insomma si attivano scambi di dati, informazioni, linguaggi, consuetudini, metodologie. Si confrontano esperienze, ipotesi di lavoro, opinioni, posizioni; si mettono in comune materiali e strumenti , si sedimentano culture e saperi . I luoghi privilegiati di questo processo sono le fasi della formazione : corsi , seminari, riunioni di lavoro, riflessioni collettive, workshop, convegni, focus-group, laboratori, ecc. .
Ovviamente queste pratiche di comunicazione implicano il confronto costante con identità diverse che sovente, in percorsi di concertazione, rimarcano proprie specificità, diversità di vedute, contrasti. L'importante è che tutto ciò avvenga in un’ ottica di collaborazione orientata a privilegiare le sinergie possibili in nome di obiettivi condivisi.
C'è una comunicazione, che spesso si traduce in comuni percorsi, che riguarda il territorio ristretto e una che riguarda, invece, luoghi più lontani : altri contesti territoriali nazionali e regionali, altre regioni d'Europa, altri territori ancora più lontani. In questo caso maggiori sono le relazioni che si intrecciano, più denso è lo scambio e il confronto, più ricco il flusso di comunicazione , più importante il valore aggiunto che può essere trasferito all'intero territorio.
Nella società della "globalizzazione" è assolutamente necessario pensare il locale in un’ottica globale. "Globalizzazione", questo termine così abusato, non sta solo a significare un sistema economico-finanziario esteso al mondo intero ma anche il trasferimento delle interazioni economiche nella sfera sociale fin dentro i contesti locali e personali. Questo straordinario processo di trasformazione che sta caratterizzando la fine del millennio si estende attraverso il propagarsi su scala globale ( oltre i confini nazionali) di flussi informativi che a loro volta attivano flussi finanziari e di manodopera ma anche nuovi processi culturali e nuovi comportamenti sociali.
Perciò si rende indispensabile attivare percorsi di lavoro che sappiano adeguatamente usare sia la comunicazione "corta" che quella "lunga", dentro ottiche capaci di posizionare il territorio dentro contesti a scala variabile.
Come tutti noi ben sappiamo "l'Osservatorio" non è un istituto di ricerche sociali ma "uno strumento al servizio della pastorale diocesana , pensato per rispondere all'esigenza di acquisire un'adeguata competenza nella lettura dei bisogni , delle povertà, dell'emarginazione, al fine di coinvolgere direttamente la comunità ecclesiale". Il suo fine prioritario è rendere la comunità perennemente attenta ai problemi dei più poveri, degli esclusi, degli emarginati e dei soggetti deboli; aiutare il territorio a pensare se stesso in un ottica di solidarietà e la comunità cristiana del territorio a diventare sempre più partecipe di percorsi di impegno solidale.
In tal senso effettuare comunicazione orizzontale significa posizionarsi dentro i percorsi di comunicazione per essere meglio in condizione , oltre che di leggere il territorio, di trasferire chiavi di lettura, motivazione e progetti orientati a valori . Essere dentro la storia per incarnare nei tempi presenti , nei problemi quotidiani della gente , nella società in mutamento, il messaggio evangelico.
Comunicare il mutamento
Per assicurare continuità all'azione di monitoraggio l'"Osservatorio" deve avere un carattere permanente, cioè deve assicurare un processo costante di lettura dei processi sociali territoriali evidenziandone i mutamenti anche attraverso analisi comparative e longitudinali.
Particolare attenzione va posta a questa specifica attività di lavoro.
I processi sociali implicano azioni in relazione dentro contesti mutevoli. Perciò non si prestano ad analisi statiche ma devono assumere come cifra l'idea costante del mutamento. Il povero di oggi non è quello di vent'anni fa , i processi di esclusione sociale di questo fine secolo avvengono dentro contesti territoriali che hanno visto profondamente modificarsi i luoghi dello scambio e del conflitto sociale. Sono in radicale trasformazione anche i luoghi delle decisioni politiche , del governo del territorio. Sono in profonda trasformazione sia i luoghi che le forme del "conflitto distributivo"( nei sistemi post-industriali sono i "flussi" anziché i "luoghi", la sede privilegiata delle decisioni ). Lo stesso processo di trasformazione del welfare state va letto in riferimento a questo paradigma.
In questo contesto anche il comportamento religioso tende a mutare e non può essere compreso se non in relazione ai processi di mutamento più generali. Anche gli strumenti della comunicazione religiosa non possono non essere profondamente riconsiderati e riordinati alla luce di questo nuovo paradigma.
Se questo è il quadro di sfondo , diventa estremamente importante trasferire ai soggetti territoriali e, in primis, alla comunità cristiana, una visione costantemente aggiornata dei processi in mutamento.
Tutto ciò comporta una costante opera di affinamento degli strumenti di valutazione delle trasformazioni in atto. Cioè analisi di processi secondo precise scansioni temporali, uso di indicatori di qualità, verifica dei percorsi.
Insomma dire che in un preciso contesto ci sono povertà gravi potrebbe nel tempo non sortire alcun effetto pratico. Individuare , invece, precisi percorsi di esclusione/inclusione e misurarne l'evoluzione (positiva/negativa) in rapporto al tempo e allo spazio, rappresentare costantemente i luoghi ( anch'essi mutevoli) del governo e del conflitto, leggere nella loro evoluzione le coordinate culturali di sfondo , significa indicare percorsi di impegno per produrre cambiamento, per cercare e valutare soluzioni.
Trasferire questo paradigma metodologico significa comunicare cultura del mutamento ma anche valori forti di socialità : rappresentare una comunità in movimento ( in cammino?), dare un senso alle iniziative dei soggetti dello scambio sociale. Significa trasferire la speranza nel metodo; rappresentare il mutamento come un evento possibile o reale orientato dai comportamenti individuali e collettivi. Significa superare la cultura negativa della constatazione statica e della protesta come unica forma della testimonianza per approdare ad una consapevolezza del ruolo dei soggetti singoli e collettivi nei fenomeni sociali.
Insomma comunicare un’ immagine del territorio come luogo dove attraverso la tessitura delle complementarietà e l'assunzione delle reciproche responsabilità la società si fa comunità.
Informare : come?
" Un mondo di sempre maggiore riflessività è un mondo di persone intelligenti. Non intendo con questo sostenere che la gente sia oggi più intelligente di quanto non fosse in passato. In un ordine post-tradizionale, gli individui devono tutti, chi più e chi meno, avere a che fare con il più vasto mondo se vogliono sopravvivere. Non è più possibile riservare le informazioni prodotte per specialisti a certe particolari élites : esse diventano materia di interpretazione e base per l'azione dei profani , utilizzabili in qualsiasi circostanza della vita quotidiana" (A. Giddens).
Nel mondo della comunicazione globale non è tanto importante costruire l'elenco degli strumenti attraversi i quali fare informazione quanto ragionare sui sistemi , le modalità, le tecniche di confezionamento dei messaggi che si intendono trasmettere. Conoscere, inoltre, i destinatari dei nostri messaggi è fondamentale per definirne la forma. In un mondo in cui l'informazione tende a morire per eccesso di messaggi , la forma del comunicare diviene senso e sostanza. Perciò ritengo indispensabile , per realizzare una buona efficacia informativa , ragionare sul come informare : attraverso un giornale? Per essere letto da chi? Per trasferire quale informazione? Dentro quale contesto informativo? Con più o meno foto? Con articoli più o meno corti? Quanto testo e quanta grafica? Ecc.
Si tenga presente che uno strumento di informazione è anche la rappresentazione visiva del soggetto che lo realizza.
Siamo passati, nell'arco di meno di vent'anni, dal mondo dell' "avere o essere" a quello dell' "essere o apparire". Io non dico che si deve assecondare questa insana evoluzione ma esserne consapevoli sì.
La forma che assume la nostra informazione non solo determina i destinatari della stessa ma rimbalza la nostra immagine all'esterno.
Per cui un’informazione confezionata con eccessiva trasandatezza corre il rischio di non raggiungere i suoi destinatari o di rimbalzare un'immagine poco autorevole e/o marginale dei suoi facitori. E ciò con effetti a cascata sui comportamenti che essa è chiamata ad indurre.
Perciò, sia esso un giornale o un convegno, una rivista o una conferenza stampa, un cdrom o un video, l'informazione e la valorizzazione all'esterno dei dati dell'"Osservatorio" deve assegnare grande importanza al "come", alla forma cioè che assumono i contenuti informativi.
Non stiamo dicendo nulla di innovativo, qualsiasi studioso di tecniche della comunicazione sa quanto fondamentale è la forma del comunicare. Pensate a quelle conversazioni dove un relatore monocorde mette a dura prova l'interesse dei partecipanti ( chi non si è mai ritrovato ad appisolarsi almeno una volta? ) di contro all'interesse suscitato da una comunicazione interattiva. Pensate all'inutilità di un manifesto perso tra i tanti di contro ad un invito via E-mail o via fax, magari seguito da una telefonata.
Informare : perché
Un’ informazione efficace ha il potere di indurre comportamenti . Pensate all'informazione pubblicitaria : quante cose inutili arrivano nelle nostre case ogni giorno indotte da tale informazione? E come mai noi non riusciamo a fare altrettanto ?
Certo noi non siamo pubblicitari né piazzisti di aspirapolveri ma vogliamo fare molto di più che vendere un prodotto : vorremmo trasmettere valori e indurre comportamenti ; vorremmo parlare alla comunità ecclesiale e alla più vasta comunità locale, vorremmo interagire con i soggetti territoriali protagonisti dello scambio sociale. Per fare tutto ciò non potremo sottrarci ad una pratica comunicativa e informativa sempre più curata e accurata.
Ho avuto frequentemente la sensazione ( spero sbagliata) che tante nostre iniziative avessero la denuncia come fine. Rispondere cioè a un intimo bisogno di denunciare cose scomode come assunzione di un nobile dovere. In molte situazioni , per tale motivo, il rapporto causa - effetto nel fare informazione è stato sovente trascurato, forse anche per una eccessiva timidezza o per un particolare assetto culturale più proteso all'individuazione del problema che alla ricerca delle soluzioni.
Dentro questo comportamento c'è indubbiamente una reticenza ad uscire da uno schema comportamentale dove il rapporto con i soggetti istituzionali è vissuto più come conflitto che come concertazione ( e spesso ce ne sono tutti i motivi). Dove lo Stato è altro da noi, dove la comunità locale è una cosa esterna e /o contrapposta alle istituzioni locali. Questo assetto culturale disegna , ovviamente, una reciprocità comportamentale dove anche la pubblica amministrazione si autoasssume come un corpo separato e non come un pubblico servizio.
Quante volte ci è capitato di denunciare l'assenza (reale) dell'ente pubblico e quante altre volte , nei casi di presenza concreta (pochi) ci è capitato , viceversa, di denunciarne la volontà di prevaricazione? Insomma quando assumiamo un percorso di lavoro dobbiamo avere ben chiaro in testa gli obiettivi e tesserne l'itinerario, la rete di interazione sociale necessaria a tradurne in comportamenti i risultati. Perciò nella fase del percorso dedicata all'informazione più ampia va curato in modo particolare il rapporto causa - effetto : chi e perché informiamo? Per indurre quali comportamenti o decisioni?
La valorizzazione all'esterno dell'attività dell' "Osservatorio" diventa un momento del "fare" che si presta a più obiettivi funzionali : a) indurre comportamenti operativi; b) rendere la comunità più larga consapevole dell'esistenza di un percorso di lavoro al suo interno e delle connesse difficoltà; c) stimolare la riflessività sociale assicurando il costante aggiornamento della lettura del disagio ma anche delle risorse del territorio; d) promuovere socialità; e) trasferire alla comunità ecclesiale informazione e metodologie di lettura del proprio contesto f) aiutare gli operatori pastorali a contestualizzare il proprio messaggio evangelico.
Informazione e partecipazione
"Solo il fare società, la costruzione e il rafforzamento dello spazio pubblico, inteso come quel luogo dove prendono corpo le possibilità di confliggere, confrontarsi e governare il rapporto tra una società e il suo tempo, potrà fare oscillare il pendolo della storia verso un futuro di emancipazione, apertura e progresso " ( Aldo Bonomi).
Indurre comportamenti è una prerogativa dell' informare, necessaria ma non sufficiente .
Per aiutare i comportamenti a "fare società" ( comunità?) bisogna attivare percorsi di partecipazione che nella reciproca autonomia siano in grado di attivare le necessarie interdipendenze , indispensabili all'arricchimento dello scambio sociale. L'informazione può aiutare a scavare e a orientare i percorsi della partecipazione dentro gli alvei molteplici dei bisogni del territorio ma anche dentro la cornice formale che ogni democrazia si dà per regolare le funzioni dei singoli soggetti della rappresentanza.
In questo contesto l'informazione tende a ridiventare comunicazione circolare per poi riproporsi a fasi progressive nella veste dell'informazione più allargata. Immagino, ad esempio, i percorsi di partecipazione per la predisposizione di strumenti di programmazione territoriale o per la realizzazione del controllo sulle decisioni pubbliche ( consulte, comitati, ecc.) o per la verifica degli effetti di decisioni, programmi e progetti, o per l'analisi comparata della spesa sociale, ecc. .
La definizione di strumenti informativi multipli cammina di pari passo con i percorsi di partecipazione da raccontare e da connettere in rete.
Lo scenario di fine secolo ci prospetta una democrazia che vive con crescente difficoltà la propria capacità di connettere l'area degli interessi con quella delle identità, in ciò denunciando una grave crisi di senso. Riuscire a interrogarsi e interrogare la comunità a partire dalle aree dove più forte si esprime il disagio, a comunicare non solo le domande ma anche la tensione alla ricerca e la volontà di disegnare insieme un progetto, a rinforzare così le ragioni della cittadinanza e della partecipazione civile è forse uno dei doveri fondanti dell'essere ( laicamente, civilmente) cristiani in cammino, oggi, nella storia.