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Atlanta 1996 XXV Olimpiade

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1996
Undici anni di successi
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XXV Olimpiade
1996
Richard arriva dopo due ore a bordo di un carrettino bianco senza finestrini e sportelli. Ha il cappello tirato sulla nuca, gli occhiali appesi al collo e un panino al prosciutto XXV Olimpiade: il podioche addenta con avidità. La medaglia penzola splendida e annoiata dal collo. Accanto a lui incespica ansimando un giovane radiocronista svizzero che pone domande a singhiozzo e annuisce alle risposte. Correndo. Sudando. E agitando il microfono. L'insolito convoglio costeggia il parcheggio e si ferma di fronte al centro stampa, dove gli inservienti si sbarazzano con una spallata del ragazzo e invitano il campione olimpico ad accomo-darsi nella sala interviste. Dalla stessa porta è già transitato Sørensen, argento con rimpianto. Sciandri invece ha mandato a dire che non ci sarà: è troppo amareggiato per scorgere nel bronzo il minimo riflesso positivo.

Nella prima Olimpiade per professionisti, ha vinto il più pofessionista di tutti, l'uomo che rifugge i teoremi troppo complessi. Pascal ha eseguito alla perfezione lo stesso copione già inscenato a Liegi. Quella volta, in aprile, a scottarsi furono Armstrong e Giannetti. Li aveva guardati, ne aveva analizzate le insicurezze, quindi aveva aspettato che queste venissero a galla. E allo sprint aveva chiuso il conto con una volata secca e potente. Rispetto ad allora, qui non godeva neppure dei favori del pronostico. Quando si era accorto che Sciandri aveva finito la benzina (e non deve essere stato diffcile, dato che lo stesso Max glielo aveva confessato in un attimo di astuto smarrimento emotivo), le sue attenzioni erano passate a  Sørensen. Veloce Rolf, ma troppo generoso. Il biondo aveva attaccato due volte col rapportone, per due volte lui aveva dovuto inseguirlo. Lo conosceva bene, avendo corso insieme lo scorso anno nella Mg Technogym da cui, guarda caso, era passato anche Sciandri. Se il danese avesse voluto chiudere la partita sarebbe già scattato. Dato che non c’era riuscito, probabilmente aveva soltanto cercato di fargli paura. Pensava alla svelta e nel pensare aveva già immaginato tutte le possibili soluzioni al dilemma. 
Li avevano visti confabulare lungo tutto il percorso. Anche Bartoli si era avvicinato a Richard ed era evidente che i due non si sarebbero ostacolati. L’interesse di Nazione viene sopra a tutto, 1’interesse di squadra quando si può. Avevano pedalato fanco a fianco, poi ciascuno era tornato alla sua corsa e al suo destino. «Siamo compagni di squadra - spiega lo svizzero - è normale che si parli. Gli ho detto che stavo bene, mi ha chiesto se avrei provato. Gli ho detto che 
era possibile e lui ha risposto che se avesse avuto le forze per vincere sarebbe venuto a prendermi, altrimenti avrebbe lasciato il compito ad altri. Sono sicuro che avrebbe dato anche la vita per vincere e altrettanto avrei fatto io al suo posto. Ma non avendo più forze, è giusto che abbia lasciato via libera a un compagno». Michele si era staccato sul secondo scatto di Sørensen. Col miraggio della medaglia, i tre erano filati via come treni a vapore. La partita era chiusa. 
La strada in quel punto passava davanti ai box. Saliva dolcemente e ai duecento metri piegava verso destra per 1’ultimo slancio verso il traguardo. E Sciandri, finto morto, aveva tentato il colpo a sorpresa, allungando agli ottocento metri. Si era curvato sul manubrio e aveva giocato 1’ultimo asso a sua disposizione. «Era partito proprio forte - dice Richard - e aveva preso un bel vantaggio, perché è furbo ed ha aspettato che mi girassi a guardare Rolf. Ma ugualmente ho fatto in tempo a vederlo e sono rientrato. Avrei anche potuto tirare dritto, visto che Sørensen recuperava lentamente. e forse non avrebbe risposto. Ma ho aspettato la volata perché non volevo rischiare tutto in un solo scatto».

XXV Olimpiade: l'arrivo
Azzurri assenti sul podio olimpico, ma il terzetto che si è giocato le medaglie in palio, si può curiosamente definire italiano. Sciandri, toscano, ma di madre inglese, stanco di non essere convocato in azzurro, lo scorso hanno ha scelto di gareggiare con la licenza britannica. Il danese Sorensen vive in Italia da molti anni, mentre lo svizzero Richard è sposato con una donna pugliese.

Sciandri e Sørensen erano arrivati alle Olimpiadi sapendo di poter vincere. Si erano allenati con scrupolo pur seguendo vie differenti. Max, sfortunato ormai per abitudine, era rimasto nella casa di un parente giusto vicino al percorso. Rolf invece si era allenato con Rijs e il resto della spedizione danese. Max pensava che, Duitama a parte, questa sarebbe stata la prima occasione di mettere a frutto la sua cittadinanza britannica. Rolf si era sentito dire a oltranza che quello era il suo percorso e alla possibilità di vincere ci aveva fatto l’abitudine. Cosi quando nel finale si erano trovati in compagnia di Richard, avevano ben chiare due idee: prima la necessità di toglierlo di mezzo alla svelta, quindi il bisogno di raccogliere le energie per lo sprint. Avevano provato una volta per ciascuno, ma alla fine erano finiti entrambi in ginocchio. E proprio in 
quel momento si erano resi conto che non c’era più nulla da fare. Richard lo conoscevano così bene da prevedere le sue mosse, ma non avevano più un briciolo di forza per contrastarle. E quando lo avevano visto respirare senza affanno si erano rassegnati. Soltanto Sciandri, nel momento della resa, aveva giocato 1’ultimo bluff, ma era stato scoperto. Le bandiere dei tifosi sporgevano allegre dalle transenne, il cielo era cupo. Del grande caldo appena la minaccia. 
In cima allo strappo più duro intanto andava in scena la psicosi americana. Una borsa sospetta sotto una cassetta delle lettere aveva destato il sospetto e 1’allarme era giunto agli uomini sull’arrivo. Che nessuno si avvicini, l’ordine era stato così perentorio da far allonatanare i tifosi per un raggio di cento metri, mantre nessuno aveva pensato di informare del problema i corridori che continuavano a girare. Gli artificieri erano piombati in pochi minuti e con un binocolo avevano scrutato l’involucr sospetto. Può essere una bomba. Sentenza definitiva, almeno finché un fotografo coraggioso non si avvicinava e con grande ardimento raccattava lo zaino che aveva poggiato mezz’ora prima per evitare di andare in giro con pesi eccessivi. Pascal aveva tenuto fede al copione. Aveva atteso che a partire fosse Sørensen, gli aveva concesso il vantaggio del rapporto più corto, poi lo aveva passato in rimonta.
<<Se non li avessi conosciuti così bene –ammetteva candidamente- non avrei saputo come impostare lo sprint. Sciandri è uno che nei finali duri fa il morto, poi però ci prova sempre e qualche volta gli va bene. Se gli credi ti frega. Così quando mi ha detto che era stanco, io gli ho detto di sì, ma ho continuato a controllarlo. E Rolf invece è un gatto che non sta mai fermo. Ha provato due volte e in volata è schizzato via come una furia. Se avesse avuto la lucidità o la forza di partire con un rapporto più lungo, probabilmente avrebbe compromesso i miei piani>>. Il mestiere si misura anche nelle parole e nella lucidità dell’analisi si nasconde l’essenza del campione.