Si
a
Federica
Calma,
grazia agilissima
leggerezza
ideale:
nessun
uomo mortale
è
tanto delicato, tanto lieve.
[Bianca
Tarozzi, ‘I burattini’]
Si Si incollavano sul muro
di fondo della stanza, sulla mobilia, spezzettate, le ampie strisce di
luce penetranti tra le imposte socchiuse. La penombra trasparente del
mattino invadeva dolcemente il suo rifugio privato, insinuandosi tra le
coltri spiegazzate, confuse.
Le forme proporzionate del suo corpo mollemente allungato sul
letto, splendente nel gioco di luce e di ombre, immerso in un dedalo di
zone velate ed esposte, affioravano nel chiaroscuro della stanza, in
un’alternarsi di nudità e di sembianze occultate, segrete.
Le membra giacevano abbandonate, i capelli sciolti, scompigliati
sulle spalle esposte.
Istintivamente si mosse, protese il braccio verso il comodino,
smarrendosi nella confusione di cuscini e coperte invernali, morbidamente
arruffate. Non incontrò nessun ostacolo, nel tiepido avvallamento che
aveva ospitato un altro corpo. Socchiuse gli occhi tentando di mettere a
fuoco le cifre al quarzo della sveglia. Troppo presto, in quell’alba
domenicale.
Allungò una gamba facendola scivolare fuori dalle coperte, ancora
calda per il languore della notte, esponendola al tepore di una zona
luminosa. Il calore del contatto invisibile le trasmise un brivido di
soave eccitazione che le accese come un microscopico fuoco nel corpo
ristorato, ancora morbido dopo il prolungato riposo.
Scese con la mano nel cuore di quel suo rinnovato calore
intrecciando tra le dita i corti riccioli neri. Si insinuò appena tra le
pieghe della sua carne, penetrò delicatamente all’interno.
Ombre voluttuose emersero attraverso la cortina leggera del suo
dormiveglia. Ombre della notte appena trascorsa, eteree presenze come
personaggi impalpabili di sogni non ancora del tutto svaniti nel chiarore
dell’alba.
Rimase preda di ricordi ottenebrati di sinuose sensazioni,
affondati nel tiepido risveglio della coscienza, confuse con le sue
parole mormorate, poco prima o molto tempo addietro, chissà.
Il suo corpo irradiava desiderio, desiderio di sostare in quella
fascinosa zona d’ombra che precede il risveglio completo, dove tutto
ancora può essere, e niente ancora è. Portò lentamente le dita alle
labbra inumidendole, assaporandone il sapore dolciastro.
Nell’indolente resurrezione dei sensi ancora intorpiditi si voltò
su se stessa, gustando la freschezza delle lenzuola impregnate di mistero
notturno, premendo lievemente il pube contro di esse, godendo dei sottili
rivoli di piacere che si propagavano mollemente in lei.
Le sembrò ancora di sentire le sue
dita tra i capelli, di percepirne il tocco inconfondibile scendere lungo
il suo collo, sfiorarle le spalle, disegnare sui suoi seni precisi cerchi
concentrici che si stringevano fino a convergere sui capezzoli
inturgiditi, comprimerli con grazia, ma fermamente.
Il respiro leggero che scandiva il suo sonno accelerò il ritmo,
facendosi più definito, quasi prendesse coraggio e forma col trascorrere
del tempo. Si passò le mani lungo le curve sinuose, lambì l’interno
delle cosce, penetrò ancora una volta nelle sue intime profondità.
Di nuovo sentì distintamente la sua
lingua umida percorrerla lungo la spina dorsale, insinuarsi tra i glutei,
deliziare con la punta lo stretto pertugio, provocandole gemiti sommessi.
Cominciò ad ansimare più profondamente, in balia di un rilassante
ondeggiamento.
Nella sua mente sentì le proprie mani chiudersi intorno al suo
corpo, cercarlo a tentoni, impossessarsene per restituire con gioia
ansiosa il piacere. Le sentì muoversi ritmicamente, con sicurezza,
accortamente, in luoghi nascosti, preziosi. Inarcò la schiena portando
lentamente indietro il capo fino a poggiarla sulla testiera del letto.
Con i piedi scostò da sé le coperte esponendosi completamente
alle sciabolate di luce che ora penetravano taglienti attraverso le
imposte e la colpivano, accentuando nel gioco d’ombre ogni piega del
corpo levigato, illuminandone le cavità e la morbidezza, accendendone la
carnagione di riflessi dorati.
Divaricò le gambe nel bisogno impellente di sentirsi frugare,
penetrare, esplorare da quelle
dita che s’insinuavano tra le cosce, decise scendevano in lei,
premendola negli accessi segreti del suo fuoco, affondando senza più
fermarsi.
Le
sentiva
spingere, a sua volta, reagendo, spingeva, affondava nella rincorsa di un
piacere reciproco e totalizzante.
Sentiva il suo fiato sul collo, sul viso, soffiarle tra i capelli. Le sua
labbra sfiorarle le palpebre, baciare ciecamente la sua carne, morderla,
leccarla. La sua lingua cercarle la lingua. Si sentiva inondare, come una
spiaggia tropicale, mentre più in basso il suo umore avvolgeva quelle
dita audaci, le impregnava di miele, le aiutava nel loro
procedere lento e inesorabile dentro di lei. Ne coglieva ogni contrazione,
ogni piccolo spasimo che le sollecitava al limite ogni senso, incitandola
ad accompagnarle con i movimenti armonici dei fianchi.
Nell’intensità di quell’onirica ebbrezza della coscienza,
smarrita nell’intreccio di confuse percezioni, sentì nuovamente le sue
dita inabissarsi nel nucleo oscuro, aggrovigliato intorno alle più
segrete intimità. Si sentì trafitta da un doloroso godimento che si
rinnovava da sé, replicandone in successione i sospiri, il ribattere
cadenzato degli spasmi che le ghermivano i sensi.
Il tremito si fece più intenso, nell’acuirsi del timbro del
battito accelerato, nel fluire agile, sciolto, nell’alternanza tra
distensioni e allunghi del corpo affusolato in cui si comunicava quella
stessa corrente di intensa eccitazione che ne sollecitava i movimenti.
Le contrazioni dall’interno del suo grembo raggiunsero in
rincorsa la frenesia incontrollabile degli ansimi emessi, come una litania
comprensibile solo a lei, in progressione concatenata, dall’increspatura
contratta delle sua labbra socchiuse fino a prorompere in un’esplosione
di libertà e di fragoroso piacere.
Pochi secondi, eternità d’estasi che ogni volta la sorprendeva
dandole una sensazione di onnipotenza, schiudendole regni ancora
inesplorati, dentro le sue stesse viscere.
La sveglia trillò nervosamente spezzando la musica dei respiri
affannosi. Le otto del mattino.
La luce aveva ora invaso ogni spazio, irrompeva a lambire con
impudica indiscrezione gli angoli più nascosti e riparati della stanza.
Appoggiò i piedi sul tappeto alla base del letto, si sollevò,
portando insieme verso l’alto le braccia che unì sciogliendosi in un
lungo distensivo stiramento. Poi, sbadigliando, si protese ad afferrare i
vestiti.
Iniziava una nuova meravigliosa giornata.
Cristallo