Risposta a:
Comune di Venezia
Assessorato all’Ambiente
Nota 7.1.2000 prot. n. 17
PARERE IN ORDINE ALLA APPLICAZIONE DEL
PRINCIPIO DI
MINIMIZZAZIONE DELLE ESPOSIZIONI AI CAMPI ELETTROMAGNETICI IN AREA URBANA
0. Principio
di minimizzazione
Il principio di
minimizzazione dell’esposizione
ai campi elettromagnetici, richiamato dal decreto interministeriale 10
settembre 1998 n. 381 [1], con riferimento
ai campi elettromagnetici con frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz (art.
1), è uno dei principi cardine della radioprotezione ed è mutuato, in materia
di protezione dalle radiazioni non ionizzanti,
dalla elaborazione teorica e dalla pratica della protezione dalle radiazioni
ionizzanti.
La sua applicazione in politica sanitaria
appare giustificata tutte le volte che occorre limitare l’esposizione di
persone, lavoratori o membri generici della popolazione, ad agenti inquinanti,
la cui azione sull’organismo umano non è limitata alla manifestazione di
effetti deterministici o acuti, ma è sospetta
di originare effetti degenerativi a carattere stocastico, che si manifestano su
grandi numeri, in relazione ad un’ampia popolazione di individui esposti, a
livelli di esposizione inferiori a quelli che determinano la soglia per la manifestazione
degli effetti acuti.
Sotto tale profilo il principio di minimizzazione è figlio del principio di cautela, introdotto nell’ordinamento comunitario nel
Trattato di Roma [2].
Nell’ambito della radioprotezione dalle
radiazioni ionizzanti, la cui azione degenerativa a carattere stocastico è
tristemente verificata, il principio di
minimizzazione ha trovato sistemazione teorica nei seguenti correlati principi
di protezione, adottati in ogni situazione di esposizione a inquinanti con
azione a carattere stocastico, non a soglia.
1. Principio
di giustificazione
2. Principio
di ottimizzazione.
Quest’ultimo espresso nelle due forme di:
2.1
Ottimizzazione dei mezzi tecnologici
impiegati (ALATA)
2.2
della
finalizzazione delle applicazioni (ALARA)
Il principio di
minimizzazione è applicato, nel nostro ordinamento, al campo
dell’esposizione della popolazione alle radiazioni non ionizzanti, in forza
dell’art. 4, comma 1, del citato decreto interministeriale 10 settembre 1998 n.
381. Tale norma trova fondamento nel documento congiunto dell’Istituto
Superiore per la Prevenzione e la
Sicurezza del Lavoro (ISPESL) e dell’Istituto Superiore di Sanità sulla
problematica della protezione dei lavoratori e della popolazione dalle
esposizioni a campi elettrici e magnetici e a campi elettromagnetici a
frequenza compresa tra 0 Hz e 300 GHz del 29 gennaio 1998 [3], laddove, con
riferimento alla protezione dagli effetti a lungo termine dai campi
elettromagnetici a radiofrequenza e microonde, si afferma, tra l’altro:
-
a) sulla base di un principio cautelativo intorno al quale
si riscontra un generale consenso, possono essere delineate strategie di
abbattimento dei livelli di esposizione presenti negli ambienti di vita e di
lavoro che comportino costi accettabili dalla comunità, anche per mezzo della
ricerca e l’applicazione di nuove tecnologie … non deve essere ulteriormente
possibile che impianti radiotelevisivi siano progettati in modo da irradiare
direttamente all’interno di edifici di civile abitazione;
-
b) la riduzione delle esposizioni può essere adottata con
modalità più restrittive in particolari situazioni (ad esempio nel caso di
esposizioni negli spazi destinati all’infanzia e nelle strutture sanitarie)…
Nella nota
aggiuntiva dell’ISPESL allo stesso documento congiunto [4], si osserva:
-
“indicazioni provenienti dall’epidemiologia e dalla sperimentazione, tra
cui quella di grande rilievo dovuta al recente studio sperimentale australiano,
spingono ad assumere valori guida più cautelativi rispetto ai valori limite
vigenti per gli effetti acuti. Conforta in questa direzione il fatto che , per
l’esposizione alle radiofrequenze, è tecnologicamente ed economicamente
possibile raggiungere una riduzione degli attuali tetti massimi di esposizione,
soprattutto nelle aree residenziali e destinate all’infanzia o alle strutture
sanitarie”.
I due
documenti sopra richiamati, il documento congiunto ISPESL-ISS e la nota
aggiuntiva dell’ISPESL, sono stati indicati dalla Camera dei Deputati, con
mozione del 13 luglio 1999 [5], votata da tutti i gruppi parlamentari, come i
documenti di riferimento per la regolamentazione della materia della protezione
dei lavoratori e della popolazione dalle
esposizioni ai campi elettrici e magnetici e ai campi elettromagnetici.
Quanto
richiamato porta a ritenere che in materia di protezione dall’esposizione ai
campi elettromagnetici della popolazione, all’interno della quale sono
riconoscibili soggetti sensibili, bambini, anziani, malati, debba essere
adottato lo stesso principio di cautela e
minimizzazione adottato nella protezione dalle radiazioni ionizzanti, anche
in considerazione della numerosità dei soggetti che risultano esposti alle
emissioni degli impianti di radiofrequenza o microonde installati, in
particolare, in aree urbane.
Conseguentemente appaiono applicabili al caso
della esposizione della popolazione alle radiazioni non ionizzanti, così come
ai campi elettrici e magnetici in bassa frequenza, i principi sopra richiamati
numero 1 e 2.
1. Principio di giustificazione
Tale principio comporta innanzitutto la giustificazione dell’esposizione, che
deve soddisfare due condizioni:
·
1.1 ogni esposizione deve essere giustificata dal beneficio
che ci si promette di ricavarne
·
1.2 deve essere evitata ogni esposizione non necessaria
L’applicazione
di tale principio alle singole fattispecie concrete, cioè il riconoscimento del
ricorrere delle condizioni che facciano decidere per l’esposizione delle
persone o inducano a ritenere l’esposizione stessa non necessaria, nella
pratica è demandata ad un arbitro, cui
sono riconosciute doti di competenza e di imparzialità che ne garantiscono la
funzione.
Ad
esempio, nella radioprotezione del paziente
da radiazioni ionizzanti l'applicazione del principio di giustificazione
è in capo al medico radiologo. In base al decreto legislativo n. 230/1995 [6], regolamento concernente
l’impiego delle radiazioni ionizzanti, ogni applicazione sanitaria, di radiodiagnostica
o di radioterapia, deve essere valutata dallo specialista, il quale ha l’onere
di discriminare i casi in cui i rischi derivanti dall’applicazione delle radiazioni
ionizzanti appaiono compensati dai benefici attesi da tale applicazione. Per
tale normativa: nel caso di un esame TAC
è del radiologo l’obbligo di capire se la richiesta di esame sia
giustificata o meno, in relazione alla
risoluzione del quesito diagnostico specifico, e se sia possibile ricorrere a
differenti tecniche diagnostiche di pari efficacia ai fini dell'indagine
[7].
Nella
radioprotezione dei lavoratori professionalmente esposti alle radiazioni
ionizzanti il principio di
giustificazione trova una sua atipica applicazione nella contrattazione tra
datore di lavoro e lavoratore, i quali convengono sull’opportunità
dell’esposizione; ma tale deroga dal ricorso a una decisione arbitrale e la sua sostituzione con una
decisione consensuale dell’esposizione è temperata, poiché la contrattazione
non è paritaria, dalla valutazione del medico
autorizzato, il cui parere favorevole è condizione
necessaria, senza la quale l’esposizione concordata non può aver luogo.
L’esposizione deve essere non solo concordata
ma necessaria, cioè tale che ai fini
per i quali la si prevede non possa essere sostituita da altri mezzi o
impieghi; all’uopo il medico autorizzato
si avvale della valutazione competente dell’esperto
qualificato, una figura professionale che ha appunto il compito di
determinare le migliori, cioè più protezionistiche, condizioni di esposizione o
determinare soluzioni tecniche sostitutive della esposizione. La funzione di esperto qualificato può essere svolta,
in modo talora più autorevole, da un Istituto
autorizzato, introdotto nel nostro ordinamento di protezione dalle radiazioni
ionizzanti dal dPR n. 185/1964 [8], e recentemente rivalutato in sede di Unione
Europea.
Il
principio di giustificazione trova
applicazione in forma analoga, per ogni
inquinante fisico, chimico o biologico, nella sicurezza del lavoro, in
base al D.Lgs.n. 19 settembre 1994 n. 626 [9], il quale all’art. 3 – Misure generali di tutela, comma 1,
lettera i), dispone:
l’utilizzo limitato degli agenti chimici,
fisici e biologici, - che comprendono gli agenti sospetti di effetti
degenerativi a carattere stocastico non a soglia -sui luoghi di lavoro.
Tale limitazione dell’impiego degli agenti chimici, fisici e
biologici – che di per sé non costituisce ancora una estrinsecazione del principio di giustificazione – assume
il significato della condizione 1.2, sopra riportata, dello stesso principio,
ove la si inserisca nel contesto delle altre norme dettate dallo stesso art. 3
comma 1, e in particolare delle seguenti, che integrano la condizione 1.1,
sopra riportata:
a) valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza;
b) eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze
acquisite in base al progresso tecnico e, ove ciò non è possibile, loro
riduzione al minimo;
c) riduzione dei rischi alla fonte;
d) programmazione della prevenzione mirando ad un complesso
che integra in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche
produttive ed organizzative dell'azienda nonché l'influenza dei fattori
dell'ambiente di lavoro;
e) sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo
è, o è meno pericoloso.
Il rinvio alla valutazione arbitrale della giustificazione del rischio, è realizzato, nel contesto del regolamento, 626/1994, dalle ulteriori lettere della norma richiamata:
l) controllo sanitario dei
lavoratori in funzione dei rischi specifici;
m) allontanamento del lavoratore
dall'esposizione a rischio, per motivi sanitari inerenti la sua persona;
e
dalle norme che prevedono la valutazione
del rischio, attraverso il datore di lavoro, da parte del medico competente:
Art. 4. - Obblighi del datore di
lavoro, del dirigente e del preposto.
1. Il datore di lavoro [....] valuta, nella scelta delle
attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati,
nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, i rischi per la sicurezza e per
la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti i gruppi di
lavoratori esposti a rischi particolari.
6. Il datore di lavoro effettua
la valutazione di cui al comma 1 [....] in collaborazione con il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione e con il medico
competente, nei casi in cui sia obbligatoria la sorveglianza sanitaria, previa consultazione del
rappresentante per la sicurezza.
Norme che rinviano, appunto, ove ne ricorra la necessità, alla sorveglianza sanitaria attuata dal medico competente, il quale – art. 17 comma 1 -:
c) esprime i giudizi di idoneità
alla mansione specifica al lavoro, di cui all'art. 16;
h) congiuntamente al responsabile
del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, visita gli ambienti di
lavoro almeno due volte all'anno e partecipa alla programmazione del controllo
dell'esposizione dei lavoratori i cui risultati gli sono forniti con tempestività
ai fini delle valutazioni e dei pareri di competenza.
Va sottolineato a questo punto che la sorveglianza sanitaria, mentre è già
prevista nella protezione dalle radiazioni ionizzanti dalla normativa vigente,
tanto dal DPR n. 185/1964 quanto dal D.Lgs. n. 230/1995, non è ancora obbligo
di legge, sebbene sia prevista dal d.d.l. quadro sulla protezione dai campi
elettrici e magnetici e dai campi elettromagnetici approvato dalla Camera dei
Deputati con il n. 4816 [10] e sia prevista dallo Schema di decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri sulla protezione dei lavoratori dai campi
elettrici e magnetici e dai campi elettromagnetici, predisposto dal Ministero
della Sanità d’intesa con il Ministero dell’Ambiente, il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, il Ministero
dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, il Ministero delle
Comunicazioni [11] e presentato alla Camera dei Deputati e al Senato l’11
novembre 1999 in osservanza della Mozione della Camera dei Deputati del 13 luglio
1999 (art. 6).
Tale orientamento del Governo, in
accordo con l’orientamento espresso dalla Camera dei deputati con la richiamata
mozione, votata dall’Aula il 13 luglio 1999 , induce a considerare le radiazioni non ionizzanti, le
radiofrequenze e le microonde, nonché i
campi elettrici e magnetici a bassa
frequenza, alla luce del quadro normativo costituito dalle misure generali e
sanitarie del decreto legislativo n. 626/1994, agenti fisici il cui impiego deve essere soggetto a giustificazione e a sorveglianza sanitaria.
Tale connotazione delle radiazioni non ionizzanti e dei campi elettrici e magnetici a bassa
frequenza permane, ovviamente, se dalla protezione dei lavoratori si
passa al campo della protezione della popolazione.
D’altra parte la stessa connotazione delle radiazioni non ionizzanti aveva già
trovato riconoscimento nelle Linee guida IRPA-INIRC del 1988 [12], dove veniva
esplicitamente enunciato, con riferimento al campo di applicazione concernente
i campi elettromagnetici con frequenza tra 300 kHz e 300 GHz, il principio,
sopra riportato al punto 1.2, di evitare
le esposizioni non necessarie.
Conseguentemente il carattere di agente fisico con effetti
degenerativi a carattere stocastico, non
a soglia, ha trovato
riconoscimento nel nostro ordinamento, con il decreto interministeriale 10
settembre 1998 n. 381, nel quale, in premessa, si riporta.
Lo stesso carattere è implicitamente
attribuito ai campi elettrici e magnetici
a frequenza industriale nel nostro ordinamento, a seguito del decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 23 aprile 1992 [13] che, all’art. 4 comma
2, prevede misure più cautelative di esposizione ai campi elettrici e
magnetici, in relazione a lunghe e reiterate esposizioni, che interessino parte significativa della giornata.
In sede di applicazione alla protezione della popolazione dalle radiazioni non ionizzanti, radiofrequenze o microonde, in territorio urbano,
il principio di giustificazione può essere riformulato come segue:
gli
impianti che comportano esposizione alle radiazioni non ionizzanti debbono:
a)
essere preventivamente giustificati,
b)
essere periodicamente riconsiderati,
alla
luce dei benefici che da essi derivano e tenuto conto dei possibili effetti
degenerativi a carattere stocastico, non a soglia, attribuibili, in via
cautelativa ancorchè non conclusivamente accertati, alle loro emissioni.
Allo stesso modo il
principio può essere formulato con riferimento all’esposizione della
popolazione ai campi elettrici e magnetici a bassa frequenza e, in particolare,
a frequenza industriale.
2. Principio
di ottimizzazione
Nella radioprotezione del paziente, nelle applicazioni delle
radiazioni ionizzanti, il principio di ottimizzazione trova una precisa
articolazione: dall’utilizzazione di
apparecchiature che diano basse dosi, al programma di formazione e
aggiornamento dei responsabili di tali apparecchiature, alla programmazione di
controlli di qualità periodici sulle apparecchiature, etc. [7].
2.1
Principio ALATA
Tale
articolazione costituisce una applicazione del principio ALATA (As Low As
Technologically Achievable), per il quale le esposizioni vanno mantenute tanto
più basse quanto tecnologicamente possibile.
In base a tale principio, al momento
della installazione degli impianti emittenti, deve essere verificato se lo
stesso servizio per i quali gli impianti sono previsti, può essere realizzato
attraverso l’impiego di impianti o dispositivi che realizzano condizioni di
minore esposizione.
Come nella radioprotezione del
paziente, allo stesso modo il principio ALATA, deve essere applicato, ai fini
della minimizzazione dell’esposizione,
nella utilizzazione delle radiazioni non ionizzanti, che interessa la
popolazione, all’interno della quale, come già sottolineato, sono riconoscibili
soggetti sensibili.
2.1.1
- La utilizzazione di apparecchiature, compresi dispositivi firmware e software,
che diano bassi livelli di esposizione;
2.1.2
- la formazione e l’aggiornamento del
personale tecnico dei gestori degli impianti radiotrasmittenti;
2.1.3
- la programmazione di controlli di qualità periodici sulle apparecchiature;
2.1.4
- la verifica periodica dei livelli di esposizione generati dalle apparecchiature
nelle zone circostanti accessibili alla popolazione:
sono tutti
momenti di una attività di ottimizzazione che si conforma all’osservanza del
principio ALATA e che devono essere opportunamente verificati.
Assume particolare rilievo in questo
quadro l’applicazione del punto 2.1.1: la scelta delle apparecchiature che
comportino minori livelli di esposizione non concerne soltanto la scelta di
dispositivi di qualità o la migliore progettazione degli impianti; ma riguarda
anche l’adozione delle più avanzate tecnologie, che risultino meno impattanti
dal punto di vista sanitario e ambientale, che si caratterizzano tanto nella
individuazione dell’hardware, quanto nella implementazione di dispositivi
firmware e software.
Una applicazione di tale principio
rivela tutta la sua efficacia protezionistica nel campo delle reti di telefonia
mobile: la scelta del protocollo GSM costituisce un apparente progresso dal
punto di vista radioprotezionistico: la tecnologia digitale, che sostiene il
protocollo GSM, consente emissioni più contenute perché:
·
ciascun canale
sostiene fino ad otto collegamenti (anziché uno solo, come nella tecnologia
analogica che impiega il protocollo ETACS);
·
il dispositivo di trasmissione
discontinua (DTX) consente ai canali di operare con potenze immesse di volta in
volta determinate esclusivamente dalle necessità della trasmissione (non così
nella tecnologia analogica ETACS).
La
rilevanza di tali caratteristiche del protocollo GSM, in relazione al minore
impatto sanitario delle emissioni della telefonia GSM, è messa ben in evidenza
nel III documento tecnico, concernente la minimizzazione delle esposizioni,
della Conferenza Network italiani e ISPESL, aperta a Firenze il 12 giugno 1998
e conclusa a Napoli il 1 ottobre 1998,
sottoscritto il 22 dicembre 1998 [14].
Tuttavia
la configurazione di rete a celle calde,
condivisa tanto dal protocollo ETACS che da quello GSM, non ha consentito fin
qui di realizzare un impatto significativamente minore dal punto di vista
sanitario e ambientale.
L’introduzione della tecnologia a microcelle, per la copertura della rete
di telefonia mobile e, soprattutto, la sostituzione delle celle calde con microcelle,
tutte le volte che non sia in gioco la copertura
ma soltanto lo sviluppo del traffico,
dovrebbe comportare una sensibile riduzione dell’impatto. Dopotutto la microcella non ha impatto acustico,
diversamente dalla cella calda i cui
impianti debbono essere climatizzati, non ha impatto paesistico o paesaggistico,
poiché non è montata su tralicci, e genera campi elettromagnetici localmente
meno intensi, data la ridotta potenza immessa in antenna.
Una più sensibile riduzione dei livelli
massimi ambientali di campo elettromagnetico si otterrebbe con la sostituzione
della rete a celle calde con una rete
a microcelle. In tale ipotesi appare
conseguibile l’obiettivo di qualità indicato dal Consiglio Comunale di Venezia
di livelli di esposizione nelle zone accessibili alla popolazione, non superiori
a 0,5 V/m [15].
2.2
Principio ALARA
Un'altra
articolazione del principio di ottimizzazione è il principio ALARA (As Low As Reasonably
Achievable), per il quale l’esposizione deve essere mantenuta al livello
ragionevolmente più basso possibile.
Tale
principio è affermato, con applicazione alle radiazioni non ionizzanti, nella
Risoluzione del Parlamento europeo 5 maggio 1994, concernente la protezione
della popolazione dai campi elettromagnetici [16] e richiamato nella
Risoluzione dello stesso Parlamento 10 marzo 1999, concernente la stessa
materia [17].
C’è
nell’implicazione di ragionevolezza,
un’implicita ammissione di rischio, temperata dalla implicita valutazione del rapporto rischio-beneficio. Ancora una
volta, come nel caso del principio di giustificazione, la valutazione non può
che essere demandata ad un arbitro, che
valuti di volta in volta la corretta applicazione del principio stesso. Il
quale ultimo apparirebbe di scarsa efficacia, se non fosse accompagnato,
nell’applicazione, dal principio ALATA
e dal principio di giustificazione, tutti originati dal principio di cautela.
In
ogni caso la valutazione arbitrale
troverà validazione nei risultati:
In
una esposizione ottimizzata, i valori di esposizione reali dovranno risultare
di alcuni ordini di grandezza inferiori ai valori limite fissati dagli standard
protezionistici (ICNIRP)[7].
L’applicazione
del principio ALARA concerne la scelta ottimale del sito, dove insediare
l’impianto, che comporta una valutazione comparata del fondo elettromagnetico e
una ricerca delle disponibilità dei siti, alla quale può concorrere
efficacemente la partecipazione degli organismi di rappresentanza di base dei
cittadini.
·
dall’altra, la
popolazione civile, che può risultare esposta in condizioni residenziali o
lavorative.
Arbitro non può che essere la Pubblica Amministrazione e, in
particolare il Comune, che rappresenta sul territorio i contemperati interessi
della collettività, attraverso il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), cui
compete la valutazione dell’esposizione, che è esposizione di persone (non esposizione dell’ambiente,
che non rileva ai fini dell’osservanza dei tetti
di radiofrequenza, i quali sono tetti compatibili
con la salute umana, come recita la Legge n. 249/97 [18], ovvero tetti di campo elettrico e magnetico,
come risultano fissati dal DPCM 23 aprile 1992, citato). Una diversa
attribuzione del ruolo arbitrale a organismi esterni alla P.A. non avrebbe le
necessarie garanzie di terzietà. Così come una attribuzione a organismi diversi
della P.A. non rispetterebbe il principio di specializzazione, contenuto
nell’art. 97 secondo comma Cost.[19], in base al quale i compiti amministrativi
in materia sanitaria non possono essere attribuiti se non alla Autorità
Sanitaria: appunto il Sindaco, che si avvale del SSN (T.U. delle leggi
sanitarie [20], legge di riforma sanitaria [21]).
Nell’ambito del SSN, istituito con la citata legge di
riforma sanitaria, la competenza specialistica in ordine alla materia delle
radiazioni non ionizzanti (art. 6 lett. i) è attribuita all’Istituto Superiore
di Sanità (art. 9) e all’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza
del Lavoro (ISPESL), entrambi organi centrali del SSN (D.Lgs. n. 267/93 [22] e
D.Lgs. n. 268/93 [23]). Quest’ultimo è presente su tutto il territorio
nazionale, attraverso i dipartimenti periferici (DPR n. 441/94 [24]), e presta
consulenza agli organi periferici del SSN anche con riferimento all’impatto
degli insediamenti produttivi (DPR n. 619/80 [25]).
L’ISPESL svolge
funzione di consulenza nei confronti delle Aziende Sanitarie Locali e dei
Comuni, in base a deliberazioni comunali [26], ai fini del procedimento
autorizzativo per la installazione e l’esercizio di impianti che generano
radiofrequenze e microonde. Nell’ambito di tale procedimento, ove i Comuni
abbiano assunto, con deliberazione di Giunta, atto di indirizzo nei confronti
degli uffici, nella valutazione istruttoria la ottemperanza del principio di
minimizzazione, stabilito dalla vigente normativa, sarà verificata attraverso
il rispetto contemporaneo del principio di giustificazione e del principio di
ottimizzazione, secondo la estrinsecazione di tali principi sopra delineata.
ISPESL
[1] D.M. 10 settembre 1998 n. 381, Regolamento recante i tetti di radiofrequenza compatibili con la salute
umana in attuazione dell’art.1 comma 6, lettera a), numero 15, della Legge 31
luglio 1997 n. 249, art. 4 comma 1.
[2] Trattato di istituzione della Comunità economica europea,
Roma, 17 ottobre 1957, n. 1203, Titolo XVI, art. 130 R
[3] Documento congiunto dell’Istituto Superiore per la
Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro
(ISPESL) e dell’Istituto Superiore di Sanità sulla problematica della
protezione dei lavoratori e della popolazione dalle esposizioni a campi
elettrici e magnetici e a campi elettromagnetici a frequenza compresa tra 0 Hz
e 300 GHz, 29 gennaio 1998, Allegato a Fogli di informazione ISPESL, IV, 1997,
paragrafo 4.2
[4] Proposta dell’ISPESL a seguito del Documento congiunto
dell’Istituto Superiore per la Prevenzione
e la Sicurezza del Lavoro (ISPESL) e dell’Istituto Superiore di Sanità
sulla problematica della protezione dei lavoratori e della popolazione dalle
esposizioni a campi elettrici e magnetici e a campi elettromagnetici a
frequenza compresa tra 0 Hz e 300 GHz, 3 marzo 1998, Allegato a Fogli di
informazione ISPESL, IV, 1997, paragrafo 2.
[5] Mozione 1-00360 della Commissione VIII della Camera dei
Deputati della XIII legislatura approvata in Aula il 13 luglio 1999, Atti
parlamentari – Camera dei Deputati 14 luglio 1999
[6] D.Lgs. n. 230/1995
[7] Iole Pinto (ASL
Siena), Valutazione del rischio di
esposizione a N.I.R., Atti della Conferenza promossa dal CODACONS, Il principio ALARA, Firenze 8 dicembre
1999, I Mostra della Regione Toscana “I
colori della Salute”, Firenze, Fortezza da Basso, 4-8 dicembre, in pubblicazione.
[8] DPR n. 185/1964
[9] D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, art. 3 e 17
[10] D.D.L. quadro –
Camera dei Deputati n. 4816 - Protezione dai campi elettrici e magnetici e dai
campi elettromagnetici di frequenza compresa tra 0 Hz e 300 GHz.
[11] Bozza di schema del
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri relativo ai limiti di
esposizione, ai valori di attenzione e agli obiettivi di qualità per la tutela
della salute dei lavoratori professionalmente esposti nei confronti dei campi
elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz, Ministero
Ambiente, 13 luglio 1999.
[12] IRPA –INIRC, Guide lines, 1998, Exposures
to electromagnetic fields, 300 kHz – 300 GHz, General public, Health Physics, 1, 1989.
[13] DPCM 23 aprile 1992, art. 4, comma 2.
[14] III Gruppo di
lavoro della Conferenza Network italiani – ISPESL, Firenze 12 giugno – Napoli 1 ottobre 1998, coordinatore scientifico Livio Giuliani,
Documento tecnico Criteri di
minimizzazione attraverso protezioni, tempo di esposizione, criteri di
progettazione, protocollo ISPESL 22 dicembre 1998.
[15] Consiglio
Comunale di Venezia, Mozione 21
novembre 1999, Venezia, Atti del Consilio Comunale, 1999.
[16] Parlamento della
Unione Europea, Risoluzione 5 maggio 1994.
[17] Parlamento
della Unione Europea, Risoluzione 10
marzo 1999.
[18] Legge 31 luglio 1997
n. 249, art. 1, comma 6, lettera a), numero 15.
[19] Costituzione della Repubblica Italiana, G.U. 27 dicembre
1947 n. 298, art. 97 comma 2
[20] Testo Unico delle leggi sanitarie, R.D. n. 1265/1934
[21] Legge 23 dicembre 1978 n. 833,
[22] D.Lgs. 30 giugno 1993 n. 267, art. 1
.
[23] D.Lgs. 30 giugno 1993 n. 268, art. 1
[24] DPR 14 aprile 1994 n. 441, art. 8
[25] DPR 31 luglio 1980 n. 619, art. 3, comma 2, numero 6).
[26] Giunta
Comunale di Venezia, Deliberazione
21 ottobre 1999