Sentenza della Corte Costituzionale n. 382 del 30 settembre 1999
Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
prima serie speciale n. 41 del 13-10-1999 pag 27.

Breve commento


La Corte Costituzionale afferma la legittimità della
Legge del Veneto sui campi elettromagnetici


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Dott. Renato GRANATA Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI Giudice
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto,
riapprovata il 29 luglio 1997, concernente "Prevenzione dei danni derivanti dai
campi elettromagnetici generati da elettrodotti. Regime transitorio", promosso con
ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 12 agosto 1997,
depositato il 21 successivo ed iscritto al n. 53 del registro ricorsi 1997.

Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;

udito nell’udienza pubblica del 27 aprile 1999 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi l’avvocato dello Stato Gian Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio
dei ministri e l’avvocato Giorgio Berti per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, il Presidente del Consiglio
dei ministri ha impugnato la legge della Regione Veneto, riapprovata dal Consiglio
regionale nella seduta del 29 luglio 1997, concernente "Prevenzione dei danni
derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti. Regime
transitorio".

Secondo il ricorrente, tale legge, nel dettare disposizioni in tema di distanze
tra le costruzioni residenziali, scolastiche e sanitarie e le linee elettriche
aeree esterne con tensione uguale o superiore a Kv 132, invade ambiti che, come
confermato dall'art. 4 della legge n. 833 del 1978 e dall'art. 2, comma 14, della
legge n. 349 del 1986, rientrano nella competenza dello Stato; competenza già
esercitata, peraltro, con l'emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio
dei ministri 23 aprile 1992 e 28 settembre 1995.

Si rileva, inoltre, che i valori fissati sono notevolmente diversi da quelli
indicati dal primo di tali decreti; il che comporta che le maggiori spese
sostenute dal gestore della rete elettrica, per ottemperare alle previsioni della
legge medesima, ricadono su tutti gli utenti del territorio nazionale, a fronte di
un presunto e non dimostrato beneficio degli abitanti della sola Regione Veneto.

Vi sarebbe, pertanto, non soltanto violazione della competenza legislativa dello
Stato, ma anche lesione dell'interesse nazionale e di quello di altre Regioni
(art. 117 della Costituzione).

2. Si è costituita in giudizio la Regione Veneto, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato infondato.

Ad avviso della resistente la competenza regionale in materia sarebbe desumibile
proprio dalle disposizioni richiamate dalla difesa governativa, a sostegno della
pretesa violazione dell'art. 117 della Costituzione. Prova di ciò sarebbe il fatto
che il Governo non ha formulato rilievi sulle precedenti leggi della stessa
Regione che, a partire dal 1993 (v. leggi 30 giugno 1993, n. 27 e 1° settembre
1993, n. 43), hanno già indicato le distanze dei fabbricati dagli elettrodotti, né
su quelle successivamente intervenute per modificare i termini iniziali di entrata
in vigore delle relative prescrizioni (v. leggi n. 7 del 1994, n. 6 del 1995, n. 6
del 1996 e n. 6 del 1997).

In realtà le stesse disposizioni legislative invocate dal Governo avrebbero come
presupposto la competenza regionale in materia di disciplina territoriale e di
tutela sanitaria, posto che l'art. 11 della legge n. 833 del 1978 ribadisce
appieno tale competenza, "limitandosi a definire gli ambiti dei principi da
fissarsi con leggi dello Stato", e che l'art. 2, comma 14, della legge n. 349 del
1986 dispone soltanto che i Ministri dell'ambiente e della sanità provvedano a
fissare i limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e dell'esposizione
alle fonti inquinanti, confermando anche sotto questo profilo la competenza della
Regione.

Ciò posto, la previsione di una disciplina più garantistica non sarebbe
sufficiente a configurare una invasione della competenza statale, tanto più che la
delibera legislativa impugnata contiene soltanto misure cautelative in vista
dell'applicazione piena, a partire dal 1° gennaio 2000, del nuovo regime previsto
dalla legge regionale n. 27 del 1993.

Sarebbe, poi, chiaro che la legge denunciata si riferisce alla formazione di
strumenti urbanistici generali ed alle loro varianti dal 1° gennaio 1998, con un
evidente richiamo alla competenza regionale in detta materia ed ai relativi
limiti. D’altro canto il paventato incremento di oneri finanziari per l'ente
gestore della rete elettrica, con i connessi riflessi nei confronti di tutti gli
utenti nel territorio nazionale, risulterebbe un'ipotesi tutt'altro che
dimostrata.

3. Con una memoria depositata nell’imminenza dell’udienza l’Avvocatura generale
dello Stato ha insistito per la dichiarazione di illegittimità costituzionale
della normativa impugnata.

Si osserva che i valori di campo elettrico e magnetico previsti dalla legge
regionale sono notevolmente inferiori (e cioè di 10 volte per il campo elettrico e
di 500 volte per il campo magnetico) a quelli fissati dalla normativa statale in
piena aderenza alle raccomandazioni provenienti dalle più autorevoli
organizzazioni scientifiche a livello mondiale (IRPA/INIRC, OMS, ICNIRP ed altre),
nonché dall’Istituto Superiore di Sanità. In tal modo le indicazioni normative
della Regione Veneto avrebbero, da un lato, superato i limiti costituzionali della
potestà legislativa regionale e, dall’altro, alterato il principio di uniformità
ed omogeneità dei criteri di tutela voluto dalla vigente legislazione statale,
ledendo, altresì, l’interesse nazionale e quello delle altre Regioni, a causa dei
connessi effetti economici disaggreganti sulla generale gestione unitaria della
rete elettrica.

Nel ricostruire puntualmente l’attuale assetto normativo in materia di tutela
della salute con riferimento all’esposizione a campi elettrici e magnetici, e
segnatamente alle prescrizioni fissate per gli impianti di trasmissione e
distribuzione di energia elettrica, come pure con riguardo a settori finitimi,
quali quelli della telefonia cellulare (decreto-legge 1° maggio 1997, n. 115,
convertito, con modificazioni, nella legge 1° luglio 1997, n. 189) e
dell’inquinamento acustico (legge 26 ottobre 1995, n. 447), la memoria rileva che,
in tema di tutela dall’inquinamento da qualunque fonte prodotto, è riservata allo
Stato una competenza esclusiva, volta ad assicurare condizioni e garanzie di
salute uniformi per tutto il territorio nazionale; competenza nella specie
esercitata sulla base di criteri estremamente prudenziali ed oggettivamente
cautelativi.

Osservato, poi, che tali esigenze di uniformità sono ribadite dalle più recenti
iniziative legislative volte a fronteggiare le esigenze di protezione dalle
esposizioni a campi elettrici e magnetici, si rammenta, altresì, che la
giurisprudenza costituzionale, in più occasioni (sentenze n. 306 del 1988 e n. 517
del 1991), ha riconosciuto la riserva allo Stato stesso del potere di fissare
limiti massimi uniformi di esposizione ad inquinamenti chimici, fisici o
biologici, all’evidente fine di assicurare un quadro di riferimento omogeneo su
tutto il territorio nazionale. Uniformità necessaria, secondo detta
giurisprudenza, anche allo scopo di evitare che si crei disparità di trattamento
fra impresa e impresa (sentenza n. 101 del 1989). Tali orientamenti non sarebbero,
d'altro canto, contraddetti da quelle sentenze (nn. 53 del 1991 e 101 del 1989)
che, nelle ipotesi in cui la normativa statale abbia stabilito solo il quadro
delle linee guida e dei valori minimi e massimi, riconoscono una potestà di
specificazione a livello regionale.

L'Avvocatura erariale, nel rilevare che in questa sede non può essere opposta la
correlazione tra la legge in esame e la previgente normativa regionale, tra cui in
particolare la legge n. 27 del 1993, osserva che quest’ultima ha dettato norme di
carattere urbanistico, subordinando, quanto agli elettrodotti, il parere
favorevole della Regione, previsto dall’art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977,
all’esistenza di distanze maggiori di quelle previste dal d.P.C.m. 23 aprile 1992.

Invece, la legge impugnata ¾ nel riproporre disposizioni analoghe a quelle
contenute nell’art. 69 della legge regionale 30 gennaio 1997, n. 6, che, dopo aver
formato oggetto di rilievi governativi, furono espunte dal testo legislativo ¾
non è (più) da inquadrare, come la precedente legge n. 27 del 1993, nella materia
urbanistica, bensì nella materia sanitaria, con riguardo ad ambiti (la tutela
della salute nei confronti dell’esposizione ai campi elettrici e magnetici) di
competenza esclusiva dello Stato.

Nel sostenere che sono da reputare eccedenti la competenza legislativa regionale,
anzitutto, le disposizioni dei commi 2, 3 e 4 dell'art. 1 della legge denunciata,
le quali prevedono che sia l'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione
ambientale del Veneto (ARPAV) il soggetto cui spetta individuare le distanze da
mantenere fra le costruzioni esistenti e le nuove linee elettriche aeree esterne,
la memoria osserva che la Regione non avrebbe alcuna competenza in proposito,
essendo i limiti e le distanze da rispettare quelli fissati nel d.P.C.m. 23 aprile
1992; risulterebbe, al tempo stesso, illegittimo anche il comma 1, il quale, "pur
sembrando rientrare nella materia urbanistica", andrebbe, per le sue finalità e il
suo contenuto, ricompreso anch'esso nella materia sanitaria.

Né, ad avviso dell’Avvocatura erariale, la Regione Veneto potrebbe giustificare la
nuova disciplina con l’esigenza di una normativa "più garantistica" di quella
statale vigente, attesa la necessità di unitarietà ed uniformità, quanto a misure
di protezione che hanno riflessi non solo sul piano dell'aumento dei costi
economici, ma anche su quello del rispetto dell’ambiente e del paesaggio e,
quindi, su ambiti che "lo Stato deve considerare nelle proprie esclusive ed
inderogabili attribuzioni di garante di tutti gli interessi coinvolti"; interessi
che riguardano tutti i cittadini.

4. Anche la Regione ha depositato una memoria difensiva, diffondendosi, con
ulteriori argomentazioni, sulla inammissibilità e infondatezza del ricorso.

Secondo la Regione resistente, le disposizioni censurate si limiterebbero ad
incidere cautelativamente sulla formazione degli strumenti urbanistici generali,
imponendo, con riguardo a future costruzioni residenziali, scolastiche e
sanitarie, misure connesse solo indirettamente alla materia della tutela
sanitaria.

Il Governo, dal canto suo, ignorando le leggi regionali già regolarmente
promulgate senza rilievi, avrebbe in realtà colto l’occasione delle misure di
salvaguardia, emanate in attesa dell'entrata in vigore della disciplina prevista
dalle citate leggi, per censurarle tardivamente. E ciò si risolverebbe in una
ragione di infondatezza e, prima ancora, di inammissibilità del ricorso.

Nell’osservare, poi, che l'attribuzione alle Regioni di tutti i compiti di
salvaguardia in materia di utilizzazione del territorio deve farsi risalire agli
artt. 79 e segg. del d.P.R. n. 616 del 1977 e, successivamente, in termini ancora
più ampi agli artt. 51 e segg. del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, si
rileva, inoltre, che anche nel disegno di legge di iniziativa governativa, in
corso di esame alla Camera dei deputati (A.C. n. 4816, nel testo unificato del 18
marzo 1999), verrebbe riconosciuta la competenza delle Regioni in materia di
tutela dell’ambiente e del paesaggio, oltre che della salute. Si sostiene, infine,
che la legge regionale impugnata non imporrebbe alcun onere diretto all’ente
gestore della rete elettrica, limitandosi ad adottare misure cautelative
circoscritte al territorio regionale, senza esorbitare dall’ambito delle
competenze proprie della resistente.

5. Con atto notificato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed alla
Regione Veneto in data 20 febbraio 1998, e successivamente depositato il 10 marzo
1998, sono intervenuti in giudizio il Codacons (Coordinamento delle Associazioni
per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) ed il
Gruppo Verdi della Regione Veneto, i quali hanno, altresì, depositato una memoria
difensiva.

Considerato in diritto

1. Con il ricorso in epigrafe il Presidente del Consiglio dei ministri ha
sollevato questione di legittimità costituzionale, in via principale, in ordine ad
alcune disposizioni della legge della Regione Veneto, riapprovata ¾ a seguito di
rinvio del Governo ¾ dal Consiglio regionale nella seduta del 29 luglio 1997,
avente ad oggetto "Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici
generati da elettrodotti. Regime transitorio".

Il provvedimento legislativo in questione, composto da due soli articoli, il
secondo dei quali avente ad oggetto la dichiarazione d'urgenza del medesimo,
introduce (art. 1) una disciplina transitoria in tema di distanze di rispetto
dagli elettrodotti, all’uopo richiamando i criteri già fissati dalla precedente
legge regionale 30 giugno 1993, n. 27; criteri la cui applicazione è stata via via
differita nel tempo da varie disposizioni, l’ultima delle quali (art. 69, comma 1,
della legge regionale 30 gennaio 1997, n. 6) ne ha fissato la decorrenza al 1°
gennaio 2000.

Il comma 1 del predetto art. 1 stabilisce ¾ per fini di salvaguardia, fino a
quest’ultima data ¾ che, "negli strumenti urbanistici generali e nelle loro
varianti adottati dopo il 1° gennaio 1998", debbono essere previste "distanze, tra
le linee elettriche aeree esterne con tensione superiore o uguale a 132 Kv e le
aree destinate a nuove costruzioni residenziali, scolastiche e sanitarie, tali che
il campo elettrico e l’induzione magnetica non superino i valori previsti
nell’art. 4 della legge regionale 30 giugno 1993, n. 27". Analogo criterio viene
stabilito, sempre a partire dal 1° gennaio 1998, dal comma 2 del medesimo art. 1,
per le distanze delle nuove linee elettriche aeree esterne rispetto alle
costruzioni esistenti.

Lo stesso articolo, nel prevedere al comma 3 che, per le finalità di cui sopra,
"l'ente gestore della rete elettrica è tenuto a fornire le caratteristiche
tecniche della linea agli organi competenti al rilascio dell'autorizzazione alla
costruzione e all'esercizio della stessa e all'effettuazione dei controlli",
dispone, altresì, al comma 4, che "la determinazione delle distanze di cui ai
commi 1 e 2 e i controlli relativi vengono effettuati dall'Agenzia regionale per
la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (ARPAV)".

2. Secondo le censure prospettate nel ricorso, la richiamata normativa
invaderebbe la competenza legislativa spettante allo Stato, in materia di
fissazione di limiti massimi uniformi di accettabilità delle concentrazioni e
dell'esposizione alle fonti inquinanti, quale si evince dall’art. 4 della legge 23
dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) e dall'art.
2, comma 14, della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero
dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale) e quale è già stata
esercitata con il d.P.C.m. 23 aprile 1992, avente ad oggetto i "Limiti massimi di
esposizione ai campi elettrico e magnetico generati alla frequenza industriale
nominale (50 Hz) negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno", e con il
d.P.C.m. 28 settembre 1995, recante le norme tecniche procedurali di attuazione
del precedente decreto relativamente agli elettrodotti.

Inoltre, la legge della Regione Veneto, prevedendo valori di campo elettrico e
magnetico di gran lunga inferiori a quelli del menzionato d.P.C.m. 23 aprile 1992,
comporterebbe un incremento di spese per l’ente gestore, che graverebbe su tutti
gli utenti del territorio nazionale, a fronte di un presunto beneficio limitato
agli abitanti della Regione Veneto.

Vi sarebbe, perciò, non soltanto "una violazione della competenza legislativa
dello Stato ma anche una lesione dell’interesse nazionale e di quello di altre
Regioni (art. 117 della Costituzione)".

3. Nella memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, il ricorrente sostiene,
infine, che del pari esorbitanti dalle competenze legislative della Regione
sarebbero le disposizioni che affidano all'Agenzia regionale per la prevenzione e
protezione ambientale del Veneto l'individuazione delle "distanze da mantenere fra
le costruzioni esistenti e le nuove linee elettriche": precisamente i commi 2, 3 e
4 del predetto art. 1 della legge censurata.

4. Pregiudizialmente va dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio del
Codacons (Coordinamento delle Associazioni per la difesa dell’ambiente e dei
diritti degli utenti e dei consumatori) e del Gruppo Verdi della Regione Veneto,
considerato che, nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, non
è ammessa, per costante giurisprudenza, la presenza di soggetti diversi dalla
parte ricorrente e dal titolare della potestà legislativa il cui esercizio è
oggetto di contestazione (in tal senso, v., ex plurimis, sentenza n. 35 del
1995).

5. Sempre in via pregiudiziale è da esaminare, poi, l'eccezione di
inammissibilità, sollevata dalla Regione, secondo cui il Governo avrebbe colto
l’occasione dell’approvazione del denunciato provvedimento legislativo, per una
tardiva censura di precedenti leggi regionali, regolarmente promulgate in materia
senza dar luogo a rilievi, ricorrendo, a tal fine, all'impugnazione delle
"disposizioni applicative delle medesime".

L’eccezione non può essere accolta, in quanto, come si desume dalla giurisprudenza
costituzionale, ogni provvedimento legislativo ha esistenza a sé e può formare
oggetto di autonomo esame ai fini dell'accertamento della sua legittimità. A
tanto, infatti, non osta la mancata impugnazione di un precedente atto
legislativo, sia pure avente contenuto eguale od analogo, non essendo
configurabile, nel giudizio di legittimità costituzionale, una situazione di
acquiescenza conseguente a tale omissione (sentenze nn. 224 del 1994 e 49 del
1987). Nel caso di specie occorre, peraltro, considerare che l'atto legislativo
impugnato, pur richiamando, quanto ai limiti della esposizione ai campi elettrico
e magnetico, i valori fissati a regime dalla legge regionale n. 27 del 1993, non
si limita a riprodurre la precedente disciplina, ma ne modifica i termini
temporali di efficacia, sicché non può in alcun modo dubitarsi che si tratti di
legge nuova, dotata di contenuti ed effetti autonomi.

6. Passando, indi, all'esame delle singole doglianze prospettate avverso la
legge in epigrafe, non può essere presa in considerazione la censura concernente
le competenze affidate dalla legge regionale, con i commi 2, 3 e 4 dell'art. 1
(recte: commi 3 e 4), all'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione
ambientale del Veneto (ARPAV), trattandosi di doglianza dedotta solo in sede di
memoria difensiva.

7. In ordine alle altre censure occorre precisare che esse, benché genericamente
proposte avverso l'art. 1 della legge, investono più esattamente i commi 1 e 2 del
medesimo, sotto profili che, secondo quanto è dato desumere dal ricorso,
attengono, da un canto, all'invasione delle competenze statali in tema di
determinazione di valori di campo elettrico e magnetico e, dall’altro, alla
lesione dell'interesse nazionale ed a quello di altre Regioni.

8. Le stesse sono, l'una, infondata e, l'altra, inammissibile.

Muovendo da quest’ultima, va osservato che la generica denuncia di lesione
dell'interesse nazionale e di quello di altre Regioni, in relazione al prospettato
maggior aggravio economico per gli utenti di tutto il territorio nazionale, si
risolve in una doglianza di merito, inidonea come tale a dare ingresso al
sindacato di costituzionalità.

Come più volte affermato da questa Corte le censure di merito si distinguono da
quelle di legittimità essenzialmente per l'inesistenza di un parametro legale di
giudizio. Alla stregua di un siffatto criterio, occorre rilevare che manca nel
ricorso qualsiasi riferimento a dati normativi dai quali possa evincersi che gli
interessi, di cui si denuncia la lesione, si siano tradotti in positiva
determinazione della legge statale, sicché la doglianza, come sopra prospettata, è
da dichiarare inammissibile.

9. Quanto, poi, alla lamentata invasione delle competenze legislative dello
Stato, giova rilevare che le disposizioni censurate contengono prescrizioni
cautelative volte ad incidere, in primo luogo, sugli strumenti urbanistici
generali e sulle loro varianti, con riguardo alle distanze tra le aree destinate a
nuove costruzioni residenziali, scolastiche e sanitarie e le linee elettriche
aeree esterne, nonché, al tempo stesso, sulle distanze che vanno mantenute fra le
medesime linee elettriche, ove di nuova installazione, e le costruzioni esistenti.

L'espresso riferimento della legge agli strumenti urbanistici dimostra come la
Regione si mantenga, pur sempre, nell'ambito di attribuzioni sue proprie ed in
particolare nell'ambito di competenze che ¾ anche a trascurare il più recente
intervento normativo rappresentato dagli artt. 51 e seguenti del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 ¾ attengono, secondo la definizione di
urbanistica enucleabile dall'art. 80 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, alla
"disciplina del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi
e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del
suolo nonché la protezione dell'ambiente".

Come si evince dalla disposizione testé riportata, alla funzione di governo del
territorio si riallaccia anche una competenza in materia di interessi ambientali,
da reputare costituzionalmente garantita e funzionalmente collegata, secondo
quanto già a suo tempo evidenziato da questa Corte (sentenza n. 183 del 1987),
alle altre spettanti alla Regione, tra cui, oltre all'urbanistica, quale funzione
ordinatrice dell’uso e delle trasformazioni del suolo, quella dell'assistenza
sanitaria, intesa come complesso degli interventi positivi per la tutela e
promozione della salute umana.

Nell'ambito di un tale assetto ordinamentale, la Regione, come ente
rappresentativo della molteplicità degli interessi legati alla dimensione
territoriale, non può non reputarsi titolare anche del potere di verifica della
compatibilità degli interventi che, attuati dai vari soggetti, comportano effetti
sul territorio. Ed è questa indubbiamente la prospettiva nella quale appare
collocarsi la legge denunciata, che rimane nell'ambito delle competenze regionali,
anche se comporta l'imposizione di distanze superiori a quelle richieste per il
rispetto dei limiti massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico, quali
stabiliti dallo Stato nell'esercizio delle attribuzioni ad esso riservate
dall'art. 4 della legge n. 833 del 1978 e dall'art. 2, comma 14, della legge n.
349 del 1986. Ma tali attribuzioni non possono indurre a ritenere incostituzionale
la denunciata disciplina, specie a considerare che essa se, da un canto, implica
limiti più severi di quelli fissati dallo Stato, non vanifica, dall’altro, in
alcun modo gli obiettivi di protezione della salute da quest'ultimo perseguiti.

Oltretutto, ove si tratti di opere di interesse statale difformi dagli strumenti
urbanistici, è sempre possibile, in presenza di prevalenti esigenze connesse agli
interessi di cui è portatore lo Stato, il ricorso alle previste procedure di
localizzazione delle opere stesse con il concorso della Regione interessata (v.
d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383, nonché art. 17, comma 6, della legge 15 maggio
1997, n. 127, e, da ultimo, art. 55 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
112).

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara:

inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1 e
2, della legge della Regione Veneto, riapprovata dal Consiglio regionale nella
seduta del 29 luglio 1997 (Prevenzione dei danni derivanti dai campi
elettromagnetici generati da elettrodotti. Regime transitorio), sollevata dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe, sotto il
profilo della violazione dell'interesse nazionale e di altre Regioni;

non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 1,
commi 1 e 2, sollevata in riferimento all'art. 117 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 30 settembre 1999.

F.to Renato GRANATA, Presidente
Massimo VARI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in cancelleria il 7 ottobre 1999.
Il Direttore della Cancelleria
F.to DI PAOLA




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