Percezione e comunicazione del rischio da inquinamento
elettromagnetico.
Alcuni autori
ritengono che ove non sia dimostrato un rapporto causale tra esposizione
prolungata ai campi elettromagnetici di bassa intensità e aumentata insorgenza
di malattie o di casi di mortalità non sussista alcun rischio connesso a tale
esposizione. Tale posizione, affermata dall’ICNIRP (Linee guida, 1998), è stata assunta dal Consiglio della U.E. (COM(98)268
DEF. 0167) che, in difformità a quanto
indicato dal Parlamento (Risoluzione 10/3/1998 – emendamenti alla proposta
COM(98)268), ha condiviso le tesi
dell’ICNIRP. Da tale assunzione taluni fanno discendere la conclusione che il
rischio avvertito dalle popolazioni non ha radici e invocano una comunicazione
del rischio da parte dei Governi che
attenui la percezione del rischio da parte delle popolazioni. Una delle
strategie di tale comunicazione dovrebbe essere quella di sostituire alle fonti
di inquinamento industriale, nella percezione delle popolazioni, le fonti di
inquinamento domestico o indoor, nella convinzione che in relazione a tali ultime fonti di
inquinamento la percezione del rischio sia usualmente attenuata. L’autore
evidenzia la mancanza di scientificità
della pretesa che il rischio sia fondato su una relazione di causalità
e, in carenza di una determinazione numerica del pericolo connesso all’esposizione prolungata e
ripetuta, suggerisce di determinare l’insulto. L’autore mette poi in evidenza il contenuto mistificatorio di una
comunicazione indirizzata a scambiare le fonti esterne e non controllabili di
rischio, con quelle domestiche o inserite nella sfera di relazioni del soggetto
esposto.
Il presente
intervento è tratto da un lavoro scientifico in preparazione.
1. La negazione
del rischio
Il tema della percezione
del rischio da inquinamento elettromagnetico è un tema assai controverso. La
ragione della controversia risiede nel fatto che taluni negano l’esistenza del
rischio o meglio: accettato che esista un rischio correlato ai danni cosiddetti
accertati (Raccomandazione cit. Considerando, 1999), negano che esista un rischio
cancerogeno legato ai normali livelli dei campi elettromagnetici a frequenza
industriale, a radiofrequenza e a microonde a cui la popolazione è esposta (UK
NRPB, EMF and risk of cancer. Report of
an advisory group on n.i.r., NRPB DOC, 3,1992).
Costoro, riducendo il rischio dei campi
elettromagnetici ad un rischio professionale, cui sono esposti soggetti
appartenenti a limitate categorie di lavoratori e a ristretti gruppi di
specialisti militari, esposti per ragioni professionali ad alti livelli di
campo elettrico o magnetico o di densità di potenza, non si danno ragione del
livello di allarme sociale destato, soprattutto in Italia[1],
dal proliferare di impianti radiotrasmittenti o dalla presenza di linee
elettriche aeree ad alta tensione nelle periferie inserite, ormai
profondamente, nella cerchia urbana delle grandi città.
La percezione del rischio da inquinamento
elettromagnetico da parte della popolazione è dunque vista da costoro come
percezione di un rischio inesistente (almeno per la popolazione) e viene
attribuita interamente ad una cattiva comunicazione
del rischio, dovuta a una serie di soggetti, tutti caratterizzati
negativamente sul piano etico, che possono essere:
-
attivisti
delle associazioni ambientaliste, con intenzioni di agitatori,
-
giornalisti
non deontologicamente corretti, che, approfittando di un immotivato interesse
della popolazione, diffondono una non-notizia (o la notizia di un rischio
inesistente);
-
ricercatori e scienziati che sfruttano
l’argomento per fare carriera o assorbire indebitamente parte delle già scarse
risorse destinate alla ricerca;
-
e
infine i politici;
-
quelli
che per prendere voti presentano in Parlamento, nei consigli regionali,
provinciali o comunali, proposte di legge o di deliberazioni, mozioni o
risoluzioni che danno indebita risonanza ad un problema inesistente;
-
quelli
che per demagogia esercitano la loro azione di Governo fissando limiti di
esposizione troppo restrittivi che non hanno riscontro in alcuna parte
d’Europa.
Tra coloro che giudicano in tal modo la percezione e la comunicazione del rischio in Italia, si segnalano la dr.a Eva van Rongen, (NL Soc. Rad. Prot., Lettera aperta al Consiglio della UE, Dic. 1998), il dr. Paolo Vecchia (AIRP, Boll. Nov.-dic. 1998, Boll. Gen.-feb. 1999), entrambi autori di scritti la cui animosità sopravanza di gran lunga le motivazioni, il prof. Guglielmo D’Inzeo, autore con altri[2] di una lettera aperta agli italiani (pubbl. su il Salvagente, 24/6/1999) intesa a sottolineare la scientificità della posizione europea – e, per contrasto la ascientificità della posizione italiana nel management del rischio da campi elettromagnetici. A costoro pare si debbano da ultimo associare i responsabili delle ARPA, i quali in un recente documento sottoposto all’ANPA (Linee Guida ARPA-ANPA per l’applicazione del Regolamento n. 381/98, Giu. 1999) asseriscono:
lo spirito informativo del decreto è quello di “riservare misure più
cautelative perlomeno nei casi in cui si possono verificare esposizioni a campi
elettromagnetici per tempi prolungati, da parte di recettori sensibili non
esposti per ragioni professionali” e il
rischio implicito a cui si fa riferimento è rappresentato da eventuali malattie
neoplastiche, in qualche modo connesse con un’esposizione prolungata nel tempo
anche a livelli molto bassi, per cui sono stati adottati anche valori
cautelativi sensibilmente ridotti rispetto ai limiti sanitari fissati dallo
stesso decreto, che per altro erano già cautelativi rispetto alla protezione
dai soli effetti termici. Tutto ciò anche in assenza di una accertata
connessione di causa effetto tra l’esposizione a radiofrequenze e i danni da
cui ci si vuol salvaguardare… La
decisione ha quindi radici politiche, non scientifiche, non essendo provata la
dannosità in caso di esposizione a lungo termine.
Dunque i politici che hanno firmato il decreto avrebbero agito, secondo tale infelice formulazione, per fini estranei alla scienza e tutti interni alla politica.
2. Una negazione filosofica
La negazione del rischio, che è alla base della posizione sopra riportata, è però una negazione tutta filosofica, oserei dire metafisica. Come don Ferrante che negava l’esistenza della peste, perché non era né sostanza né accidente, e che morendo finì col maledir le stelle, allo stesso modo i nostri inflessibili critici della percezione italiana del rischio elettromagnetico dedicano una parte non trascurabile della loro attività a negare ogni riscontro, ogni risultanza di correlazione tra esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ed insorgenza tumorale. In un recente lavoro viene riportato il punto di vista di questi:per loro, gli studi epidemiologici che esprimono una correlazione sono o di qualità incerta - “non si possono escludere fattori confondenti”, “i criteri per la valutazione dell’esposizione sono ancora dubbi”, “bassa potenza statistica”, “non sempre è chiaramente evidenziata la popolazione a rischio” - ovvero sono di scarsa rilevanza: anche negli studi che riscontrano effettivamente una associazione tra campi elettromagnetici e tumori, i rischi relativi sono modesti (P. Comba e P. Vecchia, La comunicazione del rischio sui campi elettromagnetici, in P.C.R. Gray,R.M. Stern, M.Biocca, La comunicazione dei rischi ambientali e per la salute in Europa, OMS-URE, Kluwer Academic Publishers ed. 1998, F.Angeli ed. 1999).
Per meglio comprendere la questione, si assuma per un momento il punto di vista opposto, il punto di vista di chi annette un rapporto causale tra esposizione ai campi elettromagnetici e aumentata insorgenza di tumori.[3]
Un modello basato su una tale assunzione porta a ritenere che la probabilità di evento fatale E, P(E), per insorgenza di leucemia nei bambini, causata[4] da esposizione al campo magnetico a frequenza industriale, sia circa
(1) P(E) = 2,9/100.000 per microtesla-anno
(Documento congiunto ISPESL-ISS sulla problematica dell’esposizione dei lavoratori e della popolazione a campi elettrici e magnetici e a campi elettromagnetici con frequenza compresa tra 0 Hz e 300 GHz, in allegato a Fogli di Informazione ISPESL, IV, 1997). Secondo tale modello, e secondo una concezione della probabilità come limite della frequenza[5], in un Paese ove almeno 35.000 bambini fossero esposti per tutto un anno, ad un campo magnetico a frequenza industriale dell’intensità media di 1 mT, si avrebbe mediamente un morto per ogni anno, causato dal campo magnetico a frequenza industriale, salvo effetti cumulativi.
Ma tale modello si basa sull’assunzione di un rapporto causale tra esposizione e aumentata insorgenza e morte per leucemia infantile. Se tale rapporto causale non è provato qual è, ed anzitutto esiste?, la probabilità dell’evento sopra descritto?
La tesi di chi nega l’esistenza del rischio è che in tali circostanze la probabilità è zero, cioè non esiste.
3. Un caso di opposti dogmatismi
Ma tale concezione è scientificamente discutibile e consiste appunto nell’assegnare una sorta di esistenza metafisica alle probabilità, una esistenza la cui chiave ontologica sarebbe il rapporto di causalità. Sennonché la probabilità viene definita proprio in assenza di un rapporto di causalità tra gli eventi, esistendo il quale non ci sarebbe bisogno della probabilità, risultando questa sempre uguale a 1.
Ove non si voglia adottare una concezione oggettivistica, per così dire platonica, della probabilità, la tesi per cui il rischio connesso con l’esposizione al campo magnetico a frequenza industriale non esiste e la probabilità di morte per leucemia infantile causata dall’esposizione è zero non è scientificamente apprezzabile, fondata com’è sull’assunzione dogmatica del principio di causalità.
La probabilità di un evento, secondo la teoria soggettivistica delle probabilità (B.de Finetti, Teoria delle probabilità, 1970) è la misura del grado di fiducia che una persona coerente attribuisce al verificarsi dell’evento stesso. Per utilizzare tale concetto di probabilità, appare opportuno preliminarmente distinguere tra pericolo e rischio.
Nella accezione più diffusa nella comunità scientifica il rischio è una probabilità P di danno, indipendentemente dalla gravità del danno. Pericolo è il prodotto tra tale probabilità P e la gravità G del danno cui la probabilità P è correlata (P. Sandman, Hazard versus outrage. The case of radon. in V. Covello, D. Mc Callum, M. Pavlova, Effective risk communication. The role and responsability og government and n.g.o., Plenum Press, 1989): propriamente si parla di pericolo, quando la gravità G, in una scala compresa tra 0 e 1, assume il valore G=1.
Nel caso sopra considerato la gravità corrisponde al caso di morte per leucemia infantile e dunque G = 1 e la probabilità segnalata,
(1’) P(E) = P*G = 2,9/100.000 per microtesla-anno
costituirebbe la misura del pericolo di morte derivante dall’esposizione al campo magnetico a frequenza industriale per microtesla-anno, nell’ipotesi che la probabilità che la correlazione tra esposizione e insorgenza della malattia mortale sia pari a 1.
Ma si è detto che questo è il punto di vista, opposto, di chi annette certezza alla correlazione (cioè attribuisce valore 1 alla probabilità di correlazione) tra esposizione a campo magnetico a frequenza industriale e aumentata mortalità per leucemia infantile. Tale punto di vista, alla luce delle attuali conoscenze, appare altrettanto dogmatico di quello di coloro i quali negano del tutto tale correlazione (cioè annettono valore 0 alla probabilità di correlazione).
4. Il fondamento scientifico della quantificazione non
nulla del rischio
Sia P(R) la probabilità di correlazione R tra esposizione al campo magnetico a 50 Hz e aumentata mortalità per leucemia infantile. P(R) esprime la fiducia che una persona coerente ha per il verificarsi della correlazione R.
Il principio di coerenza della teoria delle probabilità sussiste altrettanto validamente se si sostituisce alla persona singola una persona collettiva o, più precisamente la comunità delle persone interessate all’evento[6] .
Poiché non tutta la comunità delle persone interessate ritiene che tale probabilità sia nulla, cioè che il rischio di effetti a lungo termine dovuti all’esposizione non esiste, (e fanno parte di tale comunità non solo i rappresentanti degli istituti scientifici che rappresentano i Governi[7], ma anche le persone della popolazione concretamente o potenzialmente esposte, in quanto soggetti del rischio), la probabilità P(R) è maggiore di zero ancorché sia minore di 1.[8]
In formula
(2) 0< P(R) < 1,
cioè la correlazione tra esposizione e aumentata mortalità non è certa ma neanche impossibile.[9]
Poiché l’evento E, di mortalità infantile in presenza di una esposizione al campo magnetico a frequenza industriale di 1 mT, e l’evento R, di correlazione causale tra esposizione e mortalità, in generale non appaiono indipendenti, ai fini della valutazione del rischio connesso con la esposizione al campo magnetico a frequenza industriale ha interesse considerare il pericolo costituito dall’evento congiunto E&R. In considerazione di (2), sarà
(3) 0 < P(E&R) < = P(E), P(R)[10]
Ove non si voglia considerare determinante il risultato di un singolo studio epidemiologico[11] per una valutazione del rischio si ritiene indispensabile l’esame congiunto di diversi studi epidemiologici che indaghino sulla stessa correlazione di evento e fattore di rischio. Il singolo studio è sostituito dalla metaanalisi che prende in considerazione diversi studi simultaneamente e che porta ad una valutazione del rischio metascientifica e qualitativa. La validità di siffatte metaanalisi è tutta contenuta nella loro qualità intrinseca: cioè la probabiltà della correlazione R che esse stabiliscono tra evento e fattore di rischio appare proporzionale alla qualità di ciascuno studio (e alla qualità e indipendenza degli studiosi coinvolti):
(2”) P(R) =k P(Q) [12] (k>0).
Ma qualità e indipendenza non sono caratteristiche sufficienti ad assicurare ka determinazione di una probabilità. Tale ultima determinazione di probabilità di correlazione P(R) sarebbe pertanto scientificamente apprezzabile solo se gli autori delle metaanalisi fossero soggetti al principio di coerenza della teoria delle probabilità. Ciò significherebbe che gli stessi dovrebbero essere parti in causa della scommessa connessa al rischio di esposizione[13].
Per questa ragione la domanda che spesso tali ricercatori si sentono rivolgere dal pubblico (se essi sarebbero disposti a vivere sotto un elettrodotto o domande consimili) appare ben posta (D. Wartenberg e M. Greenberg, Epidemiology, the press and the EMF controversy, Public understanding of science,1,1992).
La risposta purtroppo è inattendibile perché gli interrogati non sono soggetti al rischio, ancorché si vogliano immedesimare con i soggetti a rischio.
5. La stima del pericolo
In mancanza di ipotesi sul comportamento degli autori dello studio (malafede, precostituzione dei risultati) è ragionevole ritenere la qualità della metaanalisi un fattore indipendente dall’evento che si vuole indagare Nel caso di una metaanalisi l’evento di mortalità studiato e la qualità della metaanalisi appaiono dunque indipendenti. Conseguentemente, in base alla (3) e alla (2”) si può porre:
(4) P(E) = (P * G) *k P( Q)
e quindi
(4’) P(E) = (P * G) * P( R)
La (1”’) esprime la stima in una metaanalisi del pericolo connesso con l’evento E.
6. Il rischio come rischio di insulto[14]
Un altro approccio al tema della percezione del rischio in generale, e della percezione del rischio da esposizione ai campi elettromagnetici in particolare, è quello di far pesare l’incertezza della stima (cioè la probabilità della correlazione tra esposizione e aumento di mortalità) come attenuazione della gravità del danno, sostituendo al pericolo il rischio, alla mortalità l’insulto.
Assumendo che la gravità dell’insulto sia indipendente dal grado di verità della correlazione, per la associatività delle probabilità di eventi indipendenti, si ha
(4”) P(E) = (P * G) *P( R) = P * (G * P(R))
Poiché
(5) 0< G*P(R) < 1,
posto
(5’) G’=G*P(R),
si ha
(6) P(E) = P* G’*1.
,
P(E), in base alla (6) non esprime un pericolo, ma un rischio generico, cioè un insulto.
In altre parole invece di considerare P una probabilità di pericolo (con gravità G=1 ) compresa tra i valori 0 e 2,9/100.000, in dipendenza dal valore assunto da R, possiamo ritenere P uguale a una probabilità di insulto non mortale, ma sempre un rischio, con R’=1 e gravità G’= R.
Ciò spiega perché la percezione del rischio non sia percezione di un rischio inesistente, ancorché il danno temuto non possa essere qualificato come un danno mortale.
7. La percezione dell’insulto.
L’insulto rappresenta un danno sia materiale che morale. Come offesa arrecata indebitamente a una persona essa è qualificata come molestia ed è punita dal codice penale.
Tra i valori individuali e sociali che appaiono vulnerati dall’insulto, figurano: l’equità, la fiducia che i rischi della persona debbano avere origine naturale, la fiducia che tali rischi siano familiari e controllabili.
Alcuni autori ritengono di riconoscere in questo l’elemento di allarme che la percezione dell’insulto desta nella popolazione: sulla base di tali criteri, un rischio arbitrariamente imposto, tecnologico e non familiare, controllato da alcuni individui incuterebbe un notevole senso di offesa (W.Leiss,C.Massey,L.Walker, La comunicazione del rischio dovuto alla presenza di radon nelle abitazioni, in P.C.R. Gray,R.M. Stern, M.Biocca, La comunicazione dei rischi ambientali e per la salute in Europa, OMS-URE, Kluwer Academic Publishers ed. 1998, F.Angeli ed. 1999).
Il senso di imposizione del rischio è molto attenuato nel caso invece in cui l’individuo scelga deliberatamente di utilizzare dispositivi elettronici che lo espongono al campo elettromagnetico.
In tale caso il rischio appare familiare e controllabile, ma soprattutto non imposto. Si parla in tal caso di rischio ego-correlato (Sjoeborg, Radon risks. Attitudes, perceptions and actions, Rapporto EPA 230-04 (89) 049, 1989).
E’ un fenomeno ben noto che si è manifestato tanto nel caso del fumo, quando i fumatori hanno accettato di fumare sigarette venduti in pacchetti con la scritta “nuoce gravemente alla salute” , quanto nel caso dell’impiego dei telefonini, poiché è stato osservato che in molti casi le persone che protestano per la presenza di una stazione radiobase in prossimità della propria abitazione, sono utenti abituali del servizio di telefonia mobile.
Per questa ragione quanti, comunicatori, o scienziati interessati, si prefiggono il compito di diminuire l’allarme sociale in materia di campi elettromagnetici, cercano di indirizzare l’attenzione sugli oggetti più familiari tra quelli che possono essere individuati come origine dei campi elettromagnetici: nella convinzione che l’accettazione di determinati livelli di esposizione connessi al rischio ego-correlato debba portare all’accettazione dei medesimi livelli di esposizione del rischio etero-correlato, cioè tecnologicamente imposto.
8 .La comunicazione del rischio
Per quanto sopra la comunicazione del rischio in materia di campi elettromagnetici è questione estremamente delicata.
Prima di tutto deve essere evitata una comunicazione politica o amministrativa. In considerazione del fatto che la comunicazione effettuata dall’industria interessata non potà che essere parziale occorre bilanciare tale comunicazione con quella da parte di ONLUS evntualmente incoraggiata dal Governo, ma mai con una comunicazione governativa, che potrebbe assumere, come molta pubblicità ministeriale, solo il carattere dell’autoincensamento amministrativo.
Il Governo può invece vigilare, anche facendo ricorso all’Autorità per la pubblicità e facendo condannare come ingannevoli i messaggi, anche contenuti in articoli pseudoscientifici, che.
1) neghino l’esistenza di un rischio per la popolazione ai normali livelli di campo elettromagnetico a frequenza industriale, a radiofrequenza e a microonde cui è esposta la popolazione,
2) tendano a far scambiare un rischio etero-correlato per un rischio ego.correlato.
La comunicazione dovrebbe tendere invece a quantificare il rischio e ad evidenziare, allo stato delle conoscenze, il carattere di insulto e non di pericolo al quale è associato.
9. Bibliografia
Riferimenti citati nel testo
[1] Ma non solo in Italia. A seguito della protesta della popolazione in Assia, il servizio di telefonia mobile D1 è stato sospeso dal TAR di Gelsenkirchen, con sentenza confermata dalla Corte Costituzionale dell’Assia. Secondo quanto appreso dallo scrivente in un incontro con la delegazione tedesca al Gruppo Sanità della U.E., la normativa federale concernente le restrizioni alle esposizioni della popolazione ai campi elettromagnetici, sarebbe stata emanata, alla fine del 1996, proprio per evitare il ricorso della popolazione alla Magistratura. Negli Stati Uniti, in diverse contee sono state assunti provvedimenti restrittivi in ordine alla localizzazione delle stazioni radiobase. In California norme municipali prevedono una quota minima per la collocazione del sistema radiante di 40 piedi.
[2] 80 ricercatori coordinati dall’IcemB.
[3] Tale correlazione è stata meglio indagata in relazione
ai campi magnetici a frequenza industriale, ai quali si fa riferimento nel
seguito
[4] In assenza di certezza della relazione di causalità l’evento E può essere descritto come l’evento di morte per leucemia infantile al verificarsi di una esposizione al campo magnetico a frequenza industriale di 1 mT per un anno.
[5] La concezione così detta frequentista delle probabilità.
[6] In base alla teoria soggettivistica delle probabilità, la probabilità di un evento si può concretamente identificare con la quota di scommessa che un individuo coerente è disposto a pagare per ricevere l’importo di una unità nel caso l’evento si verifichi (G. Allasia, Probabilità, voce UTET1990). Poiché il principio di coerenza impegna sia il giocatore che il banco, il concetto di probabilità può essere rovesciato assumendo che la probabilità di un evento si può concretamente identificare con la quota di scommessa che un individuo coerente è disposto a incassare per pagare l’importo di una unità nel caso l’evento si verifichi. Da questo punto di vista la quota di scommessa rappresenta tanto la fiducia o confidenza dello scommettitore quanto il rischio del banco. Il banco, è bene sottolineare è una persona colletiva, è la comunità degli allibratori della piazza, cioè la comunità delle persone interessate, insieme agli scommettitori, all’evento. E’ tale comunità che determina la posta in gioco, ancorchè tale posta sia influenzata dalla propensione a scommettere del singolo scommettitore.
[7] I quali in questo contesto fanno la parte del banco mentre i soggetti a rischio fanno la parte degli scommettitori, in una scommessa che ha la posta rovesciata.
[8] Questo è un dato con il quale occorre fare i conti e
che non può essere semplicemente esorcizzato come parte della comunità
scientifica internazionale e molti Governi sembrano intenzionati a fare (si
considerino gli esempi sopra richiamati).
[9] Più precisamente non è né quasi impossibile né quasi certa.
[10] Per un approccio quantitativo alla determinazione di P(R), si consideri che, all’interno di
ogni studio epidemiologico o sperimentale, P(R)
è misurata dall’area delimitata dalla curva di densità di probabilità e
dall’intervallo di confidenza entro il quale la significatività statistica
della correlazione (tra esposizione e morte per leucemia infantile o per altra
causa) viene stabilita.. Il valore di confidenza C che esprime tale area è generalmente non inferiore a 0,95.
Tuttavia la probabilità P(R) appare
fortemente influenzata dalla qualità Q
dello studio stesso. Sia P(Q) la misura di tale qualità: risulterà P(Q) compresa tra 0 e 1. Appare dunque
ragionevole attenuare il valore di P(R)
in relazione alla misura di Q:
(2’) P(R) =
C*P(Q)
Ove si consideri R al di fuori del contesto di un singolo studio, non è possibile fare riferimento alla precedente definizione di R in quanto non è più definito il valore di confidenza C.
[11] Taluni, in presenza di uno studio positivo di correlazione tra esposizione ed evento mortale, che appaia di qualità indiscutibile, come quello dei Karolinska Institutet (M.Feychting e A.Ahlbom, Magnetic Fields and cancer in children residing near Sw. HV power lines, AJE, 138, 1993), ad esso contrappongono studi negativi, con i quali ritengono di provare che la correlazione suggerita dallo studio positivo è negata dallo studio negativo. Ciò si fonda su una assunzione arbitraria e affatto erronea: che la correlazione tra evento multifattoriale ed un unico fattore, determinante l’evento, debba essere una condizione di necessità e sufficienza. Mentre è evidente che va provata soltanto una condizione di sufficienza, per la quale in presenza del fattore si determina l’evento, e non una condizione di necessità, per la quale tutte le volte che si determina l’evento debba essere necessariamente presente quel fattore determinante. Pretendere che la correlazione tra fattore ed evento soddisfi la condizione di necessità sarebbe come pretendere nell’analisi della correlazione tra morte – che è un evento multifattoriale – e ferita di arma da fuoco, che non vi è un nesso causale, perché non tutti i morti sono morti per arma da fuoco!
[12] E’ ragionevole ritenere la qualità un fattore correlato, attraverso un fattore di proporzionalità, alla probabilità dell’evento (nesso causale tra esposizione e mortalità) che si vuole indagare: infatti laddove l’esito della metaanalisi conclamasse l’accertamento della correlazione, la probabilità di tale evento non potrebbe essere 1 se non fosse del pari accertata l’eccellenza della metaanalisi.
[13] Sotto tale ipotesi la teoria soggettivistica delle probabilità induce a ritenere P(Q) = 1 e dunque P(R) pari al fattore k che esprime la stima della probabilità di correlazione ricavabile dalla metaanalisi
[14] Ci sono diversi odi per tradurre in italiano il concetto espresso dall’inglese injury: ingiuria, offesa, insulto. Qui si è preferito quest’ultimo termine.