ARPAT

Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana

Dipartimento Provinciale di Firenze - Dipartimento Provinciale di Siena

 

 

Prospetto informativo su Campi Elettromagnetici

Rischi, norme e possibilità operative

Versione 3.1 – 2 febbraio 1999

 

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI E CONCLUSIONI

Nel campo delle radiazioni non ionizzanti (NIR) è presente una grave disinformazione, le cui cause sono da imputarsi in parte ad un errato approccio della pubblica amministrazione nei confronti del cittadino e in parte a "voci" discordanti anche all’interno della pubblica amministrazione. Alla crescita d’interesse del cittadino (maggiormente responsabilizzato anche dei suoi diritti all’informazione) verso gli inquinanti di tipo ambientale, la pubblica amministrazione, impreparata al compito informativo che le era richiesto, spesso ha risposto solo affermando la "non esistenza del problema", e non spiegando perché, in altre parole riportando le conclusioni e non il percorso che ha portato a quelle conclusioni. Le responsabilità in questo senso vanno anche ai "tecnici" della pubblica amministrazione, che pur conoscendo i presupposti delle valutazioni dei rischi ambientali, hanno trascurato di curare l’informazione corretta nei confronti del cittadino, a volte anche in disaccordo tra loro.

Si è venuta quindi a creare una situazione in cui l’informazione alla popolazione è stata vicariata da soggetti (a volte anche istituzionali) di varia natura, che strumentalmente spesso l’hanno piegata alle esigenze sia del negare un rischio possibile, sia dell’affermare per certo un rischio non ancora completamente dimostrato (con più precisione in realtà è stata spesso manipolata l’informazione più sulla portata del rischio, che sulla sua presenza), causando una grave disinformazione. Il risultato finale è stato lo screditamento dell’informazione istituzionale cui speriamo di ovviare con la presente nota, nella quale daremo indicazioni di carattere operativo e spiegheremo come i fisici dei dipartimenti provinciali di Firenze e Siena dell’ARPAT sono giunti alle conclusioni seguenti:

Per ogni ulteriore necessario chiarimento potrete fare riferimento alla Fisica Ambientale dei dipartimenti provinciali dell’ARPAT che metterà eventualmente a disposizione la letteratura disponibile tra cui i riferimenti bibliografici citati.

 

 

Dott. Cesare Fagotti Dott. Andrea Poggi

INTRODUZIONE

I rischi derivanti dall’esposizione ai campi elettromagnetici (EM) dipendono dalla loro frequenza. Ai fini della tutela ambientale, gli intervalli di frequenza importanti sono sostanzialmente due. 1) le frequenze molto basse (prodotte dall’uso e distribuzione dell’energia elettrica ad esempio gli elettrodotti - 50 Hz); 2) quelle comprese tra 1 MHz e 300 Ghz (ovvero tra 1 milione e 300 miliardi di Hz), che sono rilevanti nel settore radiotelecomunicazioni e telefonia cellulare e sono individuate con il termine di radiofrequenze e microonde. La disinformazione ha spesso portato confondere gli effetti ambientali e sanitari dei due campi di frequenze considerandoli equivalenti, quando in realtà esistono profonde differenze.

Nel valutare i rischi di un determinato inquinante ambientale (in questo caso le NIR), si pongono in genere due tipologie di rischio che potremmo schematizzare indicandoli come effetti a breve termine (ACUTI) ed effetti a lungo termine.

Il significato degli effetti a breve termine è evidente: l’esposizione a quel determinato inquinante pone immediatamente un problema sanitario al singolo individuo. Come protezione da questi rischi acuti si impongono dei limiti invalicabili di esposizione, determinati in funzione del meccanismo che genera il danno. Questi limiti (le cui cause sono ben note, il meccanismo di interazione tra campi EM e corpo umano sono ben identificati, gli studi eseguiti sono numerosi e non presentano ambiguità ed è possibile, definire senza incertezza dei limiti) sono stabiliti a livelli tali da evitare che ci possa essere una qualsiasi rilevanza per la salute immediata dell’individuo. In genere poi questi limiti sono differenziati a due livelli:

I rischi a lungo termine (tra cui la cancerogenesi) sono invece quelli derivanti da un’esposizione a livelli del campo elettromagnetico anche molto bassi, molto inferiori rispetto a quelli individuati per gli effetti acuti. In questo caso la situazione è molto differente tra i campi EM generati dal trasporto di energia elettrica (50 Hz), e quelli dovuti alle microonde.

Prima di addentrarci in questo tipo di effetti, è importante chiarire un po’ di terminologia, per evitare confusione. I termini interazione, effetto biologico ed effetto sanitario sono stati spesso usati anche come sinonimi generando confusione. Un campo EM, di qualunque intensità o frequenza esso sia, interagisce sempre al livello molecolare, in quanto modifica il suo equilibrio (statico, di orientamento, di distribuzione delle cariche elettriche). Ovviamente maggiore è l’intensità del campo, maggiore è l’effetto di questa perturbazione. A livello di un organismo vivente, l’interazione di una molecola con un campo EM si traduce in un effetto biologico solo quando si hanno variazioni ad un livello organizzativo superiore. Non è automatico passare da studi a livello molecolare, che mostrano un’interazione, a effetti biologici a carico di tessuti, organi o sistemi viventi (che mostrano un effetto biologico). Inoltre la presenza di un effetto biologico non si traduce automaticamente in un effetto sanitario. Perché questo avvenga occorre che l’effetto biologico superi i limiti di efficacia dei meccanismi di adattamento (che dipendono anche da fattori individuali) dell’organismo.

Le ricerche epidemiologiche possono essere utilizzate per rispondere direttamente alla questione se gli effetti biologici si trasformano in effetti sanitari. In questi studi si può ottenere come risultato di conoscere se l’esposizione a un determinato agente supposto nocivo aumenti il rischio di contrarre la malattia, e i risultati sono tanto più certi e ottenuti rapidamente, quanto più è elevato il rischio.

I LIMITI

Il limite di esposizione è spesso la prima e unica cosa cui si fa riferimento in presenza di un inquinante ambientale, tralasciando il percorso necessario per definirlo, e non evidenziando che l’introduzione di un fattore di rischio ambientale e/o sanitario è soggetto lo stesso a ulteriori "limiti", che spesso non sono evidenziati.

Infatti, prima di esporre qualcuno a un fattore potenzialmente nocivo per salute e per l’ambiente, ci si pone la domanda: "È utile introdurre quest’agente inquinante nell’ambiente, tenuto conto dei possibili rischi?" Ovvero: "Poiché per fare questa cosa, per fornire questo servizio, per dare queste possibilità individuali o collettive al cittadino avrò una ricaduta sulla salute e sull’ambiente, ne vale la pena ?" Alcuni esempi:

Qualcuno (non certo l’ARPAT) risponde per tutti a queste domande, bilanciando gli effetti negativi possibili di un nuovo fattore ambientale, imponendo comunque dei vincoli, uno dei quali è "il limite", in altre parole "Il valore massimo di una determinata grandezza che se non superato evita rischi inaccettabili".

Ma questo non è l’unico limite. Infatti quando si introduce nell’ambiente un nuovo potenziale fattore di rischio (oppure ci si accorge di un potenziale pericolo non preventivato da parte di un agente già introdotto nell’ambiente) collegato a un’attività (ad esempio la telefonia cellulare) è richiesto lo stesso la sua ottimizzazione per ridurre i rischi. Questo è "il limite di qualità" che limita l’esposizione derivante da quell’attività, riducendola al minimo possibile compatibilmente con lo scopo dell’esposizione. Quando andiamo a fare una radiografia, l’apparecchio deve essere regolato per rispettare il limite di qualità, che in questo esempio è la minima esposizione necessaria perché la radiografia venga bene.

È importante sottolineare la differenza tra i due limiti. Il limite massimo è un limite a livello individuale, invalicabile a livello di singolo individuo. Il limite di qualità è un limite a livello collettivo, il cui scopo è limitare globalmente l’esposizione. Quest’ultimo è in pratica un limite di ottimizzazione dell’attività che è comunque vincolato al rispetto del limite individuale. Ad esempio se fosse possibile dimezzare l’esposizione della popolazione in generale, portando però anche una sola persona sopra il limite massimo individuale questo non sarebbe consentito.

Spesso non è possibile dare un valore numerico definito al limite di qualità, e a volte anche a quello massimo, ma questo non significa che il principio di base (limitare le esposizioni non necessarie) non venga considerato.

Esiste infatti un principio, al quale ci si ispira da molto tempo in tutto il mondo, chiamato ALARA, da un acronimo inglese (As Low As Reasonably Achievable) che può essere tradotto come il principio di limitare le esposizioni al minimo livello ragionevolmente possibile, tenuto conto degli studi scientifici e dei fattori sociali ed economici. Questo è in parte compito dell’ARPAT.

Occorre porre l’accento su due aspetti. Il limite massimo tutela da rischi "inaccettabili" (è comunque possibile la sussistenza di un rischio, sia pure molto basso). Il limite di qualità ed il principio Alara limitano l’esposizione a valori "ragionevoli": non esiste mai, sia a livello nazionale sia internazionale una soglia di rischio "nullo", a meno di eliminare quando è possibile l’agente stesso (come ad esempio per l’asbesto). Perché? Per i costi o perché (come nel caso delle radiazioni ionizzanti) non è possibile definire una soglia di rischio assolutamente nullo. I costi non solo monetari, ma anche "sociali". Fissare un limite di qualunque tipo non è mai gratis. È possibile discutere se le risorse per la prevenzione e il risanamento dei rischi ambientali siano sufficienti o no. Decidere di aumentarle. Ma saranno lo stesso finite. Fissare un limite eccessivamente (e inutilmente) basso per un determinato agente potrebbe distogliere fondi da altri fattori di rischio, con un bilancio di salute pubblica negativo. Occorre mantenere un equilibrio per la destinazione delle risorse alle diverse attività di prevenzione ambientale, cercando di ottenere il massimo dell’efficacia a vantaggio della migliore salute di tutti e della maggiore tutela dell’ambiente.

Ad esempio in Svezia, è stato elaborato un rapporto per gli amministratori pubblici (8) che quantifica il costo delle possibili azioni verso alcuni fattori di rischio. Il rapporto si apre così:

"Questa pubblicazione è intesa come supporto per decisori quando devono prendere decisioni su rischi per la salute e campi elettromagnetici. (N.d.T. Prodotti da elettrodotti). È basata sulla consultazione congiunta tra (elenco di istituzioni statali), sulla forza dei risultati scientifici raggiunti fino adesso, così come gli aspetti tecnici e economici delle possibili misure di tutela sono considerati alla luce delle limitate risorse comunitarie. Le autorità nazionali raccomandano un principio cautelativo basato principalmente su un non irrilevante rischio di tumore. Tali principi cautelativi devono essere applicati a altri effetti sospetti sulla salute. Questa guida offre documentazione ai compiti dei decisori che devono determinare che cosa è ragionevole in ciascun caso individuale, bilanciando i possibili rischi contro considerazioni tecniche e economiche".

Nello stesso rapporto si afferma: "Se possono essere presi provvedimenti che riducono in modo generalizzato l’esposizione con costi ragionevoli e conseguenze ragionevoli in tutti gli altri aspetti, deve essere fatto uno sforzo per ridurre i campi, deviando radicalmente da quello che potrebbe essere considerato normale nell’ambiente considerato. Quando sono considerate nuove installazioni elettriche e edifici, devono essere fatti sforzi già allo stadio di progetto per pianificarle e situarle in modo tale che l’esposizione sia limitata." Tutto questo non è altro che il principio Alara.

È da sottolineare come si deve tenere in considerazione non solo gli aspetti economici e sanitari, ma anche tutti gli altri aspetti, che sono anche di tipo sociale - comportamentale. Questi effetti, spesso non considerati, possono essere anche non accettati.

Ad esempio, è evidente a tutti che imponendo ampie (inutilmente ampie) fasce di rispetto (ad esempio non edificabili) intorno a infrastrutture potenzialmente nocive per la salute (come strade, autostrade, ferrovie, aeroporti e elettrodotti), potrebbe portare a costi indiretti non solo economici ma anche sociali.

Definire un limite massimo deve tener conto di tutti gli aspetti, che potremmo riassumere sinteticamente come: deve essere possibile definire un limite, ovvero gli studi possono evidenziare un rischio inequivocabile che possa essere limitato a un livello ritenuto accettabile, tenuto conto degli aspetti sanitari, economici e sociali.

Nei rischi derivanti dai campi elettromagneti è possibile definire un limite massimo individuale per i rischi di tipo acuto, mentre per i rischi a lungo termine sono applicate restrizioni secondo principi cautelativi per i campi generati dal trasporto di energia e secondo limiti di qualità per le radiofrequenze e microonde.

RISCHI DERIVANTI DA LINEE ELETTRICHE PER IL TRASPORTO DI ENERGIA

Effetti macroscopici a breve termine o immediati.

Per i campi elettromagnetici nel caso delle basse frequenze (50 Hz) l’interazione diretta del corpo umano con il campo esterno provoca delle correnti indotte nel corpo umano i cui effetti macroscopici a breve termine sono già stati sottoposti ad osservazione e perciò relativamente conosciuti. I limiti in questo caso evitano che le correnti possano in qualche modo interagire con quelle naturalmente presenti nel corpo umano. In certi casi sono possibili fenomeni sporadici e contingenti di sensazione di scossa elettrica che possono essere avvertiti sfiorando superfici di eventuali oggetti presenti come muri, siepi etc. nelle estreme vicinanze di una linea elettrica: ciò rientra tra questi effetti osservati ed è attribuibile al fatto che, effettivamente, a causa dell'induzione elettrica, una piccola corrente attraversa il corpo e si scarica a terra attraverso quel mezzo.

Gli effetti macroscopici sono tuttavia caratterizzati dal fatto di cessare immediatamente al cessare dell'esposizione, non presentano quindi fenomenologie di accumulo con risposte a lunga scadenza e pertanto sono indipendenti dalla durata della permanenza nei pressi delle linee elettriche. In ogni caso le alterazioni di tipo acuto cui ci riferiamo diventano nocive solo per livelli di campo relativamente alti come quelli che si registrano entro pochi metri dagli elettrodotti ad alta tensione. Il campo elettrico risulta quasi completamente schermato dalle abitazioni e in ogni modo attenuato da qualunque ostacolo (come: strutture murarie o d'altra natura, recinzioni metalliche, vegetazione d'alto fusto ecc.). In definitiva, ragionevolmente non si ritiene che il campo elettrico possa produrre effetti legati alle lunghe permanenze nei pressi delle linee elettriche.

Diversamente il campo magnetico non risente in modo significativo di eventuali strutture interposte, ed il suo abbattimento avviene anche se rapidamente solo in ragione della distanza.

L'agenzia IRPA/INIRC dell'O.M.S. ha elaborato nel 1990 una proposta di normativa per la protezione dei lavoratori addetti e per la popolazione dagli effetti immediati dei campi elettromagnetici in questa regione di frequenze; tale normativa adotta tuttavia dei criteri cautelativi tenendo conto dell’incompletezza delle conoscenze sui citati effetti a lungo termine.

Tale standard di sicurezza é stato adottato in sede normativa nazionale con uno specifico DPCM in materia, di recente emissione. Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 aprile 1992 definisce infatti i "Limiti massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico generati alla frequenza industriale nominale (50 Hz) negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno".

Tali limiti valgono (Art. 4):

" 5 KV/m e 0,1 mT, rispettivamente per l'intensità di campo elettrico e di induzione magnetica, in aree o ambienti in cui si possa ragionevolmente attendere che individui della popolazione trascorrano una parte significativa della giornata;

10 KV/m e 1 mT, rispettivamente per l'intensità di campo elettrico e di induzione magnetica nel caso in cui l'esposizione sia ragionevolmente limitata a poche ore al giorno".

Nel decreto vengono anche disciplinate le "Distanze di rispetto dagli elettrodotti" per tensioni di linea (Art. 5), dai "fabbricati adibiti ad abitazione o ad altra attività che comporta tempi di permanenza prolungati". Tali "distanze da qualunque conduttore della linea" valgono:

" linee a 132 kV · 10 m

linee a 220 kV · 18 m

linee a 380 kV · 28 m "

mentre per le "linee a tensione inferiore a 132 kV restano ferme le distanze previste dal decreto interministeriale 16 gennaio 1991." Tale precedente decreto cui il DPCM dunque rinvia, per i conduttori delle "linee di classe seconda e terza" (cioè con tensione compresa rispettivamente tra 1 kV e 30 kV e superiore a 30 kV), stabilisce che "non devono avere alcun punto a distanza dei fabbricati minore di (3 + 0.010 U) m" (dove "U" è la tensione espressa in kV).

Il DPCM inoltre stabilisce che "La distanza di rispetto dalle parti in tensione di una cabina o da una sottostazione elettrica deve essere uguale a quella prevista mediante i criteri sopra esposti, per la più alta tra le tensioni presenti nella cabina o sottostazione stessa".

Il DPCM infine stabilisce che: "Nei tratti di linee esistenti dove non risultano rispettati i limiti di cui all'Art. 4 e le condizioni di cui all'Art. 5, dovranno essere individuate azioni di risanamento" (evidenziazione Nostra), nei tempi contemplati dal medesimo, non ponendo di fatto fuori legittimità le installazioni elettriche esistenti o parti di esse che pur violando le distanze considerate non producano campi tali che siano superati i livelli limite di campo elettrico e/o magnetico.

E' oltremodo da sottolineare che le distanze limite proposte dal decreto, sono in genere assai più cautelative dei rispettivi limiti di campo elettrico e magnetico, così che a distanze pari a quelle limite i campi misurati risultano di regola molto al di sotto di quelli limite.

Considerazioni epidemiologiche a lungo termine

In merito alle ipotesi di rischio d'effetti a lungo termine, da molti anni sono stati avanzati fondati sospetti di un’associazione tra leucemie infantili e esposizioni a livelli di campo magnetico notevolmente inferiori ai limiti fissati dalla vigente normativa citata.

Alcuni studi più recenti condotti in vari paesi - basati su indagini epidemiologiche - conducono a considerare probabile l'associazione tra esposizioni a campi magnetici sopra una soglia dell'ordine di 0.2 µT, e l'insorgenza di alcune rare forme neoplastiche, ma al tempo stesso ad escludere che vi siano rischi quantitativamente significativi connessi con le normali esposizioni della popolazione (rif. bibliogr.: 1,2,3,4,5).

E' tuttavia da ribadire che allo stato attuale delle ricerche e degli studi condotti in merito, come abbiamo sopra sottolineato, non vi sono risposte certe, definitive né univoche, tanto che, ad oggi, non é possibile affermare o negare l'esistenza di un rischio di insorgenza neoplastica associata ad esposizioni prolungate.

Sono, infatti, tuttora in corso, nonché se ne stanno avviando di nuovi, una serie di studi epidemiologici in vari paesi occidentali allo scopo di fornire ulteriori indicazioni in merito. Questo è dovuto in particolare alle seguenti cause/limiti degli studi eseguiti;

Nel gennaio 1998 l’Istituto superiore di Sanità (ISS) e l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza nel Lavoro (ISPESL) hanno prodotto un documento congiunto (7). In questo affermano: " (omissis) Gli studi epidemiologici suggeriscono un’associazione tra l’esposizione residenziale a campi magnetici a 50 Hz, generalmente valutata in modo indiretto, e la leucemia infantile. Il nesso di causalità, tuttavia, non è dimostrato (omissis).

Per quanto riguarda le indicazioni operative, esiste fra le istituzioni e i governi una gamma di posizioni. L’ISS, nel 1995, ha formulato conclusioni che possono essere così sintetizzate. Per le nuove opere si raccomanda di includere nelle fasi progettuali l’istanza della riduzione dell’esposizione. Per quanto riguarda l’esistente, si raccomanda di ridurre i livelli di esposizione che superino largamente quei valori che di solito si trovano nell’ambiente generale e, in particolare, di annettere carattere di priorità agli interventi relativi a scuole, asili, parchi gioco, e altri spazi dedicati all’infanzia. (omissis)"

Il documento (7) poi si addentra in un’analisi per determinare quale esposizione possa essere identificata come normale considerando la distribuzione statistica dei livelli di fondo. E’ così identificato un intervallo fino a 0.5 m T in cui è inclusa la grande maggioranza dei valori compatibili con un’esposizione media di 0.1 m T. Una seconda fascia tra 0.5 e 1.0 m T individua livelli di esposizione che sono superiori alla grande maggioranza dei livelli di fondo, e corrispondono a valori di esposizione per cui stime derivate dai dati epidemiologici suggeriscono che vi possa essere un aumento apprezzabile del rischio di contrarre alcune malattie. Infine è evidenziato un terzo intervallo, di qualche microtesla, che può essere considerato ragionevolmente lontano dalle condizioni di fondo, e dove è possibile un rischio aggiuntivo anche considerevole.

Opportunità e consigli di carattere operativo

La richiesta di intervento dell'ARPAT è debolmente motivata dalla semplice esigenza di accertare il rispetto dei requisiti minimi previsti dalla legge attualmente in vigore, in quanto motivi sia di natura tecnica che amministrative rendono alquanto improbabile che sussistano situazioni di violazione della norma. Ai sensi della normativa vigente si avrebbero obblighi d'azione (da parte dell’ente gestore) esclusivamente se fossero violate sia le distanze previste sia i livelli di campo EM. Date le caratteristiche tecniche delle linee e le distanze che in ogni caso devono essere garantite per evitare il formarsi di arco elettrico tra i conduttori e gli edifici, l'eventualità che siano superati i limiti di campo previsti dal DPCM 23/04/92 risulta molto improbabile per quanto riguarda quello elettrico e sostanzialmente impossibile per quanto riguarda il campo magnetico. Inoltre su questo aspetto i gestori di linee elettriche hanno già concluso l’individuazione (prevista dalla norma) delle situazioni che necessitano di adeguamento. È pertanto molto probabile (in teoria certo) che in questi casi sia già stato previsto un piano di risanamento. Allora:

Mentre i nuovi impianti sono ormai autorizzati secondo criteri cautelativi che tengono in considerazione la possibilità di effetti a lungo termine, i limiti fissati dalla normativa attuale non consentono di escludere questi possibili rischi. Assodato quindi il rispetto dei limiti vigenti, l’adeguamento degli elettrodotti già presenti sul territorio tramite un percorso amministrativo non è scontato.

Una modifica sostanziale delle situazioni esistenti potrebbe essere ottenuta tramite un impegno diretto da parte del Comune, a partire da quelle situazioni in cui i livelli di esposizione differiscono sostanzialmente da quelli assunti come normali e ci sia una presenza importante di popolazione infantile esposta. In questi casi l’ARPAT potrebbe, all’interno di un piano comunale di indagine a livello generale o per aree sul proprio territorio, evidenziare queste situazioni, e collaborare con il Comune alla loro risoluzione.

In quest’ottica, date anche le scarse probabilità di successo di interventi generati da singoli esposti di cittadini, nonché dalla difficoltà in situazioni urbane di intervenire (lo scopo di un risanamento è infatti quello di diminuire globalmente l’esposizione della popolazione e l’intervento in funzione di un singolo caso potrebbe portare addirittura al risultato opposto) l’ARPAT interviene in base a esposti di singoli cittadini non supportati da un’indagine a livello comunale, di norma solo per verificare il rispetto delle distanze previste dal DPCM 23/04/92.

RISCHI DERIVANTI DA MICROONDE E RADIOFREQUENZE

Effetti macroscopici a breve termine o immediati.

Per le microonde l’interazione diretta del corpo umano con il campo esterno provoca l’assorbimento dell’energia trasportata dall’onda elettromagnetica, e quindi gli effetti acuti sono di tipo termico localizzato (ustioni, innalzamento locale della temperatura in organi dove il flusso sanguigno non è sufficiente a mantenere l’equilibrio termico (come occhi e gonadi maschili)) o generalizzato (innalzamento della temperatura corporea). I limiti massimi in questo caso evitano che ci sia un qualunque innalzamento localizzato o generale della temperatura corporea di un individuo, non compensabile dai meccanismi di adattamento del corpo umano.

 

Il 3 novembre 1998 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n 257 il Decreto del Ministero dell’Ambiente 10 settembre 1998 n.381 "Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana" che contiene i limiti di esposizione in vigore dal 3 gennaio 1999 in Italia, riassunti nella seguente tabella:

FREQUENZA (MHz)

E (V/m)

H (A/m)

P (W/m2)

0.1 - 3

60

0.2

--

3 - 3000

20

0.05

1

3000 - 300000

40

0.1

4

       

permanenza prolungata

0.1 – 300000

6

0.016

0.1

Note: 1 MHz = 1.000.000 Hz.

Il decreto prevede comunque (art.4 comma 1) che i campi prodotti dalle nuove installazioni e l’adeguamento di quelli preesistenti producano i campi più bassi possibili compatibilmente con la qualità del servizio da svolgere (ovvero è possibile attuare dei limiti di qualità inferiori a quelli in tabella). In corrispondenza di edifici dove è possibile la permanenza di persone per più di 4 ore al giorno un principio di cautela impone comunque di non superare i valori dell’ultima riga della tabella per tutte le frequenze.

Considerazioni epidemiologiche a lungo termine

Lo stato attuale delle conoscenze in questo campo è ben sintetizzato dalla referenza (7) già citata. In essa si afferma:

"(omissis) gli studi epidemiologici disponibili sono da considerare di numero, qualità, consistenza o potenza statistica insufficienti per permettere conclusioni relativamente alla presenza o assenza di un’associazione causale tra l’esposizione ai tipici livelli delle radiofrequenze e microonde presenti negli ambienti di vita e di lavoro e l’insorgenza di effetti sanitari a lungo termine.

Gli studi di laboratorio non forniscono indicazioni conclusive circa eventuali effetti a lungo termine dei campi elettromagnetici a radiofrequenze e microonde. (omissis)

La situazione che si configura è diversa da quella relativa ai campi magnetici a 50 Hz, essenzialmente per i seguenti motivi: 1) gli studi epidemiologici non forniscono indicazioni conclusive di effetti sanitari a lungo termine imputabili all’esposizione a livelli non termici di radiofrequenze e microonde; 2) anche ipotizzando un nesso causale tra effetti sanitari a lungo termine e l’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenze e microonde, non è disponibile nessun elemento di valutazione circa l’impatto in termini di sanità pubblica di tale esposizione."

Il documento riconosce in ogni caso l’importanza di iniziare in questa fase ad attuare un approccio cautelativo. In questa direzione si è indirizzato il decreto emanato, che contiene valori limite inferiori rispetto a quelli proposti dall’IRPA nel 1989.

Opportunità e consigli di carattere operativo

Le installazioni nelle quali è presente una emissione di radiofrequenze e microonde significativa ai fini ambientali sono gli impianti di trasmissione radiotelevisivi e le stazioni radio base per la telefonia cellulare.

Le stazioni per la telefonia DECT ("cellulare di città") hanno una scarsa rilevanza dal punto di vista ambientale, date le basse potenze in gioco. Infatti queste installazioni hanno una potenza di emissione di 250 mW, comparabile a quella dei telefoni portatili da appartamento, e molto inferiori ad esempio a quella dei telefonini portatili (che hanno potenze da 2 a 5 W). Le antenne che sono poi installate direttamente sulla facciata degli edifici hanno una direttività tale da presentare un’emissione pressoché nulla verso l’edificio dove sono posti.

Anche le antenne paraboliche presentano in genere limitati problemi ambientali. Intanto quelle per la ricezione dei canali televisivi non emettono onde elettromagnetiche, ma le ricevono soltanto, analogamente alle usuali antenne televisive di ricezione. Quelle che invece emettono, utilizzate per ponti radio o invio di segnali a satelliti, hanno un’emissione molto direttiva (il loro fascio è ampio pochi gradi e ha una sezione di poco superiore al diametro dell’antenna) è quindi sussistono possibili problemi solo se puntate direttamente verso gli insediamenti abitativi, cosa questa altamente improbabile in quanto così facendo non potrebbero adempiere al loro scopo.

Per quanto riguarda le stazioni di telefonia cellulare, per valutarne i loro effetti sulla salute occorre tenere in considerazione le seguenti caratteristiche:

Da questi dati è possibile quindi fare una prima stima se ci si trova all’interno della zona di possibile vicinanza ai limiti massimi proposti nella normativa italiana.

Nelle situazioni di incertezza è comunque possibile richiedere al proprio Comune se nella documentazione presentata per la realizzazione del sito era presente il parere tecnico da parte dell’ARPAT. Purtroppo attualmente non tutti i comuni richiedono una concessione edilizia per l’installazione di un sito di telefonia cellulare (dipende dal regolamento edilizio). E’ quindi possibile che l’amministrazione locale non abbia ottenuto questa valutazione. Il Comune stesso potrà richiedere al gestore della postazione di telefonia cellulare una relazione tecnica che attesti il rispetto dei limiti di legge.

Per quanto riguarda i siti di trasmissione radiotelevisiva, la tipologia di questi è molto varia. È molto difficile quindi dare delle indicazioni operative di carattere generale. Vi invitiamo perciò a prendere contatto direttamente con l’ARPAT per iniziare un’indagine conoscitiva.

 

BIBLIOGRAFIA

1) M. Feychting, A. Ahlbom (1993). Magnetic fields and Cancer in Children Residing Near Swedish High-voltage Power Lines. Am.J.Epidemiol; 138: 467-481

2) J.H. Olsen, A. Nielsen, G. Schulghen (1993). Residence Near Hig Voltage Facilities and Risk of Cancer in Children. BMJ, 307: 891-895

3) P.K. Verkasalo, E Pukkala. M.Y. Hongisto, j.E. Valjus, P.J. Jarvinene, K.V. Heikkila, M.Koskenvuo (1993) Risk of Cacer In Finnish Children Living Close to Power Lines. BMJ, 307: 895-902

4) A. Ahlbom, M. Feychting (1993). Electromagnetic Fields and Chilhood Cancer. Lancet 342: 1295-1296.

5) P. Comba, M. Grandolfo, S. Lagorio, A. Polichetti, P. Vecchia. "Rischio cancerogeno associato a campi elettromagnetici a 50/60 Hz" Rapporto ISTISAN 1995

6) IRPA/INIRC (1990) Interim Guidelines on Limits of Exposure to 50/60 Hz Electric and Magnetic Field, Health Phisics 58: 113-12. Traduzione italiana in: M Grandolfo e P Vecchia (1990) Linee guida temporanee sui limiti di esposizione a campi elettrici e magnetici a 50/60 Hz raccomamandati dall'IRPA/INIRC. Rapporto ISTISAN 90/6.

7) Documento congiunto dell’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ispesl) e dell’Istituto Superiore di Sanità (iss) sulla problematica della protezione dei lavoratori e della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici e magnetici a frequenze comprese tra 0 hz e 300 ghz - 29 gennaio 1998

8) Low-frequency electrical and magnetic fields: the precautionary principle for national authorities: guidance for decision makers - 1996





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