MOTIVI DELL'IMPUGNAZIONE

 

 

1.      PREMESSA

Si ricorre alla Suprema Corte per i motivi appresso indicati ritenendo di non potersi condividere le argomentazioni svolte dal Tribunale nell’impugnato provvedimento.

Occorre precisare che per la prima volta viene richiesto l’intervento di codesta Suprema Corte sulla materia trattata ed attinente al fenomeno del c.d. inquinamento da campi elettromagnetici.

L’argomento, infatti mai prima d’ora è stato affrontato in Cassazione (altro ricorso relativo alla medesima materia viene separatamente  presentato per altro procedimento trattato dal Tribunale nei giorni precedenti alla emanazione della pronuncia che qui si impugna).

Trattasi di questione singolare che tuttavia richiede - ad avviso di chi scrive – particolare attenzione, per l’allarme che la stessa ha suscitato e suscita nella pubblica opinione per i motivi che verranno appresso indicati.

La novità della questione richiede, inoltre, la puntualizzazione di alcuni aspetti del fenomeno in parte già illustrati nelle precedenti fasi del procedimento.

Ciò premesso, si osserva che i giudici del Tribunale hanno rigettato l’appello disconoscendo la sussistenza, nella fattispecie prospettata, delle ipotesi contravvenzionali di cui agli articoli 674 e 675 C.P. non potendosi assimilare alle “cose” dalle stesse disposizioni contemplate i campi magnetici generati dall’impianto del quale si chiedeva il sequestro.

Di tutto ciò si dirà meglio in seguito.

  2.      L’”INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO” IN GENERALE

Appare opportuno individuare in primo luogo, seppure in modo sommario, quali siano i rischi conseguenti all’esposizione ai campi elettromagnetici evidenziati dalla scienza medica ed i rimedi che l’attuale legislazione consente di adottare per reprimere o comunque limitare il fenomeno.

Occorre subito precisare che, nell’individuazione dei rischi, si potrà tenere conto esclusivamente dei risultati delle ricerche effettuate (traendo da questi le necessarie conclusioni).

E’ senz’altro vero che i circa 12.000 studi condotti negli ultimi trenta anni dai ricercatori di tutto il mondo[1] non hanno portato a conclusioni univoche, ma non sembra che tale dato possa ritenersi sufficiente per escludere la effettiva sussistenza di un pericolo per la salute conseguente alla irradiazione.

Al contrario, gli studi condotti dall’Istituto Superiore di Sanità[2] hanno evidenziato le conseguenze degli effetti acuti dell’esposizione ai campi elettrici e magnetici pur richiamando l’attenzione sul limite rappresentato dall’esiguo numero di studi epidemiologici sugli effetti cronici determinati dall’esposizione a lungo termine.

Se così non fosse non potrebbe inoltre giustificarsi l’impegno dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità che nel 1997 ha varato un progetto per il coordinamento internazionale dell’attività di ricerca che prevede un impegno di spesa di circa 3,3 milioni di dollari per cinque anni[3].

Tratta questa prima conclusione, è il caso di verificare preliminarmente quali siano le origini del fenomeno individuate dagli esperti.

Va in primo luogo osservato che una parte della popolazione risulta esposta a campi elettromagnetici in conseguenza dell’attività lavorativa svolta.

Si pensi ad alcuni lavoratori dell’industria destinati a determinate operazioni con macchinari che determinano la formazione di campi elettromagnetici, ai lavoratori del settore delle comunicazioni ed agli addetti, nel settore medico, ad alcune particolari terapie (marconiterapia, radarterapia etc.)

Questa fascia di popolazione appare tuttavia maggiormente tutelata dai rischi connessi con l’esposizione prolungata per il fatto stesso che tali rischi sono in gran parte noti e, conseguentemente, possono essere adottate adeguate misure di prevenzione, mentre il lavoratore potrà essere reso edotto dei pericoli conseguenti alla attività svolta.

L’attività lavorativa è inoltre soggetta ad una speciale legislazione finalizzata alla prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali che presuppone, almeno in teoria, l’effettuazione di numerosi controlli da parte degli organi all’uopo deputati.

Al contrario, il fenomeno dell’esposizione a tali fattori di rischio da parte della popolazione non impegnata in particolari attività lavorative appare maggiormente preoccupante proprio per il fatto che tali soggetti, per la loro condizione, non sono informati delle conseguenze cui sono esposti.

Non va poi dimenticato che la popolazione civile esposta ai campi elettromagnetici si compone di individui che versano in condizioni fisiche tra loro non omogenee e vivono in ambienti diversi in differenti condizioni.

Tale fascia rilevante della popolazione subisce gli effetti di campi magnetici generati da fonti diverse che possono essere individuate in apparecchiature elettriche di uso domestico (coperte elettriche, asciugacapelli etc.), elettrodotti e impianti destinati alla radiotrasmissione.

Anche in questo caso, per le sorgenti di campi elettromagnetici rappresentate delle apparecchiature di uso domestico, un’adeguata tutela può essere fornita dalle disposizioni di carattere generale, contenenti norme aventi come obiettivo la sicurezza dei prodotti posti in commercio, nonché dall’adozione di elementari accorgimenti da parte dell’utilizzatore finalizzati al contenimento dei rischi da esposizioni prolungate.

Del tutto diversa appare, invece, la condizione in cui viene a trovarsi la popolazione esposta a campi elettromagnetici generati da elettrodotti e da impianti di radiotrasmissione (come nel caso per cui è processo).

In tali casi i soggetti esposti possono non essere a conoscenza dell’esistenza delle predette sorgenti oppure possono trovarsi in condizioni tali da non poter evitare tale esposizione (si pensi al caso di un edificio adibito ad abitazione costruito in prossimità di un elettrodotto).

Questa situazione comporta la necessità di valutare con maggiore attenzione il fenomeno.

Si è detto in precedenza che gli studi effettuati dagli esperti del settore hanno evidenziato e confermato l’esistenza di effetti biologici quale conseguenza dell’esposizione a campi elettromagnetici, sottolineandone la pericolosità.

Tali studi hanno preso separatamente in considerazione gli effetti derivanti dall’esposizione a campi magnetici a BASSA FREQUENZA, generati cioè dagli elettrodotti e quelli ad ALTA FREQUENZA, provenienti da impianti di radiotrasmissione, fissando maggiormente l’attenzione sui fenomeni biologici determinanti dalla prima delle sorgenti indicate.

Con riferimento agli elettrodotti, vanno segnalate le indicazioni fornite dall’Istituto Superiore di Sanità in un recente rapporto del settembre 1995.[4]

Già in passato l’Istituto aveva affrontato il problema concludendo per la sussistenza di dati sufficienti per ritenere che l’esposizione a campi elettromagnetici a bassa frequenza accresca il rischio di tumori, pur rilevando che la scarsezza di dati epidemiologici non consentiva l’adozione di particolari misure.[5]

Nel rapporto del 1995 gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità hanno preso in esame la letteratura scientifica disponibile formulando conclusioni che, pur confermando i risultati del Rapporto del 1989, prendono atto della più approfondita conoscenza del problema conseguente al proliferare degli studi effettuati dalla comunità scientifica internazionale.

Ancora una volta viene ribadito che l’esposizione a campi elettromagnetici a bassa frequenza può determinare effetti dannosi per la salute come, ad esempio, l’insorgenza di neoplasie. In particolare, l’esame della documentazione scientifica consultata avrebbe posto in evidenza una “associazione fra esposizione a campi a 50\60Hz e leucemia infantile”.

Le soluzioni proposte nel citato rapporto ISTISAN per il contenimento del fenomeno sono basate sui risultati delle ricerche richiamate.

Il Rapporto evidenzia il fatto che, in base agli studi effettuati, “i limiti di esposizione possono essere basati, al momento attuale, solo sugli effetti acuti dell’esposizione, perché solo di questi è adeguatamente documentata la relazione con l’intensità dei campi esterni. Tali limiti di esposizione non rivestono d’altro canto un significato preventivo riguardo alla patologia neoplastica”.

A tale proposito viene ricordato che i dati epidemiologici acquisiti non consentono di indicare valori dei limiti di esposizione più restrittivi di quelli attualmente adottati, che risultano, allo stato, adeguati alle esigenze di tutela dell’ambiente e che appare opportuno affiancare al rispetto dei limiti una azione finalizzata a contenere, in futuro e compatibilmente con le esigenze di natura tecnica, l’esposizione ai campi elettromagnetici.

Quanto alla situazione preesistente, viene sottolineata l’opportunità di procedere all’adozione di interventi finalizzati alla riduzione dei livelli di esposizione laddove gli stessi risultino superiori ai limiti mediamente riscontrabili in ambienti analoghi.[6]

Alla luce delle valutazioni scientifiche in precedenza sommariamente richiamate, appare ormai evidente ed ampiamente dimostrata la sussistenza di un rischio effettivo per la popolazione in caso di esposizione a campi elettromagnetici a bassa frequenza.

Con riferimento, invece, ai rischi conseguenti alla esposizione a campi ad alta frequenza, generati da impianti di radiotrasmissione, gli studi effettuati in campo medico appaiono meno numerosi e riguardano, nella maggior parte dei casi, gli aspetti connessi con l’esposizione nell’ambiente di lavoro.

Recentemente, tuttavia, l’attenzione di quanti si occupano del c.d. inquinamento elettromagnetico risulta accentuata anche con riferimento ai problemi derivanti dall’esposizione ai campi ad alta frequenza.

Anche in questo caso un utile punto di riferimento è rappresentato dal Rapporto ISTISAN 89\29 che ha preso in considerazione nel dettaglio il problema dei campi elettromagnetici a radiofrequenza.[7]

In tale rapporto viene evidenziato che “a livelli di potenza sufficientemente elevati, l’esposizione a campi elettromagnetici a RF può causare diversi effetti nocivi alla salute. Tali effetti includono la cataratta negli occhi, il sovraccarico del sistema di termoregolazione, lesioni termiche, quadri comportamentali alterati, convulsioni ed una minore capacità di resistenza alla fatica”.

Tenendo conto di tali circostanze, vengono dunque fissati i limiti di esposizione sulla cui determinazione influiscono diversi elementi ritenuti degni di considerazione quali, ad esempio, la diversa taglia dei soggetti esposti, le condizioni ambientali, la possibilità di interazione dei campi elettromagnetici con agenti chimici e fisici presenti nell’ambiente, la possibilità di risposta alterata all’esposizione da parte di individui che assumono particolari farmaci etc.

Tali criteri, unitamente a quelli in precedenza indicati per distinguere i rischi sanitari cui sono esposti i lavoratori rispetto alla rimanente popolazione, hanno indotto all’adozione di limiti maggiormente restrittivi per questo ultimo gruppo di individui.

Le indicazioni fornite dall’Istituto Superiore di Sanità sono state seguite in Italia da alcuni studi sugli effetti biologici delle radiofrequenze.[8]

In altra occasione, si è ancora una volta fatto cenno ai rischi sanitari connessi con l’esposizione a campi magnetici ad alta frequenza, chiarendo come l’esposizione medesima determini sicuramente un aumento della temperatura in tutto il corpo o in parte di esso e come ciò possa interessare alcuni sistemi ed organi particolarmente sensibili a tale condizione quali il sistema nervoso centrale, i testicoli, il cristallino.

Lo studio evidenzia anche la circostanza che la scarsezza di studi epidemiologici sulla materia non consente una adeguata valutazione dei rischi “conseguenti all’esposizione a campi di intensità inferiore a quella in grado di generare effetti termici”, che possono tuttavia essere adeguatamente contrastati attraverso l’adozione dei valori limite raccomandati dall’IRPA.[9]

Alla luce delle considerazioni sopra esposte appare pertanto evidente come possa ormai ritenersi ampiamente dimostrata la sussistenza di effetti biologici negativi conseguenti all’esposizione a campi elettromagnetici sia ad alta che a bassa frequenza.

E’ infatti certo che gli studi solo sommariamente richiamati in precedenza, eliminano ogni dubbio sulla gravità del problema.

Va poi osservato che al di là delle considerazioni di carattere scientifico va pure considerato il contenuto delle disposizioni di legge che regolano la materia e che evidenziano senza incertezza la preoccupazione del legislatore di limitare e contenere il rischio per la salute umana conseguente all’irradiazione che, evidentemente, è certo e reale.

Oltre all’ovvia considerazione che il superamento dei limiti imposti per legge comporta necessariamente una valutazione di pericolosità per la salute pubblica, non avendo altrimenti senso, deve rilevarsi che se nel D.P.C.M. del 1992 un riferimento esplicito alla salute delle persone poteva rinvenirsi nell’articolo 8 che prevede l’istituzione di una commissione tecnico scientifica, più chiari riferimenti agli aspetti sanitari della questione possono riscontrarsi in provvedimenti di più recente emanazione.

Ci si riferisce non solo alle numerose disposizioni regionali ma anche alla Legge 31 luglio 1997 n.249 istitutiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni  cui viene demandata la vigilanza “sui tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana”

Nel D.M. 381\98 che fissa tali limiti, inoltre, il riferimento è ancora più diretto e chiaramente si evidenzia, nell’articolo 1 che “le disposizioni del presente decreto fissano i valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici connessi al funzionamento ed all'esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell'intervallo di frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz”.

Un ulteriore conferma delle preoccupazioni del legislatore è data dalla relazione al disegno di legge presentato il 24 aprile 1998 e relativo ad una “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici” ove viene dato atto dell’attuale stato delle conoscenze scientifiche e della necessità di intervenire per assicurare una adeguata protezione dagli effetti acuti (che si riconoscono come ormai accertati) ed i possibili effetti a lungo termine.

La pericolosità del fenomeno in esame sembra infine recepita da gran parte della giurisprudenza amministrativa ed anche nel campo penale i risultati acquisiti nell’accertamento peritale effettuato con incidente probatorio in un procedimento trattato innanzi al Pretore di Rimini (v. documentazione in atti) sembrano aver sgombrato il campo da ulteriori incertezze.

Con riferimento a tale ultimo procedimento, per il quale non è stata ancora definita la fase dibattimentale, va ricordato che i periti nominati in sede di incidente probatorio hanno evidenziato la dipendenza delle patologie lamentate dai querelanti dall’esposizione ai campi elettromagnetici generati da un elettrodotto.

In particolare, le numerose patologie riscontrate  riguardano crisi di cefalea e malessere, astenia, sindrome vertiginosa, insonnia etc.

  3. SULLA SUSSISTENZA DELLE VIOLAZIONI CONTESTATE

Il Tribunale (e prima ancora il G.I.P. presso la Pretura Circondariale) hanno escluso l’applicabilità, nella fattispecie degli articoli 674 e 675 C.P. con una serie di argomentazioni dettagliatamente sviluppate che, per i motivi che verranno appresso indicati, non sembrano potersi condividere.

L’interpretazione così effettuata rappresenta peraltro un repentino mutamento dell’orientamento espresso dal G.I.P. presso la Pretura in altro provvedimento precedentemente emesso con il quale veniva concesso il sequestro di un impianto di radiotrasmissione.

Ciò posto, non può negarsi che l’applicazione di tali disposizioni appare difficoltosa – come pure ritenuto dal Tribunale - per innegabili problemi di tassatività, rappresentati dal fatto che gli articoli in questione erano stati formulati in altra epoca, per scopi diversi e non prevedevano espressamente i casi in esame.

Sembra tuttavia che tali perplessità possano comunque essere agevolmente superate.

Tenuto infatti conto dei contributi forniti dalla dottrina e soprattutto dalla giurisprudenza, deve ormai ritenersi notevolmente ampliato l’ambito di applicazione dell’articolo 674 c.p. in particolare.

Alla luce dei criteri di interpretazione così forniti, sembra possibile ricorrere all’applicazione delle disposizioni richiamate anche per perseguire fatti illeciti riguardanti le emissioni di campi elettromagnetici ad alta e bassa frequenza.

Come è noto, gli articoli 674 e 675 c.p. sono collocati tra le contravvenzioni concernenti l’incolumità pubblica in generale e, in particolare, tra le contravvenzioni concernenti l’incolumità delle persone nei luoghi di pubblico transito o nelle abitazioni.

In particolare, con la contravvenzione prevista dall’articolo 674 c.p. viene punito il gettare o versare in luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o altrui uso cose atte ad offendere, imbrattare o molestare le persone ovvero il provocare, nei casi non consentiti dalla legge, emissioni di gas, vapori o fumo atti a cagionare gli effetti predetti.

Va subito detto che la parte della disposizione che qui interessa è la prima, non potendo ovviamente rientrare la propagazione di onde elettromagnetiche tra le emissioni di vapori fumi e gas neppure ricorrendo all’ampia interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione che, recentemente, ha inserito anche gli odori molesti tra le emissioni vietate[10].

Diversamente, la prima parte della disposizione sembra applicabile al caso in esame.

L’elemento materiale del reato si concretizza infatti nel “gettare” o “versare” le cose di cui si è detto in precedenza.

Mentre l’atto del “versare” è chiaramente riferito ai liquidi ed alle sostanze ad essi assimilabili (sabbie, polveri etc.) che possono comunque essere versate, il “gettare” riguarda invece le cose solide o, in ogni caso, aventi diversa consistenza.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza il getto può avvenire in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo.

A titolo di esempio, può ricordarsi che sono stati ritenuti integrati gli estremi del reato con riferimento allo sparo in luogo abitato con un fucile ad aria compressa[11], al getto di sostanze anticrittogamiche su campì agricoli da un elicottero senza evitare o contenere il fenomeno della “deriva”[12] mentre, più recentemente, si è affermato che “il concetto di gettare o versare di cui all’articolo 674 c.p. va interpretato estensivamente fino a comprendere la diffusione, comunque, di polvere nelle aree circostanti” e ciò con riferimento al fatto determinato dagli esercenti un’attività di produzione di calcestruzzo che avevano omesso di asfaltare i piazzali di manovra dei veicoli[13].

Come si è visto, il concetto di getto è molto ampio e, soprattutto, non prevede le modalità con le quali il getto deve essere effettuato.

Non viene fornita in particolare, alcuna indicazione sui principi fisici in forza dei quali il getto deve avvenire (ad esempio, caduta per gravità, spinta meccanica, lancio manuale etc.) né sulla traiettoria che la cosa gettata deve compiere.

Si è osservato in dottrina che “il  getto ed il versamento possono essere diretti ed indiretti; possono essere attuati con qualsiasi mezzo ed in qualsiasi tempo: con spinta dall’alto in basso, dal basso in alto ovvero orizzontalmente; da un punto fisso o mobile, come da un treno, da una vettura in corsa, ecc.”[14]

Tale indeterminatezza induce a ritenere che possa rientrare nel concetto di getto anche l’emissione di onde elettromagnetiche attraverso elettrodotti, impianti di radiotrasmissione o altri impianti.

E’ infatti indubbio che la diffusione in un’area circostante di radiazioni elettromagnetiche secondo i principi fisici di propagazione che la regolano, possano qualificarsi come vero e proprio “getto”.

Il Tribunale ha inoltre espressamente escluso, riconoscendo la validità delle argomentazioni svolte dal G.I.P. che i campi elettromagnetici possano qualificarsi come “cose” secondo il disposto degli articoli in esame.

Anche tali considerazioni sembra possano essere confutate.

  L’utilizzazione del termine “cosa” da parte del legislatore sembra infatti volutamente generico e finalizzato a rendere più ampio possibile l’oggetto del versamento o del getto.

Sembra dunque che requisito principale della “cosa” contemplata dall’articolo 674 c.p. sia l’attitudine ad offendere imbrattare o molestare le persone poiché è su tale caratteristica che è orientata l’attenzione del legislatore più che sul mezzo attraverso il quale il reato viene perfezionato.

Secondo la dottrina[15] “cosa” con riferimento alla norma in esame “è termine giuridico comprendente ogni genere (solida, liquida, fluida, animata, inanimata ecc.)”.

Del resto, da un punto di vista naturalistico, l’energia elettromagnetica può senz’altro qualificarsi come “cosa” avendo una sua individualità fisica, essendo suscettibile di misurazione e di utilizzazione per gli scopi più diversi.

A tali osservazioni potrebbe obiettarsi che la legge penale, con particolare riferimento alle “energie” (tra le quali possono senz’altro comprendersi i campi elettromagnetici), ha dovuto espressamente equiparare queste ultime alle “cose mobili” contemplate dall’articolo 624 c.p. nel secondo comma dell’articolo medesimo ove viene affermato che “agli effetti della legge penale, si considera “cosa mobile” anche l’energia elettrica ed ogni altra energia che abbia valore economico”, con la conseguenza che, in assenza di analoga previsione, le energie in genere e quella generata dai campi elettromagnetici in particolare non possano essere qualificate come cose.

A tale proposito sembra potersi replicare che le “cose” contemplate dall’articolo 624 c.p. hanno attinenza esclusiva con la natura del furto (e degli altri delitti contemplati nel titolo tredicesimo del codice penale) quali reati contro il patrimonio ed il richiamo alle “energie” attiene non tanto ad una loro individuazione come entità fisica bensì come bene suscettibile di valutazione economica, caratteristica che, peraltro, non può essere a priori esclusa con riferimento all’energia elettromagnetica.

Del resto nel codice penale si rinvengono altre disposizioni che fanno genericamente riferimento al termine “cose” con il chiaro intento di rendere indeterminato tale concetto al fine di consentire una più estesa applicazione della disposizione medesima come avviene, ad esempio, negli articoli 408 e 733 c.p.

Non sembra dunque che vi sia una grande differenza ad esempio con i gas che pure l’articolo 674 contempla e che possono avere caratteristiche offensive per inalazione o contatto, possono essere più o meno volatili, inodori ma sono dotati di una propria fisica consistenza.

Una interpretazione restrittiva del concetto di “cosa” determinerebbe inoltre l’inapplicabilità della fattispecie in esame anche con riferimento a condotte, sempre possibili, di utilizzazione pericolosa di radiazioni elettromagnetiche in casi diversi da quelli riguardanti gli impianti sorgente presi ora in considerazione.

Si pensi, ad esempio, alle radiazioni ionizzanti, all’infrarosso, all’ultravioletto o, per considerare un fenomeno in costante diffusione, all’uso improprio dei c.d. puntatori laser che può provocare lesioni anche gravi della retina.

Tale fatto è stato recentemente registrato dalla cronaca nel corso di manifestazioni sportive: un importante quotidiano ha riportato in prima pagina la fotografia di un noto calciatore fatto bersaglio in campo, durante un’intervista, con le suddette apparecchiature. 

Anche la giurisprudenza di codesta Corte pur non avendo mai considerato il fenomeno in esame ha in più occasioni ampliato l’ambito di applicazione dell’articolo 674 C.P. estendendo l’operatività della seconda parte dell’articolo 674 ad esempio agli “odori” (che non sembrano rientrare non solo nel concetto di “cosa” delineato dal legislatore, ma anche tra le emissioni di gas, vapore o fumi che hanno diversa consistenza)[16].

Se dunque è possibile considerare le emissioni elettromagnetiche, agli effetti dell’articolo 674 c.p. come cose atte ad essere gettate, deve ora verificarsi se le stesse siano dotate di quella capacità offensiva che la disposizione richiede.

Considerando i risultati delle ricerche scientifiche in precedenza richiamati e l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza dei termini “offendere” “imbrattare” o “molestare” sembra possibile, anche in questo caso, a sommesso avviso di chi scrive,  una risposta affermativa.

Va subito detto che per ovvi motivi l’atto dell’imbrattare non può assolutamente essere preso in considerazione con riferimento alla materia in esame.

Si è in precedenza osservato che sono ormai accertati gli effetti dannosi per la salute conseguenti all’esposizione prolungata ai campi magnetici.

Tale affermazione trova diretto riscontro nei risultati dell’accertamento peritale disposto dalla Procura Circondariale di Rimini nell’ambito del procedimento penale cui si è fatto cenno in precedenza, a seguito dei quali è emerso che alcuni soggetti, esposti a campi magnetici generati da un elettrodotto, hanno riportato lesioni personali.

Il termine “offendere” utilizzato nell’articolo 674 c.p. è comprensivo, secondo la dottrina, di ogni danno non solo all’integrità fisica di un soggetto (categoria nella quale rientrano senz’altro le malattie derivanti da lesioni personali) ma anche al suo decoro[17], ne consegue che l’attitudine a cagionare lesioni, ormai dimostrata per i campi elettromagnetici, consente che gli stessi possano essere contemplati tra le cose atte ad offendere.

Inoltre, pur volendo considerare con estrema cautela i risultati scientifici sopra richiamati che, come si è detto, riguardano in modo prevalente gli effetti dei campi a bassa frequenza, e ritenere, a nostro sommesso avviso fuori di ogni logica, che non sia per nulla dimostrata l’attitudine dei campi elettromagnetici a cagionare lesioni personali, l’applicazione della disposizione in esame sarebbe possibile tenendo in considerazione la attitudine, comunque riscontrabile nei campi magnetici a bassa ed alta frequenza, ad arrecare molestia alle persone.

Si può infatti affermare che le inevitabili alterazioni fisiche determinate nelle persone a seguito dell’esposizione (quali, ad esempio, l’innalzamento della temperatura corporea accertato con riferimento ai campi ad alta frequenza) seppure non siano qualificabili quali “malattie” o, comunque, non determinino apprezzabili diminuzioni dell’integrità fisica o psichica di un soggetto, rientrano senz’altro nel concetto di molestia contemplato dall’articolo 674 c.p. secondo l’interpretazione datane dalla dottrina e giurisprudenza.

Invero la dottrina ritiene che possano ritenersi “molestie” tutte quelle situazioni (conseguenti, ovviamente, al getto o versamento di cose) determinanti “disagio e turbamento della tranquillità o della quiete delle persone”[18].

A conclusioni analoghe è giunta la giurisprudenza definendo come “molestia” ogni fatto “idoneo a recare disagio, fastidio o disturbo ovvero a turbare il modo di vivere quotidiano”[19].

Più recentemente, con riferimento al già citato esempio della circolazione di polveri conseguente alla omessa asfaltatura di un piazzale adibito alla manovra di mezzi presso un insediamento per la produzione di calcestruzzo[20], è stato fatto riferimento ai disturbi o molestie “a livello igienico”, mentre in precedenza erano stati compresi tra le emissioni di fumo moleste anche gli odori atti a determinare un “fastidio fisico apprezzabile” ovvero aventi un “impatto negativo, anche psichico, sull’esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione”[21]. A tale proposito venivano citate, a titolo di esempio, la necessità di tenere le finestre chiuse e la difficoltà nel ricevere ospiti.

In passato anche la giurisprudenza di merito, sempre con riferimento all’emissione di fumi, aveva precisato che il disturbo arrecato non deve necessariamente concretarsi in una molestia fisica, “essendo sufficiente la persistenza di un fenomeno che, per le sue notevoli proporzioni, per l’impossibilità di conoscerne gli effetti nel timore che esso provochi gravi conseguenze, susciti diffuso allarme sociale, turbamento, disagio, paura e pressanti richieste di intervento delle autorità”[22].

Alla luce della interpretazione sopra richiamata, sembra possa ragionevolmente ritenersi che l’emissione di campi elettromagnetici rientri nella previsione dell’articolo 674 c.p. non solo quando la potenzialità offensiva degli stessi sia così elevata da determinare danni fisici compresi nell’ampio concetto di lesione, ma anche nel caso in cui le conseguenze dell’esposizione, così come descritte negli studi scientifici sopra richiamati, siano confinate nel più ristretto campo delle molestie.

Deve poi aggiungersi che, per costante indirizzo dottrinario e giurisprudenziale, l’ipotesi contravvenzionale in esame è qualificata come reato di pericolo, cosicché per la sua configurazione è necessaria esclusivamente l’astratta attitudine delle cose gettate o versate a cagionare effetti dannosi il che, per i motivi in precedenza indicati, renderebbe possibile l’applicazione della disposizione alle emissioni di campi elettromagnetici indipendentemente dalla sussistenza di un danno effettivo, consentendo nella pratica una tutela più efficace.

Determinati comportamenti potranno dunque essere repressi, seppure mediante l’applicazione delle blande sanzioni previste dalla norma in esame, prima ancora che si verifichino danni fisici alle persone essendo sufficiente la dimostrazione dell’esistenza di una situazione di pericolo.

Resta da aggiungere che l’articolo 674 c.p. con riferimento al getto e versamento di cose di cui alla prima parte del suo contenuto, prevede una limitazione rappresentata dalla indicazione del luogo ove il getto o versamento deve avvenire.

Perché possa configurarsi il reato, infatti, il getto o il versamento devono verificarsi “in luogo di pubblico transito o in luogo privato o di altrui uso”.

Tale limitazione, tuttavia, per ciò che qui interessa non sembra costituire un ostacolo alla utilizzazione della disposizione in esame.

Per la loro stessa natura e per le modalità della loro collocazione, gli impianti che generano emissioni elettromagnetiche insistono necessariamente su luoghi di pubblico transito, quali strade o altre vie di comunicazione, e su luoghi privati ma di comune o altrui uso quali, ad esempio condomini, edifici pubblici etc.

Ciò si è verificato anche nel caso in esame.

Come si è in precedenza accennato, l’articolo 674 c.p. è dunque una disposizione che prevede, in base agli spunti interpretativi forniti dalla dottrina e della giurisprudenza, un campo di azione molto vasto.

Tale caratteristica, che sembra trovare conferma nella genericità dei termini usati dal legislatore, induce a ritenere che nella formulazione della disposizione sia stata tenuta presente la necessità di tutelare in modo diffuso l’incolumità delle persone.

Del resto l’articolo 674 c.p. continua ad essere applicato, anche con riferimento ai fenomeni di inquinamento idrico ed atmosferico, nonostante le materie siano regolate da speciali disposizioni, proprio sottolineando la diversità delle finalità e dei presupposti[23].

Tale stato di cose consente di ritenere superate le perplessità che, per ragioni di tassatività, avevano indotto ad escludere il ricorso alla disposizione in esame per la tutela dall’inquinamento elettromagnetico.

La fattispecie in esame sembra inoltre riconducibile, in via alternativa, anche all’ipotesi contravvenzionale prevista dall’articolo 675 C.P. Su tali aspetti, pure presi in considerazione innanzi al G.I.P. il Tribunale non si è pronunciato 

La disposizione differisce dall’articolo 674 c.p. in quanto si configura mediante la semplice incauta collocazione di cose che, cadendo nei luoghi indicati nella disposizione precedente, possano determinare l’offesa l’imbrattamento o la molestia di persone.

Se dunque si ritiene, per i motivi illustrati in precedenza, che i campi elettromagnetici possano rientrare nel generico concetto di “cosa” contemplata dalle norme in esame, deve tuttavia verificarsi se tale loro natura consenta che gli stessi possano essere “posti” o “sospesi” in modo pericoloso e se possano “cadere” concretando così il reato.

Va subito detto che sembra potersi escludere che il riferimento al “porre” o “sospendere” riguardi non tanto i campi elettromagnetici quanto le apparecchiature o gli impianti che li generano poiché una siffatta lettura dell’articolo 675 c.p. determinerebbe una indebita distinzione tra ciò che viene posto o sospeso in modo pericoloso e ciò che potrebbe cadere; è infatti evidente che tale distinzione non è prevista dalla norma in esame.

Tanto premesso deve osservarsi che secondo la dottrina con il termine “porre” il legislatore ha inteso riferirsi “al collocare o poggiare una cosa” mentre l’atto del “sospendere” consiste nel “tenerla assicurata ad un oggetto”[24].

Per la giurisprudenza il primo termine si riferisce al “collocare una cosa sopra o entro un’altra” mentre il secondo all’ “appendere una cosa ad un’altra senza appoggio sottostante ovvero fare in modo che un oggetto rimanga in aria”[25].

Tali definizioni appaiono compatibili anche con riferimento ai campi elettromagnetici posto che le emissioni vengono di regola generate da apparati collocati in posizione dominante rispetto ai luoghi irradiati.

Altrettanto importante appare la corretta interpretazione del termine “cadere” utilizzato dal legislatore.

Occorre cioè verificare se lo stesso riguardi esclusivamente la caduta di una cosa per effetto della forza di gravità ovvero consideri tale evento solo con riferimento al risultato finale e cioè che la cosa raggiunga con l’esaurirsi del proprio moto i luoghi indicati nell’articolo 675 c.p.

Anche in questo caso, alla luce di due decisioni della Suprema Corte, sembra possibile ritenere che il termine vada interpretato in senso ampio.

Si è infatti ritenuto configurabile il reato per il fatto di sospendere incautamente un filo conduttore alla rete filoviaria al fine di portare la corrente elettrica in baracche abusivamente installate sulla pubblica piazza, precisando che il pericolo all’integrità fisica delle persone è rappresentato dalla possibilità di venire a contatto con il filo elettrico[26].

Invero nella decisione in esame il riferimento al possibile contatto con il filo elettrico non sembra prevedere la sola ipotesi di caduta nel senso letterale del termine ma anche ogni altra possibilità di contatto conseguente alla sospensione del cavo.

Più recentemente la Corte, precisando che per la configurabilità del reato di cui all’articolo 674 c.p. é necessaria una condotta attiva, mentre l’omesso apprestamento di mezzi idonei ad impedire l’evento rende ipotizzabile il collocamento pericoloso di cose disciplinato dall’articolo 675 c.p., ha ritenuto sussistente tale ultima contravvenzione nel caso riguardante la fuoriuscita sulla sede stradale di un prodotto liquido trasportato su un trattore con cisterna, a causa della corrosione delle pareti del contenitore.[27]

Tenendo conto di tale interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione e del fatto che la norma  contiene termini generici sembra possibile far rientrare nel concetto di caduta anche l’irradiazione di campi elettromagnetici secondo le leggi fisiche che regolano tale fenomeno.

Alla luce di quanto sopra esposto si richiede dunque a codesta Suprema Corte di fornire l’esatto indirizzo interpretativo da seguire  nel caso in esame con riferimento alle disposizioni richiamate.

 

P.Q.M.

 

 

Si chiede pertanto che la Suprema Corte voglia annullare l’impugnata decisione con ogni conseguenza di legge.


[1] Il dato è fornito da S. TOFANI “Comunità scientifica internazionale e valutazione dell’impatto sulla salute delle onde elettromagnetiche” in M. QUIRINO (a cura di) “Atti del convegno “Onde Sospette. Campi elettromagnetici: tutela della salute e salvaguardia dell’ambiente”. Torino, 1998.

[2] Rapp. ISTISAN 89\20 «Linee elettriche ad alta tensione: modalità di esposizione e valutazione del rischio sanitario» a cura di M. GRANDOLFO, P. VECCHIA, P. COMBA ; Rapp. ISTISAN 95\29 «Rischio cancerogeno associato a campi magnetici a 50\60 Hz» a cura di P. COMBA, M. GRANDOLFO, S. LAGORIO, A. POLICHETTI E P. VECCHIA; Rapp. ISTISAN 89\29 «Linee guida e limiti di esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza raccomandati dall’IRPA nell’intervallo di frequenze da 100 kHz a 300 GHz» a cura di M. GRANDOLFO e L. RAGANELLA.

 

[3] S. TOFANI op. cit.

 

[4] Rapp. ISTISAN 95\29 “Rischio cancerogeno associato a campi magnetici a 50\60 Hz” a cura di P. COMBA, M. GRANDOLFO, S. LAGORIO, A. POLICHETTI E P. VECCHIA, cit. cui si rimanda per ulteriori approfondimenti.

 

[5] Rapp. ISTISAN 89\20 “Linee elettriche ad alta tensione: modalità di esposizione e valutazione del rischio sanitario” a cura di M. GRANDOLFO, P. VECCHIA, P. COMBA cit..

 

[6] Sugli effetti dannosi dei campi magnetici a bassa frequenza, vedi anche L.PARIS “Compatibilità ambientale delle linee elettriche: analisi del problema e soluzioni possibili” in Energia e Materie Prime n. 98 10\1994 pagg. 6 e ss.; P. VECCHIA “Il ruolo delle considerazioni sanitarie nelle normative relative agli elettrodotti” ibid. pp.12 e ss.; P. COMBA “Esposizione a campi magnetici a 50 Hz: recenti acquisizioni della ricerca epidemiologica” Rel. Al Convegno Nazionale Ass. Italiana protezione contro le radiazioni, Trieste 27\9\95

 

[7] Rapporto ISTISAN 89\29 “Linee guida e limiti di esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza raccomandati dall’IRPA nell’intervallo di frequenze da 100 Khz a 300 Ghz” a cura di M. GRANDOLFO e L. RAGANELLA. Tale rapporto consiste nella traduzione, non ufficiale, della versione definitiva delle linee guida proposte dall’IRPA (International Radiation Protection Association). La prima versione era stata tradotta, sempre a cura dell’Istituto Superiore di Sanità, nel Rapporto ISTISAN 87\21.

 

[8] Vedi per tutti: B. SAIA e C. ZANETTI “Un rischio emergente per la popolazione: le radiazioni non ionizzanti” in Scienza e Governo, gennaio 1995 pp. 25 e ss. Cui si rinvia anche per i richiami bibliografici.

 

[9] P.COPPI e G.SGORBATI “Troppe antenne in città” in Ambiente n. 8\1994 pp. 52 e ss.

[10] Vedi ad es. Cass. Sez. III 21\12\94, Rinaldi

[11] Cass. Sez. VI 15\12\1970, Lopez ed altre succ. conf.

[12] Pret. Alba 8\6\1967 in Giur. Piemontese 87, 783

[13] Cass.Sez.I  11\4\1995, Tinarelli

[14] Così G. SABATINI  voce “Incolumità pubblica (contravvenzioni concernenti la)” in Novissimo Dig. It.

[15] G. SABASTINI op. cit.

[16] V. ad es. Cass. Sez.I n. 477 del 19\1\1994; Sez. III n.771 del 24\1\1995 e Sez. I n. 678 del 22\1\1996

[17]  Così G. SABATINI, op. cit. Vedi anche MANZINI, X, p. 464

[18] G. SABATINI, op.cit. Vedi anche MANZINI, X, p. 465

[19] Cass. Sez. I 4\11\1986, Di Leo in Riv. Pen. 1987, pag. 437

[20] Cass. 11\4\1995 cit.

[21] Cass. Sez. I 24\1\1995, Silvestro

[22] App. Torino 12\6\1991 in Riv. Pen., 1991, pag. 1103. Si veda anche la recentissima Cass. Sez. I 22\1\1996, Viale.

[23] Si vedano ad es., tra le più recenti, Cass. Sez. I 22\9\1995, Coppa e Cass.Sez. I  31\8\1994, Turino. 

[24] G. SABATINI, op. cit.

[25] Cass. 17\1\1957, Alì in Giust. Pen. 1957, II, pag. 899

[26] Cass. Sez. I 8\2\89, Manzi in Riv. Pen. 1989, pag. 932

[27] Cass. Sez. I 21\12\1995, Casarin.





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