MOTIVI DELL'IMPUGNAZIONE
Si ricorre alla Suprema Corte per i motivi appresso
indicati ritenendo di non potersi condividere le argomentazioni svolte dal
Tribunale nell’impugnato provvedimento.
Occorre precisare che per la prima volta viene richiesto
l’intervento di codesta Suprema Corte sulla materia trattata ed attinente al
fenomeno del c.d. inquinamento da campi elettromagnetici.
L’argomento, infatti mai prima
d’ora è stato affrontato in Cassazione (altro ricorso relativo alla medesima
materia viene separatamente presentato per altro procedimento trattato dal Tribunale nei
giorni precedenti alla emanazione della pronuncia che qui si impugna).
Trattasi di questione singolare
che tuttavia richiede - ad avviso di chi scrive – particolare attenzione, per
l’allarme che la stessa ha suscitato e suscita nella pubblica opinione per i
motivi che verranno appresso indicati.
La novità della questione
richiede, inoltre, la puntualizzazione di alcuni aspetti del fenomeno in parte
già illustrati nelle precedenti fasi del procedimento.
Ciò premesso, si osserva che i
giudici del Tribunale hanno rigettato l’appello disconoscendo la sussistenza,
nella fattispecie prospettata, delle ipotesi contravvenzionali di cui agli
articoli 674 e 675 C.P. non potendosi assimilare alle “cose” dalle stesse
disposizioni contemplate i campi magnetici generati dall’impianto del quale si
chiedeva il sequestro.
Di tutto ciò si dirà meglio in
seguito.
Appare opportuno individuare in primo luogo, seppure in modo sommario, quali siano i rischi conseguenti all’esposizione ai campi elettromagnetici evidenziati dalla scienza medica ed i rimedi che l’attuale legislazione consente di adottare per reprimere o comunque limitare il fenomeno.
Occorre
subito precisare che, nell’individuazione dei rischi, si potrà tenere conto
esclusivamente dei risultati delle ricerche effettuate (traendo da questi le
necessarie conclusioni).
E’
senz’altro vero che i circa 12.000 studi condotti negli ultimi trenta anni dai
ricercatori di tutto il mondo[1]
non hanno portato a conclusioni univoche, ma non sembra che tale dato possa
ritenersi sufficiente per escludere la effettiva sussistenza di un pericolo per
la salute conseguente alla irradiazione.
Al
contrario, gli studi condotti dall’Istituto Superiore di Sanità[2]
hanno evidenziato le conseguenze degli effetti acuti dell’esposizione ai campi
elettrici e magnetici pur richiamando l’attenzione sul limite rappresentato
dall’esiguo numero di studi epidemiologici sugli effetti cronici determinati
dall’esposizione a lungo termine.
Se così non
fosse non potrebbe inoltre giustificarsi l’impegno dell’Organizzazione
Mondiale per la Sanità che nel 1997 ha varato un progetto per il coordinamento
internazionale dell’attività di ricerca che prevede un impegno di spesa di
circa 3,3 milioni di dollari per cinque anni[3].
Tratta
questa prima conclusione, è il caso di verificare preliminarmente quali siano
le origini del fenomeno individuate dagli esperti.
Va in primo
luogo osservato che una parte della popolazione risulta esposta a campi
elettromagnetici in conseguenza dell’attività lavorativa svolta.
Si pensi ad
alcuni lavoratori dell’industria destinati a determinate operazioni con
macchinari che determinano la formazione di campi elettromagnetici, ai
lavoratori del settore delle comunicazioni ed agli addetti, nel settore medico,
ad alcune particolari terapie (marconiterapia, radarterapia etc.)
Questa
fascia di popolazione appare tuttavia maggiormente tutelata dai rischi connessi
con l’esposizione prolungata per il fatto stesso che tali rischi sono in gran
parte noti e, conseguentemente, possono essere adottate adeguate misure di
prevenzione, mentre il lavoratore potrà essere reso edotto dei pericoli
conseguenti alla attività svolta.
L’attività
lavorativa è inoltre soggetta ad una speciale legislazione finalizzata alla
prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali che presuppone,
almeno in teoria, l’effettuazione di numerosi controlli da parte degli organi
all’uopo deputati.
Al
contrario, il fenomeno dell’esposizione a tali fattori di rischio da parte
della popolazione non impegnata in particolari attività lavorative appare
maggiormente preoccupante proprio per il fatto che tali soggetti, per la loro
condizione, non sono informati delle conseguenze cui sono esposti.
Non va poi
dimenticato che la popolazione civile esposta ai campi elettromagnetici si
compone di individui che versano in condizioni fisiche tra loro non omogenee e
vivono in ambienti diversi in differenti condizioni.
Tale fascia
rilevante della popolazione subisce gli effetti di campi magnetici generati da
fonti diverse che possono essere individuate in apparecchiature elettriche di
uso domestico (coperte elettriche, asciugacapelli etc.), elettrodotti e impianti
destinati alla radiotrasmissione.
Anche in
questo caso, per le sorgenti di campi elettromagnetici rappresentate delle
apparecchiature di uso domestico, un’adeguata tutela può essere fornita dalle
disposizioni di carattere generale, contenenti norme aventi come obiettivo la
sicurezza dei prodotti posti in commercio, nonché dall’adozione di elementari
accorgimenti da parte dell’utilizzatore finalizzati al contenimento dei rischi
da esposizioni prolungate.
Del tutto
diversa appare, invece, la condizione in cui viene a trovarsi la popolazione
esposta a campi elettromagnetici generati da elettrodotti e da impianti di
radiotrasmissione (come nel caso per cui è processo).
In tali casi
i soggetti esposti possono non essere a conoscenza dell’esistenza delle
predette sorgenti oppure possono trovarsi in condizioni tali da non poter
evitare tale esposizione (si pensi al caso di un edificio adibito ad abitazione
costruito in prossimità di un elettrodotto).
Questa
situazione comporta la necessità di valutare con maggiore attenzione il
fenomeno.
Si è detto
in precedenza che gli studi effettuati dagli esperti del settore hanno
evidenziato e confermato l’esistenza di effetti biologici quale conseguenza
dell’esposizione a campi elettromagnetici, sottolineandone la pericolosità.
Tali studi
hanno preso separatamente in considerazione gli effetti derivanti
dall’esposizione a campi magnetici a BASSA FREQUENZA, generati cioè dagli
elettrodotti e quelli ad ALTA FREQUENZA, provenienti da impianti di
radiotrasmissione, fissando maggiormente l’attenzione sui fenomeni biologici
determinanti dalla prima delle sorgenti indicate.
Con
riferimento agli elettrodotti, vanno segnalate le indicazioni fornite
dall’Istituto Superiore di Sanità in un recente rapporto del settembre 1995.[4]
Già in
passato l’Istituto aveva affrontato il problema concludendo per la sussistenza
di dati sufficienti per ritenere che l’esposizione a campi elettromagnetici a
bassa frequenza accresca il rischio di tumori, pur rilevando che la scarsezza di
dati epidemiologici non consentiva l’adozione di particolari misure.[5]
Nel rapporto
del 1995 gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità hanno preso in esame
la letteratura scientifica disponibile formulando conclusioni che, pur
confermando i risultati del Rapporto del 1989, prendono atto della più
approfondita conoscenza del problema conseguente al proliferare degli studi
effettuati dalla comunità scientifica internazionale.
Ancora una
volta viene ribadito che l’esposizione a campi elettromagnetici a bassa
frequenza può determinare effetti dannosi per la salute come, ad esempio,
l’insorgenza di neoplasie. In particolare, l’esame della documentazione
scientifica consultata avrebbe posto in evidenza una “associazione fra
esposizione a campi a 50\60Hz e leucemia infantile”.
Le soluzioni
proposte nel citato rapporto ISTISAN per il contenimento del fenomeno sono
basate sui risultati delle ricerche richiamate.
Il Rapporto
evidenzia il fatto che, in base agli studi effettuati, “i limiti di
esposizione possono essere basati, al momento attuale, solo sugli effetti acuti
dell’esposizione, perché solo di questi è adeguatamente documentata la
relazione con l’intensità dei campi esterni. Tali limiti di esposizione non
rivestono d’altro canto un significato preventivo riguardo alla patologia
neoplastica”.
A tale
proposito viene ricordato che i dati epidemiologici acquisiti non consentono di
indicare valori dei limiti di esposizione più restrittivi di quelli attualmente
adottati, che risultano, allo stato, adeguati alle esigenze di tutela
dell’ambiente e che appare opportuno affiancare al rispetto dei limiti una
azione finalizzata a contenere, in futuro e compatibilmente con le esigenze di
natura tecnica, l’esposizione ai campi elettromagnetici.
Quanto alla
situazione preesistente, viene sottolineata l’opportunità di procedere
all’adozione di interventi finalizzati alla riduzione dei livelli di
esposizione laddove gli stessi risultino superiori ai limiti mediamente
riscontrabili in ambienti analoghi.[6]
Alla luce
delle valutazioni scientifiche in precedenza sommariamente richiamate, appare
ormai evidente ed ampiamente dimostrata la sussistenza di un rischio effettivo
per la popolazione in caso di esposizione a campi elettromagnetici a bassa
frequenza.
Con
riferimento, invece, ai rischi conseguenti alla esposizione a campi ad alta
frequenza, generati da impianti di radiotrasmissione, gli studi effettuati in
campo medico appaiono meno numerosi e riguardano, nella maggior parte dei casi,
gli aspetti connessi con l’esposizione nell’ambiente di lavoro.
Recentemente,
tuttavia, l’attenzione di quanti si occupano del c.d. inquinamento
elettromagnetico risulta accentuata anche con riferimento ai problemi derivanti
dall’esposizione ai campi ad alta frequenza.
Anche in
questo caso un utile punto di riferimento è rappresentato dal Rapporto ISTISAN
89\29 che ha preso in considerazione nel dettaglio il problema dei campi
elettromagnetici a radiofrequenza.[7]
In tale
rapporto viene evidenziato che “a livelli di potenza sufficientemente elevati,
l’esposizione a campi elettromagnetici a RF può causare diversi effetti
nocivi alla salute. Tali effetti includono la cataratta negli occhi, il
sovraccarico del sistema di termoregolazione, lesioni termiche, quadri
comportamentali alterati, convulsioni ed una minore capacità di resistenza alla
fatica”.
Tenendo
conto di tali circostanze, vengono dunque fissati i limiti di esposizione sulla
cui determinazione influiscono diversi elementi ritenuti degni di considerazione
quali, ad esempio, la diversa taglia dei soggetti esposti, le condizioni
ambientali, la possibilità di interazione dei campi elettromagnetici con agenti
chimici e fisici presenti nell’ambiente, la possibilità di risposta alterata
all’esposizione da parte di individui che assumono particolari farmaci etc.
Tali
criteri, unitamente a quelli in precedenza indicati per distinguere i rischi
sanitari cui sono esposti i lavoratori rispetto alla rimanente popolazione,
hanno indotto all’adozione di limiti maggiormente restrittivi per questo
ultimo gruppo di individui.
Le
indicazioni fornite dall’Istituto Superiore di Sanità sono state seguite in
Italia da alcuni studi sugli effetti biologici delle radiofrequenze.[8]
In altra
occasione, si è ancora una volta fatto cenno ai rischi sanitari connessi con
l’esposizione a campi magnetici ad alta frequenza, chiarendo come
l’esposizione medesima determini sicuramente un aumento della temperatura in
tutto il corpo o in parte di esso e come ciò possa interessare alcuni sistemi
ed organi particolarmente sensibili a tale condizione quali il sistema nervoso
centrale, i testicoli, il cristallino.
Lo studio
evidenzia anche la circostanza che la scarsezza di studi epidemiologici sulla
materia non consente una adeguata valutazione dei rischi “conseguenti
all’esposizione a campi di intensità inferiore a quella in grado di generare
effetti termici”, che possono tuttavia essere adeguatamente contrastati
attraverso l’adozione dei valori limite raccomandati dall’IRPA.[9]
Alla luce
delle considerazioni sopra esposte appare pertanto evidente come possa ormai
ritenersi ampiamente dimostrata la sussistenza di effetti biologici negativi
conseguenti all’esposizione a campi elettromagnetici sia ad alta che a bassa
frequenza.
E’ infatti certo che gli studi solo sommariamente richiamati in precedenza, eliminano ogni dubbio sulla gravità del problema.
Va poi
osservato che al di là delle considerazioni di carattere scientifico va pure
considerato il contenuto delle disposizioni di legge che regolano la materia e
che evidenziano senza incertezza la preoccupazione del legislatore di limitare e
contenere il rischio per la salute umana conseguente all’irradiazione che,
evidentemente, è certo e reale.
Oltre all’ovvia considerazione
che il superamento dei limiti imposti per legge comporta necessariamente una
valutazione di pericolosità per la salute pubblica, non avendo altrimenti
senso, deve rilevarsi che se nel D.P.C.M. del 1992 un riferimento esplicito alla
salute delle persone poteva rinvenirsi nell’articolo 8 che prevede
l’istituzione di una commissione tecnico scientifica, più chiari riferimenti
agli aspetti sanitari della questione possono riscontrarsi in provvedimenti di
più recente emanazione.
Ci si riferisce non solo alle
numerose disposizioni regionali ma anche alla Legge 31 luglio 1997 n.249
istitutiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
cui viene demandata la vigilanza “sui tetti di radiofrequenza
compatibili con la salute umana”
Nel D.M. 381\98 che fissa tali limiti, inoltre, il
riferimento è ancora più diretto e chiaramente si evidenzia, nell’articolo 1
che “le disposizioni del presente decreto fissano i valori limite di
esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici connessi al
funzionamento ed all'esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e
radiotelevisivi operanti nell'intervallo di frequenza compresa fra 100 kHz e 300
GHz”.
Un ulteriore conferma delle preoccupazioni del
legislatore è data dalla relazione al disegno di legge presentato il 24 aprile
1998 e relativo ad una “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a
campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici” ove viene dato atto
dell’attuale stato delle conoscenze scientifiche e della necessità di
intervenire per assicurare una adeguata protezione dagli effetti acuti (che si
riconoscono come ormai accertati) ed i possibili effetti a lungo termine.
La pericolosità del fenomeno in
esame sembra infine recepita da gran parte della giurisprudenza amministrativa
ed anche nel campo penale i risultati acquisiti nell’accertamento peritale
effettuato con incidente probatorio in un procedimento trattato innanzi al
Pretore di Rimini (v. documentazione in atti) sembrano aver sgombrato il campo
da ulteriori incertezze.
Con riferimento a tale ultimo
procedimento, per il quale non è stata ancora definita la fase dibattimentale,
va ricordato che i periti nominati in sede di incidente probatorio hanno
evidenziato la dipendenza delle patologie lamentate dai querelanti
dall’esposizione ai campi elettromagnetici generati da un elettrodotto.
In particolare, le numerose
patologie riscontrate riguardano
crisi di cefalea e malessere, astenia, sindrome vertiginosa, insonnia etc.
Anche tali considerazioni sembra possano
essere confutate.
Sembra dunque che requisito principale della
“cosa” contemplata dall’articolo 674 c.p. sia l’attitudine ad offendere
imbrattare o molestare le persone poiché è su tale caratteristica che è
orientata l’attenzione del legislatore più che sul mezzo attraverso il quale
il reato viene perfezionato.
Secondo la dottrina[15] “cosa” con
riferimento alla norma in esame “è termine giuridico comprendente ogni genere
(solida, liquida, fluida, animata, inanimata ecc.)”.
Del resto, da un punto di vista naturalistico,
l’energia elettromagnetica può senz’altro qualificarsi come “cosa”
avendo una sua individualità fisica, essendo suscettibile di misurazione e di
utilizzazione per gli scopi più diversi.
A tali osservazioni potrebbe obiettarsi che la legge
penale, con particolare riferimento alle “energie” (tra le quali possono
senz’altro comprendersi i campi elettromagnetici), ha dovuto espressamente
equiparare queste ultime alle “cose mobili” contemplate dall’articolo 624
c.p. nel secondo comma dell’articolo medesimo ove viene affermato che “agli
effetti della legge penale, si considera “cosa mobile” anche l’energia
elettrica ed ogni altra energia che abbia valore economico”, con la
conseguenza che, in assenza di analoga previsione, le energie in genere e quella
generata dai campi elettromagnetici in particolare non possano essere
qualificate come cose.
A tale proposito sembra potersi replicare che le
“cose” contemplate dall’articolo 624 c.p. hanno attinenza esclusiva con la
natura del furto (e degli altri delitti contemplati nel titolo tredicesimo del
codice penale) quali reati contro il patrimonio ed il richiamo alle
“energie” attiene non tanto ad una loro individuazione come entità fisica
bensì come bene suscettibile di valutazione economica, caratteristica che,
peraltro, non può essere a priori esclusa con riferimento all’energia
elettromagnetica.
Del resto nel codice penale si rinvengono altre
disposizioni che fanno genericamente riferimento al termine “cose” con il
chiaro intento di rendere indeterminato tale concetto al fine di consentire una
più estesa applicazione della disposizione medesima come avviene, ad esempio,
negli articoli 408 e 733 c.p.
Non sembra dunque che vi sia una grande differenza ad
esempio con i gas che pure l’articolo 674 contempla e che possono avere
caratteristiche offensive per inalazione o contatto, possono essere più o meno
volatili, inodori ma sono dotati di una propria fisica consistenza.
Una interpretazione restrittiva
del concetto di “cosa” determinerebbe inoltre l’inapplicabilità della
fattispecie in esame anche con riferimento a condotte, sempre possibili, di
utilizzazione pericolosa di radiazioni elettromagnetiche in casi diversi da
quelli riguardanti gli impianti sorgente presi ora in considerazione.
Si pensi, ad esempio, alle
radiazioni ionizzanti, all’infrarosso, all’ultravioletto o, per considerare
un fenomeno in costante diffusione, all’uso improprio dei c.d. puntatori laser
che può provocare lesioni anche gravi della retina.
Tale fatto è stato recentemente
registrato dalla cronaca nel corso di manifestazioni sportive: un importante
quotidiano ha riportato in prima pagina la fotografia di un noto calciatore
fatto bersaglio in campo, durante un’intervista, con le suddette
apparecchiature.
Anche la giurisprudenza di
codesta Corte pur non avendo mai considerato il fenomeno in esame ha in più
occasioni ampliato l’ambito di applicazione dell’articolo 674 C.P.
estendendo l’operatività della seconda parte dell’articolo 674 ad esempio
agli “odori” (che non sembrano rientrare non solo nel concetto di “cosa”
delineato dal legislatore, ma anche tra le emissioni di gas, vapore o fumi che
hanno diversa consistenza)[16].
Se dunque è possibile
considerare le emissioni elettromagnetiche, agli effetti dell’articolo 674 c.p.
come cose atte ad essere gettate, deve ora verificarsi se le stesse siano dotate
di quella capacità offensiva che la disposizione richiede.
Considerando i risultati delle
ricerche scientifiche in precedenza richiamati e l’interpretazione fornita
dalla giurisprudenza dei termini “offendere” “imbrattare” o
“molestare” sembra possibile, anche in questo caso, a sommesso avviso di chi
scrive, una risposta affermativa.
Va subito detto che per ovvi
motivi l’atto dell’imbrattare non può assolutamente essere preso in
considerazione con riferimento alla materia in esame.
Si è in precedenza osservato
che sono ormai accertati gli effetti dannosi per la salute conseguenti
all’esposizione prolungata ai campi magnetici.
Tale affermazione trova diretto
riscontro nei risultati dell’accertamento peritale disposto dalla Procura
Circondariale di Rimini nell’ambito del procedimento penale cui si è fatto
cenno in precedenza, a seguito dei quali è emerso che alcuni soggetti, esposti
a campi magnetici generati da un elettrodotto, hanno riportato lesioni
personali.
Il termine “offendere”
utilizzato nell’articolo 674 c.p. è comprensivo, secondo la dottrina, di ogni
danno non solo all’integrità fisica di un soggetto (categoria nella quale
rientrano senz’altro le malattie derivanti da lesioni personali) ma anche al
suo decoro[17],
ne consegue che l’attitudine a cagionare lesioni, ormai dimostrata per i campi
elettromagnetici, consente che gli stessi possano essere contemplati tra le cose
atte ad offendere.
Inoltre, pur volendo considerare
con estrema cautela i risultati scientifici sopra richiamati che, come si è
detto, riguardano in modo prevalente gli effetti dei campi a bassa frequenza, e
ritenere, a nostro sommesso avviso fuori di ogni logica, che non sia per nulla
dimostrata l’attitudine dei campi elettromagnetici a cagionare lesioni
personali, l’applicazione della disposizione in esame sarebbe possibile
tenendo in considerazione la attitudine, comunque riscontrabile nei campi
magnetici a bassa ed alta frequenza, ad arrecare molestia alle persone.
Si può infatti affermare che le
inevitabili alterazioni fisiche determinate nelle persone a seguito
dell’esposizione (quali, ad esempio, l’innalzamento della temperatura
corporea accertato con riferimento ai campi ad alta frequenza) seppure non siano
qualificabili quali “malattie” o, comunque, non determinino apprezzabili
diminuzioni dell’integrità fisica o psichica di un soggetto, rientrano
senz’altro nel concetto di molestia contemplato dall’articolo 674 c.p.
secondo l’interpretazione datane dalla dottrina e giurisprudenza.
Invero la dottrina ritiene che
possano ritenersi “molestie” tutte quelle situazioni (conseguenti,
ovviamente, al getto o versamento di cose) determinanti “disagio e turbamento
della tranquillità o della quiete delle persone”[18].
A conclusioni analoghe è giunta
la giurisprudenza definendo come “molestia” ogni fatto “idoneo a recare
disagio, fastidio o disturbo ovvero a turbare il modo di vivere quotidiano”[19].
Più recentemente, con
riferimento al già citato esempio della circolazione di polveri conseguente
alla omessa asfaltatura di un piazzale adibito alla manovra di mezzi presso un
insediamento per la produzione di calcestruzzo[20],
è stato fatto riferimento ai disturbi o molestie “a livello igienico”,
mentre in precedenza erano stati compresi tra le emissioni di fumo moleste anche
gli odori atti a determinare un “fastidio fisico apprezzabile” ovvero aventi
un “impatto negativo, anche psichico, sull’esercizio delle normali attività
quotidiane di lavoro e di relazione”[21].
A tale proposito venivano citate, a titolo di esempio, la necessità di tenere
le finestre chiuse e la difficoltà nel ricevere ospiti.
In passato anche la
giurisprudenza di merito, sempre con riferimento all’emissione di fumi, aveva
precisato che il disturbo arrecato non deve necessariamente concretarsi in una
molestia fisica, “essendo sufficiente la persistenza di un fenomeno che, per
le sue notevoli proporzioni, per l’impossibilità di conoscerne gli effetti
nel timore che esso provochi gravi conseguenze, susciti diffuso allarme sociale,
turbamento, disagio, paura e pressanti richieste di intervento delle autorità”[22].
Alla luce della interpretazione
sopra richiamata, sembra possa ragionevolmente ritenersi che l’emissione di
campi elettromagnetici rientri nella previsione dell’articolo 674 c.p. non
solo quando la potenzialità offensiva degli stessi sia così elevata da
determinare danni fisici compresi nell’ampio concetto di lesione, ma anche nel
caso in cui le conseguenze dell’esposizione, così come descritte negli studi
scientifici sopra richiamati, siano confinate nel più ristretto campo delle
molestie.
Deve poi aggiungersi che, per
costante indirizzo dottrinario e giurisprudenziale, l’ipotesi
contravvenzionale in esame è qualificata come reato di pericolo, cosicché per
la sua configurazione è necessaria esclusivamente l’astratta attitudine delle
cose gettate o versate a cagionare effetti dannosi il che, per i motivi in
precedenza indicati, renderebbe possibile l’applicazione della disposizione
alle emissioni di campi elettromagnetici indipendentemente dalla sussistenza di
un danno effettivo, consentendo nella pratica una tutela più efficace.
Determinati comportamenti
potranno dunque essere repressi, seppure mediante l’applicazione delle blande
sanzioni previste dalla norma in esame, prima ancora che si verifichino danni
fisici alle persone essendo sufficiente la dimostrazione dell’esistenza di una
situazione di pericolo.
Resta da aggiungere che
l’articolo 674 c.p. con riferimento al getto e versamento di cose di cui alla
prima parte del suo contenuto, prevede una limitazione rappresentata dalla
indicazione del luogo ove il getto o versamento deve avvenire.
Perché possa configurarsi il
reato, infatti, il getto o il versamento devono verificarsi “in luogo di
pubblico transito o in luogo privato o di altrui uso”.
Tale limitazione, tuttavia, per
ciò che qui interessa non sembra costituire un ostacolo alla utilizzazione
della disposizione in esame.
Per la loro stessa natura e per
le modalità della loro collocazione, gli impianti che generano emissioni
elettromagnetiche insistono necessariamente su luoghi di pubblico transito,
quali strade o altre vie di comunicazione, e su luoghi privati ma di comune o
altrui uso quali, ad esempio condomini, edifici pubblici etc.
Ciò si è verificato anche nel
caso in esame.
Come si è in precedenza
accennato, l’articolo 674 c.p. è dunque una disposizione che prevede, in base
agli spunti interpretativi forniti dalla dottrina e della giurisprudenza, un
campo di azione molto vasto.
Tale caratteristica, che sembra
trovare conferma nella genericità dei termini usati dal legislatore, induce a
ritenere che nella formulazione della disposizione sia stata tenuta presente la
necessità di tutelare in modo diffuso l’incolumità delle persone.
Del resto l’articolo 674 c.p.
continua ad essere applicato, anche con riferimento ai fenomeni di inquinamento
idrico ed atmosferico, nonostante le materie siano regolate da speciali
disposizioni, proprio sottolineando la diversità delle finalità e dei
presupposti[23].
Tale stato di cose consente di
ritenere superate le perplessità che, per ragioni di tassatività, avevano
indotto ad escludere il ricorso alla disposizione in esame per la tutela
dall’inquinamento elettromagnetico.
La fattispecie in esame sembra
inoltre riconducibile, in via alternativa, anche all’ipotesi contravvenzionale
prevista dall’articolo 675 C.P. Su tali aspetti, pure presi in considerazione
innanzi al G.I.P. il Tribunale non si è pronunciato
La disposizione differisce
dall’articolo 674 c.p. in quanto si configura mediante la semplice incauta
collocazione di cose che, cadendo nei luoghi indicati nella disposizione
precedente, possano determinare l’offesa l’imbrattamento o la molestia di
persone.
Se dunque si ritiene, per i
motivi illustrati in precedenza, che i campi elettromagnetici possano rientrare
nel generico concetto di “cosa” contemplata dalle norme in esame, deve
tuttavia verificarsi se tale loro natura consenta che gli stessi possano essere
“posti” o “sospesi” in modo pericoloso e se possano “cadere”
concretando così il reato.
Va subito detto che sembra
potersi escludere che il riferimento al “porre” o “sospendere” riguardi
non tanto i campi elettromagnetici quanto le apparecchiature o gli impianti che
li generano poiché una siffatta lettura dell’articolo 675 c.p. determinerebbe
una indebita distinzione tra ciò che viene posto o sospeso in modo pericoloso e
ciò che potrebbe cadere; è infatti evidente che tale distinzione non è
prevista dalla norma in esame.
Tanto premesso deve osservarsi
che secondo la dottrina con il termine “porre” il legislatore ha inteso
riferirsi “al collocare o poggiare una cosa” mentre l’atto del
“sospendere” consiste nel “tenerla assicurata ad un oggetto”[24].
Per la giurisprudenza il primo
termine si riferisce al “collocare una cosa sopra o entro un’altra” mentre
il secondo all’ “appendere una cosa ad un’altra senza appoggio sottostante
ovvero fare in modo che un oggetto rimanga in aria”[25].
Tali definizioni appaiono
compatibili anche con riferimento ai campi elettromagnetici posto che le
emissioni vengono di regola generate da apparati collocati in posizione
dominante rispetto ai luoghi irradiati.
Altrettanto importante appare la
corretta interpretazione del termine “cadere” utilizzato dal legislatore.
Occorre cioè verificare se lo
stesso riguardi esclusivamente la caduta di una cosa per effetto della forza di
gravità ovvero consideri tale evento solo con riferimento al risultato finale e
cioè che la cosa raggiunga con l’esaurirsi del proprio moto i luoghi indicati
nell’articolo 675 c.p.
Anche in questo caso, alla luce
di due decisioni della Suprema Corte, sembra possibile ritenere che il termine
vada interpretato in senso ampio.
Si è infatti ritenuto
configurabile il reato per il fatto di sospendere incautamente un filo
conduttore alla rete filoviaria al fine di portare la corrente elettrica in
baracche abusivamente installate sulla pubblica piazza, precisando che il
pericolo all’integrità fisica delle persone è rappresentato dalla possibilità
di venire a contatto con il filo elettrico[26].
Invero nella decisione in esame
il riferimento al possibile contatto con il filo elettrico non sembra prevedere
la sola ipotesi di caduta nel senso letterale del termine ma anche ogni altra
possibilità di contatto conseguente alla sospensione del cavo.
Più recentemente la Corte,
precisando che per la configurabilità del reato di cui all’articolo 674 c.p.
é necessaria una condotta attiva, mentre l’omesso apprestamento di mezzi
idonei ad impedire l’evento rende ipotizzabile il collocamento pericoloso di
cose disciplinato dall’articolo 675 c.p., ha ritenuto sussistente tale ultima
contravvenzione nel caso riguardante la fuoriuscita sulla sede stradale di un
prodotto liquido trasportato su un trattore con cisterna, a causa della
corrosione delle pareti del contenitore.[27]
Tenendo conto di tale
interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione e del fatto che la norma
contiene termini generici sembra possibile far rientrare nel concetto di
caduta anche l’irradiazione di campi elettromagnetici secondo le leggi fisiche
che regolano tale fenomeno.
Alla luce di quanto sopra
esposto si richiede dunque a codesta Suprema Corte di fornire l’esatto
indirizzo interpretativo da seguire nel caso in esame con riferimento alle disposizioni
richiamate.
P.Q.M.
[1] Il dato è fornito da S. TOFANI “Comunità scientifica internazionale e valutazione dell’impatto sulla salute delle onde elettromagnetiche” in M. QUIRINO (a cura di) “Atti del convegno “Onde Sospette. Campi elettromagnetici: tutela della salute e salvaguardia dell’ambiente”. Torino, 1998.
[2] Rapp. ISTISAN 89\20 «Linee elettriche ad alta tensione: modalità di esposizione e valutazione del rischio sanitario» a cura di M. GRANDOLFO, P. VECCHIA, P. COMBA ; Rapp. ISTISAN 95\29 «Rischio cancerogeno associato a campi magnetici a 50\60 Hz» a cura di P. COMBA, M. GRANDOLFO, S. LAGORIO, A. POLICHETTI E P. VECCHIA; Rapp. ISTISAN 89\29 «Linee guida e limiti di esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza raccomandati dall’IRPA nell’intervallo di frequenze da 100 kHz a 300 GHz» a cura di M. GRANDOLFO e L. RAGANELLA.
[3] S. TOFANI op. cit.
[4]
Rapp. ISTISAN 95\29 “Rischio cancerogeno associato a campi magnetici a
50\60 Hz” a cura di P. COMBA, M. GRANDOLFO, S. LAGORIO, A. POLICHETTI E P.
VECCHIA, cit. cui si rimanda per ulteriori approfondimenti.
[5] Rapp. ISTISAN 89\20 “Linee elettriche ad alta tensione: modalità di esposizione e valutazione del rischio sanitario” a cura di M. GRANDOLFO, P. VECCHIA, P. COMBA cit..
[6]
Sugli effetti dannosi dei campi magnetici a bassa frequenza, vedi anche
L.PARIS “Compatibilità ambientale delle linee elettriche: analisi del
problema e soluzioni possibili” in Energia e Materie Prime n. 98 10\1994
pagg. 6 e ss.; P. VECCHIA “Il ruolo delle considerazioni sanitarie nelle
normative relative agli elettrodotti” ibid. pp.12 e ss.; P. COMBA
“Esposizione a campi magnetici a 50 Hz: recenti acquisizioni della ricerca
epidemiologica” Rel. Al Convegno Nazionale Ass. Italiana protezione contro
le radiazioni, Trieste 27\9\95
[7]
Rapporto ISTISAN 89\29 “Linee guida e limiti di esposizione a campi
elettromagnetici a radiofrequenza raccomandati dall’IRPA nell’intervallo
di frequenze da 100 Khz a 300 Ghz” a cura di M. GRANDOLFO e L. RAGANELLA.
Tale rapporto consiste nella traduzione, non ufficiale, della versione
definitiva delle linee guida proposte dall’IRPA (International Radiation
Protection Association). La prima versione era stata tradotta, sempre a cura
dell’Istituto Superiore di Sanità, nel Rapporto ISTISAN 87\21.
[8]
Vedi per tutti: B. SAIA e C. ZANETTI “Un rischio emergente per la
popolazione: le radiazioni non ionizzanti” in Scienza e Governo, gennaio
1995 pp. 25 e ss. Cui si rinvia anche per i richiami bibliografici.
[10]
Vedi ad es. Cass. Sez. III 21\12\94, Rinaldi
[11]
Cass. Sez. VI 15\12\1970, Lopez ed altre succ. conf.
[12]
Pret. Alba 8\6\1967 in Giur. Piemontese 87, 783
[13]
Cass.Sez.I 11\4\1995, Tinarelli
[14]
Così G. SABATINI voce
“Incolumità pubblica (contravvenzioni concernenti la)” in Novissimo Dig.
It.
[15] G. SABASTINI op. cit.
[16] V. ad es. Cass. Sez.I n. 477 del 19\1\1994; Sez. III n.771 del 24\1\1995 e Sez. I n. 678 del 22\1\1996
[17]
Così G. SABATINI, op. cit. Vedi anche MANZINI, X, p. 464
[18]
G. SABATINI, op.cit. Vedi anche MANZINI, X, p. 465
[19]
Cass. Sez. I 4\11\1986, Di Leo in Riv. Pen. 1987, pag. 437
[20]
Cass. 11\4\1995 cit.
[21]
Cass. Sez. I 24\1\1995, Silvestro
[22]
App. Torino 12\6\1991 in Riv. Pen., 1991, pag. 1103. Si veda anche la
recentissima Cass. Sez. I 22\1\1996, Viale.
[23]
Si vedano ad es., tra le più recenti, Cass. Sez. I 22\9\1995, Coppa e
Cass.Sez. I 31\8\1994, Turino.
[24]
G. SABATINI, op. cit.
[25]
Cass. 17\1\1957, Alì in Giust. Pen. 1957, II, pag. 899
[26]
Cass. Sez. I 8\2\89, Manzi in Riv. Pen. 1989, pag. 932
[27] Cass. Sez. I 21\12\1995, Casarin.