IL REGNO DI EMANDINI

1. Introspezione

Si stavano insinuando i primi vespri nel pomeriggio autunnale e l’azzurro cobalto del cielo aveva lasciato posto al caratteristico rosso fuoco del tramonto. I raggi solari si ritraevano dalle vie come i tentacoli di una seppia impaurita, mentre l’imponente arancia poneva timidamente fine alla sua giornata nascondendosi dietro una serie di monti che si stagliavano all’orizzonte. Le ruspe, incuranti del panorama, continuavano imperterrite il loro lavoro, sotto lo sguardo accigliato di una figura incappottata. Gli occhi dell’uomo erano ridotti a due fessure, insidiati dagli ultimi bagliori solari che vi penetravano prepotentemente, ma che si andavano sempre più affievolendo secondo un’inesorabile legge della natura. L’individuo non era però impegnato a contemplare il tramonto. Fissava le ruspe rumorose che continuavano a scavare circondate da un nugolo di uomini indaffarati che si affannavano. Una donna si avvicinò lentamente allo spettatore bisbigliando alcune parole:

"Ce n’è un altro, procuratore"

"Quanti sono?"

"Ventisette. Più donne che uomini, a prima vista"

"Dio" il procuratore si portò una mano alla testa. Era turbato ed impaurito. Ed arrabbiato. Soprattutto arrabbiato. Era una reazione istintiva. Gestiva la piccola contea di Hamlinton nel Sussex da appena un anno. Questa grana non avrebbe giovato certo alla sua rielezione come procuratore distrettuale responsabile delle forze dell’ordine. Tuttavia non ostentò i suoi sentimenti. Sibilò:

"Indica una conferenza stampa a nome mio, ispettore capo Warner. Tra un’ora"

"Certo procuratore Davis"

L’ispettore capo Angelica Warner era una donna affascinante. Anzi di più; anche a trentacinque anni persistevano le curve mozzafiato e le labbra carnose che avevano incantato tanti uomini in gioventù. Il procuratore non avrebbe saputo dire se il seno ancora prosperoso era naturale, né se i capelli biondi erano stati sottoposti ad una mano di tintura o gli occhi azzurri fossero il risultato di un paio di miracolose lenti a contatto. Ma non gli importava; quella donna gli piaceva.

 

La portiera della macchina si aprì e si richiuse un attimo dopo, solamente il tempo per una sfuggente figura di scivolare all’interno. Un occhio esperto avrebbe saputo distinguere una macchina della polizia in borghese. Al volante, un giovane dai capelli biondi stava parlando ad un altro, forse qualche anno in più, che di capelli poteva contarne al massimo una decina.

"Ci vogliono tutti in centrale Steve" disse il biondo

"Cazzo. Che diavolo succede?" rispose l’altro

"E’ una cosa grossa"

"Grossa come le tette dell’ispettore Warner?" rispose l’altro sarcastico

"C’è poco da scherzare. Davis farà una conferenza stampa esattamente…" consultò un attimo l’orologio "tra quarantacinque minuti"

"Insomma che c’è?" abbaiò Steve spazientito

"Ventisette cadaveri"

L’interlocutore divenne muto all’improvviso, rabbuiandosi in volto

"I medici legali li stanno ancora esaminando. Ancora non si sa per certo il numero degli uomini e delle donne"

"D-dove… è successo?"

"Un aerea boscosa destinata alla costruzione di un’autostrada. Gli operai avevano cominciato il disboscamento quando si sono ritrovati davanti i corpi. Alcuni in superficie coperti da strati di muschio o fogliame, altri sotterrati. Ma tutti scheletriti o quasi. In tutto ventisette. Gli scavi continuano tuttora, e sono estesi a tutta la zona circostante"

"Gli scrivani saranno scatenati" disse Steve, riferendosi ai giornalisti

"Ti puoi immaginare. Davis se la fa sotto"

"Tra un mese ci sono le elezioni. Un brutto colpo, per quello stronzo figlio di papà" il poliziotto non aveva simpatia per il procuratore "d’altronde è giusto che se ne vada a casa. Oltre a scoparsi la Warner e farla ispettore capo, non ha combinato altro"

"In ogni modo ci sarà un gran casino. Mi hanno detto che sono stati sguinzagliati già una ventina di investigatore, e i prossimi siamo noi"

"Diavolo"

In quel momento una voce acuta di timbro radiofonico invase la macchina:

"Ispettori Steve Hamann e Ronny Cooper, datevi una svegliata e venite in centrale. Quaranta minuti alla conferenza stampa"

"Che palle" borbottò Hamann. Il collega non poteva sentirlo, tra gli spasimi del motore che ripartiva

 

Peter Darrin sbatté la portiera con un gesto di stizza, si passò una mano tra i capelli castani, e si incamminò verso l’ascensore della centrale. Non appena il mostro metallico gli si spalancò davanti, ne uscì fuori una corposa figura femminile

"Ispettore Warner" bisbigliò Darrin in segno di saluto

"Datti una mossa ispettore" ribatté la donna "Dav è su tutte le furie"

"Gli bruciano le chiappe" commentò Peter, guadagnandosi uno sguardo infuocato da parte del capo.

La sala delle conferenze stampa era stracolma; giornalisti come animali affamati si accalcavano, fino a rimanere spiaccicati al muro. Si spingevano e strattonavano come un branco di pescecani impazziti, e quelli che avevano perso la lotteria per avere una sedia erano nelle posizioni più impensabili, anche arrampicati al soffitto. L’ispettore Darrin scomparve in una porticina a lato del "tavolo delle torture", così veniva chiamata l’impalcatura sulla quale il sovrintendente avrebbe dovuto fronteggiare l’assalto dei pescecani cercando di difendersi alla meglio dai loro morsi famelici.