DARYLL [Rx09]
(di Luciana Ciolfi)
I traslochi erano diventati ormai quasi una routine.
Papà e il suo lavoro richiedevano dei continui spostamenti
e questo a Daryll piaceva, la faceva sentire come in un grande parco
giochi, conosceva posti nuovi, e i suoi curiosi occhi di bambina
erano sempre affamati di novità.
Aveva tre anni ed essendo lunica figlia di uno scienziato
conosciuto a livello planetario, aveva il privilegio di seguire i
propri genitori ovunque essi decidessero di spostarsi. Qualche volta
poteva essere pericoloso ma le premure della mamma lavevano
sempre tenuta lontana dai possibili rischi.
La mamma era alta e bella (tutte le mamme sono alte e belle e
bionde e buone
), aveva dei lunghi capelli biondi, con lucenti
sfumature tendenti al rosso che portava raccolti sulla nuca. Gli
occhi grigi avevano sempre uno sguardo particolarmente protettivo nei
confronti di quella figlia costretta a spostarsi continuamente. Ma
questo era il prezzo che dovevano pagare se volevano che crescesse
con loro e imparasse ad amare quello che facevano. Nella loro
società non era una buona abitudine quella di lasciare
leducazione dei propri figli nelle mani di tutori, soprattutto
nei primissimi anni della loro vita. Suo marito era un antropologo,
una persona mite e piena di premure. Un belluomo, alto e con il
fisico asciutto e ben curato della persona che tiene alla propria
immagine, corti capelli castani, un po stempiato, gli occhi
neri e leggermente a mandorla.
Era conosciuto e apprezzato e in qualsiasi occasione di ritrovo si
poteva stare certi di incontrarlo con al fianco linseparabile
compagna, ospiti sinceramente graditi di questo o quel
personaggio.
Era di moda invitare scienziati e letterati per dare un tocco di
classe allambiente.
Quella mattina si erano svegliati tutti di buonora e con i
bagagli già fatti si stavano preparando a partire per il luogo
dove il velivolo li stava aspettando.
La mamma era inquieta, aveva avuto degli incubi quella notte e non
era riuscita a rasserenarsi del tutto. Nemmeno le coccole del
papà erano riuscite a cambiare le cose. Dal canto suo Daryll
era felice come dieci bambine felici, correva e saltellava in lungo e
in largo e il pensiero di dover lasciare di nuovo i suoi compagni di
giochi non la turbava minimamente.
Il tragitto dalla casa al velivolo fu coperto in pochi minuti e
quando furono a bordo Daryll era talmente eccitata da non riuscire
nemmeno a sistemarsi nella sua postazione. Avrebbero fatto un viaggio
molto lungo e a lei era riservato labitacolo più
protetto, quello demergenza.
Poteva succedere che qualcosa non funzionasse e la sua vita era la
cosa più preziosa che ci fosse a bordo. Non doveva correre
rischi.
Mamma e papà impostarono le coordinate per il viaggio e si
scambiarono le ultime frasi di rito, poi si baciarono e si diressero
alle loro capsule. Appena si furono sdraiati allinterno, il
computer che regolava le loro funzioni vitali chiuse ermeticamente le
capsule e diffuse allinterno un blando sonnifero. Poi la
procedura di decollo cominciò il mezzo partì con un
rombo assordante in mezzo ad una nuvola di vapore.
La loro tecnologia era molto avanzata e di quel viaggio di milioni
di anni luce avrebbero avuto solo un vago ricordo. Avrebbero "bucato"
il tempo e lo spazio e sarebbero arrivati sul luogo del nuovo lavoro
in poche ore.
Tutto procedeva secondo i piani, come centinaia di volte prima di
questa.
Ma qualcosa non avrebbe funzionato.
Deserto del New Mexico, estate 1974. Ore 21:00
Lo schianto fu tremendo.
La bambina fu sbalzata con tutta la capsula demergenza a
parecchi metri di distanza dal luogo dellincidente. Stava
dormendo e il suo piccolo corpo era assicurato al lettino da cinture
di sicurezza che fecero bene il loro lavoro. Passò dal sonno
allincoscienza senza nemmeno accorgersene.
I suoi genitori non ebbero molta fortuna, o forse si, visto che
morirono allistante, uccisi dallimpatto e carbonizzati
dal rogo che subito dopo si sviluppò.
Erano state due brave "persone" e non meritavano certamente quella
fine ma qualche volta il destino è crudele e si diverte a
scombinare le regole del gioco.
Cerano suoni strani e gente che pronunciava parole e frasi
che la piccola non conosceva.
Era rinvenuta ma si sentiva stordita anche se non ancora
terrorizzata, il terrore e la solitudine sarebbero arrivati dopo, nei
mesi e anni a venire.
Qualcuno, un uomo grande e grosso, aprì la capsula che la
proteggeva, la liberò dalle cinture e la prese in braccio.
Quelle persone non si erano ancora rese conto di quello che era
successo, pensavano ad una sciagura aerea come tante, ad un velivolo
privato che avesse perduto la rotta e si fosse schiantato in quella
landa desolata del New Mexico, a pochi metri da un piccolo
agglomerato di "case viaggianti". Non erano degli esperti e non
capivano la particolarità dei rottami che avevano davanti.
Avevano visto i due corpi bruciati e decisero che la priorità
andava alle condizioni della bambina che si trovava dentro lo strano
cilindro.
Adesso aveva paura, voleva la sua mamma e la chiamava, ma le
persone che le stavano intorno sembrava che non capissero le sue
parole. Erano sinceramente rattristate per lei, povera piccola,
rimasta sola così allimprovviso.
Avevano già messo in moto la macchina della
solidarietà e piano piano le sue braccia si erano riempite di
animaletti di peluche portati da una ragazzina venuta a curiosare.
"Loro" non si erano ancora visti, ma era solo una questione di
tempo.
Arrivarono allalba, proprio mentre la bambina si stava
addormentando tra le braccia robuste e poco aggraziate di un
camionista, lo stesso che laveva liberata dalla capsula.
Erano militari, ma cera anche qualcun altro con loro.
Uomini vestiti di scuro con occhi sfuggenti, che impedivano alle
altre persone presenti sul posto di capire dai loro sguardi che forse
la sorte delle due persone morte nellimpatto era stata la
più benigna.
Dettarono subito degli ordini, con voce che non ammetteva
repliche.
Tutti i reperti dovevano essere consegnati, la "bambina" doveva
essere consegnata.
Quellincidente non era mai avvenuto.
Parlottarono velocemente con un attonito sceriffo che in
verità non si oppose più di tanto.
Non voleva rogne e il non occuparsi dellaccaduto poteva
garantirgli unesistenza tranquilla.
Più difficile sarebbe stato convincere gli altri sparuti
testimoni, ma una sapiente miscela di lusinghe e minacce avrebbe
risolto la controversia.
Alle operazioni di recupero assisteva un uomo magro, non vecchio
(poteva avere quaranta, quarantacinque anni) ma con il volto solcato
da rughe profonde, vestito di scuro, elegante ma non appariscente,
anonimo e silenzioso non disse mai una parola. Fumava in
continuazione e non finiva mai la sigaretta che aveva cominciato i
cui mozziconi si raggruppavano in mucchietti ben presto calpestati
dal via vai dei militari.
La piccola fu prelevata da un tizio vestito in maniera strana, di
solito la gente si veste così solo quando ha paura di una
pericolosa malattia e non per prendere in braccio i propri figli.
Luomo indossava una tuta di pesante kevlar azzurro contro le
contaminazioni biologiche, una tuta di livello 4, il più
elevato, come se invece di una bambina stesse maneggiando una coltura
di AIDS o di Ebola.
Per molto tempo quellalba livida e piena di rumori e persone
strane fu lunico ricordo di un ambiente aperto che la piccola
sopravvissuta riuscì ad ottenere.
Fu portata in un laboratorio asettico e impersonale. Studiata come
una cavia e costretta ad imparare prestissimo che con le lacrime non
avrebbe ottenuto niente.
Gli uomini che le ruotavano attorno continuarono ad indossare
stupide tute per molti mesi, nemmeno fosse radioattiva.
Solo dopo circa due anni qualcuno cominciò a trattarla
quasi da essere umano.
Oh certo, aveva avuto tanti giochi e libri e cartoni animati. La
sua stanza era piena di buffi disegni e il cibo era molto buono, ma
nessuno le aveva mai fatto una carezza, nessuno laveva mai
presa in braccio dopo i prelievi e le biopsie cui era stata
sottoposta. Nessuno laveva mai portata fuori a vedere la luce
del sole.
I giochi e le matite servivano solo per studiare il suo
comportamento. La consideravano alla stregua di uno scimpanzé
cui viene insegnato il linguaggio dei sordomuti: carino da vedere ma
inutile e fastidioso al di fuori dellambito del progetto.
Aveva imparato a non chiedere e non aspettarsi nulla da quelle
persone. E non sorrideva mai.
Charlottesville, Virginia, Due anni dopo.
Luomo dalle mani curate aveva una bella fattoria, con
cavalli e scuderie.
Si ritirava in quel luogo sperduto quando gli impegni glielo
permettevano e quando il peso dei rimorsi e della paura glielo
imponeva.
Cera molta gente che lavorava per lui in quel posto pieno di
pace, stallieri, giardinieri e personale della sicurezza, ma lo
stesso si sentiva solo, con sulle spalle un fardello di
responsabilità ed errori, anche terribili, che nessuna di
quelle persone avrebbe nemmeno immaginato.
Lunica luce dei suoi occhi era rappresentata dalla figlia
Nicole, una deliziosa bambina di cinque anni.
Nicole aveva lunghi capelli castani e occhi marrone e una
carnagione chiara che si scottava sempre con i primi raggi del sole
estivo.
E stava morendo.
Quando luomo dalle mani curate inciampava in questo
pensiero, altrimenti scacciato con forza come se il non pensarci
potesse risolvere qualcosa, provava rabbia e impotenza.
Che ironia, lui, uno degli uomini più "occultamente"
potenti del mondo non riusciva a sconfiggere una stupida cellula
impazzita che gli stava portando via la figlia.
I segni della malattia cominciavano già ad affacciarsi
sotto forma di timide occhiaie e piccoli malesseri che sempre
più spesso colpivano la bambina.
Era la giusta punizione per chi aveva inflitto sofferenze e morte
a cuor leggero.
Certo, non lui personalmente, questo no.
Lui e gli altri "consociati" trovavano sempre qualcuno che in
cambio di soldi era disposto a fare il lavoro sporco al posto
loro.
Le sue mani ben curate non avevano mai toccato niente di
compromettente, ma la sua coscienza era nera come un pozzo senza
fondo.
Nonostante questo cominciò ad affezionarsi
"allaltra".
Doveva avere la stessa età di Nicole, e farle giocare
insieme avrebbe reso gli ultimi mesi di vita della figlia meno
tristi.
Non pensò mai al bene che questi incontri potevano fare
alla "cosa". Non rientrava ancora nel suo modo di vedere
lintera vicenda. Solo molto più tardi, quando Nicole se
ne era già andata, luomo cominciò a sentire la
necessità di fare qualcosa per quellaltro essere
sfortunato che viveva rinchiuso come un animale da laboratorio.
E decise di prenderla sotto la sua protezione.
Gli esperimenti su di lei erano finiti, si poteva solo
sopprimerla, ma luomo pretese che gli venisse affidata e visto
che in quegli anni era uno dei membri più influenti del
"Consorzio", la sua richiesta venne accettata.
Ma nessuno degli altri si fidò più di lui. Non
completamente.
Avevano visto nei suoi comportamenti qualcosa di pericoloso che
avrebbe potuto incrinare il loro fronte, si erano accorti che provava
pietà per quellessere e nel loro "circolo" la parola
pietà non era ammessa.
Erano due anni che non metteva piede fuori dal laboratorio e la
prima impressione che ricavò da quella luce intensa fu di
paura.
Voleva tornare indietro, anche la certezza dei dolorosi esami era
meglio dellincertezza di quello che laspettava.
Ma non successe niente di spaventoso e piano piano si
tranquillizzò. Vedeva il paesaggio scorrere e cambiare
velocemente fuori dal finestrino della macchina.
La stavano portando lontano dal luogo che laveva vista
protagonista e vittima di indagini inutili e mostruose.
Arrivò alla fattoria e vide subito laltra bambina.
Capì che stava soffrendo e usò per la prima volta dopo
molto tempo quella parte del cervello che agli appartenenti alla sua
razza permetteva di scrutare nei pensieri altrui.
Pur così piccola aveva intuito che per lei sarebbe stato
meglio se gli uomini che lavevano avuta in "cura" non avessero
sospettato di questo suo potere, aveva paura che loro ne avrebbero
approfittato per infliggerle nuove sofferenze.
E aveva ragione.
Ora vedeva i pensieri delluomo che laveva prelevata,
cerano sconforto e rabbia, e rassegnazione.
Lei poteva essere una piccola cosa che passa e non lascia traccia,
ma quelle sensazioni lui se le sarebbe portate dentro per sempre.
Il destino della piccola Nicole si compì e dopo un primo
momento di confusione, luomo tornò ai suoi impegni,
lasciando la nuova arrivata affidata alle cure di una sequela di
insegnanti e sorveglianti. Non poteva lasciare che uscisse, gli
avevano permesso di tenerla a patto che non varcasse mai i limiti
della sua proprietà.
Charlottesville, Virginia, Ottobre 1996
Era cresciuta ed aveva ormai da tempo imparato a considerarlo come
un padre e lui ne era sinceramente contento. Aveva capito troppo
tardi quanto poco pericoloso e quanto bisognoso damore fosse
quellessere venuto da così lontano.
Malgrado le ferite che le avevano inflitto, dai suoi modi di fare
non era mai trapelato un gesto di ribellione, mai un atteggiamento
ostile verso nessuno.
Si era semplicemente rassegnata al proprio destino.
Per convenzione festeggiavano il suo compleanno il quindici di
Novembre, la data di nascita dellaltra figlia delluomo,
quella vera. Quella data era stata sempre unoccasione per
ricordare una persona speciale, uscita di scena troppo presto.
Negli anni precedenti non le era mai stato possibile spostarsi,
dal laboratorio prima e dalla fattoria poi e tutto quello che aveva
imparato del mondo lo aveva trovato sui libri, che leggeva
avidamente, o attraverso la TV.
Ma qualcosa stava cambiando.
Suo padre era sempre più spesso preoccupato e lei capiva
che questa preoccupazione derivava in parte dalla sua presenza.
Prendendo le sue difese luomo aveva attirato su di se i
sospetti e linsofferenza degli altri "anziani".
Loro lo stavano pressando perché infine li lasciasse
terminare quello che avevano cominciato molti anni prima. Concedere a
quellestranea di vivere tra loro non li faceva sentire
tranquilli, era come se covassero una serpe in seno, come se da un
momento allaltro lei potesse rivelarsi una minaccia mortale per
lintero pianeta.
Beh, si sbagliavano.
La sua razza era estremamente pacifica e dopo tutti quegli anni di
studi ed esami ripetuti mille volte avrebbero dovuto capire che da
lei non sarebbe mai arrivata nessuna reazione violenta. Non avrebbe
potuto fare del male a nessuno, qualcosa nel suo DNA glielo impediva
con forza.
Però lui stava cedendo.
Avrebbe voluto unaltra vita per quella sfortunata creatura,
cresciuta troppo sola e troppo triste. Ma la posta in gioco era alta.
Cosa poteva significare la vita di un singolo "straniero" in
confronto alla vita dei miliardi di esseri umani che in quel momento
erano in pericolo?
Se sacrificarla voleva dire permettere agli anziani di evitare che
lo guardassero come uno che stesse per tradirli, lavorare con
più tranquillità e consentire loro di concentrare tutte
le attenzioni sulla mostruosità che si andava concretizzando,
allora lavrebbe fatto. Avrebbe acconsentito alla sua
eliminazione.
Gli "altri" gli avevano assicurato che la ragazza non avrebbe
più sofferto, che la persona scelta sarebbe stata rapida e
pietosa nelleseguire lincarico, che in fondo si trattava
solo di una "cosa" e non di un vero essere umano.
Lo avevano quasi convinto, ma allultimo momento la sua
coscienza si era ribellata e così aveva organizzato la fuga di
sua "figlia".
Dal canto suo lei aveva sempre saputo del progetto per la sua
eliminazione, ma si era guardata bene dal farlo notare. La delusione
per quellennesimo tradimento non era poi così cocente,
non si era mai aspettata niente e quasi niente aveva ricevuto.
Era arrivato alla fattoria una sera di fine Ottobre, pioveva e
laria era piena di nebbia e odore di terra bagnata. Lei vide
subito che qualcosa non andava e quando finalmente riuscì a
parlargli capì il motivo della sua agitazione.
I suoi soci avevano deciso di passare allazione anche senza
il suo consenso, aveva colto di sfuggita alcune frasi sibilline che
gli altri si stavano scambiando durante una riunione. Non si erano
accorti che lui li stava ascoltando e quando si resero conto della
sua presenza, si fermarono a guardarlo e lui riconobbe nei loro
sguardi la fredda determinazione di chi non vuol sentire ragioni.
Non disse niente, ma decise di raggiungere subito la fattoria per
salvare il salvabile.
Non sapeva chi avrebbero mandato a fare il "lavoro", ma di
chiunque si fosse trattato si poteva stare certi che lo avrebbe
portato a termine con impegno e perizia.
Il killer non si sarebbe sbilanciato, avrebbe cercato solo di
compiere il proprio dovere.
Avevano fatto in fretta le valigie, poche cose in un paio di
zaini, ed erano partiti sgommando e lasciando solchi profondi sulla
ghiaia del grande piazzale antistante la casa.
Gli occhi di lei guardavano per lultima volta, attraverso le
ombre della sera e la nebbia un paesaggio che laveva vista
crescere, e si preparavano a conoscere cose e luoghi fino ad allora
solo immaginati.
Non erano andati direttamente alla sua nuova destinazione, troppo
alto il rischio di venire seguiti e intercettati.
Avevano percorso velocemente le strade che li avrebbero condotti
allaeroporto internazionale di Richmond. Lungo tutto il
tragitto suo padre aveva effettuato una lunga serie di telefonate e
quando in fine erano giunti allo scalo, ad attenderli cera una
persona che sarebbe rimasta insieme alla ragazza per tutto il tempo
necessario a costruirle una nuova identità e a trovarle un
luogo sicuro per vivere.
Si salutarono velocemente, poi lei salì sul grande aereo
che lavrebbe portata a toccare numerose città, in un
giro vizioso che serviva a depistare eventuali inseguitori.
Dopo quindici giorni poté finalmente prendere possesso di
un nuovo nome e di nuova casa.
Joliet, Illinois, Novembre 1996
La casa era molto bella, spaziosa ma non grandissima. Intorno
cera un giardino spoglio, ma era Novembre e quellaspetto
era normale.
Questo era lestremo regalo di compleanno di suo "padre".
Era una bella villetta che si sviluppava su due piani e intorno
aveva un bel prato, in quel periodo mancava lerba ed era pieno
di rosse foglie di buganvillea cadute dalla grossa pianta arrampicata
sulla parete della casa accanto.
Nel soggiorno cera quello che lei considerava come la cosa
più preziosa che avesse mai avuto: un tappeto persiano dai
colori vivaci e lucidi. Le tonalità andavano dal blu
allazzurro pallido e i disegni rappresentavano complicati
arabeschi. Non era nuovo, anzi, era un oggetto che la ragazza aveva
sempre visto nella fattoria del padre. Con i suoi angoli consumati e
le frange spettinate quel tappeto le ricordava Nicole.
Ci avevano giocato insieme, nel breve tempo che le aveva viste
amiche, si erano rincorse e avevano sognato davanti al fuoco acceso.
Nicole era stato lunico essere vivente, dopo i suoi veri
genitori, a non avere pregiudizi nei suoi confronti, a non trattarla
come un mostro.
Ma era successo tutto secoli prima.
Era al sicuro adesso, suo padre aveva sicuramente provveduto alla
"sistemazione" di quelli che sapevano dove era nascosta. Questo
rientrava nel normale modo di operare delle persone come lui e la sua
coscienza non ne avrebbe sofferto.
Era riuscito a portarla lontana da tutto, ma non si poteva mai
dire.
Rimasta da sola cominciò ad avere paura.
Non per quello che potevano farle, non cera niente che non
le avessero già fatto, ma per quello che avrebbe dovuto
imparare a fare.
Anche se avesse limitato al minimo i contatti con le persone,
prima o poi avrebbe sicuramente dovuto familiarizzare con qualcuno, e
non cera abituata.
Entrò in soggiorno e si sedette sul tappeto. Provava una
strana sensazione, era libera, ma libera di fare cosa? I tanti anni
passati lontana dal resto del mondo lavevano privata di tutte
quelle piccole strategie che si imparano crescendo e che sono
indispensabili nei rapporti interpersonali.
Non aveva la minima idea di cosa volesse dire uscire con degli
amici, del resto non aveva mai avuto amici, non sapeva fare nessun
lavoro che le avrebbe permesso di trascorrere le giornate senza
pensare troppo a tutto quello che le era successo, non sapeva nemmeno
guidare una macchina.
Certo la mancanza di esperienze lavorative non sarebbe stato un
problema, perlomeno non dal punto di vista finanziario. Suo padre
avrebbe provveduto a tutte le sue necessità per mezzo di
assegni intestati ad un nome fittizio, lo stesso che si trovava sui
suoi documenti falsi e che prima di arrivare a lei avrebbero fatto il
giro di mezzo mondo, per evitare eventuali intercettazioni.
Che vita gli si prospettava? Quella di una preda perennemente
braccata, costretta a vivere con la paura di essere scoperta.
Ma lei non aveva più voglia di partecipare a quel gioco
crudele, poteva prendere una decisione e la prese in un istante: non
si sarebbe nascosta, sapeva che sarebbero venuti e lei li avrebbe
aspettati.
Nei mesi che seguirono lasciò che i capelli tornassero al
colore naturale (suo padre laveva costretta a scurirli e a
tagliarli) anche se non permise più che si allungassero, aveva
scoperto che il nuovo taglio era estremamente pratico e decise di
adottarlo definitivamente.
Non usò mai i documenti falsi se non per riscuotere gli
assegni mensili e non smise mai di fare lunghe passeggiate per le
strade del quartiere.
Tutto sommato si comportò con incoscienza per almeno un
anno e alla fine i suoi sforzi furono premiati.
Il cacciatore trovò le sue tracce in un tempo relativamente
breve e senza troppi disturbi.
Joliet, Illinois, Novembre 1997
Il killer era contento, se qualcuno glielo avesse prospettato solo
poco tempo prima, non gli avrebbe creduto.
Potersi prendere una così grande rivincita nei confronti di
uno degli uomini che aveva cercato di ucciderlo era un sogno troppo
bello perché lui avesse anche solo osato pensarci.
Invece ora gli si presentava la possibilità di vendicarsi,
di fare del male a quelluomo dalle mani curate che lo aveva
sempre trattato con disprezzo.
In verità di male ne era già stato fatto abbastanza
quando Vassily Peskow era stato spedito a "sistemare" la dottoressa
Bonita Chung-Sayre, una nota autorità in materia di virus, suo
medico personale nonché sua amante.
Aveva assaporato il piacere che deriva dal sapere che si sta
affondando la lama in una ferita che difficilmente potrà
richiudersi.
Aveva silenziosamente gioito alla notizia della riuscita missione
del vecchio sicario.
Credeva che niente gli avrebbe più procurato una sensazione
tanto intensa, ma si sbagliava. Lordine che aveva ricevuto dai
"consociati" era il sogno di una vita, per uno come lui. Poteva
vendicarsi veramente, avrebbe visto quelluomo dallaria
sicura e sprezzante, piegarsi sotto il peso della disperazione.
Giusto un anno prima aveva ricevuto il "via libera". Poteva
uccidere sua figlia.
Ritrovare le sue tracce non era stato poi così difficile,
certo, il vecchio laveva nascosta bene e per diversi mesi aveva
brancolato nel buio, ma poi la donna si era comportata da stupida e
lui laveva scovata.
Sapeva che questa era solo una figlia adottiva e per di più
era una di "loro", ma ciò non aveva impedito allanziano
uomo di provare per lei un affetto profondo.
Meglio così, la lezione sarebbe stata più
efficace.
Per un momento aveva avuto la tentazione di incaricare qualcun
altro. Quelle "cose" lo inquietavano, aveva ben chiaro il concetto di
"entità aliena", conosceva quello di cui erano capaci gli
"stranieri" e il pensarci gli procurò un brivido di disgusto
lungo la schiena.
Ma listinto omicida che sicuramente non gli mancava,
tornò prepotente a far sentire la propria voce e di lì
a poco si ritrovò a pensare che in fondo quello era una
soddisfazione da togliersi personalmente.
Il "lavoro " sembrava facile, la ragazza abitava in un quartiere
di case circondate da piccoli giardini che da Maggio a Settembre
dovevano essere pieni di fiori. La maggior parte erano adibite a
residenza estiva di famiglie che per tutto lanno vivevano e
lavoravano in città e in questo periodo erano disabitate.
Luomo fece il giro dellisolato più di una
volta, stando attento a non destare sospetti e rispettando
rigorosamente tutte le precedenze agli stop che ogni tanto
incontrava. Il dover spiegare ad un solerte agente della stradale il
perché di quella grossa pistola con silenziatore, non
rientrava nei suoi piani giornalieri.
Sul sedile del passeggero era adagiata una foto che ritraeva una
bella ragazza. Era stata scattata da lontano mentre la donna
camminava tranquilla per strada.
Quella foto non era molto dettagliata ma lui ne aveva ricevute
altre.
Alcune meno recenti mostravano il volto di una bambina dai grandi
occhi curiosi come solo gli occhi di un cucciolo possono essere.
Le immagini erano un riassunto dello stadio evolutivo di quella
che sembrava una persona normale.
Dalle foto di bambina era passato a quelle di una graziosa
ragazzina con i capelli lunghi e lo sguardo incantato
dallobbiettivo, lespressione ansiosa di chi pone domande
che rimarranno senza risposta.
Ma cera qualcosa di strano che accomunava tutte quelle foto.
Il soggetto non sorrideva mai. Non cera nessun segno della
spensieratezza tipica dei bambini o degli adolescenti. Quegli occhi
erano seri, consapevoli di qualcosa di cui avrebbero dovuto ignorare
lesistenza.
Riconobbe quellespressione per averla vista molte volte
stampata sul proprio volto riflesso allo specchio.
Quella "cosa", qualunque cosa fosse, conosceva sicuramente il
dolore.
Ora che il momento si avvicinava era indeciso, si stava chiedendo
se fosse giusto quello che stava per fare.
Gli capitava sempre di avere degli scrupoli poco prima di ogni
"lavoro".
In fondo poteva tradirli, era già successo.
Solo che questa volta non avrebbe più trovato un posto
abbastanza sicuro dove nascondersi. Lo cercavano tutti, e per tutti
si intende "tutti, da un emisfero allaltro".
No, non era il caso.
Vigliacco e traditore, ma non stupido. Non poteva tornare
indietro.
Joliet, Illinois, Novembre 1997
La torta era molto invitante, ricoperta di cioccolata e piccole
perline argentate di zucchero.
Quello non era il giorno del suo compleanno ma Daryll non se ne
curava più di tanto. In fondo non aveva mai saputo la sua vera
data di nascita, né il luogo
..
Daryll era una bella ragazza, o perlomeno "somigliava" ad una
bella ragazza, capelli rossi e corti, alta e con il corpo sinuoso e
scattante di una ginnasta, il volto regolare era impreziosito da due
occhi grigio scuro con lampi di azzurro, grandi, strani e
affascinanti. La bocca carnosa e il naso diritto come una statua
greca la facevano notare quando passava per strada.
Ma in quel momento non era l'attenzione degli uomini che avrebbe
voluto su di se.
Avrebbe voluto sparire, cancellare per sempre il ricordo della
propria esistenza, ma sapeva benissimo che questo era un sogno.
Presto sarebbero arrivati e l'avrebbero portata via, forse
nuovamente studiata, sicuramente uccisa.
Suo "padre" non era più molto potente, stava invecchiando,
e i suoi ordini cominciavano a non essere più ascoltati dagli
altri "consociati".
La resa dei conti era cominciata.
L'avevano tollerata senza accettarla e senza fidarsi mai
completamente di lei, ed ora che gli altri stranieri, quelli senza
coscienza o senso della lealtà stavano rivelando il loro volto
e stavano per arrivare, anche lei entrava a far parte delle
entità da relegare in un ghetto, da studiare e infine
distruggere.
Non c'era più spazio per le mezze misure: o sei come noi o
sei contro di noi.
Conosceva i loro metodi brutali e sapeva perfettamente che se
avessero mandato qualcuno ad ucciderla voleva solo dire che per una
volta la linea della pietà aveva prevalso.
Ma non ci sperava.
Mangiò la sua porzione di torta e uscì in giardino.
Il sole di Novembre le riscaldò la pelle e le mani, fredde e
nervose.
La strada era deserta ma lei sapeva che di li a poco qualcuno
sarebbe arrivato.
Sperava che mandassero qualcuno dall'aspetto rassicurante, una
persona anziana magari, che non la spaventasse troppo.
Quando immaginava l'uomo che avrebbe chiuso il suo "contratto", le
piaceva pensare alla faccia di Babbo Natale. Sarebbe stato sorridente
e pieno di attenzioni, fin quando non le avesse stretto le mani
attorno al fragile collo. In fondo non c'era niente di
particolarmente simpatico nell'immaginare Babbo Natale che strangola
qualcuno, ma a lei piaceva pensare questo, le permetteva di non
scappare (e dove?) di fronte al destino che stava per compiersi.
Magari poi, l'uomo incaricato non l'avrebbe nemmeno strangolata,
si sarebbe forse limitato a spararle da lontano o avrebbe messo un
veleno nel su cibo, Chissà.
La macchina arrivò silenziosa e si fermò di fronte
alla casa.
Era lui, lo "sentiva", ma non assomigliava a Babbo Natale.
Era giovane, sospettoso e spietato malgrado il sorriso e i tratti
delicati del volto. Daryll seppe in un attimo quello che c'era da
sapere.
Era un sollievo l'aver capito che non l'avrebbe costretta a
seguirlo in un terribile laboratorio dove le avrebbero
fatto
..non voleva pensare a ciò che avrebbero potuto
farle, a ciò che le avevano già fatto in tutti quegli
anni.
L'uomo si avvicinò a lei con una scusa banale, disse di
essersi smarrito e di non riuscire a tornare all'autostrada.
I suoi pensieri non erano tranquilli come lui avrebbe voluto che
fossero, aveva paura di lei e non riusciva a controllarsi.
Daryll lo invitò ad entrare per mostrargli una pianta della
città, e per permettergli di compiere il suo dovere con
tranquillità.
Si chiamava Alex Krycek (a Daryll non era mai piaciuto usare i
suoi poteri per curiosare nella mente degli estranei, ma visto che
questo sarebbe diventato il suo assassino, poteva fare uno strappo
alla regola), strano nome per un abitante di quella Nazione. Forse
anche lui era uno straniero, a modo suo. O forse lo erano stati i
suoi genitori.
Alex era sicuramente un bell'uomo, capelli neri e corti, il volto
aveva qualcosa che ricordava i lineamenti di un bambino e gli occhi
grandi, di un colore indefinito, verdi screziati di nocciola,
avrebbero ingannato chiunque sui reali pensieri che si celavano
dietro di loro.
Chiunque tranne lei.
C'erano dei ricordi orribili dietro quegli occhi apparentemente
sinceri, ricordi dolorosi, sensazioni sgradevoli di odio represso
verso il mondo intero e in parte verso se stesso.
Non c'era nessuno che potesse dire di avere amato, né c'era
nessuno che avesse mai provato ad amarlo.
La sua vita doveva essere stata dura se così giovane si
ritrovava ad essere arido e senza pietà come un vecchio
soldato che ha ucciso mille nemici e l'uccidere ancora non provoca in
lui nessun sentimento.
Daryll offrì all'ospite una fetta di torta ma lui
rifiutò distrattamente. Si stava guardando intorno e cercava
con meticolosità ogni possibile via di fuga che avrebbe
permesso alla sua vittima di scappare.
Povero Alex, non immaginava che Daryll era stanca di scappare o di
vivere prigioniera, non immaginava che quella per lei sarebbe stata
una liberazione più che una condanna.
Lui provava paura e disgusto quando la immaginava "straniera" e
questo faceva male a Daryll che straniera non si era mai sentita,
né come tale si era mai comportata. Era arrivata piccolissima
sul pianeta e dei genitori non serbava nessun ricordo.
Aveva considerato padre un uomo che di paterno poteva avere
l'aspetto ma non il cuore, anche se piano piano si era affezionato a
lei e aveva cercato in tutti i modi di tenerla nascosta, lontana da
quella follia.
Ma la follia stava dilagando e gli amici di suo padre avevano
vinto le resistenze di un uomo che era stato potente, ma che i
sentimenti nei confronti della ragazza avevano reso debole.
Così, qualcuno era arrivato per chiudere finalmente la
partita.
Il killer aveva paura e non si avvicinava più di tanto,
immaginava tentacoli ed altre assurdità uscire dal corpo di
quella che in un altro contesto sarebbe stata per lui una preda
sessualmente appetibile, da circuire con abilità e
piacere.
Si stava chiedendo perché mai non reagisse.
Si era accorto che lei "sapeva" e la mancanza di paura nel suo
sguardo lo spiazzava.
Tirò fuori da sotto il giaccone la sua pistola con
silenziatore e la puntò su Daryll che non si scompose.
L'avrebbe fatto in casa o l'avrebbe portata fuori, lontano, in un
posto dove nessuno sarebbe mai andato a cercare il suo corpo? Non
aveva molta importanza, l'importante era che lo facesse bene e senza
farla soffrire troppo.
Decise di facilitargli il compito e accennò una timida
reazione, giusto una mossa per dargli il pretesto di sparare, e
quando la pallottola la colpì proprio in pieno petto,
sentì solo un lieve bruciore e cadde a terra come un animale
narcotizzato.
La ferita era mortale, Alex sapeva fare il suo lavoro, ma c'era
ancora tempo.
Cadde bocconi sul tappeto che suo padre le aveva regalato solo un
anno prima insieme alla casa.
Il suo sangue blu macchiò la preziosa trama e si sparse sul
pavimento.
Krycek trovò finalmente il coraggio di avvicinarsi,
inquieto, ancora sospettoso.
E se stesse fingendo?
No, era troppo bravo con la pistola e da quella distanza non
poteva averla mancata.
Si chinò su di lei e girò il corpo per constatare la
bontà del suo operato.
In quel momento lei gli afferrò la mano destra e la strinse
con tutte le forze che ancora le rimanevano.
Erano vicini ora, i loro occhi si stavano incontrando e gli
sguardi non erano più sfuggenti come pochi minuti prima.
Alex era stupito e confuso, la vista di quel sangue che non aveva
niente di umano lo infastidì, ma non quanto avrebbe
voluto.
La morte che arriva è uguale per tutti, in qualsiasi parte
dell'universo succeda e qualunque sia il colore del sangue
versato.
Gli occhi della ragazza lo scrutavano senza rimproverarlo, erano
calmi e sereni, belli e lucenti e stavano scavando dentro di lui alla
ricerca di un'anima che non avrebbero trovato.
Quello sguardo lo costrinse a pensare e a sentirsi un po' a
disagio. Per una frazione di secondo la coscienza di Alex si era
svegliata e lui si stava chiedendo "perché l'ho fatto?", "che
senso ha questa storia e cosa sono diventato?"
Daryll credette di vedere nelle pupille dell'uomo, dilatate dalla
sorpresa, qualcosa che somigliava ad un rimorso.
Ma fu solo l'impressione di un momento.
La dura corazza che per un istante era caduta, stava tornando al
suo posto, a mascherare di nuovo le emozioni (ma aveva mai provato
delle emozioni?) ed i pensieri più intimi di Alex Krycek.
Daryll non provava dolore, solo una grande pace. I suoi
dèi, quelli che di lei si erano dimenticati in un caldo giorno
d'estate di molti anni prima, quando l'astronave sulla quale
viaggiava era precipitata uccidendo i suoi veri genitori, ora la
stavano chiamando e il suo ultimo pensiero fu che stava morendo tra
gente che non era la sua gente e nel giorno in cui avrebbe dovuto
festeggiare un compleanno che non era il suo, su un pianeta che non
era il suo
..tra le braccia di un uomo che non era e non sarebbe
mai stato suo.
F I N E
Ad Antonio.
Con amore
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