Melissa

 

Il male è in noi, è un’orribile potenzialità degli esseri umani

Patricia Cornwell

 

Melissa James sollevò il coltello da macellaio. Era ancora insanguinato dai precedenti quattro delitti. Improvvisamente comparvero dietro di lei delle figure simili ad ombre. L’ispettore Marlon riusciva appena a distinguerle; erano le sue vittime, il figlio, l’ex-fidanzato, un giornalista del "Times", e l’assessore alla pubblica sicurezza Gordon Turner. Tutti avevano il torace massacrato di coltellate, e nessuno di loro aveva le orecchie. Il sangue usciva a zampilli regolari dalle loro bocche, e il Collezionista rideva spudoratamente. Marlon era inchiodato in un angolo; nella sua mente una girandola di emozioni gli impediva di pensare liberamente. In un attimo di lucidità si ricordò di avere con sé la pistola d’ordinanza: la estrasse e scaricò violentemente il caricatore addosso alla feroce assassina. Ma Melissa continuava ad avanzare ignorando i colpi che le penetravano nella testa, nella pancia, nelle gambe, nel torace. Continuava soltanto a ridere, con il suo coltello in mano. L’ispettore Marlon ripensò alla sua vita; era stata una vita al servizio della legge, condotta secondo degli ideali precisi che non aveva mai tradito. In fondo aveva sempre saputo di dover morire; con tutti i mostri che affrontava quotidianamente era prevedibile…

Intanto Melissa aveva cominciato a colpire con rabbia il torace del poliziotto. L’investigatore si lasciò andare, abbandonò le forze senza tentare neanche una difesa. Come era possibile difendersi d’altronde dagli oscuri disegni del destino?

Gli si oscurò la vista, proprio mentre la serial killer procedeva al taglio delle orecchie. Un pezzo pregiato che avrebbe arricchito la sua collezione…

 

L’ispettore Jhon Marlon si svegliò in un bagno di sudore. Così non poteva continuare. Ogni notte un maledetto incubo, ogni notte veniva ucciso, sempre dalla stessa assassina… Era un’ossessione: Melissa James, Il Collezionista, come l’avevano ribattezzata i giornali, gli stava rovinando la vita.

Fino a un mese fa aveva risolto tutti i casi di omicidio che gli erano capitati davanti; non era però riuscito a fermare la serial killer più ricercata della Gran Bretagna, anzi del mondo intero. Era notizia di ieri che L’Fbi, di cui lui era consulente da alcuni mesi, aveva stanziato un mandato di cattura internazionale, che comprendeva addirittura i paesi dell’Africa. Uccidere un assessore era già un reato di estrema gravità, ma farlo in quel modo rappresentava una vera e propria sfida agli organi di polizia di tutto il globo. L’immagine di Gordon Turner gli tornò davanti agli occhi; non gli era mai stato troppo simpatico, ma una morte del genere non si augura a nessuno. L’assessore aveva un coltello piantato nel torace, gli occhi sbarrati, le orecchie mozzate. Ricordava anche l’urlo di terrore della segretaria dell’assessore; tuttora era in ospedale sotto shock. Ricordava quella signora anziana composta che rispondeva alle sue domande; non aveva mai sospettato che il male si annidasse in quella persona. Aveva sbagliato; un errore grave, che era costata la vita di un politico importante. Ora si erano perse le tracce del Collezionista; dopo il quarto omicidio Melissa non era tornata a casa, era scomparsa nel nulla, come volatilizzata. E l’ispettore Marlon si rodeva dal rimorso.

Le sue riflessioni furono interrotte dallo squillo del telefono. La voce burbera dall’altro capo gli era famigliare:

"Pronto, Jhon? Sono Michael, ti ho svegliato per caso?"

Michael Carrella era ispettore della Omicidi da quindici anni, e, con la sua esperienza, era stato una guida per Jhon. Il suo caratteraccio non lo rendeva però simpatico ai superiori.

"Non stavo dormendo" rispose il detective, animato da un turpe presentimento

"Ha telefonato il capitano Hector Paz della pubblica sicurezza. Chiamava per conto dell’Fbi"

Marlon aveva conosciuto il capitano circa un anno prima, quando aveva dato la caccia insieme a un serial killer che agiva a New York.

"Ha detto che era urgente. Forse è meglio che lo richiami"

"Va bene, grazie Michael. Ci vediamo domani"

"Non so se sarò ancora vivo. La cosa che odio di più dopo il Manchester United è il maledetto turno di notte!"

Il tempo di cercare il numero dello spagnolo, e Marlon avviò la chiamata. La voce segnata da un forte accento madrileno rispose dopo un paio di squilli

"Buonasera, capitano Paz. Sono Marlon"

"Grazie a Dio ha richiamato subito. Come ve la passate laggiù?"

"Abbastanza bene, se si esclude l’omicidio del senatore Turner"

"Proprio di questo volevo parlarle. In qualità di consulente deve raggiungere il Bureau al più presto"

"Perché? Cosa è successo?"

"Stamattina è stato ritrovato a Washington il cadavere di un agente nella metropolitana. E’ stato ucciso con diverse coltellate al torace e gli sono state mozzate entrambe le orecchie"

L’investigatore provò un brivido su per la schiena

"A Quantico non hanno dubbi" continuava il capitano "si tratta dello stesso assassino che fino a poco tempo fa uccideva a Londra. Le modalità dei delitti sono identiche"

"E’ incredibile…" mormorò l’ispettore

"Gli investigatori hanno richiesto il suo aiuto. Lei conosce bene Melissa James, potrebbe aiutarci…"

"Quando devo partire?"

"Le abbiamo prenotato un posto sullo scalo Londra-Washington per domani mattina alle otto ora inglese. Se non le va bene possiamo fare l’aereo successivo…"

"Va bene alle otto"

"Sarò all’aeroporto a prenderla. La ringrazio a nome di tutto il dipartimento, per noi il suo contributo potrebbe rivelarsi fondamentale…"

L’ispettore posò la cornetta pervaso da un acuto senso di angoscia. Era tornata a colpire. Ma si era spostata. Quante vittime avrebbe ucciso ancora? Quante paia di orecchie si sarebbero aggiunte alla sua collezione?

Jhon si alzò dal letto, consapevole che dopo quello dormire sarebbe stato impossibile.

 

Durante il viaggio in aereo la mente del giovane ispettore era una girandola di pensieri. Ripensava a Melissa James, quella signora composta che rispondeva educatamente alle sue domande… e un attimo dopo la rivedeva con un coltello in mano nell’atto di pugnalare a morte il senatore Turner. Era il più pericoloso serial killer che gli era capitato di incontrare. E ora si era trasferita a Washington. L’investigatore evitò di trarre subito le conclusioni, dato che ancora non aveva esaminato gli elementi del nuovo, agghiacciante caso. La hostess gli stava porgendo una copia del "New York Times". Ancora prima di aver postato gli occhi sulla prima pagina, Marlon immaginava quello che c’era scritto.

< Ucciso un poliziotto a Washington DC; il ritorno del Collezionista?>

Con un gesto di stizza il detective piegò il giornale e lo strappò in due parti.

 

La metropolitana pullulava di curiosi. I soliti barboni dalle anime in pena si aggiravano sconsolati, una massa di fotografi scatenava i suoi flash sulla scena del delitto recintata. L’omicidio era avvenuto il giorno precedente, ma lo scalpore era ancora vivo.

L’ispettore Marlon, arrivato quella mattina, si guardava attorno con attenzione. La sagoma del cadavere dell’agente Cary Reed era tracciata sull’asfalto insanguinato. Il comandante Paz contemplava attentamente l’espressione dell’investigatore inglese; aveva imparato a stimarlo, da quando, circa un anno prima, aveva salvato un innocente dalla forca, dimostrandosi più acuto degli agenti federali stessi.

"Qual era la posizione del corpo?" chiese l’inglese

"Steso a faccia in giù. A prima vista pareva… che stesse dormendo…"

"Ci sono particolari che hanno catturato la vostra attenzione?"

"Solo uno; l’agente Reed è stato privato della sua pistola d’ordinanza dopo essere stato assassinato"

"Mi sembra uno scenario molto strano…"

"Le circostanze sono analoghe con i precedenti omicidi di Melissa James. Abbiamo controllato gli schedari, ispettore; modalità praticamente identiche"

"Non mi riferisco a quello. Melissa James non è completamente psicopatica; uccide solo chi, secondo i suoi contorti ragionamenti, merita di morire. A Londra ha ammazzato il suo amore giovanile, perché dopo averla messa incinta era sparito nel nulla. Poi suo figlio, perché era frutto del ventre impuro del traditore. Un giornalista, che aveva intuito casualmente la verità, e il senatore Turner, colpevole di aver pronunciato un discorso in televisione"

"E questo cosa significa?"

"Ho parlato personalmente con questa donna, quando ancora la verità era ancora molto lontana. Ho imparato a conoscerla, e a capire perché compie queste azioni sanguinose"

"Questo non vedo come rientri nel discorso sull’omicidio dell’agente Reed…" obiettò ancora il capitano, visibilmente perplesso

"L’agente Reed" spiegò l’ispettore "è stato ucciso senza un motivo. Perché l’assassina avrebbe dovuto avercela con lui?"

"Magari l’aveva fermata perché era ubriaca o cose del genere…" avanzò Paz

"Certo, è possibile. Ma la James non lo avrebbe ucciso. Come ho detto, nella sua mente malata non agisce a casaccio, i delitti sono sempre giustificati"

"Tutto questo dove ci porta? E’ stato un omicidio premeditato? Melissa James conosceva la sua vittima?"

"Non lo so. Potrebbe essere… per il momento ogni ipotesi è da tenere in considerazione"

 

Marlon ricordava l’odore acre e pungente del cupo edificio newyorkese situato in Salsbury Street. Il cadavere dello sciagurato Reed era stato trasferito lì, e l’autopsia era prevista per quella mattina. L’ispettore ricordava anche il dottor Wright, le sue mani sempre operose, il suo odio profondo per il suo lavoro e per i mostri che lo incrementavano quotidianamente. Anche il medico legale si ricordava dell’ispettore; quel giovane investigatore inglese un po’ ingenuo che ispirava fiducia al primo sguardo.

Nella sala d’aspetto dell’obitorio Jhon trovò un uomo grasso e semicalvo che gli venne incontro:

"Buongiorno, ispettore Marlon. Sono il tenente Valery Ivanov dell’Fbi. Coordino le indagini sull’omicidio di Cary Reed. Diamoci del tu, odio i convenevoli. Ed entriamo; io e il dottor Wright ti stavamo aspettando per l’autopsia"

Valery Ivanov, intuì Marlon, era di genitori russi ma nato in America. La sua parlata non conservava nessuna traccia dell’alfabeto cirillico.

Wright era come se lo ricordava: tarchiato, con una perenne espressione contrariata dipinta sul volto, ma estremamente efficiente. Marlon dubitava si potesse trovare un dottore di quel genere più efficiente di lui in tutti gli Stati Uniti.

L’uomo salutò, e senza troppi convenevoli, gli fece indossare il camice con la mascherina e i guanti chirurgici. Una precauzione elementare con tutti i batteri che erano in giro nella sala delle autopsie. Il tenente Ivanov era estremamente attento.

"Come mai Paz non è venuto?" chiese bruscamente il medico

"Era impiegato in una riunione provinciale" spiegò Marlon

Successivamente per una decina di minuti ci fu silenzio assoluto. I due investigatori osservavano il medico legale praticare l’incisione a Y, esaminare attentamente gli organi interni, il torace lacerato dalle coltellate, i monconi sanguinolenti delle orecchie, il cranio scoperchiato del cadavere. Tutto questo con la massima naturalezza. Dopo aver misurato più volte la pressione con un lungo termometro, afferrò una sega elettrica Striker, e, sempre in silenzio, attaccò la presa. Il rumore era terribile, e la visione a cui assisteva Marlon non molto più invitante: il dottore segava gli arti della vittima, esaminava accuratamente le ossa, raccoglieva campioni, e poi ricuciva il tutto. Il fegato fu estratto completamente ed esaminato alla luce. L’ispettore londinese, pur non essendo esperto in quel campo, notò alcune ferite profonde che erano sicuramente dovute a un coltello da macellaio. Wright estrasse anche il cuore; una coltellata lo aveva quasi spaccato in due parti uguali. Senza battere ciglio il medico lo racchiuse accuratamente in un contenitore. Poi passò ad esaminare lo stomaco e l’esofago. Marlon provò un senso di profonda repulsione quando il contenuto fu svuotato e si scoprì che l’agente Reed, circa un’ora prima di morire, aveva mangiato un hamburger e una incalcolabile quantità di arachidi.

Il medico legale scarabocchiava qualcosa su un blocco per gli appunti senza mai alzare gli occhi dal cadavere dell’agente. Jhon si augurò di non morire mai in circostanze sospette; non avrebbe gradito che il suo corpo venisse aperto da qualche dottore con la stessa disinvoltura con cui si apre una scatola di fagioli sott’olio.

Sperò con tutto il cuore che quella seccatura gli venisse risparmiata.

 

Il dottor Wright attaccò a parlare cinque minuti dopo, quando il cadavere del poliziotto era racchiuso nella cella frigorifera. Marlon tirò un sospiro di sollievo; quel penoso rituale si era concluso. Ivanov ascoltava sempre con la stessa attenzione. Il medico legale stava dicendo:

"…I colpi sono stati inflitti con una ferocia che poche volte mi è capitato di incontrare. Il cuore, come avete potuto vedere, è stato spaccato in due parti.

L’assassino ha vibrato le coltellate da destra verso sinistra; questo elemento ci porta a stabilire quasi con certezza che si tratta di un destro o di un ambidestro. Le orecchie sono state mozzate di netto, entrambe dopo la morte. La vittima presenta un’emorragia interna da cui non è fuoriuscito molto sangue. Il che significa che il delitto si è svolto in tempi brevi; dopo trenta secondi l’uomo era già cadavere, successivamente l’assassino si è "divertito" ad infierire. La morte dovrebbe essere sopraggiunta alla seconda pugnalata, appunto perché i colpi sono stati vibrati con notevole forza e…"

"E’ stata la coltellata al cuore quella fatale?" chiese Ivanov

"No; quella è stata vibrata successivamente, quasi il maniaco si sia voluto assicurare la morte della sua vittima."

Ci fu un attimo di pausa, poi il medico riprese:

"Sul cadavere ho notato la presenza di un paio di fibre. Le spedirò al laboratorio per farle esaminare. E’ possibile che siano state lasciate dall’aggressore"

Marlon parlò cautamente:

"Ritiene fondata, dottor Wright, l’ipotesi che l’agente sia stato ucciso da Melissa James?"

"Ho operato l’autopsia cercando di non tenere conto dell’ipotesi del serial killer di Londra. Ma ho seguito la storia, e mi sono fatto mandare i reperti delle autopsie sulle altre vittime. Mai la signora James ha vibrato colpi di tale violenza. E’ impossibile, dal punto di vista medico, che una donna ultrasessantenne riesca ad uccidere un giovane poliziotto in meno di trenta secondi. In una parola, non è stata lei."

Ivanov era sconvolto. Fissava il medico con gli occhi sbarrati

"Ma il delitto è identico agli altri quattro che…"

"Non voglio rubare il mestiere a nessuno, tenente Ivanov. Ma per questo reato sono sicuro che dovete cercare un uomo, anche piuttosto robusto, tra i venti e i quarantacinque anni"

Il fantasma di Melissa James si era materializzato nel cervello dell’ispettore Marlon. Non era stata lei; ma dov’era la sorpresa? In fondo se lo sentiva, fin da quando aveva osservato la prima volta il cadavere… ma allora dov’era la psicopatica? Cosa stava tramando adesso? Chi progettava di uccidere?

 

Un delitto d’imitazione. Non era stata Melissa.

Questo pensiero rimbalzava prepotentemente nella mente dell’investigatore, mentre tornava al suo albergo in taxi, insieme alle immagini di un coltello insanguinato, di un cuore spaccato in due, di una manciata di arachidi male masticati…

 

Non era stata Melissa.

Dov’era Melissa?

 

Katy Wolfer era a capo della sezione Scientifica del Bureau. L’ispettore Marlon non si era aspettato di trovarla così giovane: doveva avere appena trent’anni, una coda di cavallo bionda che le ricadeva sulle spalle, un paio di curve strepitose. L’investigatore si chiese se anche quello la avesse aiutata a fare carriera nella polizia. D’altronde aveva la stessa età di Marlon, ma lui non era a capo di alcuna sezione investigativa.

Quel pomeriggio la ragazza aveva chiamato l’ispettore per l’esame delle fibre ritrovate sul cadavere dell’agente Reed. Quando le strinse la mano, pensò con l’ombra di un sorriso che, in quel lungo camice bianco, la dottoressa era sprecata. Era la prima volta da un mese che si sentiva quasi allegro.

"E’ un caso difficile, suppongo…se hanno chiamato lei da Londra…" iniziò Katy

"L’omicidio di un poliziotto, come di ogni altra persona, non è mai un affare semplice"

"Ma veramente siete convinti che il ‘Collezionista’ si sia trasferito a Washington?"

"E’ l’ipotesi che stiamo tenendo maggiormente in considerazione…" mentì il detective

"Wright mi ha inviato le fibre… ho aspettato il suo arrivo per iniziare ad esaminarle"

"La ringrazio. Possiamo iniziare?"

"Certamente"

Entrarono in un classico laboratorio di analisi. Strumenti a Marlon completamente estranei, che ricordavano strani animali primitivi ormai scomparsi, o innovatrici invenzioni ancora sconosciute al mondo, erano poggiati su tavoli accuratamente disposti in maniera da non impedire il passaggio.

Gli unici oggetti che tornarono famigliari all’ispettore erano un sofisticato microscopio, che ricordava di aver già visto senza ricordare dove, e un paio di computer su cui due uomini erano indaffarati.

Il microscopio era collegato con un apparecchio speciale che consentiva di vedere le immagini su un proiettore video. La dottoressa estrasse da un armadio due buste di plastica con il timbro dell’Fbi e cominciò ad esaminarne il contenuto con il sofisticato apparecchio. Spense la luce nella sala, senza curarsi dei due che stavano lavorando al computer, perché comunque lei era il capo lì dentro, e mise in moto il proiettore. Apparse un frammento rosso dai contorni irregolari. La Wolfer alternò per due minuti l’osservazione al microscopio e quella ingrandita sul video, mentre l’ispettore guardava in silenzio. Finalmente la donna disse:

"Un maglione di lana rosso. Ecco quello che indossava l’aggressore. Questa fibra non lascia alcun dubbio"

"Come può essere finita sul corpo dell’agente Reed?" chiese l’investigatore

"Probabilmente c’è stato un contatto fisico. Anche se è durato meno di un secondo la fibra di lana si è depositata"

Tornò in mente al detective la perquisizione al guardaroba di Melissa James; secondo la testimonianza di una conoscente mancavano un giaccone di pelle, un paio di pantaloni di nylon, e una maglia di lana rossa.

Un vortice di dubbi assalì la sua mente: era solo una coincidenza, o…

"L’agente Reed è stato ritrovato a terra all’interno di una stazione della metropolitana. Avrà raccolto centinaia di fibre dal pavimento…come è possibile stabilire quale si stata lasciata dall’assassino?" domandò Marlon

"Come vi avranno riferito il corpo dell’agente era a testa in giù. Mi è stato chiesto di esaminare solamente le fibre rinvenute nelle parti del corpo che non siano state a contatto con il terreno. Mi spiego?"

"Ma allora l’aggressore ha immobilizzato Reed cingendogli il collo con un braccio. Solo così la fibra sarebbe potuta essere rinvenuta sulla schiena"

"E’ quello che penso anch’io. E questo mi fa sorgere un dubbio; una donna avrebbe avuto la forza di immobilizzare un uomo abbastanza robusto in quel modo?"

L’ispettore restò in silenzio. Troppi elementi contraddittori. Troppi dubbi. Troppa confusione. Era un caso difficile, aveva ragione la dottoressa. Sembrava che qualche forza superiore si divertisse a confondere le idee agli investigatori. Il delitto era identico a quelli commessi da Melissa James, sul cadavere erano state rinvenute fibre di un maglione di lana come quello di Melissa James. Ma non era stata Melissa James. A che gioco si stava giocando? Il destino si divertiva a mescolare le carte, a disporre degli uomini a suo piacimento. Marionette. Nient’altro che marionette.

Le riflessioni dell’ispettore Marlon furono interrotte dalla voce della bella dottoressa Wolfer, che stava dicendo:

"Questa che vede proiettata ora è un’altra fibra rinvenuta sul cadavere del poliziotto"

L’investigatore si voltò verso lo schermo. L’immagine non era cambiata. Pensò che il marchingegno dovesse essersi guastato, e guardò le faccia della dottoressa con aria confusa.

"Quella è la stessa di prima…"

"Sembra, vero? Invece è un’altra fibra. Sempre lana, sempre maglione"

"Identica alla precedente?"

"Esatto. Strano, ma non impossibile. Non fa altro che rafforzare la nostra ipotesi. Una fibra può essersi depositata per caso, due no"

Quando uscì dalla sede della Scientifica, l’ispettore trovò Ivanov ad attenderlo.

"Sto andando ad interrogare il padre dell’agente Reed. L’unico parente vivo che aveva. Salga in macchina, per strada mi racconterà cosa è saltato fuori dagli esami sulle fibre"

Mentre entrava nella vettura, l’immagine apparsa in sogno delle vittime di Melissa James tornò a farsi viva nella sua mente, e lo stomaco gli si chiuse in una morsa.

La morsa dei sensi di colpa.

 

Central Park era un luogo di ritrovo tra amici e signore di giorno, un inferno infestato da spettri e anime dannate di notte. Il traffico di droga era un mostro dalle fauci spalancate contro il quale la polizia poteva soltanto restare indifferente, che puntualmente iniziava alle dieci di sera per concludersi alle quattro di notte, quando cioè la sarabanda aveva termine ed il luogo ritornava in possesso della gente "normale". Se tutto ciò fosse normale o no era inutile chiederselo; era così e basta, chi avrebbe provato a cambiare la situazione sarebbe stato travolto da una realtà cinica e sanguinaria.

Quella sera, alle dieci e un quarto, gli spacciatori, i compratori, i teppisti cominciavano ad appostarsi nelle loro zone, in attesa di movimentare una notte che sarebbe altrimenti trascorsa noiosamente, come tutte le altre. E il diversivo arrivò veramente, ma non fu esattamente un avvenimento gradito al popolo notturno; una prostituta, mentre camminava disinvolta illuminata dalla luce della luna, a ridosso di un branco di cespugli, inciampò cadendo rumorosamente a terra. Subito fu circondata da una ventina di individui; non occorse molto tempo per rendersi conto della situazione. Un uomo giaceva in posizione innaturale, nascosto tra due cespugli. Era morto, con tutti gli indumenti imbrattati di sangue. E, per di più, era un poliziotto.

La frenetica attività notturna quella nottata terminò prima del previsto.

 

Melissa James indossava un maglione di lana rosso. Davanti a lei, Charles Reed era legato ad una sedia con espressione sofferente. Sapeva cosa lo aspettava. Sapeva chi aveva davanti. Sapeva che quell’anziana signora aveva ucciso suo figlio. Sapeva che era pazza. Sapeva che avrebbe ucciso anche lui. Il Collezionista parlò con voce roca:

"Cary mi implorava di non ucciderlo. Dovevi sentirlo, Charles. Dovevi sentire i suoi rantoli mentre gli infliggevo le coltellate sul torace. I medici dicono che sono pazza, sai?"

Improvvisamente sbucò un coltello da macellaio da un angolo della stanza. Melissa lo afferrò:

"Non ho mai tagliato le orecchie a nessuno vivo. Potrebbe essere interessante provare…"

L’uomo chiuse gli occhi. Era troppo atroce, non poteva finire così, quella donna non poteva ucciderlo in quel modo. Sentiva che si avvicinava…

Si dice che al momento della morte la vita scorra davanti agli occhi come un film: purtroppo per lui, Charles Reed non poté ascoltare il sonoro…

Un urlo squarciò il silenzio. Era successo ancora.

Jhon Marlon non aveva neanche la forza di mettersi a sedere sul letto. Gli stava rovinando la vita. Gli aveva tolto la tranquillità, il successo… e ora anche il sonno. Melissa James era un’ossessione. Proprio quella sera aveva interrogato insieme a Ivanov Charles Reed: era sconvolto dal dolore, non riusciva a capire, a capacitarsi. La sua coscienza lo accusava, mentre la sua logica gli impediva di attribuirsi le colpe delle azioni di una pazza psicopatica. Quale delle due aveva ragione?

Il telefono dell’albergo squillò, facendo sobbalzare violentemente Marlon: Dopo una decina di secondi impiegati per riprendersi, alzò il ricevitore, riconoscendo l’accento spagnolo del responsabile della pubblica sicurezza Hector Paz.

"E’ stato trovato un cadavere a Central Park" disse senza preamboli

Incredibilmente l’ispettore non mostrò alcun segno di sorpresa.

"Chi è la vittima?"

"Claude Plumber. Era un agente, come Reed"

"Come è stato ucciso?" chiese, ma conosceva già la risposta

"Orecchie mozzate, stessa ferocia. Il dottor Wright a prima vista ha contato trentasette coltellate"

"Che ore sono adesso?"

"Le cinque e dieci"

"Vi raggiungerò al più presto"

Attaccato il ricevitore, l’investigatore forse per la prima volta nella sua vita provò un senso di rassegnazione e sconforto assoluti: quante altre volte sarebbe stato svegliato nel cuore della notte? Quanti altri cadaveri, ridotti tali da individui come Melissa James, avrebbe dovuto esaminare?

Il male si stava espandendo come una macchia di maleodorante petrolio.

Fermarlo era una futile illusione dei deboli.

 

Central Park alle sette del mattino era già inondato dal sole. Sarebbe stata una bella giornata. L’ispettore Marlon rifletté con rammarico sull’ennesima bella giornata impiegata a correre dietro a un’assassina fantasma. Era davvero coinvolta, o qualcuno la stava imitando? I fantasmi della sua malattia mentale si erano riflettuti su un altro individuo?

Ma era inutile porsi quelle domande per una pusillanime marionetta in balia del destino.

Hector Paz era stanco. Marlon non l’aveva mai visto così stanco. Neanche ai tempi del serial killer cannibale. Melissa James superava ogni limite: uccideva, lasciava dietro di sé degli indizi, ma allo stesso tempo era impossibile che fosse lei l’assassina. Tutto questo, ad opera di una signora che aveva adesso quasi settanta anni. Ma il male ormai si espandeva irrefrenabilmente, e anzi l’ispettore aveva imparato che era attratto proprio dagli animi più innocenti. Marlon lo combatteva ogni giorno, ma allo stesso tempo sapeva di non poter vincere. Le Melissa James si moltiplicavano a vista d’occhio in una società malata.

I giornalisti erano arrivati, e i giornalisti erano andati via. La scena dell’omicidio era recintata con quelle classiche strisce marchiate dalla scritta "Fbi" che l’ispettore conosceva maledettamente bene. Il tenente Ivanov aveva dipinta sul volto una smorfia di profondo disgusto verso il mondo: rincorrere qualcuno che si divertiva a far schiattare poliziotti non era precisamente l’ambizione di un investigatore.

"Claude lo conoscevo" disse, come in uno sputacchio

L’ispettore gli si avvicinò, e gli sussurrò quasi dolcemente:

"Dobbiamo prenderla. La prenderemo"

"Prenderemo chi?"

"Melissa James"

"Non è stata lei"

"Io sono convinto…"

"Guardi il cadavere" tagliò corto l’agente federale, sollevando bruscamente il telo che era posato sul corpo di Plumber. L’ispettore ebbe un fremito ed indietreggiò istintivamente di alcuni passi. Il volto dell’agente non si riconosceva, a causa della violenza dei colpi che lo avevano sfigurato; diverse ossa erano rotte, la posizione in cui era contratto il cadavere sarebbe stata impossibile da raggiungere normalmente. La divisa blu era ormai rossa. Rossa come le fiamme dell’inferno.

"Non è stata una donna, sicuro come il diavolo" borbottò Ivanov

Paz era fermo immobile in un angolo, in una posizione quasi statuaria, gli occhi fissi nel vuoto.

Solo quando i due investigatori gli andarono vicino disse, in un bisbiglio:

"Darò le dimissioni"

I due uomini restarono in silenzio. Dentro di sé l’ispettore non provava alcuna sensazione.

"Sono stanco di questi bastardi maniaci" continuò il responsabile della pubblica sicurezza "Sono anni che li rincorro, che mi occupo di tranquillizzare i cittadini, che sono costretto a sputare un mare di bugie… ogni volta la stessa filastrocca: la situazione è sotto controllo, la popolazione non corre alcun pericolo… e invece questi stronzi continuano ad ammazzare tranquillamente"

"Se me lo potessi permettere, farei come te" sentenziò Ivanov. L’ispettore pensò che per certi tratti il poliziotto gli ricordava il suo amico Carrella. Burbero ma capace.

Dei pensieri si erano risvegliati nella mente di Marlon

"Arrendersi significa dare ragione a questi assassini" disse lentamente.

Ma Hector Paz aveva già oltrepassato il cancello del parco e si stava avviando verso la sua macchina, gli occhi impregnati di lacrime.

 

Celine Plumber e suo marito Daniel sedevano sul divano in silenzio, con il cuore gonfio di angoscia. L’ispettore Marlon si odiò profondamente per dover disturbare il taciturno dolore di una tragedia così grande che aveva colpito quella famiglia di origine francese.

"Lo dicevo io che con quel lavoro…" bisbigliò la donna, una piacente signora bionda, che in quel momento sembrava a un passo dalla morte, bianca come un cadavere

"Il nostro è il lavoro più brutto del mondo, Celine" disse l’investigatore, chiamando la signora per nome. Si era ritrovato a pensare una cosa del genere anche in un’altra occasione, sempre davanti al famigliare di una vittima di omicidio. Alla fine però l’assassino in quel caso era stato consegnato alla giustizia, in questo la speranza rappresentava più un’utopia che una possibilità logica.

"Quando vi siete trasferiti in America?"

"Claude aveva due anni e mezzo" disse il padre, un uomo corpulento che era profondamente segnato "ci trasferimmo per motivi economici. Io e mia moglie avevamo trovato lavoro qui in una ditta di cosmetici. Ma forse sarebbe stato meglio rimanere…"

"Claude aveva fatto negli ultimi tempi qualche allusione sull’omicidio di un suo collega?"

Fu la madre a rispondere:

"Mio figlio conosceva Cary. Erano stati qualche volta di ronda insieme…"

"Era andato ai funerali?" chiese l’ispettore, con una lampadina che si accendeva nel suo cervello

"Si… siamo andati tutti… lui ne era rimasto profondamente colpito… l’agente Reed era stato qualche volta a casa nostra, anche lui era un caro ragazzo, molto generoso… pareva quasi avesse due cuori…"

La signora si coprì la faccia con le mani. Non c’era rimedio contro un mondo che non riusciva a liberarsi dei suoi fantasmi.

"Signora, si sente bene?" disse il poliziotto

La donna stramazzò al suolo, sbattendo la testa allo spigolo di una mobile. La nuca iniziò a sanguinare. Il detective si alzò istantaneamente

"Le prema uno straccio sulla ferita. Chiamo un’ambulanza"

 

Ivanov sedeva contrariato all’interno del Regent’s Pub, contemplando con aria di sufficienza una pinta di birra che, in altre circostanze, sarebbe risultata invitante. L’ispettore Marlon non aveva ordinato niente; anche la fame in quel momento era un bisogno secondario

"Celine Plumber ha un’emorragia interna. Potrebbe entrare in coma" disse

"Questo dannato mondo è come una mela marcia. Escono vermi da tutte le parti" ribatté il collega

"Il capitano?" chiese Jhon, riferendosi a Hector Paz

"Ha consegnato le dimissioni all’ora di pranzo. Uno in meno"

Per un paio di minuti i due uomini rimasero in silenzio, come se volessero rendere omaggio all’ex responsabile della pubblica sicurezza, poi l’investigatore inglese parlò, con lentezza deliberata:

"L’assassino ha deciso di uccidere Plumber durante il funerale dell’agente Reed. I due si conoscevano, e probabilmente il maniaco è andato ad ammirare il frutto della sua opera. La conosco troppo bene questa gente per sbagliarmi"

"Dovevamo controllare le persone alla funzione. Maledizione"

"La cerimonia in memoria di Plumber dovrà pullulare di agenti. E’ l’unico modo per prenderlo"

"Non è detto che ci vada. Purtroppo abbiamo già sperimentato la sua dannata astuzia"

"E’ l’unico elemento a cui possiamo aggrapparci"

Ancora una manciata di secondi di silenzio, poi il russo chiese:

"Sei ancora convinto che tutto questo sia opera di Melissa?"

"Non lo so. Non so cosa pensare"

"Non sarebbe la prima volta che uno psicopatico si diverte a riprodurre un caso famoso. A Seattle qualche mese fa abbiamo avuto un tizio che si spacciava per il figlio di Jack lo Squartatore. Peccato che sulla scena di un delitto abbia perso la sua carta d’identità"

"La verità è che non ne verremo mai a capo" disse l’ispettore, e cominciava a pensarlo seriamente

 

Katy Wolfer in abito da sera sembrava una stella in visita temporanea sul nostro pianeta. I capelli biondi ricadevano ai bordi della faccia, fino a sfiorare il seno perfetto. Le lunghe gambe e il portamento aristocratico le conferivano un’aria rigida e affascinante allo stesso tempo. Guardandola così, nessuno avrebbe potuto intuire la reale attività di quella sorta di venere. Quella sera si stava preparando ad uscire; dette un buffetto al simpatico gatto siamese, chiuse le finestre della casa, quando suonarono alla porta.

La donna guardò dallo spioncino, ma non riconobbe la figura che bussava alla sua abitazione

"Chi è lei?" chiese, pronta ad afferrare la Smith&Wesson che teneva sempre nella borsetta.

La persona alla porta si presentò, e la donna la lasciò entrare. Ormai non correva nessun pericolo. Quando la porta si chiuse alle loro spalle, l’ospite disse:

"Vedo che stava per uscire, dottoressa Wolfer"

"Infatti ho un appuntamento…"

"Con il suo fidanzato?"

"No, con un’amica…" rispose con aria sorpresa

"Sa, dottoressa, che la gente mi conosce anche a Londra?"

"Come, scusi?" La donna era sbigottita

"Ho detto che il mio nome è famoso anche a Londra. Soprattutto sui giornali, nelle pagine di cronaca nera"

La Smith&Wesson era vicina. Forse con uno scatto sarebbe riuscita a raggiungerla. Ma non c’era tempo; sentì solo un intenso dolore alla nuca….

 

Era stata una pessima giornata. Il secondo omicidio in America, ma se si sommavano quelli londinesi la cifra saliva freneticamente. L’ispettore Marlon, con la mente offuscata dalla paura di dormire, per timore dei suoi incubi ricorrenti, fece per girare la chiave nella serratura della sua camera d’albergo, quando si accorse che era aperta. Impugnò con entrambe le mani la sua pistola, sapendo che da ogni suo movimento sarebbe dipesa la sua sopravvivenza. Entrò di colpo. La stanza era vuota. L’uomo, dopo un’ispezione, posò la pistola su un comodino. Non sembrava mancare niente, gli addetti alle pulizie avevano probabilmente dimenticato di chiudere.

Il poliziotto ebbe un tonfo al cuore; sotto il lenzuolo del letto si intravedeva una sagoma umana, interamente coperta come si usa fare con i cadaveri. Avrebbe voluto urlare con tutto il fiato che aveva in corpo, avrebbe voluto scappare. Invece si fece coraggio e sollevò il lenzuolo. Rimase per alcuni secondi immobile, incapace di fare un movimento.

Un corpo femminile nudo era squartato in diversi punti. Al posto della testa della vittima c’era quella di un manichino da esposizione. Non ci avrebbe giurato, ma il seno di quelle dimensioni, ed alcuni capelli biondi che erano rimasti appiccicati alla ferita della mozzatura della testa suggerivano all’ispettore una cosa ben precisa: quello era il corpo della dottoressa Wolfer.

Le lacrime gli riempirono gli occhi e non fece nessuno sforzo per trattenerle. Pianse come piange un uomo disperato, un uomo dall’esistenza profondamente segnata. Segnata dal marchio del maligno.

 

La mattina successiva era domenica. La camera d’albergo era ancora in mano agli uomini della Squadra Scientifica e agli esperti di impronte digitali. Il cadavere era effettivamente quello di Katy Wolfer: le impronte digitali parlavano chiaro, senza contare che un’amica aveva denunciato la sua scomparsa. La parte del corpo mancante non era stata ritrovata.

Jhon Marlon, dal canto suo, si era trasferito in un altro albergo, perfettamente consapevole che dormire per almeno un mese avrebbe significato sognare l’uccisione della dottoressa; infatti non chiuse occhio. Alle dieci si recò in chiesa; aveva scelto di seguire la Santa Messa in una cattedrale gotica, dagli affreschi molto suggestivi. La predica era affidata a Padre Sander, un sacerdote molto anziano, piuttosto corpulento, semicalvo. Alla fine della funzione, l’ispettore aspettò l’uscita della folla, poi si avvicinò all’uomo.

"Padre, il sermone è stato magnifico"

"Anche a me è sempre piaciuta la parabola del buon samaritano" ribatté il cattolico, con un flebile sorriso "ma sei nuovo, fratello? Come ti chiami? Non ti ho mai visto nella mia chiesa…"

"Mi chiamo Jhon, abito a Londra. Sono in America per…" non riuscì a finire la frase

"Un peso ti gonfia, il cuore, Jhon… lo sento…"

"Sono un investigatore" disse, e fu sufficiente

"Ho letto qualcosa… sei venuto da Londra a causa di un assassino, vero?"

"Esatto, padre. Sono disperato"

"Dio è con noi, fratello. Tieni" disse, porgendo un Vangelo in miniatura al poliziotto "questo ti aiuterà. E ricordati di Padre Sander"

"Mi ricorderò di lei"

"Ne sono sicuro" disse l’uomo di chiesa, e questa volta il sorriso era quasi radioso "torna nella mia chiesa qualche volta. La fede è una virtù meravigliosa "

Il detective uscì dalla chiesa, il cuore gonfio di speranza. Per la prima volta aveva intravisto la cura. Solo da lontano, consapevole di non poterla mai raggiungere in tutta la sua pienezza, ma l’aveva sfiorata. Era confortevole sapere dell’esistenza di persone del genere in un mondo di ladri e di assassini. I fedeli che erano riuniti a chiacchierare al di fuori fissarono l’intruso nella loro chiesa chiedendosi come mai le lacrime gli rigavano le guance. Non lo avrebbero mai saputo.

 

Quando Marlon arrivò negli uffici dell’Fbi, dove era stato convocato, il personale dell’albergo era messo sotto torchio dal tenente Ivanov e altri uomini in uniforme. Il russo uscì dalla camera degli interrogatori e gli venne incontro, la solita smorfia di rabbia disegnata sul volto.

"Si è ripreso, ispettore?" chiese, ma la frase che voleva sembrare gentile risultò un borbottio

"Sto meglio, grazie" rispose il poliziotto, con un flebile sorriso

"Sono quattro maledette ore che li stiamo interrogando…"

"Risultati?"

"Pochi. Naturalmente la dottoressa Wolfer non è stata uccisa nella sua camera d’albergo. Le tracce di sangue erano solamente nel letto. L’assassino probabilmente si è spacciato per un addetto alle pulizie, ed ha trasportato il corpo decapitato avvolto in un telo con l’aiuto di un carrello simile a quelli in dotazione appunto alla ditta delle pulizie. Ma non c’è nessuna certezza"

"La testa del manichino?"

"L’abbiamo mandata in laboratorio. Ma è inutile illudersi, non verrà fuori niente"

Il cancro del male aveva invaso anche il cuore del tenente

"Mai l’assassino si era spinto a tanto" disse lentamente Marlon "sta diventando ogni giorno più audace. Che si tratti o no di Melissa James" pronunciò quel nome con timore, come se rappresentasse una divinità. Una divinità mefistofelica.

"Ne ho abbastanza di questa storia" sibilò il detective russo "e ne ho abbastanza di questa fogna di città"

"Come sta la madre di Claude?" chiese Jhon, dopo alcuni attimi di silenzio

"E’ entrata in coma stamattina. E c’è qualcosa di molto strano…"

"Cosa?" l’inglese aveva alzato leggermente la voce, il suo interesse si era ravvivato

"Sono stati fatti naturalmente degli esami su Celine. Ci sono tracce di ematomi su praticamente tutto il corpo… il marito ha spiegato che dopo la morte del figlio lei aveva tentato di uccidersi buttandosi dal secondo piano… da quanto dice il signor Plumber la moglie si era ripresa e aveva rifiutato di sua spontanea volontà di andare al pronto soccorso"

"Non me ne hanno parlato…"

"Non volevano si sapesse. Sarebbero sorti dei problemi con la ditta di cosmetici…"

L’ispettore restò in silenzio. Dopo una manciata di secondi Ivanov continuò:

"L’episodio mi ha destato molti sospetti… se quegli ematomi fossero dovuti a qualcos’altro?"

"Stai dicendo che Daniel Plumber ha maltrattato la moglie?" chiese l’ispettore, incredulo

"Ho il sospetto che non si tratti di un episodio isolato… che il padre di Claude lo intenda come un vero e proprio passatempo…"

"Ti rendi conto che, mettiamo sia vero, sarà praticamente impossibile provarlo?"

"Abbiamo una sola possibilità: se Celine si riprende e vuota il sacco sugli ‘hobby’ del marito…"

"C’è un legame con il serial killer in tutto questo?" chiese l’ispettore pensoso

"No. Ma odio quei bastardi che si approfittano delle mogli. Lo sperimentò mia madre, purtroppo. Muoio dalla voglia di dare una sistemata a Plumber…"

"Ma non sappiamo se…"

"Vai a interrogarlo. La sua stramaledetta storia ha la stessa valenza di una barzelletta. Ti fa ridere per la sua stupidità"

In quel momento il cellulare del tenente cominciò a suonare intonando una vecchia canzone dei Beatles. A Marlon venne da sorridere, ma subito tornò serio.

"Pronto…" stava borbottando il russo "cosa?… mandatelo al laboratorio… si, fate il mio nome… è urgente… certo…"

L’ispettore Marlon non disse una parola, ma il suo sguardo interrogativo stava trapassando Ivanov.

"Pare che questa volta abbiamo avuto un po’ di fortuna" disse con un ghigno di compiacimento disegnato sul volto "è stata trovata in un bidone dei rifiuti un telo bianco macchiato di sangue… se ci sono le impronte digitali…" non finì la frase

Jhon non voleva spegnere le speranze, ma aveva affrontato quella gente per troppo tempo per non sapere della loro perversa intelligenza e della loro astuzia assassina. Non ci sarebbero state impronte, ne era sicuro.

 

Il giorno seguente il sole giocava a nascondino con le nuvole quando l’ispettore Marlon si presentò alla cerimonia funebre in onore dell’agente Claude Plumber. Gli occhiali scuri nascondevano le occhiaie dell’ennesima notte volutamente insonne; il vestito nero gli conferiva un’aria quasi elegante. In un attimo gli passarono per la mente tutte i morti che aveva visto nella sua carriera: giovani vecchi, madri, bambini… il giovane Claude non era il primo, e non sarebbe stato l’ultimo. Questo l’investigatore lo sapeva bene.

Mentre Jhon osservava il giovane pastore, gli venne in mente il benevolo Padre Sander, i suoi modi gentili, i suoi ideali di speranza.

La mattina presto aveva chiamato l’ospedale in cui era ricoverata Celine: il coma era sempre irreversibile, ma i medici avevano intravisto un leggero miglioramento. Forse non sarebbe morta, e avrebbe raccontato la verità sul marito. Sempre che ci fosse una verità da raccontare.

C’erano i massimi rappresentanti del corpo di polizia, oltre al padre del morto; Daniel bisbigliava ogni tanto qualche parola agli uomini in uniforme che dovevano aver conosciuto suo figlio, e per il resto stava perennemente con lo sguardo fisso sul terreno.

Non sembrava esserci nessun individuo sospetto; l’assassino, dopo il suo ultimo colpo probabilmente aveva scelto di nascondersi. Marlon osservò attentamente il signor Plumber; ma questa volta provò ad considerarlo in una nuova ottica, non come un padre disperato, ma come un marito opprimente e violento. Aveva l’abitudine di picchiare Celine? E Claude lo sapeva?

Dopo la conclusione del funerale si dileguò e si recò allo schedario dell’Fbi, per compiere una ricerca. Gli era spuntata una strana idea per la testa, ma forse poteva saltare fuori qualcosa di interessante. Valeva la pena di tentare. Rimase davanti ad un computer praticamente tutto il pomeriggio; quando ottenne le informazioni che cercava erano le sette di sera. Chiamò il cellulare di Ivanov e gli diede appuntamento per le nove al Regent’s Pub. Poi torno in albergo, si sdraiò sul letto, e si immerse nella lettura del Vangelo.

 

Mentre entrava nella birreria l’ispettore Marlon aveva impressi nel cervello dei versetti di Matteo:

 

il sole si oscurerà

la luna non darà più la sua luce

gli astri cadranno dal cielo

e le potenze dei cieli saranno sconvolte

L’apocalisse. Il poliziotto sperò tanto che non tardasse ad arrivare, per porre definitivamente fine all’agonia di un mondo malato.

Valery Ivanov sedeva allo stesso posto del giorno precedente, ma questa volta nel suo volto marcato dai segni di una vita infida la desolazione era stata soppiantata dalla curiosità. Le sue prime parole furono:

"Cos’hai scoperto all’archivio?"

L’investigatore inglese estrasse da un involucro di cartone che teneva sotto il braccio destro un voluminoso incartamento. Con cura lo collocò davanti al detective russo.

"Cos’è?"

"Il risultato delle mie ricerche. E’ una cosa lunga, posso riassumerla…"

"Avanti, sputa. A proposito, non c’era una schifosa impronta sulla coperta…"

"Ci avrei giurato. Dunque, ho indagato su Daniel Plumber… all’archivio sono registrate alcune cose molto interessanti…"

"Oh, merda, non farmi stare sulle spine!"

L’ispettore lo ignorò, e proseguì con la sua caratteristica voce pacata:

"Il padre di Claude ha frequentato con successo un’università del Missouri… durante quegli anni viveva in una cittadina condividendo l’appartamento insieme ad un amico, Benton Miller. Miller è morto prima di poter finire gli studi"

Il tenente sobbalzò vistosamente, mentre arrivava il cameriere. Ordinarono due birre, poi Marlon continuò il suo resoconto:

"Questo ragazzo è stato vittima di un incidente. Secondo il referto dell’autopsia è morto a causa della rottura dell’osso del collo… la testimonianza di Daniel ha chiarito il caso: ha riferito di aver visto Miller cadere tragicamente dalle scale del pianerottolo nel condominio in cui abitavano"

Ivanov restava in silenzio, ma si notava in lui una profonda agitazione

"Finita l’università Plumber ha vissuto per cinque anni col padre, prima di trovare un impiego nel settore dei cosmetici e sposarsi con Celine; purtroppo il signor Maurice Plumber non ha potuto assistere al matrimonio. Si è suicidato buttandosi dalla finestra dell’appartamento in cui abitava. O almeno così dice il verbale che ho raccolto… e non è finita: Celine e Daniel, quando Claude era appena nato hanno avuto una ragazza, Alice Asper, che svolgeva le funzioni domestiche…"

"Anche lei morta?" chiese il russo, senza preoccuparsi di mascherare la sua emozione

"No, ma è scomparsa proprio nel periodo in cui lavorava per i Plumber… sono passati ventitré anni, di lei non si è avuta più nessuna traccia…"

"Oh, Signore…" ormai aveva capito

"E ho lasciato il pezzo forte per ultimo: la madre di Daniel Plumber"

"Anche lei…"

"Fu uccisa a colpi di pistola. Un delitto senza colpevole, e Daniel aveva quindici anni all’epoca…"

"Quindici anni!" sbottò incredulo l’investigatore "ma non si può uccidere a quindici anni!"

"Stentavo a crederci anche io" rispose Jhon con la sua proverbiale calma "ma nella vita di quell’uomo ci sono state tre morti sospette e una sparizione, senza contare le uccisioni dei due agenti e della dottoressa"

"Ieri hai detto che la mia ipotesi era incredibile…" mormorò Ivanov

"Ci troviamo di fronte a un mostro. Sullo stesso livello di Melissa James. Plumber ha collezionato delitti nel tempo. Ha ucciso i suoi genitori e suo figlio. Stava per uccidere sua moglie"

"Ma se era difficile incastrarlo per la faccenda dei maltrattamenti, chissà come ci riusciremo per questa serie di omicidi…"

L’ispettore ebbe un fremito sul labbro posteriore

"Non credo che riusciremo mai ad accusarlo dei suoi crimini passati, ma abbiamo una speranza per gli ultimi tre delitti. Dovrò rischiare la vita"

Il russo era sconvolto. Non avrebbe mai immaginato che l’uomo da lui sospettato di violenze coniugali fosse in realtà un sanguinario serial killer fin dall’età di quindici anni. E adesso aveva paura. Forse per la prima volta nella sua vita, aveva paura

Marlon aveva provato più volte quella sensazione. Aver individuato l’assassino, e non poterlo arrestare per mancanza di prove. Era successo nel caso di Melissa James, e un assessore ci aveva rimesso la vita. L’immagine del coltello da macellaio piantato nella pancia del politico gli pervase improvvisamente il cervello. Aveva già subito uno smacco, stavolta non doveva succedere.

"Andrò a casa sua. Da solo" disse improvvisamente

"Cosa?!"

"E’ l’unica possibilità che abbiamo per…"

"Quel figlio di puttana ti ammazzerà!"

Il silenzio calò per diversi minuti. Le pinte erano entrambe vuote quando Marlon parlò solennemente:

"Può darsi che muoia. Ma mi è già successa una situazione del genere, e fu assassinato un innocente proprio perché non mi decisi ad agire in tempo. Questa volta devo impedire altri delitti. Daniel Plumber è uno psicopatico, un serial killer. Uccide senza motivo, assecondando le aberrazioni della sua mente malata. Probabilmente è stato colpito dagli omicidi di Melissa James, ed ha deciso di emularli. Ha decapitato la dottoressa Wolfer. E potrebbe esserci un’altra vittima da un momento all’altro"

"Se ci vai sarai tu" obiettò Ivanov, che stava perdendo la pazienza

"Lo accuserò di tutte le sue colpe. Tu sarai fuori dalla casa, pronto ad intervenire. Come abbozzerà una reazione, entrerai…"

"Con una ventina di agenti" aggiunse Valery

"No. Vedendo le macchine della polizia fuggirebbe ancor prima di potergli parlare. Saremo io e te. E basta. E’ rischioso, è il caso più difficile della mia carriera, ma non posso rinunciare"

La mente del tenente era un vortice di pensieri. Il suo volto era distrutto dalle emozioni e dalla paura. Alla fine, con una voce alterata, disse:

"Va bene. Di tutti i fottuti modi di schiattare, questo è il più degno che possa esistere"

Marlon apprezzò mentalmente l’uomo. Aveva capito. Ci aveva sperato, e aveva avuto ragione. Ripensò al viso distrutto di Daniel quando lo aveva interrogato: era stato un ottimo attore, li aveva trattati come burattini al suo comando. Marionette. Ma ora il mostro era circondato.

 

L’ispettore Marlon teneva il Vangelo in tasca. In qualche modo, poteva dargli forza. Ringraziò mentalmente Padre Sander e giurò di tornare da lui se fosse sopravvissuto nella tana del lupo. Scese dalla macchina, trasse un respiro profondo, e suonò il campanello di casa Plumber. Passarono due minuti prima che Daniel aprì la porta. Aveva stampata sul volto la solita espressione malinconica. La solita farsa.

"Buongiorno" disse l’ispettore, sforzandosi di sembrare il più naturale possibile

"Ispettore, si accomodi" lo invitò l’uomo con la sua voce un po’ spenta un po’ addolorata. Mentre varcava la soglia del soggiorno, Marlon si meravigliò ancora una volta per l’incredibile astuzia che poteva possedere uno psicopatico. Avrebbe ingannato tutti, ed inizialmente aveva ingannato anche lui.

"Non pensavo di rivederla così presto" disse Daniel in tono pacato

"Ho sentito che sua moglie ha avuto un miglioramento…"

"Fortunatamente. E’ un periodo veramente terribile per noi" continuava a sembrare un padre afflitto

Era pronto a scoccare la frecciata. L’ispettore sapeva che stava rischiando la vita. Toccò il Vangelo che aveva in tasca, recitò mentalmente una breve preghiera, poi disse, con voce di ghiaccio:

"Il peggio per lei deve ancora venire "

L’uomo lo scrutò con aria interrogativa. La sua espressione stava mutando, qualcosa si stava risvegliando nell’animo. Era il cancro della follia.

" Non credo di aver capito cosa ha detto…"

Ormai era in ballo. Poteva scattare da un momento all’altro. Ma doveva insistere.

"Ha capito perfettamente, signor Plumber. So tutto sulla sua malattia mentale e sui suoi omicidi. So che ha ucciso i suoi genitori. So di Benton. Di Alice. Di sua moglie. La sedia elettrica la aspetta, Plumber" la sua voce continuava ad essere fredda come un cadavere "La devono aver particolarmente colpito i delitti di Londra, non è vero? E’ per questo che ha deciso di imitarli? O forse è soltanto perché è un dannato psicopatico assassino?"

Il momento era giunto. L’uomo, il volto stravolto da una smorfia di rabbia, si lanciò addosso all’ispettore. Marlon cercò di afferrare la pistola. Non ci sarebbe arrivato. E Ivanov non entrava. Per una frazione di secondo Jhon pensò alla vecchia, nebbiosa Londra, alla sede di Scotland Yard, al suo migliore amico Carrella. Pensò ai suoi genitori, che erano morti diverso tempo prima. Pensò al Katy Wolfer, di cui inconsciamente si era innamorato. Aveva pianto la sua morte. Senza mai ammetterlo, in maniera particolare, ma l’aveva amata. Pensò al dottor Wright, alla smorfia che avrebbe fatto nell’esaminare gli organi interni del suo corpo, alle maledizioni che avrebbe lanciato sull’assassino. Ma nessuna maledizione sarebbe servita a qualcosa.

Chiuse gli occhi e si lasciò andare.

 

Faceva uno strano effetto essere morto. Una sensazione di stanchezza, stanchezza dell’anima. E un intenso dolore alle mani e ai piedi. Solo dopo qualche secondo Jhon si rese conto di essere legato ad un letto. Pensò che doveva essere il mondo ultraterreno, ma non si sarebbe dovuto provare dolore. Si guardò intorno. Non era morto. La stanza che lo circondava doveva essere una camera da letto. La confusione invadeva il suo cervello, fino a quando non vide il suo Vangelo sul pavimento. Allora ricordò tutto: la caccia al serial killer, il mancato intervento di Ivanov, la lotta con l’assassino…

Non lo aveva ucciso. Poteva farlo, ma non aveva voluto. Voleva farlo soffrire. Come con la dottoressa. Ne era certo. Non bastava la morte, Plumber voleva assistere alla sua agonia.

Il cigolio della porta lo riportò alla realtà. Daniel aveva assunto quella solita espressione di tristezza che nascondeva la sua reale facciata di pazzia incontrollabile.

"Come si sente, Marlon? Io non volevo ucciderla. Non subito. Farò come con la dottoressa. Urlava, strillava, fino a quando non le ho dato la pace. La pace eterna."

"Sei pazzo" ribatté l’ispettore con un filo di voce

"Forse. Quando uccisi mia madre lo pensavo anche io. Fu un attacco improvviso. I nostri rapporti erano buoni, fino a quando presi la pistola e gliela scaricai addosso… ma poi ho capito. Ho capito che dovevo continuare ad uccidere. Non era semplice, ho aspettato parecchi anni e ho fatto intercorrere molto tempo tra un omicidio e l’altro… per non destare sospetti. Ai tempi dell’università uccisi Benton. Con un calcio gli spezzai il collo. Poi simulai l’incidente. Mi ricordo ancora tutto perfettamente. Successivamente fui costretto ad uccidere mio padre, per dargli la pace…"

L’ispettore aveva capito che la sua morte era soltanto rimandata di poco tempo. Provò a chiedere:

"Cosa hai fatto ad Alice?"

"Mi ero innamorato di lei. Non volevo farle del male. Volevo solo amarla…"

"Dov’è finito il suo cadavere?"

"Non l’ho uccisa" disse il serial killer, sdegnato

Marlon era sorpreso. Non avrebbe potuto raccontare niente a nessuno, ma voleva sapere

"Non è morta? Ma allora dov’è finita?"

"E’ stata sempre con me. In tutti questi anni"

Il maniaco aprì l’armadio, e l’investigatore urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. Uno scheletro con dei residui di capelli biondi ancora sulla testa rotolò sul pavimento. Aveva il cranio completamente spaccato.

"Ho usato un piccone" disse l’assassino con una punta di orgoglio

"Basta!" sbraitò il poliziotto "uccidimi! Non ne posso più!"

"Se la vuoi, ti darò la pace" disse Daniel Plumber.

Estrasse dallo stesso armadio un piccone con del sangue ormai rappreso che risaliva a ventitré anni prima

"L’ho conservato per un’occasione speciale" spiegò. Stava sorridendo. Sul suo volto era stampato il macabro ghigno dell’ossessione. E l’ispettore aveva capito che stava avendo un attacco.

Il mostro sollevò l’arnese dicendo:

"La pace sia con te"

Improvvisamente un rumore fece girare di scatto il serial killer. Sulla soglia c’era una donna anziana, con in mano quel coltello da macellaio che Jhon conosceva bene.

"Ho impiegato molto tempo a cercarti, sai?" sibilò la donna, la voce volutamente strascicata

Marlon non riusciva a credere a quello che stava vedendo. Cercò di liberarsi delle corde, ma erano troppo strette, e lui era troppo debole

"Chi sei?" urlò impaurito Plumber

"Non mi riconosci, lurido verme? Eppure sono il tuo modello… tu hai imitato i miei delitti…" disse Melissa James

"Io sono l’angelo della pace… vuoi che purifichi la tua anima dai peccati?" chiese il maniaco

"No… voglio solo le tue orecchie" rispose la donna

In una frazione di secondo gli piantò il coltello nel collo, prima che Plumber riuscisse a rendersi conto di quello che stava succedendo. L’uomo stramazzò pesantemente a terra. Melissa lanciò uno sguardo verso il letto ed esclamò:

"Ispettore! E’ tanto tempo che non ci vediamo! Come se la passa?"

E’ finita, pensò Marlon per l’ennesima volta in quella giornata. E’ finita. Rimase in silenzio.

Incredibilmente l’assassina lo ignorò e si chinò sul cadavere di Plumber, scostando bruscamente lo scheletro che giaceva sul pavimento. Estrasse il coltello dal collo dell’uomo, e uno zampillo di sangue le coprì la faccia. Parve soddisfatta, e cominciò il taglio delle orecchie.

 

Valery Ivanov si sollevò stancamente da terra. Quando aveva sentito delle urla provenienti dall’abitazione, era sceso precipitosamente dalla sua vettura. Ma non aveva fatto in tempo ad entrare, che aveva sentito un intenso dolore alla testa e aveva perso i sensi. Si toccò ripetutamente la nuca, col cervello ancora annebbiato; sanguinava copiosamente.

Lentamente riprese il controllo dei suoi pensieri, e una profonda angoscia gli pervase l’anima. Impugnò la sua pistola ed entrò precipitosamente nell’abitazione dei Plumber, la cui porta era spalancata. Ispezionò il piano inferiore, poi salì freneticamente le scale. Aprì la porta della camera da letto. Daniel Plumber giaceva accasciato in un angolo, le orecchie mozzate, in un lago di sangue. Al centro del pavimento un cadavere scheletrito era piegato in una posizione innaturale.

Poi il tenente lanciò un’occhiata verso il letto. Jhon Marlon era immobilizzato da un’incalcolabile quantità di cordame. Un coltello da macellaio insanguinato era piantato in prossimità del suo orecchio sinistro, ed aveva formato un buco irregolare sul cuscino, da cui fuoriuscivano disordinatamente delle piume.

"Stai bene?" chiese con enfasi

"Non mi ha ucciso. Non mi ha ucciso" rispose l’ispettore, con gli occhi sbarrati

"Maledizione. E’ sotto shock" borbottò l’uomo, dirigendosi verso il telefono.

 

Una vistosa fasciatura avvolgeva la nuca del tenente Ivanov quando varcò, il giorno successivo, la soglia dell’ospedale. Un giovane medico lo accolse e lo fece accomodare in uno studio. Il russo parlò ansiosamente:

"Come sta?" chiese, senza specificare

Il giovane medico consultò una cartella e rispose, con voce atona:

"Il soggetto in questione, ispettore Jhon Marlon, ha riportato un trauma psicologico successivo allo shock. Si è ripreso, è in grado di intendere e di volere, ma il suo stato mentale è ancora molto precario. Non deve sottoporsi a sforzi e, cortesemente, dovrebbe evitare di fare allusione all’incidente di cui è stato vittima"

"Non si preoccupi" lo rassicurò il poliziotto

I raggi di sole filtravano dalle veneziane semichiuse nella piccola camera d’ospedale, dove non poteva essere sistemata più di una persona. L’investigatore entrò con cautela. Ma fu il degente a parlare per primo:

"Cosa ti hanno detto i medici?"

"Il dottor Humper mi ha chiesto di evitare di parlare di…" non ebbe la forza di finire la frase

"Io invece voglio parlarne. Immagino vorrai sapere chi ha ucciso Plumber"

"Lo so. Melissa James mi ha colpito alla testa prima di entrare in casa"

"E’ venuta da Londra per punire colui che aveva sfruttato il suo nome…" spiegò l’ispettore

"Ed è un miracolo che non abbia fatto lo stesso con noi due" aggiunse il russo

"Non era sua intenzione. Come ti ho detto il giorno del mio arrivo, Melissa uccide spinta da motivazioni. Motivazioni folli e contorte, ma pur sempre motivazioni. Daniel Plumber era uno psicopatico soggetto ad improvvisi attacchi di follia. Si credeva l’angelo della pace"

"Cosa?"

"Uccideva per donare la pace alle sue vittime. Voleva fare lo stesso con me, quando Melissa l’ha ammazzato"

Marlon restò alcuni attimi in silenzio, poi disse:

"Aveva conservato il cadavere di Alice Asper…"

"Ma come è possibile? Sono passati più di venti anni…"

"Mi ha detto che se ne era innamorato. Lei lo ha rifiutato ed è stata uccisa a colpi di piccone. Probabilmente dopo il delitto l’ha scarnificata per poter tenere nascosto lo scheletro senza che il fetore insospettisse i vicini"

"E’ terribile…ma allora Celine…"

"Sono sicuro che era a conoscenza dei vizi assassini del marito. Ha taciuto, per paura di essere uccisa"

Il volto del poliziotto russo fu trapassato da una rabbia profonda

"Celine è stata uccisa" annunciò, lo sguardo fisso nel vuoto

L’ispettore era sconvolto. Sobbalzò dal letto e si coprì il volto con le mani

"Non volevo dirtelo" continuò Valery "almeno non in queste condizioni. Daniel proprio ieri mattina, prima che tu andassi a casa sua, aveva ordinato ai medici di levare l’ossigeno alla moglie"

"Maledizione" tuonò il degente "quel bastardo è riuscito a completare lo sterminio della sua famiglia!"

"Mi verrebbe quasi da ringraziare Melissa James" osservò freddamente il tenente

 

L’aereo Washington-Londra era previsto per quel pomeriggio. Jhon era stato dimesso la sera prima dall’ospedale e aveva deciso di lasciare l’America al più presto. Ma sapeva che non avrebbe potuto lasciare oltremanica anche i suoi ricordi. L’immagine di Plumber che sollevava il piccone per adempiere alla volontà divina, quella di Melissa James che con la massima naturalezza mozzava le orecchie del suo imitatore lo avrebbero perseguitato ancora per molto tempo.

Sapeva che i suoi fantasmi non lo avrebbero abbandonato, che la serial killer sarebbe rimasta a piede libero, che avrebbe visto la sua malefica ombra ovunque, che gli incubi avrebbero continuato a turbare il suo sonno. Era perfettamente a conoscenza di tutto questo.

Ma aveva intravisto in un’occasione il rimedio a tutti i mostri, a tutti i delitti… e voleva sfiorare le sue speranze ancora una volta, prima di lasciare il continente…

La cattedrale gotica sembrava ancora più splendente della volta precedente. Marlon non aveva più il Vangelo in tasca, quello probabilmente era rimasto nella casa di Plumber, e non aveva intenzione di recuperarlo. Ma il suo cuore si spalancò ugualmente insieme alla porta della chiesa.

Sander stava predicando riguardo all’Annunciazione, e l’ispettore si rese conto solo in quel momento che il Natale si stava avvicinando; aveva perso la cognizione del tempo, ma un calendario all’interno del luogo di culto lo informò che era il 19 dicembre.

Si sedette vicino a un uomo anziano, e ascoltò la predica chiudendo gli occhi. La voce calda e sincera di Padre Sander gli toccava il profondo dell’animo; gli orrori del suo lavoro erano dimenticati. Jhon era consapevole che era tutta una farsa, che i delitti sarebbero continuati, che il destino non avrebbe rinunciato ai suoi macabri giochi mortali.

Ma per una volta fu felice di fingere.

Delirium tremens di Emandini

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