Il Canto di
Natale
"Mamma, non ci arrivo"
La bambina con il cerchietto a protezione dei capelli dorati si
protendeva invano per cercare di infilare la punta
all'estremità dell'abete colorato
"Non ti preoccupare, tesoro"
La donna, anch'essa bionda, aveva due trecce che ricadevano sulla
schiena snella ed aristocratica. La prese in braccio e finalmente la
piccola incastrò la punta. Si scambiarono entrambe uno
sguardo; poi i loro volti si sciolsero in un sorriso.
Sputò per terra e
tirò la bottiglia di birra sul comodino, frantumandola in
mille coriandoli di vetro. Si portò una mano alla testa, ed
afferrò una ciocca di capelli; la tirò fino a che se la
ritrovò in mano. E la contemplò una manciata di secondi
prima di scaraventarla bruscamente sul pavimento.
Chiuse gli occhi e li riaprì; la bambina con la mamma erano
sparite. Era scomparso anche l'abete luminoso: al suo posto si
allungava il triste scheletro di un albero morto, del quale sarebbe
stato impossibile definire la razza. Ormai erano passati troppi
anni
Nella sua mente, una girandola di luci psichedeliche. O forse erano
frammenti di meteoriti?
Loro se n'erano andati. Ma sarebbero tornati presto, lo sapeva.
Tornavano sempre presto. Si alzò barcollando e si
avvicinò al muro del salone. Dovette appoggiarsi per non
cadere; strisciò fino al calendario, su cui capeggiava
l'immagine di un improbabile Babbo Natale sorridente. Lo
afferrò con entrambe le mani, e sentì il sapore salato
e pungente delle lacrime calde che gli sfioravano le labbra. Poi
diede uno strattone, ed il calendario finì violentemente sul
pavimento. Babbo Natale, incurante di ciò, continuava a
sorridere.
L'uomo si rannicchiò a terra, ed in breve una dolce melodia
gli penetrò nei timpani. Si coprì le orecchie con le
mani, e strinse le dita fino a graffiarsi la pelle. La musica
incantata proseguiva mentre lui sanguinava, senza riuscire a
trattenere i singhiozzi. Due voci insinuanti gli trapassavano il
cervello.
Continuava a rigirarsi in bocca la
caramella alla menta che le aveva dato sua nonna. Adesso cominciava
anche ad avere freddo; dannazione, perché si era persa? Era
tutta colpa di quelli che avevano spostato il bar. Andava sempre a
comprare il latte, lei, e ormai conosceva il negozio. Ma si era
trasferito; la nonna le aveva detto di imboccare la seconda traversa
a destra e di andare sempre avanti
lei lo aveva fatto, ma ora
si ritrovava davanti a quella casa che metteva paura.
Si batté una mano sulla fronte: ma certo, a destra! Lei aveva
preso la sinistra
o almeno così credeva
non aveva
mai capito pienamente quale fosse la destra e quale la sinistra.
Sarebbe tornata indietro, se non fosse stato buio e sulla strada ci
fosse stato almeno un lampione.
Per farsi coraggio, iniziò ad intonare un motivo che le
cantava sempre sua madre, prima dell'incidente con la macchina. Ma
presto si accorse che non faceva nessun effetto. Sempre più
freddo, sempre più paura. I peli erano ritti sulle
braccia.
Voleva piangere, ma non lo faceva, perché si ricordava che sua
madre non piangeva mai, neanche quando il papà la picchiava,
perché non voleva dargli soddisfazione. Neanche lei voleva
dare soddisfazione a nessuno. E allora non doveva piangere.
Troppo freddo. Sarebbe morta. Doveva entrare nella casa che faceva
paura. Mosse alcuni passi e si ritrovò in un giardino. Altri
passi, ed inciampò su qualcosa che al buio non riusciva a
distinguere. Da sdraiata, si mise a sedere, e si asciugò
rabbiosamente la lacrima che le scendeva dall'occhio sinistro; aveva
detto che non doveva piangere.
Con cautela identificò l'oggetto su cui era scivolata; prima
lo sfiorò appena, poi ci posò sopra una mano, poi lo
prese e se lo rigirò davanti. Una palla; allora dentro la casa
c'era un bambino. Ma se c'era, perché lasciava la sua palla
nel giardino di notte? Forse se l'era dimenticata. Questa
considerazione la rincuorò leggermente, ed allora si
alzò in piedi e si diresse verso la porta.
Neanche due passi, e finì contro qualcosa di duro. Ahi, il
ginocchio. Accidenti, faceva male. Cosa poteva essere? I suoi
occhietti si erano abituati all'oscurità, e così, dopo
qualche secondo di osservazione, distinse la cuccia di un cane. E fu
presa dal panico.
Sarebbe stata mangiata da un cane
magari era grosso, ed aveva i
denti lunghi come il lupo di Cappuccetto Rosso
magari si era
già mangiato il bambino che aveva lasciato la palla in
cortile
magari
Un attimo: non c'era nessun cane lì. Era arrivata da almeno
cinque minuti, e il cane non era uscito fuori. Non c'era nessun cane.
Tra quei pensieri, la piccola si era dimenticata di aver freddo. Ma
adesso se ne ricordò, e le sembrò di gelare. Si
toccò il naso; per fortuna non si era ancora ghiacciato.
Nel frattempo era davanti alla grande porta della casa; sarebbe
bastato un colpo, e una bella signora le avrebbe aperto e le avrebbe
dato un bicchiere d'acqua. O meglio ancora, di latte caldo.
E se invece dentro c'era una strega? O un mostro? No, non doveva
piangere. Cantò di nuovo quella canzone.
Maledizione. Erano già qui.
Ci avevano messo poco a tornare; sperava di poter stare in pace
almeno un paio d'ore, e invece quei fottuti bastardi erano di nuovo
nella casa.
Il canto. Il canto gli rompeva i timpani; il canto gli penetrava
nelle ossa. Perché non lo uccidevano? Cosa li sarebbe costato
ucciderlo? No, volevano torturarlo. Morire sarebbe stato facile,
sbrigativo.
Lanciò un'occhiata all'albero: non c'era nessuno, ed era
sempre ridotto ad uno scheletro. Stavolta non si facevano vedere; ma
la musica continuava, e si faceva sempre più insistente. Era
la bambina che cantava; la sua voce era nitida, fresca, infantile.
Terribile. Si diresse verso il frigorifero ed agguantò una
bottiglia di birra, stappandola con la bocca. Si attaccò,
scolandola per metà. E poi decise.
Non poteva continuare; la melodia gli aveva distrutto l'animo, gli
aveva roso il cervello. Si diresse verso la mensola con un nodo alle
budella. Aprì la teca di vetro che piangeva. Mentre caricava
la pistola Calibro 38 le lacrime erano arrivate fino al
mento.
Non voleva che le lacrime
arrivassero fino al mento; le asciugò con una mano appena
uscirono dai suoi vispi occhi azzurri. Continuava ad intonare il
canto davanti alla porta, per farsi coraggio. Ma sentiva che non
ormai non poteva sopportare il freddo per molto. Doveva suonare,
farsi aprire. E se
Tra poco avrebbe smesso. Bastava un
colpo, un lampo, un piccolo boato, e tutto sarebbe finito. Aveva la
.38 puntata sulla tempia, appena sopra l'occhio destro quando, per la
prima volta in tanti giorni, i suoi occhi si posarono sul calendario.
Era ancora a terra, e Babbo Natale non smetteva di sorridere;
indicava venerdì 24 dicembre. Era la vigilia di Natale. Un
segmento di ricordo balenò nella mente dell'uomo; la scorsa
vigilia di Natale, l'albero luminoso che accoglieva il prete, la
benedizione, i regali, la cena, lo spumante. Girò ancora gli
occhi; l'albero era sempre lì. Ma non era più lo
stesso. Niente era più lo stesso.
Con il pollice della mano destra caricò il calcio della
pistola; il dito stava per premere il grilletto, quando il canto
cessò. E ci fu un altro rumore. Restò in ascolto alcuni
secondi per accertarsi. E, finalmente, il suo udito percepì il
suono del campanello. Inizialmente non lo aveva riconosciuto; nessuno
suonava mai il suo campanello. Spostò la pistola dalla tempia
e si diresse verso la porta; si passò il braccio sul volto per
asciugare le lacrime. Stava per aprire, quando rimase
impietrito.
Si passò una mano tra i
lisci capelli biondi mentre udiva i passi di qualcuno che arrivava.
Inconsapevolmente, aveva ricominciato a cantare. I passi si erano
fermati; cosa era successo? Forse ci aveva ripensato?
Forse
Un sorriso si disegnò sul
suo volto, tra le labbra mutilate. Puntò la pistola verso la
porta. Avrebbe potuto sparare; ma voleva vederla in faccia. Voleva
sapere chi era prima di ucciderla. Mise la mano sulla porta; faceva
uno strano effetto girare il lucchetto dopo tanto tempo.
Era un uomo. Non era una signora;
era un uomo. Aveva una pistola in mano; era un uomo
cattivo
Non si scompose. La guardò
per una pugno di secondi; una bambina bionda. Eccola. Finalmente.
Puntò la pistola all'altezza della sua testa e premette il
grilletto; stavolta con convinzione.
Era una pistola giocattolo! Invece
di bang aveva fatto clic, proprio come quelle che lei
aveva a casa. Allora l'uomo non la voleva uccidere; era solo uno
scherzo. Stava per dargli la buonasera, quando
Inceppata! Dannazione!
Riprovò altre due volte
clic
clic
bang!
Ma allora non era uno
scher
Rise. Rise sonoramente, come non
faceva da tanto tempo. Si piegò prima all'indietro, poi in
avanti, sempre ridendo. Le lacrime scorrevano, ma stavolta non era
pianto. Quando si fu ricomposto, si chinò sul corpicino e lo
prese in braccio, incurante del puntino di sangue sulla fronte.
Si diresse verso l'armadio, con un senso di liberazione addosso. Con
un calcio spalancò le ante, e i due cadaveri scheletriti che
vi erano dentro piombarono pesantemente sul pavimento. Uno era di
altezza media, con i capelli neri, occhi
non c'erano
occhi
mentre l'altro era molto più piccolo e minuto.
Entrambi avevano un buco sul teschio, proprio in mezzo alla
fronte.
Dispose il corpo che teneva in braccio all'interno dell'armadio con
estrema meticolosità, poi raccolse gli altri due, blaterando
qualche parola di rimprovero. D'altronde, non gli aveva sempre dato
sui nervi quando i suoi famigliari si comportavano male.
Chiudendo le ante, fu pervaso da una gioia incontenibile; finalmente
tutto era risolto. E lui era ancora vivo. Riprese la bottiglia di
birra che aveva poggiato su un mobile e la portò alle labbra.
Improvvisamente si fermò, facendola cadere sul pavimento. Un
vetro gli penetrò nella gamba, ma lui neanche lo sentiva. Le
sue orecchie erano occupate da un solo suono: il canto
Si era illuso. Si era soltanto illuso che fosse finita. Raccolse la
pistola dal pavimento, calpestando i vetri della bottiglia senza fare
una piega. La puntò alla tempia, appena sopra l'occhio destro.
E sparò.
Clic clic clic clic clic clic
clic clic clic clic clic
Non c'erano. Non c'era nessun
colpo
erano finiti.
L'uomo si rannicchiò a terra, mentre la dolce melodia
continuava ad insinuarsi nei suoi timpani. Si coprì le
orecchie con le mani, e strinse le dita fino a graffiarsi la pelle.
La musica incantata proseguiva, mentre lui sanguinava, e non riusciva
a trattenere i singhiozzi. Ma stavolta, le voci che cantavano non
erano due; erano tre.
Buon Natale a tutti da
Emandini