OMEGA [Rx18]
Capitolo 1/4
di Monica M. Castiglioni e Stefania Murazio
con la partecipazione di Elena Romanello
"Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio,
Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente."
(Apocalisse I,8)
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§1.1 (Monica)
Quitelife, Virginia,
Sabato 9 maggio 1998, ore 5:25 a.m.
Alle cinque del mattino la collina era deserta. Il sole ancora
doveva sorgere, ma, anche all'arrivo dell'alba, non sarebbe apparso
splendente d'oro sopra le montagne all'orizzonte: il cielo era
coperto di nuvole grigie che non promettevano una pioggia
liberatrice, ma solo un fitto schermo dal sole. Il pendio dava su
un'ampia vallata coperta di pini, conifere e sempreverdi. Nessun
segno di civiltà, eccetto la sua automobile. Aveva acceso
l'autoradio, ma non riusciva a trovare una stazione su cui
soffermarsi.
"Oggi si prevedono rovesci nell'ovest dello stato della
Virginia..." Statico.
"Quando ti ho sentita mia..." Statico.
"I Prodotti della FluffyWare possono essere trovati in tutti i
negozi..." Statico.
"And put on a cassette we can pretend you're a star - 'cause life
so very simple, just like la-la-la..." Statico.
"If we stay here we're not together, anywhere is..." Statico.
"Il Signore ha mutato il mio lamento in danza, dice il Salmo
29,12." Statico.
"Heavenly shades of night are falling, it's twilight time..."
Questa poteva andare.
"Out of the mist your voice is calling, it's twilight time..."
Smise di girare la manopola della frequenza.
"When purple-colored curtains mark the end of day..."
Raccolse la Smith and Wesson 1056 e la osservò per qualche
istante.
"I'll hear you, my dear, at twilight time
Deepening shadows gather splendor as day is done..."
Respirò a fondo l'aria fredda dell'abitacolo.
"Fingers of night will soon surrender the setting sun
I count the moments darling till you're here with me..."
Quindi si puntò la pistola sotto la gola e premette il
grilletto.
"Together at last at twilight time..."
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§1.2 (Monica)
Alexandria, Virginia
Appartamento di Fox Mulder
Sabato 9 maggio 1998, 8:07 a.m.
Mulder si svegliò di soprassalto, convinto di aver sentito
un forte rumore. Guardò l'orologio: le otto. "Maledizione..."
Si preparò di corsa. In mezz'ora era in strada e poco dopo
varcava la soglia dell'ufficio degli X-Files.
"Scully?" chiamò entrando. Strano. La collega non era
ancora arrivata. Il suo sguardo cadde sul calendario di Playboy
appeso al muro. Mulder scosse la testa e si lanciò un paio di
insulti. "E' sabato..." Si lasciò cadere sulla sedia ed accese
il computer. Ormai era lì, tanto valeva dare un'occhiata alla
posta elettronica. Ma poco prima di riuscire ad aprire la directory
della posta in arrivo, il cellulare squillò.
"Mulder." disse, rispondendo.
"Agente Mulder, sono il tenente Roy Mirrow. E'... è
richiesta la sua presenza al Dipartimento di Polizia di Quitelife, in
Virginia."
"Che succede?"
"Dovrebbe... identificare un corpo."
"Un corpo? Che intende dire?" La mente di Fox si rifiutò di
cedere al pensiero. --Oh Dio mio...-- Il suo cuore fece un balzo e
sembrò fermarsi. --Scully.-- Poi altri nomi si rovesciarono
nella sua mente. --Samantha. Mamma. Frohike. Langly. Byers. Denny.--
"E' stata appena trovata in un'automobile, sembra un suicidio..."
Mirrow esitò per alcuni istanti. "Mi dispiace, agente Mulder.
Sembra che si tratti della sua collega. L'agente Dana Scully."
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§1.3 (Monica)
Quitelife, Virginia
Dipartimento di Polizia
Sabato 9 maggio 1998, 12:43 p.m.
Roy Mirrow stava attendendo che Fox Mulder arrivasse. Aveva
trovato una rubrica telefonica nel portafoglio della donna, che
conteneva il numero di telefono di Margaret Scully da chiamare in
caso di emergenza. Non riuscendo a trovarla, si era rivolto ai numeri
segnati su un biglietto da visita che Scully aveva con sé.
Walter Skinner, che era stato chiamato perché era il
diretto superiore di Dana Scully, era appena arrivato. Mirrow gli
stava spiegando la situazione, quando Mulder entrò urlando nel
dipartimento: "Dov'è?!"
Skinner lo prese per un braccio e lo tirò di lato. "Mulder,
si calmi."
"Calmarmi?!" esclamò lui, senza chiedersi come mai Skinner
fosse già lì. Era ancora convinto che Scully non si
sarebbe mai suicidata, ma in fondo al cuore temeva che quella fosse
la tragica realtà. "Voglio vederla!"
"Non in queste condizioni!"
Mulder si divincolò da Skinner, che si rassegnò ad
accompagnarlo sul retro dell'edificio dove Roy Mirrow stava facendo
strada. Al centro della stanza c'era un tavolo, sotto una lampada
bianchissima. Mulder osservò il corpo ancora coperto dal
lenzuolo azzurro e dimenticò per qualche istante come
respirare. Fu Skinner a riportarlo indietro.
"Agente Mulder..."
Fox annuì, spostando lo sguardo dal lenzuolo al
vicedirettore, quindi di nuovo sul tavolo. Mirrow, rimasto in
silenzio fino a quel tempo, si schiarì la gola. "Da... uhm...
da un'analisi preliminare sembra che si sia seduta in macchina,
intorno alle cinque di questa mattina, abbia acceso l'autoradio e si
sia sparata un colpo sotto il mento."
Mulder non disse nulla. Skinner annuì a Mirrow, che
lasciò discretamente i due uomini soli.
"Agente Mulder," iniziò Skinner. "non è necessario
che lo faccia lei."
Ma Fox non lo ascoltò. Si avvicinò al tavolo,
sollevò delicatamente il lenzuolo, scoprendo il volto di
donna.
Osservò il viso chiaro. La ferita d'arma da fuoco sotto il
mento. I capelli rossi scompigliati. I lineamenti delicati. Le labbra
carnose e perfette. Gli occhi chiusi e le lunghe ciglia ricurve che
sfioravano le guance un tempo rosee, ma ora di un candore di
morte.
Fox rimase immobile, sotto shock. Non riusciva più a
muoversi, era completamente paralizzato.
"Agente Mulder..." sussurrò Skinner. "Mulder."
ripeté con maggior decisione, mettendogli una mano sulla
spalla.
Mulder si tirò indietro di scatto. "Cosa le hanno fatto?!"
urlò.
Skinner sospirò, nella sua voce un tono comprensivo. "Non
lo so..."
Fox stava tremando. "Perché?"
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§1.4 (Steffy)
Annapolis, Maryland
Appartamento dell'agente Dana Scully
Sabato 9 maggio 1998, 1:15 p.m.
Dopo aver guardato il volto della collega per l'ennesima volta
come ad imprimere nella testa la sua immagine, Mulder uscì
dalla stanza con calma. Si recò al parcheggio, entrò in
macchina, sordo alle parole di Skinner che lo chiamava, e la mise in
moto.
Andò via dall'obitorio e, per assicurarsi di non aver
sognato, si recò a casa di Dana. Il piede premuto
sull'acceleratore dell'auto che non voleva saperne di rallentare.
Arrivato di fronte allo stabile spense il motore e, dopo aver
preso un profondo respiro, scese dalla macchina.
Entrò in casa quasi timidamente e richiuse la porta alle
sue spalle. Il gelo del suo cuore gli serrava le labbra in una
smorfia di dolore e paura.
Fermo all'ingresso, fece ruotare lo sguardo attorno a sé.
Era tutto così dolorosamente in ordine. Un ordine che non
abitava la sua mente, in quel momento. Si avviò in cucina e da
lì scorse la camera da letto di Scully. A passi felpati, come
a non disturbare il rumore del silenzio, vi entrò.
L'odore nell'aria era un misto di pesca e vaniglia: il profumo di
Dana. Sfiorò con la mano sinistra il copriletto fiorato e vi
si sedette senza far alcun rumore come per cullarsi della convinzione
di vivere un sogno.
Appoggiato sul comodino accanto al letto, un piccolo quaderno
dalla copertina bordeaux richiamò la sua attenzione: era un
diario. Lo prese tra le mani e si aprì automaticamente alla
pagina dove Scully aveva lasciato la sua stilografica per tenere il
segno.
Scrisse, come un automa, la data del giorno.
'[sabato, 9 maggio 1998]
Ore 1:20 p.m.
Sento dei passi. Leggeri, si avvicinano. Credo che tra un attimo
comparirai da quella porta e sentirò il tuo profumo che mi
riempirà le narici. Mi parlerai dolcemente e prenderemo quel
tè che non abbiamo mai bevuto insieme.
Ma è solo un sogno ad occhi aperti e da questo mi sveglio,
d'un tratto. Sono seduto sul tuo letto, posso vedere le cose che hai
usato ogni giorno. Il libro che stavi leggendo è ancora qui,
sul tuo comodino. E questa? E' la tua penna. Un regalo di laurea a
cui, chissà perché, eri esageratamente affezionata.
Il tuo diario è tra le mie mani.
L'ultima pagina che hai scritto porta la data di ieri. Non oso
leggerla, non sono ancora tanto forte da carpire i tuoi pensieri
più nascosti. Con la tua stilografica ho deciso di scrivere
l'epilogo della tua vita, Scully. Dolce compagna di un lavoro che ha
finito col coinvolgerci troppo. Appena mezz'ora fa, ho visto il tuo
corpo in un obitorio.
Hai deciso di lasciarmi ed io sono qui senza la forza di versare
una sola lacrima per te. Il dolore è tanto forte da non
lasciarmi il tempo di pensare a quello che ho perso. Sento il cuore
come in balìa di una strana calma che è solo tempesta.
Una tempesta che ha bisogno di un soffio di vento per essere
scatenata.
A casa tua, fra le tue cose, ho cercato un motivo qualsiasi che
riuscisse a darmi la forza di piangere, di maledirti per avermi
abbandonato. Non ho trovato nulla. E' tutto qui, fermo, in attesa che
tu riprenda la tua vita dal punto in cui l'hai interrotta.
Ma non tornerai. Non finirai di leggere il tuo libro. Non
aggiornerai questo diario. Allora, lo farò io per te.
E cercherò di dare una risposta a queste lacrime che non
arrivano.
Da che punto iniziare, dunque? Dalla fine.
Eri lì, stesa su un tavolo d'acciaio freddo. Sul tuo volto
inespressivo il pallore era rotto solo dalle labbra di un rosa
irreale. Ti ho sfiorato il viso ed eri fredda. Ho tentato
irrazionalmente di scaldarti, appoggiando le mie mani sulle tue
guance, ma l'unico risultato è stata la constatazione che non
esistevi più.
Non posso far altro che chiedermi quando.
Quando hai deciso che il conto da pagare era arrivato al suo
saldo?
Quando la tua mente razionale ha iniziato a deviare dai consueti
percorsi dei viali scientifici per approdare sull'isola della
follia?
Non mi chiedo il perché del tuo gesto, so che è a
causa mia. La mia pazza corsa contro un drago spietato ti ha reso
debole e indifesa. Ed io non ho voluto accorgermene. Dietro le tue
rassicurazioni di donna forte è chiaro solo ora a me, uomo
credente di ogni verità bugiarda ma negatore dell'evidenza,
quanto eri fragile.
E allora, quando hai deciso che io non sarei più stato in
grado di proteggerti?'
Dopo aver scritto poche parole di folle lucidità, Mulder si
alzò dal letto di Scully, diede un ultimo sguardo alla sua
stanza e uscì. Presto, sarebbe arrivata l'FBI a fare le
indagini del caso.
Uscì dall'appartamento richiudendo, senza fare troppo
rumore, la porta alle sue spalle. Entrò in macchina e
partì senza sapere dove andare.
Nel cruscotto, il diario di Scully.
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§1.5 (Monica)
Alexandria, Virginia
Appartamento di Fox Mulder
Sabato 9 maggio 1998, 4:04 p.m.
Dopo avere girovagato senza meta per tutto il giorno, Mulder
tornò al suo appartamento. Si buttò sul divano
stringendo al petto il diario di Scully. Chiuse gli occhi e
sospirò. Prese tra le mani il diario e lo rigirò, ne
scrutò la copertina, ricordando quella lontana notte ad
Allentown.
Scully gli aveva promesso che avrebbe lottato. E aveva mantenuto
quella promessa.
Fino ad allora.
Fino a quella mattina maledetta.
Mulder si girò sul fianco destro, tenendo il diario
protettivamente sotto la mano. Chiuse gli occhi, contemplando ancora
l'immagine che gli appariva nella mente vivida come se l'avesse
ancora davanti a sé. Dana Scully sdraiata su quel tavolo
d'obitorio, con la ferita d'arma da fuoco sotto il mento. Il lenzuolo
azzurro che copriva il suo corpo.
Le parole di Skinner che gli giungevano da lontano. Roy Mirrow in
piedi, in disparte, testimone di una tale tragedia. Il dolore
lancinante che gli squarciava il cuore. Lasciando solo un'indolente
apatia.
Il telefono squillò all'improvviso, distogliendolo dai suoi
pensieri e risvegliandolo da quel tormentato dormiveglia.
Ebbe la tentazione di lasciarlo squillare, ma si alzò e
prese la cornetta.
'Mulder, sono io. Smettila di curiosare nel mio diario!'
Sperò di sentire dall'altro capo della linea Scully
rimproverarlo come non aveva fatto mesi prima. Invece, gli giunse
un'altra voce familiare: "Fox? Sono Maggie Scully. Possiamo
parlare?"
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§1.6 (Monica)
Washington D.C.
The Reflecting Pool
Sabato 9 maggio 1998, 5:25 p.m.
"Fox." lo salutò Maggie, abbracciandolo.
"Signora Scully." Mulder si sedette accanto alla donna sulla
fredda panchina di pietra.
L'approccio fu diretto, senza molti convenevoli. "Il vicedirettore
Skinner mi ha detto che l'hai identificata tu." Fox annuì
senza parlare. "Ma io non ci ho voluto credere finché non l'ho
vista."
"Stento a crederci anche ora." sussurrò lui.
"Fox, probabilmente sei stato l'ultimo a vederla. Cos'è
successo?"
Mulder socchiuse gli occhi, cercando di ricordare il
venerdì sera. Non avevano passato una settimana
particolarmente impegnativa: rapporti da concludere, files da
archiviare. Lavori noiosi, non pericolosi, ma tutto era passato come
al solito. Non aveva notato niente di particolare in Scully, ma
quando mai lo faceva? Mulder chiuse gli occhi e inspirò
profondamente: per cosa aveva una laurea in psicologia, se poi non
riusciva nemmeno a comprendere la sua collega, la persona più
vicina che aveva?
Mentre finiva di descrivere la giornata alla signora Scully, alle
loro spalle sopraggiunsero due uomini.
"Fox Mulder?" chiese uno di loro.
Si girarono quasi contemporaneamente. "Sì, sono io."
I due mostrarono un distintivo della polizia. Quindi lo stesso che
l'aveva chiamato, riprese: "Lei è in arresto per l'omicidio
dell'agente Dana Scully."
Mulder sgranò gli occhi, sentendo l'aria mancare intorno a
lui. Scosse leggermente la testa, ma non riuscì a parlare. Il
secondo agente iniziò a leggergli i diritti, mentre l'altro,
prendendolo per un braccio, lo fece alzare. Mentre si allontanavano
da lì, Mulder poté solo scorgere Margaret Scully.
Sconvolta, delusa e tradita.
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§1.7 (Elena)
Penitenziario dello Stato di Virginia
Sabato 9 maggio 1998, 8:07 p.m.
L'agente Mike Sanders osservava Fox Mulder: davanti a lui c'era un
uomo disperato, straziato dal dolore, che poteva però essere
un assassino. "Dovremo sottoporla alla prova del DNA." disse.
"Perché?" chiese Mulder, stancamente.
"C'è stata una colluttazione violenta, in quella macchina:
sotto le unghie del cadavere" La parola cadavere fece nascere altre
lacrime negli occhi di Mulder. "è stata trovata della pelle,
come se avesse graffiato il suo aggressore e poi... andiamo, mi dica
come è andata: ci provava da mesi, la sua collega non ci
stava, lei non ci ha visto più, l'ha aggredita e poi
uccisa."
Mulder scosse la testa, disperato: "L'hanno... no!" Era ancora
più terribile di sapere che era morta, che si era uccisa: il
fatto che qualcuno le avesse fatto del male. A lei. A quella Dana
Scully che era entrata nella sua vita cinque anni prima, che l'aveva
sostenuto, che era stata il suo punto forte. Aggredita, violata ed
uccisa, dopo essere stata rapita, sottoposta ad esperimenti, resa
sterile, menomata...
"Da un primo esame direi che non è stata tecnicamente
violenta," disse l'agente Sanders, "ma sui suoi vestiti ci sono
tracce di liquido seminale. Come se qualcuno l'avesse voluta
costringere, lei si è ribellata e sappiamo come è
finita."
"E' terribile che le abbiano... fatto questo... no, ma
perché... per colpire me!... Ma come è possibile... non
è giusto, ma chi ha potuto volerle fare del male... Era meglio
se ammazzavano me!" disse Mulder.
"Questo, mio caro signor Mulder, me lo deve spiegare lei. Mi
spiace ma gli indizi conducono a lei! Le devo ripetere cosa è
successo? Ha perso la testa, stufo magari dell'ennesimo no,
perché confessi un po', quante volte ci aveva provato? L'ha
uccisa dopo essersi divertito un po' con lei. Io gente come lei la
spedirei subito sulla sedia elettrica."
"Ma è assurdo... le hanno fatto del male, io non ero
lì a proteggerla..."
"Forse lei non era molto in sé, o no? Aveva magari bevuto
per farsi coraggio, o preso qualcosa di più forte... Andiamo,
confessi e magari si salva dalla condanna a morte." Sanders si
alzò e si avvicinò a Mulder: lo afferrò per il
bavero e lo scosse, colpendolo in pieno volto con la mano. Fox
pensò che ora l'avrebbe massacrato di botte, per convincerlo a
confessare. Ma lui non temeva il dolore fisico: era distrutto dentro
nell'animo, mentre pensava a Dana Scully che gli sorrideva in
ufficio, che confutava le sue teorie, che lo seguiva in tutte le sue
peregrinazioni, e che ora era morta, dopo che qualcuno le aveva fatto
qualcosa di orribile... Avrebbe voluto avere lui davanti l'assassino,
per vendicarla.
Sanders si fermò, temendo probabilmente le ritorsioni se
avesse massacrato di botte un agente federale e chiamò il suo
capo: "Ho finito con lui, non gli tireremo fuori niente. Peggio per
lui, tanto adesso gli facciamo il test." Poi si rivolse a Mulder,
sprezzante: "Le serve un avvocato, signor Mulder: ci sono le sue
impronte digitali sulla pistola che l'agente Scully aveva con
sé, il numero di serie è quello registrato all'FBI a
suo nome ed ora sapremo anche il resto dopo la prova del DNA."
"Posso chiamare dei miei amici?"
"Certo, purtroppo lei ha ancora dei diritti... feccia! Sono
proprio curioso di vederli in faccia, i suoi degni amici!"
Mulder ignorò la sua provocazione e chiamò i Lone
Gunmen.
"Sappiamo tutto, non ti preoccupare..."
"Hanno ucciso Scully, l'hanno uccisa... E io sono qui mentre il
suo assassino è fuori... le ha fatto del male... Io non posso
stare qui, mentre è successo questo, non posso..."
"Non ti preoccupare: ora però cerca di avere cura di
te."
"Non posso... lui è là fuori e colpirà magari
di nuovo, magari un'altra donna come Dana..."
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§1.8 (Elena)
Penitenziario dello Stato di Virginia, Obitorio
Sabato, 09 maggio 1998, 8:09 p.m.
Il dottor Robbins scosse la testa ancora una volta guardando il
cadavere di quella giovane donna disteso sul letto dell'obitorio: era
morta per la ferita d'arma da fuoco alla gola e prima c'era stata uno
scontro. C'era pelle sotto le sue unghie e liquido seminale sui suoi
vestiti. Non era difficile indovinare cosa fosse successo.
Sapeva che avevano arrestato un sospetto, il suo collega, e che
l'avrebbero sottoposto all'esame del DNA: il suo compito era
accertare che coincidesse. Riempì le provette con i campioni
di tessuto sporco e della pelle presa da sotto le unghie e le mise
nella sua borsa da portare a casa: amava portarsi il lavoro a casa, e
riprenderlo in mano poi lì. La sua nipotina Dorothy, di sei
anni, adorava starlo a vedere mentre lavorava e gli aveva detto che
voleva diventare anche lei un dottore come lui. Povera piccola,
avesse saputo che cosa voleva dire fare il suo lavoro, vedere lo
strazio sul volto di parenti e conoscenti delle vittime! Era quel
giovane venuto a riconoscerla l'indiziato: decisamente non ci si
poteva fidare di nessuno.
Robbins si allontanò dalla stanza, dopo averla chiusa, e
salutò Mary, una delle nuove donne delle pulizie. Poi si
incamminò verso casa.
Mary aspettò che tutti se ne andassero e poi aprì la
porta di servizio: due uomini entrarono.
"E' nella stanza 33, fate presto!"
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§1.9 (Monica)
Penitenziario dello Stato di Virginia
Domenica, 10 maggio 1998, mattino presto
La notte era trascorsa tormentata e colma di visioni non
più spaventose della realtà stessa.
Mulder sognò di vedere Scully. Seduta nella sua macchina,
in Virginia, con la pistola puntata sotto la gola, mentre stava per
premere il grilletto. Correva verso di lei, arrivava appena in tempo
per incontrare il suo ultimo sguardo. E con il colpo, si svegliava.
Solo per ricordare che lei se n'era già andata e non avrebbe
mai potuto riportarla indietro. Per ricordare che lei era morta da
sola.
Altre volte la vedeva combattere con un uomo. Accorgendosi di non
avere la pistola, batteva coi palmi sul finestrino, urlando
all'aggressore e quando lui si girava... vedeva se stesso. A quel
punto erano le sue stesse urla di terrore a svegliarlo.
Erano le cinque del mattino quando l'ennesima visione lo
trascinò sul bordo della toilette a vomitare l'anima. Nessuno
sembrava sentirlo e Mulder sperò di essere già passato
all'altro mondo.
Per la prima volta si addormentò senza sognare. Fu
risvegliato tre ore dopo da una voce nota.
"Mulder?"
Aprì gli occhi lentamente, accorgendosi si essere ancora
steso sul pavimento, vicino alla toilette. Qualcuno stava facendo
scorrere l'acqua e lentamente l'odore acido che ristagnava nell'aria
si dissolse.
Fox si aggrappò al lavandino per alzarsi, aiutato da
Frohike e da Langly. Di peso, lo trascinarono fino alla branda.
Mulder si sedette contro il muro, coprendosi il viso con le mani.
"Mulder, abbiamo saputo cos'è successo." disse Frohike.
"Mi dispiace." disse Byers, mettendogli una mano sulla spalla.
"Siamo stati a casa tua, poco prima che l'FBI la rivoltasse come
un guanto."
"Mulder, ma che cosa è successo?"
Fox si tolse le mani dal volto e disse: "Non lo so... io... mi
sono svegliato e mi hanno detto di andare ad... identificare il
suo... corpo. Poi... mi hanno accusato di averle fatto del male... di
aver tentato di violentarla e averle sparato perché lei si
rifiutava... ma..." Le parole svanirono. Mulder si lasciò
cadere contro il muro, gli occhi chiusi per non permettere alle
lacrime di scorrere.
"Dio..." sussurrò Frohike. "E non hai idea del
perché lei si sia suicidata?"
"Sei probabilmente stato l'ultimo a vederla, venerdì. Che
cosa è successo?" fece Langly.
"Non lo so... niente di particolare."
"Faremo di tutto per tirarti fuori di qui, Mulder." disse Byers,
con voce rassicurante.
Mulder scosse la testa, come per dire che in fondo, non era quello
il primo dei suoi interessi.
"Mulder? Che ti prende?"
"Non sono più... sicuro di essere... innocente."
"Che vuoi dire?" fece Langly.
"Se... se l'avessi uccisa io... e ora... non me lo
ricordassi?"
"Mulder, ma che stai dicendo? Sappiamo tutti che non lo faresti
mai."
Una guardia arrivò nella cella comunicando che il tempo a
loro disposizione era finito.
"Potrei sempre averla spinta io, in qualche modo..."
sussurrò Mulder, mentre i tre si alzavano.
"Faremo luce su quella notte, Mulder."
Li guardò scomparire dietro al muro. Restò seduto
sulla branda per diverso tempo. Pensò a lungo. Finché
non seppe qual era l'unica cosa da fare. Aveva trovato un motivo per
continuare a vivere, per tirare avanti ancora per un po'. La sua
crociata, gli X-Files, la stessa ricerca di sua sorella ora avevano
perso il loro senso. L'unica cosa che voleva fare, prima di
concludere la sua vita nello stesso tragico modo in cui era finita
quella della sua collega, era trovare il colpevole. Trovarlo e
punirlo per il suo crimine, non avrebbe più soppresso il forte
impulso di vendicarla. Non più.
E se l'assassino fosse stato lui stesso, non meritava una morte
più dolce di quella di Scully. Chiuse gli occhi e pensò
a quanto sarebbe stato bello, in quel momento, poter essere in
macchina, in cima a quella collina maledetta, con una canna di
pistola puntata sotto la gola e il dito sul grilletto.
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§1.10 (Elena)
Penitenziario dello Stato di Virginia, obitorio
Lunedì, 11 maggio 1998, 10:30 p.m.
Il dottor Robbins era sconvolto: era successo l'incredibile, il
corpo di quella poveretta era sparito e il laboratorio era
completamente a soqquadro. Ma tra sé e sé sorrideva,
ricordando che sua moglie lo prendeva sempre in giro perché
aveva l'abitudine di portarsi a casa le provette con i campioni.
Questa volta era stato previdente. In più si era licenziata
d'improvviso Mary, quella strana donna delle pulizie. Robbins compose
il numero di telefono di Steve Collins, un suo amico avvocato e gli
disse: "Senti, io ho bisogno di parlare con quell'agente dell'FBI,
che credo abbia bisogno di una mano, non pensi... Credo che possa far
parte dei suoi diritti... Sai, non mi torna che abbiano fatto sparire
il cadavere: dovevo ancora completare l'autopsia... sì, avevo
solo prelevato campioni da analizzare. Poi il corpo andava restituito
alla famiglia... Qualcosa non mi torna, mi sa che vogliano nascondere
qualcosa, non è solo un omicidio..." Poi il dottor Robbins
decise di andare a parlare con la polizia e con Fox Mulder.
Paul Riordan, che era appena tornato dall'irruzione fatto
all'appartamento di Mulder, scosse la testa: "Dottore, faccia il
medico. E' inutile che vada a vedere quell'assassino!"
"Io faccio il dottore, le ricordo che chiunque è innocente
finché non è stata provata la sua colpevolezza. Sa cosa
mi ricorda lei? I racconti di mio fratello sulla Gestapo. E guardi
che se a quel ragazzo capita qualcosa, io chiamo i miei amici
giornalisti ed avvocati e pianto un casino che lei non se ne fa
un'idea!"
"Quel ragazzo? Sa cos'è quel ragazzo? Un depravato e un
maniaco! Lei ha avuto la sua vittima sul tavolo operatorio e ha visto
come è morta e cosa le è stato fatto prima: ecco cosa
sognava di fare di lei quel bravo ragazzo!" Riordan mostrò al
dottore una videocassetta.
Il dottor Robbins guardò Riordan e disse: "Ha presente il
giornalaio che c'è verso la statale? Ecco vada da lui e lo
arresti perché vende queste cassette. Poi faccia una bella
perquisizione in casa di tutti i maschi dello Stato, magari anche di
tutte le donne, li arresti tutti! Questa cassetta non prova niente,
se provasse qualcosa allora avreste molto più lavoro ad
arrestare maniaci. E..." La sua voce diventò bassa: "non
passereste le serate qui a giocare a poker e a guardare le
partite!"
Riordan scosse la testa ma rimase in silenzio: vecchio dottore
testardo, bravissimo ma sempre pronto a fargli la morale.
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§1.11 (Monica)
Penitenziario dello Stato di Virginia
Lunedì, 11 maggio 1998, 5:25 a.m.
Mulder percepì appena il rumore della porta della cella che
si apriva. Non aprì gli occhi finché non sentì
una voce conosciuta: "Ehi spettrale."
Sì girò appena per vedere Paul Riordan. L'agente
speciale della sezione Crimini Violenti Paul Riordan.
"Andiamo." disse. "Devo farti un paio di domandine." L'uomo gli
rivolse un sorriso perfido.
Fox si alzò senza parlare e si lasciò condurre
nuovamente nella stanza degli interrogatori. Si sedette al tavolo,
sempre in silenzio e senza mai guardare Riordan. "Hai combinato un
bel casino, spettrale. L'aggressione e l'omicidio di un'agente
dell'FBI è campo dei federali." disse l'uomo, standogli alle
spalle.
--Già.-- pensò Mulder. --E tu ti divertirai un
mondo, Riordan.--
"Ma evidentemente non ti bastava fare quello che hai fatto.
Allora, chi è stato il tuo complice?"
Mulder si girò verso di lui, stupito.
"Sai che se dici il nome potresti avere una riduzione della pena."
Paul si spostò, mettendoglisi davanti. "Che so... da due
ergastoli a uno?" Paul sorrise di nuovo.
"Non... Riordan, sinceramente, non so di cosa stai parlando."
"Sì, dicono tutti così, non è vero,
Spettrale?"
Mulder abbassò lo sguardo sul tavolo. "Non ho ucciso io
Scully." sussurrò.
"Poniamo che sia così." fece Riordan, meravigliandolo.
"Allora perché far sparire il corpo? E chi hai mandato?"
"C-cosa? Il... il corpo di... no... non..."
"Fortunatamente, il medico legale John Clair aveva già
prelevato alcuni campioni-"
"Un momento!" lo interruppe Mulder. "Non era lui, era... mi
avevano detto che sarebbe stato il dottor Robbins a fare l'autopsia
sul cada... su-"
Paul sbatté i palmi sulla superficie lucida del tavolo.
"Stai zitto. Tu sei solo un assassino, una merda senza diritti. Come
ti permetti di interrompere un interrogatorio?" Si scostò da
Mulder solo per cercare un pacchetto di sigarette nella tasca interna
della giacca. "Clair ha identificato il gruppo sanguigno
dell'aggressore. 0 negativo. Ti ricorda niente?" Paul si accese la
sigaretta come se stesse parlando di quale fosse la birra migliore da
bere mangiando la pizza.
Mulder si coprì il volto con le mani. "Non sono stato io."
sussurrò, senza però mettere molta importanza nelle
parole.
"Puoi accettare o no di sottoporti al test. Certo è che, se
come dici tu sei innocente, quel test potrà dare una prova che
non sei tu l'aggressore. Ma l'hai uccisa per gelosia."
Mulder scosse leggermente la testa. "E' inutile, Riordan."
"Già. Perché sappiamo entrambi che sei stato tu sia
ad aggredirla sia ad ucciderla, non è vero?!"
"No!" esclamò Mulder, alzando la voce a un livello normale
per la prima volta. Poi cadde di nuovo in un sussurro. "Stanno
cercando di incastrarmi."
"Sì, naturalmente. Come le tue varie crisi di amnesia, non
è vero, Mulder? Su, non è la prima volta che commetti
un crimine e poi te ne dimentichi." Paul si accese la sigaretta e
rimase per qualche istante a fumare.
Fox scosse la testa.
"Abbiamo trovato questa nel tuo appartamento." Paul gli
mostrò una videocassetta. "Anche questa sarebbe stata infilata
nel tuo videoregistratore e messa al momento magico solo per
incastrarti?" Il suo tono era di derisione.
"Non è illegale per un adulto possedere e vedere
pornografia." disse.
"Ma lo è uccidere una collega!" Paul buttò la
cassetta sul tavolo. "Avanti, quanti anni sono che ci pensi? Da
quanti anni hai questi desideri morbosi verso la tua collega?"
Lo sguardo di Mulder cadde sulla copertina della videocassetta,
sulla quale, in atteggiamento molto intimo, una donna dai capelli
rossi e un uomo, mezzi nudi, erano gli avvenenti protagonisti del
film, di cui, naturalmente, Mulder non ricordava nemmeno la trama.
"Non... non ho mai avuto pensieri... morbosi su di lei."
Paul era di nuovo dietro Fox. "Allora perché l'hai uccisa?"
Si chinò su di lui e continuò. "Vuoi farci credere che
stavate facendo qualche giochetto erotico stile guardia e ladro e,
ops!, è partito un colpo di pistola per sbaglio?" Rise.
"Avanti, chi ci crederebbe mai? Dana Scully era un'agente rispettata,
in gamba, poteva puntare in alto." Prese una boccata dalla sigaretta
ormai finita e aggiunse: "Poi ha conosciuto te." Spense la sigaretta
nel posacenere. "E stanotte, per evitare che trovassimo le prove, hai
mandato qualcuno a portare via il corpo, ma sono arrivati tardi."
Paul continuava a girargli intorno. "Le hai negato tutto. La vita
sociale, la promozione, la vita stessa... e adesso le neghi pure una
degna sepoltura? Il pianto dei suoi parenti? Sei un gran figlio di
puttana, Mulder." Al silenzio di Fox, Paul riprese. "Pensaci.
Tornerò presto a farti visita." Fece un cenno alla guardia e
Mulder fu riportato nella sua cella.
*******
§1.12 (Monica)
Penitenziario dello Stato di Virginia, obitorio
Martedì, 12 maggio 1998, 2:12 a.m.
La notte arrivò presto.
Mulder sapeva che gli incubi sarebbero ritornati, ma non ci
sarebbe stata Scully a sussurrargli nel sonno che tutto andava bene,
che avrebbe ritrovato Samantha. Né ci sarebbe stato nessun
altro a tranquillizzarlo, perché Dana non sarebbe più
tornata. Rassegnato ad essere accusato di un omicidio che non
ricordava di aver commesso e a non poter più vedere la sua
collega, si addormentò.
"Mulder..."
Quella voce...
"Mulder..."
Scully?...
"Mulder, svegliati!"
Fox aprì gli occhi e si girò sulla brandina
scricchiolante. "Scully?!" esclamò. Tese le mani verso di lei,
che raggiunse il suo abbraccio. "Oh Dio, Scully... perché?
Cos'è successo?"
"Non lo ricordi?" sussurrò lei, alzando il volto dal suo
petto.
"No..."
"Oh, Mulder... come puoi arrenderti così? Come puoi
rassegnarti alla mia morte? Come puoi lasciare che il mio corpo venga
rubato e la verità strappata un'ultima volta da te?"
"Scully, io..." Fox sospirò e la strinse a sé. "Mi
manchi..."
"Mulder, ti stai arrendendo!"
"No..."
"Non puoi arrenderti! Devi scoprire la verità!"
"Io... io non posso!"
"Sì che puoi! Devi cercare la verità! Dentro di te e
là fuori!" Dana gli accarezzò il volto, poi fece per
sciogliersi dal suo abbraccio, ma lui la trattenne. "Non
andartene."
"Mulder, lasciami."
"No!"
"Ti ho detto di lasciarmi andare!"
"No! Devi restare con me!"
"Mulder, mi fai male!" Scully urlò e di colpo era ancora
nella sua macchina, sulla collina, sabato all'alba.
Ma questa volta, Mulder non la vedeva da fuori.
Era nell'abitacolo con lei.
Era sopra di lei.
Dana cercava di spingerlo indietro, ma lui era più forte e
più grande, i suoi sforzi erano inutili. Ad un tratto, Dana
aveva in mano la pistola.
"Che stai facendo?" Fox sentì la propria voce urlare. Dana
teneva la pistola con entrambe le mani, puntata contro di lui. "Che
cosa stai facendo?!" Mulder la prese per i polsi e la spinse
indietro. Il colpo partì proprio mentre la canna della pistola
sfiorava la gola di Scully.
I suoi occhi erano ancora aperti, lo guardavano senza capire quel
tradimento, mentre l'anima scivolava via.
Mulder si svegliò di soprassalto.
Si scostò le coperte, andando a sbattere contro il muro.
"Oh Dio, no..." sussurrò. "Oh no... sono stato io... oh no...
Scully..." Scoppiò a piangere. "Scully, perdonami...
perdonami, perdonami, perdonami..."
*******
§1.13 (Steffy)
Sezione crimini violenti, FBI Building
Washington D.C., Virginia.
Lunedì, 12 maggio 1998, notte.
Quel caso era semplice, molto più degli ultimi che aveva
dovuto risolvere da due anni a quella parte. Uno che ammazza la
propria collega per motivi passionali era così consueto che
meritava di essere archiviato su due piedi. E allora perché
era lì, alle quattro del mattino, con una tazza di
caffè imbevibile in una mano e il fascicolo del caso
nell'altra, a maledire il giorno in cui Fox Mulder era venuto al
mondo? La risposta gliela davano dieci anni di lavoro alla sezione
crimini violenti e l'espressione degli occhi dei colpevoli
preoccupati solo di essere assolti...
Ma Mulder non era preoccupato per se stesso, non gliene importava
niente della sedia elettrica, era troppo addolorato della morte della
collega per accorgersi che per lui poteva finire male. Se qualcuno
aveva fatto sparire il corpo della donna doveva esserci un motivo. E
l'unica ragione era quella di farlo apparire colpevole...
Paul Riordan appoggiò la tazza del caffè sulla
scrivania affollata di ogni cianfrusaglia possibile, gettò il
fascicolo del 'caso Scully' sul tavolo e si avvicinò alla
grande finestra del suo ufficio che dava sulla strada.
Appoggiò la mano destra su un fianco e si toccò il
mento con la mano sinistra con fare perplesso.
"Se quello non si difende, che posso fare? Lasciarlo marcire in
prigione per un crimine che magari non ha commesso?" pensò ad
alta voce. Si girò verso la scrivania e il dossier,
tirò un sospiro profondo e si sedette di nuovo. Lo aprì
alla prima pagina. Riepilogò tutte le indagini svolte fino a
quel momento. Per l'ennesima volta.
"OK, la donna muore. Il cadavere viene portato in obitorio e il
medico... il dottor Robbins, inizia un'autopsia superficiale
prendendo campioni di tessuto, di liquido seminale e se ne va a casa
con il suo lavoro, rimandando il seguito al giorno dopo. La mattina
seguente, il corpo è scomparso lasciando Mulder nei guai fino
al collo." In fondo al fascicolo trovò il primo esame
preliminare di Robbins, lo rilesse: "'Sotto le unghie ci sono
frammenti di pelle dell'aggressore, sui vestiti ci sono tracce di
liquido seminale... tutto da analizzare e comparare con eventuali
campioni del presunto omicida'." Sul foglio seguente, la firma del
dottore è diversa.
"E qui Mulder aveva ragione, solo successivamente il dottor Clair
viene incaricato dell'autopsia. Il motivo... ah, ecco
'indisponibilità del medico legale assegnato precedentemente
all'esame autoptico'. Perché non me ne sono accorto subito?"
Cercò il nome e l'indirizzo del dottor Robbins: nonostante
fosse notte fonda, era intenzionato a scoprire il motivo per cui il
primo medico legale era stato sostituito. Perché perdere una
notte di lavoro? Prese il soprabito, il fascicolo e uscì
dall'ufficio.
Quando arrivò al 1425 di Thurmington Hill, si fermò.
Le luci al piano superiore della villetta, residenza di Robbins,
erano accese. Alle 4:30 di mattina non era impossibile, ma quanto
meno improbabile. Si avvicinò alla porta d'ingresso,
suonò il campanello ma non ottenne risposta. Bussò
caparbiamente alla porta ma non gli rispose ancora nessuno. Chiamare
i rinforzi non sarebbe servito a molto --magari in casa non
c'è nessuno, per questo motivo Robbins non è
reperibile. Forse hanno dimenticato le luci accese prima di andar
via--, pensò l'uomo.
Basta con le ipotesi, decise di entrare in azione. Fece il giro
della villa per arrivare sul retro dove trovò la porta aperta
e i vetri infranti. Entrò in casa con la pistola puntata verso
un probabile intruso.
A passi felpati si inoltrò nella cucina in ordine, poi
passò al soggiorno. Non c'era niente di strano ma non era
facile stabilirlo con una piccola torcia dalle pile quasi scariche.
Si guardò attorno sperando, a quel punto, che non ci fosse
nessun abitante che potesse spaventarsi di lui. Lo studio era buio e
in disordine. Decise di vederci meglio ed accese la luce. I cassetti
della grande scrivania erano aperti e molti fogli e altri oggetti
erano sparsi per la stanza, ma non c'era nessuno.
Salì le scale, verso la stanza con la luce accesa. Dopo i
primi gradini, si accorse di alcune macchie di sangue che sporcavano
il tappeto. Sul pianerottolo c'era il corpo di un uomo: il dottor
Robbins. L'agente Riordan si piegò su di lui e, mentre con
circospezione si guardava attorno per difendersi da un probabile
attacco, tastò il polso dell'uomo e si rese conto che era
morto. Si alzò dal pavimento, si recò nella stanza con
la luce accesa. Era la camera da letto, il pigiama sistemato sul
letto come se aspettasse di essere indossato; attorno c'erano segni
di lotta.
Il dottore, stabilì Riordan, era stato sorpreso in quella
camera e, dopo essere stato stordito con un colpo alla nuca, si era
accasciato per terra. Qualcuno aveva cercato qualcosa di importante.
L'uomo, accortosi di ciò che stava avvenendo, aveva iniziato a
ribellarsi e a trascinarsi per le scale tentando una via di fuga ma
era stato colpito al cuore, di spalle. Era morto sul colpo, da almeno
un giorno, considerato il cattivo odore che si respirava nell'aria.
Dopo quel primo esame sull'accaduto, Riordan chiamò la
scientifica e iniziò le indagini del caso.
Fu chiamato anche il nuovo medico legale, il dottor Clair, che
ormai si occupava della faccenda al posto di Robbins, per stabilire
la causa della morte dell'uomo.
Quando tornò in ufficio, nel redigere il rapporto, non
dimenticò di dire che nella tasca della giacca interna, il
dottor Robbins aveva nascosto le provette con liquido seminale e
pelle dell'aggressore che aveva prelevato dal corpo dell'agente
Scully.
Probabilmente, era ciò che l'assassino aveva cercato
invano.
*******
§1.14 (Steffy)
Penitenziario dello Stato di Virginia
Martedì, 12 maggio 1998 ore 12:40 a.m.
Seduto curvo sulla sponda di quel letto sottile e scomodo di
prigione, i gomiti appoggiati alle ginocchia e i palmi delle mani a
coprire gli occhi bagnati, Mulder piangeva lacrime che credeva
giuste. E se i suoi sogni fossero un riaffiorare di una memoria
inconscia? Significava solo che lui aveva ucciso Scully... ma lei gli
aveva detto anche di cercare la verità. Riordan aveva ragione,
avrebbe dovuto donarle almeno una sepoltura degna del suo nome, anche
se per lui significava il carcere per trent'anni prima di finire su
una sedia elettrica.
I no che la testa formava significavano due pensieri opposti e
paralleli: -no, non sono stato io- oppure -non posso credere di
averlo fatto-.
D'un tratto, una lacrima cadde su qualcosa che sporgeva da un
incavo presente tra la brandina e il materasso. Accorgendosene,
Mulder si chiese cosa potesse essere. La copertina bordeaux gli
ricordava qualcosa, forse un libro o un quaderno. Con la mano destra
lo prese e si accorse che era il diario di Scully. Chi l'aveva
lasciato lì se non i Lone Gunmen? Gli avevano detto di essere
stati a casa sua. Sì, erano stati certamente loro, ma per
quale motivo avrebbero dovuto lasciarlo lì? Lo sguardo curioso
cadde sul diario, poi attorno a sé. Quando fu sicuro che
nessuno potesse controllare i suoi gesti, sfilò un foglietto
sporgente .
'Mulder, abbiamo deciso di lasciare a te il compito di leggere
quello che Dana ha confessato a questo diario. Eri la persona che la
conosceva meglio. Siamo convinti che lei preferirebbe così.
Speriamo che, in queste pagine, tu possa trovare la ragione di tanto
dolore. Se Scully ha deciso di togliersi la vita volontariamente, la
verità può essere solo qui dentro. I Lone Gunmen.'
Mulder strinse nella mano quel biglietto improvvisato chiedendosi
se seguire o meno il suggerimento dei suoi amici. --Perché io?
E se non trovassi le risposte che cerco? Oh, Dana! Se togliermi la
vita bastasse a ridarti la tua o solo a capire il motivo del tuo
gesto disperato, lo farei. Ma non porterebbe a niente. Lo so.
Seguirò il tuo consiglio 'devi scoprire la verità.
Dentro di te e là fuori.'
Dentro di me? C'è il vuoto, dentro. Mi sento solo, in pieno
oceano. Nessuno che possa salvarmi dalla mia disperazione. C'eri tu,
prima. Ora...--.
Scoppiò in lacrime. Solo per due persone, in vita sua, era
riuscito a piangere a quel modo: Samantha e Scully. Lacrime
così dolorose da solcare il viso per arrivare giù, fino
al collo, e farlo rabbrividire. Di paura. Paura perché, per la
prima volta, non riusciva a mettere a posto le idee, i pensieri che
erano confusi come tanti rivoli d'acqua tra le rughe del letto di un
fiume prosciugato. Nessuno andava per lo stesso verso e questo lo
perdeva in tanti piccoli pensieri pazzi. Fino a che una lacrima non
cadde di nuovo sulla copertina del diario della sua compagna. Forse
la risposta era lì, non fuori, ma lì dentro. Eppure non
ci credeva. Con quale freddezza Scully avrebbe deciso una cosa tanto
assurda? Perché avrebbe dovuto regalare al suo diario la
confessione di un suicidio che sarebbe avvenuto lontano nel
tempo?
Col dorso della mano destra, si asciugò il viso. Si sedette
a gambe incrociate sul letto e fu sul punto di aprire il diario della
collega, quando venne avvertito di una visita. Infilò, non
visto, il diario sotto la brandina e si preparò
all'incontro.
*******
§1.15 (Monica)
Penitenziario dello Stato di Virginia
Martedì, 12 maggio 1998, 3:21 p.m.
Mulder venne condotto di nuovo nella saletta degli interrogatori.
Si chiese chi ci sarebbe stato, questa volta, a divertirsi a
torturarlo rigirando il coltello nella piaga. Quando arrivò
sulla soglia, vedendo la persona seduta al tavolo, si girò,
quasi pronto ad implorare di essere riportato indietro, ma lei lo
chiamò: "Fox..."
Mulder si sedette lentamente al tavolo e sentì la porta
chiudersi, indicando che era stato lasciato solo con Margaret
Scully.
"Fox, io so che tu e Dana eravate buoni amici. E non so cosa ti
abbia spinto a compiere un simile gesto."
Mulder non alzò lo sguardo.
"Ma ora, ti prego... permetti almeno di seppellirla."
"Signora Scully..." iniziò lui. Cosa avrebbe dovuto dirle?
"Non sono stato io ad ucciderla"? Ormai neppure lui era più
convinto della sua stessa innocenza. "Non... non sono stato io a... a
fare portar via il corpo."
Il silenzio di Margaret fu così lungo da far alzare a
Mulder lo sguardo per la prima volta. Vide una donna straziata dal
dolore. Un dolore che lui stesso aveva provocato.
Lei riprese: "Fox, dimmi che non sei stato tu... a uccidere
Dana."
Mulder fece per giurarlo, ma qualcosa dentro di sé lo
fermò. "Signora Scully... io... io non lo ricordo." Eppure
Margaret gli aveva dato una grande possibilità. Si era fidata
di lui. Per questo non poteva mentirle.
Margaret sospirò. Aprì la borsa e Mulder
sperò che ne estraesse una pistola per sparargli. Invece gli
passò una busta bianca, sul davanti solo una scritta nitida:
"Mulder", nella calligrafia di Scully. "Dana voleva che io ti dessi
questa." Senza dire altro, si alzò ed uscì.
*******
§1.16 (Steffy)
Penitenziario dello Stato della Virginia
Martedì, 12 maggio 1998, 4:00 p.m.
Quando dopo l'incontro con Margaret Scully ritornò in
cella, Mulder si avvicinò alle sbarre della piccola finestra
da cui entravano i caldi raggi di sole della primavera ormai
inoltrata. Gli offrì il volto, che si scaldò al loro
tiepido calore. Nella mano destra stringeva la piccola busta bianca
che racchiudeva le parole di Dana rivolte a lui.
Sapeva che avrebbe dovuto aprirla e scoprirne il contenuto, ma
credeva che in quel messaggio non avrebbe trovato la risposta alla
domanda che lo tormentava. Non avrebbe dimostrato la sua innocenza...
o la sua colpevolezza, ma l'avrebbe solo riportato a immaginarla
ancora lì, sulla collina...
Quando, dopo eterni minuti, il sole scomparve dietro le mura della
prigione, Mulder abbandonò la sua posizione per sedersi al
piccolo tavolino di plastica, un po' traballante, che era di fronte
al letto.
Osservò la busta per molto tempo forse tentando di
immaginare quali parole, quali pensieri destinati a lui potesse
custodire.
D'un tratto, con rabbia, quasi che qualcosa l'avesse trattenuto
fino a quel momento dal farlo, la aprì strappandone l'orlo al
lato. Ne estrasse un foglietto bianco, piegato in due. La scrittura
era minuta e ordinata, molto di più rispetto a quella che lui
ricordava tipica della collega. Segno che, al momento della sua
redazione, il contenuto fosse stato ragionato più volte. Tenne
quel foglio con entrambe le mani tremanti e iniziò a
leggere.
'Mulder,
ho pensato a questo momento molte volte. La natura del nostro
lavoro è talmente rischiosa da rendere azzardati i progetti a
lungo termine. Prima o poi, avrei dovuto scrivere questa lettera, ma
non ho mai trovato il coraggio. Non riuscivo a pensare a ciò
che avrei dovuto dirti immaginando che l'avresti ricevuta dopo la mia
morte. Ecco, non so esattamente cosa scriverò, ma credo che
questo sia il momento giusto per farlo. E voglio esserti comunque
vicina, per questo la scrivo di pugno.
Stamattina sono andata a trovare Melissa. Sono passati due anni da
quando è morta e vado spesso da lei, le confido le mie paure,
le mie ansie, le mie gioie. Oggi, però, non sono riuscita a
raccontarle niente. Nel cuore avevo solo un desiderio: dirle che le
voglio bene. Ma le parole mi riuscivano spezzate anche nel
pensiero...
E' strano l'affetto, Mulder. Ami una persona totalmente e non
riesci a confessarlo. E anche quando è morta ti riesce
difficile pensare che possa ascoltarti e che di quella tua
confessione tardiva possa farne qualcosa. Missy sapeva esternare i
suoi sentimenti, riusciva a parlarne con nostra madre... io no. Mi
sembrava pericoloso regalare un sentimento così profondo a
qualcuno che avrebbe potuto calpestarlo, tradirlo... quindi non lo
facevo. E ora, mi pento di non aver ceduto con mio padre, con
Melissa... con te.
Tutto questo mi ha portato a pensare a tua sorella Samantha. Ho
paura che tu non ti sia rassegnato alla sua scomparsa perché
avevi un rapporto in sospeso con lei, non solo una partita a
Stratego. Se quella sera avessi avuto il tempo di dirle qualcosa
prima che scomparisse per sempre dalla tua vita, forse le avresti
dichiarato il tuo affetto ed ora non ti danneresti l'anima per
scoprire dov'è...
E' questa la ragione che mi spinge a scriverti. Quello nell'FBI
è un lavoro pericoloso e non vorrei che un incidente
imprevisto tenga il nostro rapporto in sospeso, portandoti a colmare
questa perdita con la ricerca spasmodica di una qualunque
verità che sostituisca un affetto. Sarebbe una verità
offuscata dai sentimenti, dalla ricerca di una giustificazione della
mia dipartita.
Mi hai dato così tanto, Mulder. In questa vita, sei stato
l'unico di cui mi fidassi ciecamente; più di chiunque altro...
più della scienza. Cos'è quello sguardo, non ci credi?
Eppure è la verità. Ho affidato anche la mia malattia
alle tue mani invece che a formule chimiche. Ricordi?
Questa mia fiducia in te, così totale e che mi porta a
sostituirti alle persone in cui dovrei confidare, mi spinge a donarti
quella parte di me che non hai mai conosciuto. Hai rischiato la tua
vita per la mia tante di quelle volte da meritare di conoscermi un
po' di più.
Sai bene che aggiorno un diario, quello personale, che racchiude
tutti i segreti del cuore. Voglio che lo prenda tu perché ti
aiuti a comprendere il motivo che mi spingeva ad essere così
ferma e puntigliosa nel mio lavoro... nel *nostro* lavoro. Sì,
perché la tua ricerca era diventata anche la mia. Trovare una
verità, corroborata dalle prove che ti ho costretto a cercare
per anni, sarebbe stata una verità totale. La nostra
vittoria.
Continua a cercare quelle prove, Mulder. Combatti ancora, per
entrambi. E, per questa ragione, metti da parte le lacrime e scopri
la verità con la tua tenacia, quella forza che ci ha salvato
tante volte... mi ha salvato tante volte.
Non sorprenderti di questa dichiarazione di umanità,
Mulder. Nonostante la tua eterna ricerca di una vita oltre la Terra,
ricorda che siamo umani e che possiamo sbagliare. Ma ognuno di noi
è libero di fare delle scelte. Spero che tu scelga di
continuare nella tua battaglia.
Per me.
Scully.'
Mulder fece come la sua collega gli aveva chiesto. Si
asciugò le lacrime e, dopo aver osservato ancora una volta il
cielo limpido, si sdraiò sulla brandina chiudendo gli occhi.
Presto, cadde in un sonno senza sogni, senza Scully.
*******
§1.17 (Monica)
Penitenziario dello Stato di Virginia
Mercoledì, 13 maggio 1998, 12:30 a.m.
Fox Mulder era terrorizzato.
Raramente aveva avuto così tanta paura in vita sua. Avrebbe
potuto paragonare quello stato di panico al momento in cui aveva
sentito Scully sulla segreteria telefonica implorare aiuto
perché Duane Barry la stava attaccando, e quando pochi mesi
prima era entrato nella stanza d'ospedale di lei ad Allentwon,
trovandola vuota. E il diario aperto sul comodino.
Girandosi sulla branda, Mulder seguì la linea del letto
sotto le coperte ed andò a sfiorare la copertina del diario,
nascosto ancora sotto il materasso. Pregò che non lo
trovassero mai.
Chiuse gli occhi per un instante e le immagini del sogno si
replicarono di nuovo davanti a lui. Erano nitide e chiare, tanto che
lui aveva iniziato a ricordare nuovi particolari. Sapeva che potevano
essere solo frutto della sua fertile fantasia e della stanchezza, ma
nel profondo del suo cuore temeva e credeva fossero veri.
Arrivò ad immaginarsi tutto, e continuava a replicarlo
nella sua mente quasi in cerca di un particolare che avrebbe potuto
dirgli che era tutto falso, e infine come per punirsi di quello che
aveva fatto.
"Io vado a casa, Mulder." disse Scully, alzandosi dalla sedia.
Fox alzò lo sguardo dal fascicolo: "Seratina calda in
programma?" le chiese, notando che lei stava uscendo più
presto del solito.
"Naturalmente. Appena arrivo a casa una bella doccia calda, poi
una minestra calda, quindi mi infilo nel mio pigiama caldo, mi metto
sul divano sotto una bella coperta calda a guardare 'Mezzogiorno e
Mezzo di Fuoco' in televisione."
"Serata allettante, posso infilarmi anch'io nel tuo caldo pigiama
e sotto la tua calda coperta?"
Scully si limitò a sorridere, mentre si infilava il
soprabito.
"Ho capito, vuoi lasciarmi a casa da solo senza riscaldamento, a
farmi una doccia fredda, bere un bicchiere di tè freddo, sul
mio divano di pelle fredda a guardare 'Il Grande Freddo' in
TV..."
"Ci vediamo lunedì, Mulder." Con un gesto della mano era
svanita dietro la porta e lui non le aveva nemmeno augurato "buon
fine settimana". Come di consueto. Ma ora gli dispiaceva, avrebbe
voluto farlo.
La serata si era conclusa come molte altre. Era arrivato a casa,
si era steso sul divano con qualche cosa da mangiare che nemmeno
ricordava e che probabilmente aveva in frigorifero da troppo tempo,
poi aveva infilato una cassetta nel videoregistratore e si era steso
a guardarla. A ben pensarci, ricordava di essere stato indeciso su
cosa guardare quella sera. Certamente non era in vena di "Incontri
Ravvicinati del Terzo Tipo" e nemmeno di "Mezzogiorno e Mezzo di
Fuoco", almeno non senza sentire i movimenti di Scully che si
preparava ad andare a dormire nella stanza di motel accanto. Quindi
aveva ripiegato su qualcosa tipo "Le Notti Rosse di Scarlett".
Mulder si rigirò nel letto, lasciando andare la presa del
diario. Da circa metà film, nei suoi ricordi tutto diventava
buio e veniva rischiarato solo dai sogni, dai presentimenti.
Doveva essere quasi mattina. Forse le tre. Si era svegliato, aveva
chiamato Scully, implorandola di seguirlo per l'ennesima volta. Lei
aveva detto che sarebbe passata a prenderlo in breve. Era arrivata da
lui, che era già in strada ed erano partiti, forse per vedere
un UFO o qualcosa del genere. Scully aveva parcheggiato la macchina
sul pendio. Era l'aurora, in breve il sole si sarebbe alzato
sull'orizzonte distante di montagne frastagliate.
Erano seduti in macchina, forse Scully gli stava parlando di
quanto fosse stupido andare a caccia di UFO e via dicendo.
Evidentemente lui non la stava ascoltando perché non ricordava
niente di quello di cui lei gli stava parlando.
Ad un tratto lui si era girato verso di lei, l'aveva baciata.
Scully si era mostrata stupita, forse un po' adirata per essere
stata svegliata alle tre del mattino solo per finire a sbaciucchiarsi
in cima a una collina come due ragazzini. Forse, invece, era
diventata di colpo timida. Gli aveva detto che non se l'aspettava,
che era presto per passare a una relazione più profonda di
quella che già avevano, che non se la sentiva, non era pronta.
Allora lui aveva perso il controllo. Era scivolato velocemente tra
lei e il volante, bloccandola con il suo peso, urlando contro di lei
frasi che ora nemmeno riusciva a mettere assieme. Lei forse era
rimasta shockata, forse aveva cercato di farlo ragionare parlando
lentamente, con calma. Forse si era messa a piangere. E il resto era
storia.
Mulder ficcò la testa sotto il cuscino. Il solo pensiero di
aver fatto piangere Scully lo faceva star male. Si premette il
cuscino sulla faccia finché si sentì mancare il
respiro. Poi rilasciò la presa e si mise a sedere sul
letto.
Perché diavolo non ricordava nulla? Non riusciva a capire
perché, per quello che ne sapeva, aveva dormito sonni
stranamente tranquilli e rilassanti per tutta la notte. Eppure aveva
ucciso Scully. Aveva ucciso la sua migliore amica dopo averla
trascinata in un luogo deserto e solitario per cercare di
sedurla.
Mulder sentì il bisogno ancora più pressante di
chiamarla. Lei riusciva sempre a tranquillizzarlo, quando lui si
risvegliava da qualche incubo.
"Voglio parlare con Scully." sussurrò. "Voglio parlarle...
devo parlarle... devo... chiederle scusa."
Sulle parole di un perdono che avrebbe voluto chiederle, Mulder si
addormentò.
*******
§1.18 (Monica)
Penitenziario dello Stato di Virginia
Mercoledì, 13 maggio 1998, 8:07 a.m.
Aveva dormito in una posizione strana quella notte, ed ora il suo
collo glielo stava facendo pesare.
Seduto ancora nella sua cella, Mulder stava fissando la copertina
del diario di Scully. Ancora non aveva avuto il coraggio di leggerlo.
Attendeva, sperando che i Lone Gunmen o chiunque altro avesse potuto
portagli la prova della sua innocenza e soprattutto la prova che
tutto quello era solo un incubo e che Scully era viva.
Gli avevano annunciato una visita e, quando sentì dei passi
arrivare verso la sua cella, alzò lo sguardo sperando ancora
di vedere la sua collega arrivare e dirgli: "Ho saputo che non hai
dormito molto, questa notte." Sapeva che era impossibile, quindi
chiuse gli occhi e sperò che il rumore oltrepassasse la sua
cella e lo lasciasse immerso nel suo sterile masochismo.
"Agente Mulder?"
Aprì gli occhi quel tanto che gli bastò per scorgere
l'imponente figura di Skinner davanti a sé. "Signore."
sussurrò in saluto.
"Ieri ho parlato con Paul Riordan." Skinner optò per
l'approccio diretto.
"Ho avuto anch'io il piacere." disse Mulder.
"Riordan crede che lei sia colpevole. Io no."
Mulder lo guardò con una leggera aria di stupore: "Allora
è l'unico."
Skinner non badò al commento e senza perdere un colpo
continuò: "Da quello che mi ha detto, non si è
dichiarato innocente."
Fox abbassò lo sguardo sul pavimento ruvido e grigio della
prigione.
"Sta cercando di proteggere qualcuno o qualcosa, agente Mulder, o
è solo autolesionismo?" gli chiese, in tono molto duro.
"Io non sono... non so se sono innocente o no."
"Andiamo Mulder, saprà bene se ha premuto quel grilletto o
no."
"Non ha più importanza." disse Mulder. "Non mi interessa.
Scully... Scully è morta, che differenza fa se l'ho uccisa io
o no? Anzi, se sono stato io, almeno l'assassino verrà punito.
Voglio la sedia elettrica."
"Dannazione, Mulder, come può lasciarsi andare in questo
modo?! Scully era la sua collega, se non è stato lei ad
ucciderla, dovrebbe almeno tentare di farle giustizia! Scoprire la
verità per lei. Io credo che glielo debba. Se veramente
contava qualcosa, credo che questo sia il minimo che lei possa fare
per l'agente Scully." La cella cadde in un silenzio piatto per
diversi minuti. Alla fine fu di nuovo Skinner a parlare: "Non
è la prima volta e non sarà l'ultima che qualcuno cerca
di incastrarla. Non ha mai pensato a questo?"
Mulder incontrò per la prima volta lo sguardo di Skinner.
"Io ho sognato di ucciderla. Era un sogno vivido, vero...
allucinante."
"Non può basarsi su un sogno. Mulder, se lei si lascia
andare, tutto quello che lei e l'agente Scully avete scoperto, tutto
quello che avete faticosamente messo assieme, la sua stessa morte,
saranno inutili. Non sarà servito a nulla, tutto quello che
avete passato insieme. Tutto quello che avevate."
Senza dire altro, Skinner si alzò in piedi e poco dopo se
n'era andato.
Mulder chiuse gli occhi, respirando a fondo per qualche minuto. Le
parole di Skinner l'avevano punto sul vivo. Era ora di scoprire la
verità. Dentro di sé e là fuori.
Fox fece scivolare la mano sotto il cuscino, dove aveva nascosto
il diario appena aveva sentito i passi. Ne accarezzò la
copertina per alcuni istanti. Quindi l'aprì. Sulla prima
pagina, la calligrafia di Dana descriveva tutta la sua angoscia della
scoperta del cancro. Mulder aveva letto una sola volta quella pagina,
come alcune successive, eppure la ricordava a memoria.
"Per la prima volta nella mia vita sento il battito del cuore che
scandisce il tempo e i secondi che scorrono rapidi come una
minaccia..." Mulder scorse avanti, verso la fine della pagina. "Vedo
allontanarsi la prospettiva di continuare un viaggio intrapreso non
molto tempo fa, un percorso seguito con una fede debole, ma
corroborata dalla tua tenacia, senza la quale in questo momento non
avrei mai trovato la forza per affrontarlo senza timore, e
affrontarlo da sola, sperando che mi perdonerai per non voler
compiere il resto del viaggio insieme a te..." Mulder chiuse gli
occhi per qualche istante, come per evitare di leggere quelle pagine
così piene di dolore. Com'era finito quel viaggio? Con un
colpo di pistola sotto il mento che forse lui o lei stessa avevano
sparato. Mulder girò qualche pagina, i suoi occhi scorrevano
veloci sulla grafia a lui così nota e cara. "E se quando
leggerai queste righe le tenebre mi avessero inghiottito..."
"Scully, quali tenebre... quale morte alla fine?" sussurrò
al diario.
Girò pagina, cercando di scacciare i ricordi di opprimenti
radiografie.
"Abbiamo sempre viaggiato insieme, spalla a spalla, ma
quest'ultima tappa la devo necessariamente percorrere da sola."
Mulder chiuse il diario, non riuscendo a continuare a leggere
quelle pagine. Anche se quell'ultima frase, sembrava dargli il minimo
conforto dell'innocenza. Prese qualche respiro profondo e
riaprì il diario. Girò velocemente le pagine che
conosceva a memoria, diede un veloce sguardo alle poche scritte
successive, fino ad arrivare al venerdì precedente.
"Ti ho detto che sarebbe stata una serata calda. Peccato che non
lo è per niente. Non ho nemmeno acceso la TV, ho solo mangiato
la mia razione quotidiana di verdure, quindi mi sono messa qui sul
divano a scriverti. Ed eccomi qui. Fa freddo. Non è un freddo
fisico... ho guardato sul termometro, prima, non è tanto
freddo come lo sento io. Ho freddo dentro. Mi sento sola e questo
accade da tempo, il venerdì sera, il sabato... e anche la
domenica. Forse avrei dovuto proporti di venire qui. Avremmo potuto
parlare, mangiare assieme e poi guardare uno di quei film che ti
piacciono tanto, come 'Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo'. Potrei
ancora chiamarti. Sono solo le dieci e... e so già che non lo
farò. Mi chiedo perché, dopo tutti questi anni insieme,
sia ancora così difficile per me parlarti. Scrivere è
così semplice."
Mulder girò pagina e trovò solo la propria grafia.
Che strano, la frase prima sembrava lasciata in sospeso. Eppure alle
dieci anche lui stesso era ancora sveglio. Lo ricordava bene, era
rincasato tardi ed aveva visto almeno mezzo film.
"Signore?" Mulder alzò lo sguardo dal diario, per trovare
una suora accanto al secondino. "Posso parlarle?"
Mulder annuì, stupito della presenza della donna, ma i suoi
pensieri erano ancora altrove.
La suora entrò e attese che il secondino si fosse
allontanato. "Come ti chiami, figliolo?"
"Mulder." disse lui, appoggiando il diario sul letto, spingendolo
leggermente sotto al cuscino.
"Io passo di qui per parlare con alcuni uomini, se vuoi posso
venire anche per te."
Mulder abbassò lo sguardo. "Io non so se è il caso
di farle perdere tempo..."
"Nessun'anima è una perdita di tempo."
Fox strizzò un sorrisetto. --Ci manca solo questa...-- Poi
si ricordò che Scully era cattolica, quindi una chance alla
suora poteva darla.
"Io sono Suor Mary." disse lei, regalandogli un sorriso
dolcissimo. "Cos'è successo, come mai sei qui?" Al silenzio di
Mulder, lei replicò: "Se non vuoi dirmelo, sei libero, ma devo
assicurarti che quello che dirai rimarrà tra di noi."
"Ho ucciso..." Mulder si bloccò. "Pensano che abbia ucciso
la mia collega."
"Oh mio Signore..." sussurrò la suora, congiungendo le mani
davanti a sé. "Mi dispiace... ma... è vero?"
Fox scosse la testa. "Non ricordo."
Una guardia apparve sulla porta: "Suor Mary? Le sue sorelle la
stanno aspettando all'uscita."
Suor Mary si rivolse a Fox: "Mi dispiace, ma devo proprio andare."
Mulder annuì, grato, in realtà, di quella partenza. "Io
o una delle mie sorelle torneremo a trovarti, la prossima settimana."
La donna sorrise. Quindi uscì.
Mulder sospirò, sentendo il rumore di passi svanire.
*******
§1.19 (Monica)
Fuori dal penitenziario dello Stato di Virginia
Mercoledì, 13 maggio 1998, 11:21 a.m.
Suor Mary salì in macchina e attese di aver oltrepassato i
confini del penitenziario. Quindi estrasse un telefono cellulare e
premette l'autodialer. "Sono io. Ormai è cotto a puntino. Il
pollo crede di essere stato lui. C'è cascato."
Prima di ricevere una risposta, la donna sentì un soffio di
fumo.
Dall'altra parte, l'uomo fece cadere la cenere dalla sigaretta.
"Fa' in modo che rimanga di quell'idea."
"C'è un'altra cosa." disse Mary, togliendosi, con un gesto
liberatorio, la cuffia da sopra i capelli biondi. "Credo abbia un
diario, qualcosa del genere, con sé. Ha cercato di
nasconderlo, quando sono arrivata."
"Non è un problema." L'uomo spense il telefono, osservando
la donna ancora incosciente davanti a sé. Le scostò una
ciocca di capelli rossi dal viso, quindi si girò verso
l'assistente. "Quando si sveglia, chiamami." Così dicendo
lasciò la stanza.
*******
§1.20 (Steffy)
Luogo sconosciuto
Mercoledì, 13 maggio 1998, 12:00 a.m.
In lontananza riusciva a sentire il rumore del vento, il fruscio
delle foglie che si cullavano sotto le sue carezze. Si era svegliata,
rendendosi conto di avere gli occhi bendati e una spossatezza fisica
mai provata fino ad allora. Nessuna certezza sul luogo in cui si
trovava, a parte la sicurezza di essere in compagnia di qualcuno che
camminava ritmicamente avanti e indietro, compiendo un percorso di
soli tre passi ogni volta. La innervosiva e oltretutto aveva la testa
che le dava dei dolori lancinanti.
Che roba le avevano dato per farla stare tanto male? A malapena
riusciva a ricordare il proprio nome. E non aveva nemmeno la forza di
chiedere dove fosse e perché. Fu il giovane uomo, sui
venticinque anni, a parlare appena si rese conto che la donna si era
svegliata.
"So che senti la bocca asciutta. Vuoi bere?".
Silenzio.
"Guarda, non voglio farti del male. A parte l'averti portata qui
di forza, non ho nessuna intenzione di ucciderti. Stiamo solo
aspettando una persona. Lo vuoi un sorso d'acqua?". Il caldo che
sentiva attorno a sé era troppo per rifiutare quell'offerta.
Probabilmente, aveva la febbre. Non sarebbe successo niente se avesse
accettato un po' d'acqua.
"...Sì..." Aveva ascoltato la sua voce roca, debole e
impaurita come se provenisse da una terra lontana. Aveva sempre avuto
paura di ciò che non poteva vedere. Odiava giocare a
moscacieca coi fratelli proprio per questo. Sentì che la
persona che era lì con lei versava un liquido in un bicchiere
di plastica. Il rumore era inconfondibile. Si avvicinò a lei e
le afferrò la mano destra permettendole di prendere il
bicchiere.
"Posso sbendarmi gli occhi?"
"No. E non provarci nemmeno. Dopo che me ne sarò andato,
potrai fare tutto ciò che credi. Adesso, no."
Il bicchiere che stringeva nella mano era fresco. Che voglia di
bere e che paura di portare quel liquido alla bocca! Poteva essere
qualunque cosa. Alla fine cedette. Si bagnò appena le labbra
e, in quel momento, ringraziò Dio in silenzio per aver creato
l'acqua. A piccoli sorsi, bevve tutto il contenuto del bicchiere che
abbandonò per terra accanto alla scomodissima sedia su cui
l'avevano costretta da chissà quante ore.
"Perché sono qui?"
"Devi incontrare una persona. Non preoccuparti, sarà qui
presto."
"Chi è? E tu chi sei?"
"Ah! Sei davvero ingenua se pensi che te lo dica. Buona, che avrai
tanto da parlare dopo."
Detto questo, si avvicinò a lei, le sfiorò una
guancia.
"Devi essere davvero in gamba per essere qui."
"Allontanati da me!"
"Hm, permalosa anche!". La porta alle spalle del giovane uomo si
aprì.
"Puoi andare." Una voce profonda, rugosa, che evidentemente aveva
il potere di suggestionare il ragazzo, lo costrinse ad uscire in
fretta.
--Ho già sentito questa voce. Dove?-- si chiese la donna.
Il nuovo arrivato, entrando, portò con sé aria pulita
che provocò un contrasto con l'aria viziata che c'era stata
nella stanza fino a quel momento. Sì sentì il 'clic' di
un accendino. Poi, l'aspirare da una sigaretta. Infine, una ventata
di fumo colpì la donna in faccia. Non poté fare a meno
di tossire. La porta si richiuse alle spalle dell'uomo.
"Buongiorno, Dana. Come si sente? L'hanno trattata bene? La vedo
un po' giù." Lei non rispose, tentava di capire a chi potesse
appartenere quella voce, ma senza risultati.
"Voglio togliermi questa benda dagli occhi e voglio sapere
perché sono qui. E..."
"Ah ah ah, una cosa per volta." Fece un passo solo per avvicinarsi
a lei. Le fu alle spalle e, con un rapido gesto, la liberò
dalla benda bianca. Non c'era molta luce nella stanza. Appena uno
spiraglio da una finestra con i vetri oscurati le diede fastidio agli
occhi. Li richiuse immediatamente e abbassò la testa. Li
aprì pian piano per abituarsi alla luce e poi, di nuovo,
all'oscurità di quel luogo. L'uomo, intanto, si riportò
davanti a lei.
"Va meglio, adesso?" Scully alzò lo sguardo e
incontrò gli occhi di lui. Con le poche forze che le
rimanevano, si alzò dalla sedia quasi di scatto, spaventata.
Quell'uomo era morto da più di un anno, non poteva essere
lì. Forse era un sogno, o forse era tutto vero...
"Lei dovrebbe essere... morto." Scully scosse la testa "Ma il male
non muore mai, vero? Brutto figlio di..."
"Le parolacce non si addicono a una donna intelligente come lei.
Siamo qui per parlare, non per litigare."
Scully si abbandonò sulla sedia e il suo pensiero
andò immediatamente a Mulder. Doveva essere preoccupato se si
era già accorto della sua scomparsa. E sua madre... Oddio,
stava accadendo di nuovo. Il dolore che provava a saperli preoccupati
le portò le lacrime agli occhi ma non pianse. Non era il
momento.
"Non abbiamo mai parlato a quattr'occhi a parte quella volta in
South Dakota. Stavolta, sono qui perché ho bisogno del suo
aiuto, agente Scully."
"Nemmeno sotto tortura. A rischio di morire, non aiuterò
mai un bastardo come lei."
"Dobbiamo collaborare, meglio stabilire un rapporto di
fiducia...".
"Non con me." Lo interruppe Dana.
"So come convincerla, Scully." Le porse una foto e, al guardarla,
Dana si lasciò sfuggire un rantolo di disgusto, o dolore, o
forse paura.
Quante volte nella vita può capitare di guardare la propria
morte in una fotografia?
Sentì lo stomaco contrarsi e rivolse lo sguardo, di nuovo,
a quell'uomo come per chiedergli conferma di ciò che credeva
aver capito. Lui le rispose con la sua solita freddezza.
"Rischieremo di inferocire il suo collega. Ormai, è
convinto di non aver più nulla da perdere. Ma abbiamo bisogno
dell'agente Scully. Anzi, della 'dottoressa' Scully." In quel
momento, il cellulare dell'uomo squillò. Lui sembrò
contrariato ma non perse la sua calma. Guardò Scully.
Aspirò l'ultima boccata di veleno e gettò via la
sigaretta.
"Andiamo, non c'è più molto tempo."
Un'auto li aspettava fuori dalla capanna immersa nella neve
ammorbidita dal primo timido sole della primavera. Erano in Canada.
Appena dodici gradi sopra lo zero.
*******
§1.21 (Monica)
Luogo sconosciuto tra le foreste del Canada
Mercoledì, 13 maggio 1998, 1:12 p.m.
Scully si raggomitolò sul suo sedile. "Non è
possibile alzare il riscaldamento?"
"E' già al massimo." fece il conducente, in tono
piatto.
"Dove stiamo andando?"
"Ai laboratori, agente Scully." disse il fumatore, accendendo
un'altra sigaretta. "Non sia troppo impaziente. Ci manca ancora
un'ora di viaggio, un paio d'ore di aereo e un viaggio attraverso le
foreste."
Scully si girò alla sua destra, vedendo il ragazzino che
l'aveva accolta al suo risveglio. Doveva avere non più di
venticinque anni e una grande voglia di arrivare in alto.
Sospirò, cercando di raggomitolarsi ancora di più. Si
girò leggermente verso i sedili posteriori del furgoncino, ma
il ragazzino riportò la sua attenzione in avanti. "Stavo solo
cercando una coperta." disse lei. "Non vi sarò molto utile se
arriverò congelata alla nostra destinazione."
"Dio santo..." sentì una voce dire da dietro. Poi qualcuno
scavalcò lo schienale e si sedette tra lei e il ragazzino.
Qualcuno di nome Alex Krycek. "Non sapete proprio trattare con le
signore." disse, appoggiandole sulle spalle il proprio soprabito.
"Vediamo se così potremo viaggiare tranquillamente, dottoressa
Scully." A un suo cenno il ragazzino sgattaiolò sul retro e
Alex si rimise comodo a leggere sul sedile.
Scully si infilò nel largo soprabito. "Non congelerai?" gli
sussurrò.
"Ja russkij." [Sono russo.] Si avvicinò al suo
volto, con un sottile sorriso gelido sul volto, e le disse: "Adesso
fa' a tutti il santo piacere di startene zitta e lasciarci fare i
viaggio in santa pace."
*******
§1.22 (Steffy)
Luogo sconosciuto tra le foreste del Canada.
Mercoledì, 13 maggio 1998, 3:30 p.m.
L'auto si era fermata bruscamente e Scully, addormentatasi durante
il lungo viaggio, si era risvegliata di soprassalto. Il suo sguardo
si perse in quella radura sterminata di conifere mentre Krycek apriva
la portiera per farla scendere. Dana lo guardò con durezza,
poi uscì dalla jeep. Alex si avvicinò a lei e le
parlò in un sussurro.
"Ti dò un consiglio, Scully. Non provare a scappare. Ci
sono dei lupi nei dintorni che hanno sempre molta fame."
"Krycek, tu non sei solo un doppiogiochista. Non vali niente."
"Vedremo."
Il fumatore lanciò a Krycek uno sguardo di ghiaccio come a
rimproverarlo della sua piccola conversazione con Dana,
dopodiché si rivolse a lei: "Andiamo. Ci aspetta un lungo
lavoro."
Dana, guardandosi intorno, non riuscì a vedere nient'altro
se non alberi innevati e qualche bucaneve.
Dopo dieci minuti di cammino a piedi tra le montagne, arrivarono
di fronte a un torrente. Scully seguì molto attentamente i
movimenti dei tre uomini che la scortavano, tentando di prevenire
gesti insoliti. Poi, d'un tratto, si ritrovarono di fronte una
piccola baracca in legno. Era così ben nascosta tra la
vegetazione che nessuno avrebbe potuto scorgerla facilmente anche da
vicino. Scully rimase sorpresa nel trovarsela di fronte.
L'uomo anziano fece segno di aprire la porta al più giovane
che entrò per primo, seguito dall'uomo e da Scully. L'ultimo
fu Krycek che entrò di spalle per controllare che nessuno li
stesse seguendo e richiuse la porta.
Era buio e la stanza era piccola e polverosa. Il giovane uomo si
inginocchiò per terra in fondo alla capanna e sollevò
un tappeto che risultò coprire una botola. Scese per primo la
scala verticale che nascondeva il pavimento, fu seguito dal fumatore,
Scully e, al seguito di lei, Krycek.
"Dove mi portate?" Domanda stupida, quella di Dana; sapeva che non
le avrebbero risposto ma in un attimo fu colta dalla sorpresa. La
piccola scala che avevano sceso era la porta di comunicazione tra
l'insignificante baracca che avevano appena lasciato e un un ampio e
modernissimo laboratorio illuminato a dovere. Dana si voltò
verso Krycek che era alle sue spalle, quasi a chiedergli spiegazioni
ma lui la guardò e, subito dopo, con il ragazzo più
giovane, uscì di nuovo da dove erano entrati.
"Seguimi." le ordinò il fumatore.
"Che posto è questo?"
Silenzio.
Mentre lo seguiva, Dana osservò alcuni uomini, con le
mascherine in volto, che la squadravano da quando erano entrati nel
laboratorio e che stavano maneggiando chissà quali sostanze in
provette di vetro.
Quando furono arrivati di fronte ad una doppia porta blindata, lui
batté con il pugno destro due colpi secchi. La porta fu aperta
immediatamente da un uomo e loro due entrarono.
Quella che vide Dana, fu una sala operatoria in piena regola: il
lettino per operare, le luci sul soffitto, gli strumenti chirurgici.
Sul lettino, coperto da un lenzuolo bianco, probabilmente c'era un
corpo. Con un gesto, il fumatore fece uscire i due uomini che erano
nella stanza. Dopodiché, mentre si accendeva l'ennesima
sigaretta, iniziò a parlare.
"Scully, il lavoro che ha portato avanti con Mulder è stato
seguito da noi fin nei minimi particolari. Ora, sto per regalarle la
chiave del futuro." Dana ascoltò in silenzio ciò che
l'uomo aveva da dirle ma sentiva che ciò che stava per
proporle non le sarebbe piaciuto affatto.
"Qui, avrà la possibilità di partecipare ad un
progetto che rappresenterà una nuova frontiera per la scienza,
per l'Uomo."
"Di che progetto parla?"
"Il progetto che la vede protagonista, Dana."
Scully iniziò a spazientirsi. Fece cenno al lettino
operatorio.
"E' quello il progetto?"
"Sì."
"Non mi interessa. Lei è un vigliacco che non prova il
minimo rimorso a uccidere gente innocente, ad accettare di creare dei
mostri e solo per...".
"Mai dire mai, Scully. Sono sicuro che questo 'lavoretto' la
interesserà. Anche perché... vede... ormai nessuno
l'aspetta più a casa." Dana corrugò la fronte e si
avvicinò all'uomo guardandolo dritto negli occhi.
"...Quella foto... avete mostrato quella fotografia alla mia
famiglia... a Mulder. Credono che io sia morta. E' questo che intende
dire?! Mi credono morta!!!"
L'uomo non rispose, aspirò la sigaretta profondamente e
continuò a guardare Scully. Lei abbassò lo sguardo
dopodiché chiuse gli occhi. Non voleva che quell'essere
spregevole le vedesse gli occhi lucidi. Continuò a osservarla
per un po', così vulnerabile per la stanchezza,
dopodiché appoggiò la sigaretta accesa su un posacenere
e afferrò Dana per un polso. La portò accanto al
lettino dove era adagiato quello che Dana pensava fosse un corpo
qualunque.
"La sua esperienza negli X-Files è importante per affinare
il nostro lavoro. Siamo troppo vicini alla perfezione e lei
può aiutarci ad ottenerla. Da questo momento, che lo voglia o
no, farà parte del nostro team e del Progetto Omega."
Scully lo guardò perplessa. Quell'uomo era troppo sicuro
della sua affermazione. A parte aver inscenato la sua morte, cosa
possedeva sul suo conto da renderlo tanto certo?
"Cosa glielo fa credere? Non lavorerò con lei o per lei. I
suoi metodi sono disumani."
"Tanto, prima o poi, lo dovrà vedere. Meglio toglierci ora
il pensiero." Trattenendola sempre per un polso e guardando in volto
Scully scostò, con una sola mano e con un gesto secco e
veloce, il lenzuolo che ricopriva il corpo.
Dana osservò per una frazione di secondo il cadavere, non
ebbe il tempo di dire nulla.
Solo un respiro.
Chiuse gli occhi e svenne.
Gli uomini che erano usciti poco prima rientrarono dopo aver
sentito qualcosa cadere per terra. Senza fare domande, presero Dana e
l'appoggiarono su una lettiga che era nella stanza accanto.
Il fumatore, intanto, ricoprì con il lenzuolo quella che
era l'esatta copia di Scully.
*******
§1.23 (Steffy)
Luogo sconosciuto nelle foreste del Canada orientale
Mercoledì, 13 maggio 1998, 2:40 p.m.
"Si può sapere chi è quella? E poi com'è che
hai tutte queste premure nei suoi confronti? Ti sei preso una bella
cotta Alex, ammettilo."
Il ragazzo che aveva badato a Scully durante i suoi giorni di
incoscienza e Alex Krycek erano in macchina ad aspettare che il
fumatore tornasse dopo aver illustrato a Dana la situazione.
"Zitto, cretino. Non sai quello che dici. Scully è
importante per questo progetto molto più di quanto non creda
il capo."
"Più la faccenda va avanti e meno la capisco..."
"Meglio per te, Kyle."
"E' un mese che dici così, ma ancora non mi hai detto
perché e poi io voglio tornare a casa. Mi hai promesso di
dirmi dov'è mia madre ma inizio a dubitare di te."
"Senti, inizi a scocciarmi. Ti ho già detto che lo saprai
alla fine del lavoro."
"Almeno a sapere qual è questo benedetto lavoro!"
Krycek era davvero innervosito. Se non gli fosse servito per il
suo gioco, gli avrebbe già piantato da tempo una pallottola
nel cervello. Così, tanto per farlo stare zitto.
La verità era che nemmeno lui sapeva bene dove andare a
parare. Ormai conosceva le intenzioni del fumatore ed era stato un
bene che avesse rapito Scully. Sarebbe stato facile ricattare
Mulder... ma come convincerlo a fidarsi di lui e unirsi ai suoi
ideali? Non avrebbe capito quanto sarebbe stato pericoloso riuscire a
terminare in tempo il Progetto Omega. Non gli avrebbe neppure
creduto.
"Ma, dov'è finito? Vado a vedere che succede."
"No, ci vado io. Tu rimani qua e niente scherzi."
"E dove vuoi che vada? Genio. Siamo nel bel mezzo della foresta.
Te ne sei accorto?"
Ad Alex, quel ragazzo dava sui nervi davvero. Uscendo dalla
macchina sbatté forte lo sportello. Con il dito teso sul
grilletto della pistola in caso di strani scherzi da parte dei suoi
amici, si incamminò per il laboratorio.
Con la solita cautela entrò e, arrivato al piano nascosto,
chiese del fumatore. Uno degli uomini con le mascherine gli disse che
era in una delle tante stanze con l'agente Scully. Aspettò
nella sala che uscissero. A lui era proibito entrare lì
dentro. Non aveva mai saputo cosa ci fosse dietro quelle porte
blindate. A dire il vero, un'idea ce l'aveva ma non immaginava come
fossero fatti questi ibridi che tentavano di perfezionare.
E chissà se erano tutti uguali fra loro o meno. Era
curioso. Prima o poi l'avrebbe scoperto e portato la situazione a
proprio vantaggio.
Come sognava da sempre.
Immerso nei suoi pensieri, si accorse che il fumatore era da solo
soltanto quando gli fu a un palmo dal naso.
"E Scully? Dov'è? Non l'avrà già messa a
lavoro?"
"Krycek, le troppe domande che fai prima o poi ti costeranno la
vita. Dobbiamo aspettare."
Alex lo guardò, per la prima volta da quando lo conosceva,
negli occhi.
"Che è successo?"
"Un piccolo malore. Nulla di grave."
"Avete fatto del male a Scully?!"
"Calma, Krycek. La nostra patologa è svenuta alla vista di
un cadavere. Non è così forte come pensavamo."
Il ragazzo non credeva alle parole dell'uomo. Se Scully stava male
le avevano fatto qualcosa e se era svenuta c'era qualcosa di
mostruoso, in quella stanza, da spaventarla a morte.
"Non è da lei svenire così."
Si avvicinò un uomo, uno dei due che avevano appoggiato
Dana sulla lettiga.
"Si è ripresa. Vuole parlare con lei, signore."
"Krycek, rimani qui." Il fumatore si allontanò per recarsi
nella "Camera".
Alex iniziava a preoccuparsi di tutta quella faccenda. Che c'era
là dentro di tanto allarmante?
Il vecchio si era allontanato da poco, quando Krycek sentì
delle urla: "Dio Santo, non potete chiedermi una cosa del genere!! E
per quale ragione?!"
*******
§1.24 (Steffy)
Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)
Mercoledì, 13 maggio 1998, 4:40 p.m.
Krycek si era avvicinato alla stanza dove l'uomo e la donna
stavano parlando da quasi venti minuti, tentando di capire cosa
stesse succedendo e magari sbirciare all'interno se si fosse
presentata l'occasione. Scully stava dialogando concitatamente con il
fumatore. Infatti, poteva sentirne il respiro affannoso oltre la
porta.
"Si rende conto che andrebbe contro ogni etica professionale e
morale fare quello che lei mi chiede?!"
"Non sa di cosa parla. Quello che ha visto non è un
esperimento, è la prova concreta che la scienza può
fare cose inimmaginabili con quello che nasconde dietro la parola
'clonazione'. Cosa crede che volessero fare quando hanno creato il
primo essere vivente tramite l'ingegneria genetica? Quello..."
"Quello che mi ha fatto vedere non è il risultato
dell'ingegneria genetica! La genetica è una scienza studiata
per spiegare la vita dell'uomo sulla Terra. E voi state manipolando
questa scienza non per aiutare l'Uomo ma per creare dei mostri!!!"
Aveva parlato in fretta, con rabbia e guardandolo in faccia. Poi,
aveva abbassato lo sguardo, calmandosi, tentando di trovare le
risposte alle mille domande, ai tanti dubbi che si stavano
accavallando nella sua mente tutti insieme, in quel momento.
"...è successo durante il mio rapimento, in quel maledetto
periodo. E' stato allora che avete trovato il modo di... copiarmi."
Alzò lo sguardo per incontrare di nuovo gli occhi inespressivi
di quell'uomo di ghiaccio. E parlò ancora con calma.
"Quante ce ne sono? Quante altre 'gemelle' ho? Quanti mostri avete
creato da me?" Non si aspettava una risposta, ma la ottenne.
"Ipoteticamente, un numero infinito. Ma sono tutte imperfette,
come questa. Scully, lei è qui per perfezionarla. Nessun
dottore, a parte lei, è in grado di farlo. Noi siamo arrivati
fino a questo punto grazie alla dottoressa Lynn Rainbow, ma le
mancano degli elementi che solo lei conosce perché fanno parte
del suo DNA..."
"E mi avete rapito di nuovo, per questo? Per compiere altri
esperimenti su di me?! Mai. Non sarà col mio aiuto che
migliorerete quel... quell'essere."
"Vede, agente Scully, la sua collaborazione è importante
per noi quanto per lei. Se collaborerà, eviterà al suo
collega di indossare ancora per molto quell'orrenda tuta arancione
che portano gli assassini. L'omicidio di un'agente dell'FBI è
di competenza dei federali e sappiamo entrambi quanto sia duro il
braccio della morte, vero?"
Lui parlò con tono calmo mentre lo sguardo di Dana
diventava duro, di nuovo.
"Che sta tentando di dirmi?"
Silenzio.
La voce iniziava a tremarle.
"Mulder... è in prigione?... credono che... credono che mi
abbia uccisa?"
Silenzio.
"... non è possibile. In questo momento, Mulder mi sta
cercando..."
Il fumatore, con molta calma, prese dal taschino interno della
giacca una pagina di giornale piegata accuratamente. La porse a
Scully. Lei la prese con dita tremanti, sperando che non contenesse
ciò che credeva. Lesse ad alta voce: 'Agente federale uccide
collega di lavoro durante un raptus di follia. Gli inquirenti seguono
la pista del delitto pass...'
Si fermò sul termine 'passionale'.
"E' assurdo. Non possono avere nessuna prova per quello che
sostengono."
"E perché no?" Chiese flemmaticamente l'uomo. Dana lo
guardò, alzando un sopracciglio.
"Perché no?! Perché non è vero, ecco
perché!"
"Scully, tanti anni a lavorare nell'FBI e non ha ancora capito che
la verità e la menzogna si confondono col buio della
notte."
Scully guardò ancora una volta l'articolo di giornale e si
soffermò sulla foto di Mulder e su quella di un fagotto
coperto da un lenzuolo bianco.
Non aveva mai creduto a quell'uomo, ma stavolta aveva davanti agli
occhi la prova di ciò che sosteneva. Con lo sguardo basso e le
braccia conserte sul petto, trovò la forza di porre la sua
domanda.
"Dov'è la dottoressa... Rainbow? Devo essere messa al
corrente del lavoro che ha svolto fino a questo momento."
Il fumatore percepì le intenzioni di Scully. Prima di
uscire dalla stanza, regalò a Dana un'espressione soddisfatta
e una nuvola di fumo in faccia.
Krycek, da fuori, aveva ascoltato e memorizzato tutto il dialogo
che avrebbe riferito a Mulder.
*******
§1.25 (Monica)
Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)
Mercoledì, 13 maggio 1998, 11:29 p.m.
Quando il fumatore uscì dalla stanza, Krycek si era
già allontanato abbastanza per non far nascere sospetti.
Scully apparve sulla soglia, così pallida che sembrava sotto
shock.
"Alex ti farà vedere la tua camera. Domani incontrerai la
dottoressa Rainbow e inizierai il lavoro."
Dana si passò una mano sul viso, chiedendosi dove sarebbe
andata a finire. Il fumatore si allontanò e Krycek fece cenno
a Scully di seguirlo.
Usciti da quello che doveva essere il centro operativo,
imboccarono un lungo corridoio anonimo e libero, nel quale si
aprivano alcune porte e altri corridoi a distanza regolare.
Scully non parlò, semplicemente seguì la sua guida
in silenzio. Fu Alex a iniziare il discorso: "Ti ci troverai bene...
dopo i primi giorni." disse. "Non è male come posto."
"E' qui che vivi?"
"Viviamo tutti in uno dei distaccamenti della Base, quando non
abbiamo altro da fare."
Scully abbassò lo sguardo sul pavimento di linoleum verde
chiaro.
"Siamo arrivati." disse Alex. Aprì la porta perché
lei entrasse ed accese la luce. Scully si guardò in giro. La
stanza era piuttosto piccola, aveva un letto, una sedia, un armadio e
in fondo si apriva un'altra porta, presumibilmente quella del bagno.
Naturalmente nessuna finestra. Il letto aveva lenzuola bianche e una
trapunta bordeaux. Tutto assomigliava molto a uno di quei motel dove
lei aveva passato metà dei suoi ultimi cinque anni.
Si girò verso la porta, dove Alex era ancora in piedi.
"Claustrofobica?"
"Un po'." annuì lei. "'Bianca Richards'. Chi era?"
Alex girò lo sguardo verso la porta. C'era ancora il
cartellino, inserito nell'apposita fessura con il nome di 'Bianca
Richards'. Lo sfilò con cura, senza rispondere alla domanda di
lei.
"Era quella che stava qui prima, vero?"
"Sì." sussurrò Alex.
"E ora dov'è?"
Lui si infilò in tasca il cartellino, senza rispondere.
"Si è uccisa? Si è... suicidata?"
"No." Alex prese un profondo respiro. "Ci sono vestiti nuovi
nell'armadio." Così dicendo, chiuse la porta dietro di
sé e andò via.
Scully scosse la testa. Si sedette sul letto. Il materasso era
duro e le coperte sembravano calde. Si alzò ed andò ad
aprire l'armadio. Non era il tipo da indossare abiti sovversivi o
vistosi, ma quelli che vi trovò all'interno le parvero fin
troppo anonimi. C'erano quattro tute di felpa, verde acqua, Scully ne
estrasse una, le sembrava piuttosto stretta. C'erano anche quattro
camici bianchi, del tipo con cui Scully aveva familiarità.
Non stette a guardare nei due grossi cassetti che dovevano
contenere biancheria e passò a provare uno delle due paia di
scarpe da ginnastica bianche senza stringhe. Erano esattamente del
suo numero. Scully sospirò e ripose le scarpe
nell'armadio.
Aprì i cassetti trovandovi molta biancheria e un paio di
pigiami bianchi. Guardò l'orologio. Segnava le undici e mezza
di notte, ma Scully si chiese che ora fosse in quel posto.
Sbuffò, quindi si diresse verso il bagno per farsi una doccia
di cui sentiva troppo il bisogno.
Il bagno era piccolo, non c'era la vasca, ma solo un box per la
doccia e un lavabo bianco e lucido. Nessun armadietto. Alcuni
prodotti per la pulizia erano allineati sull'unico scaffale della
stanza, sopra al lavabo. C'erano alcune salviette e un accappatoio
rigorosamente senza cintura. Si chiese se avevano paura che si
suicidasse. Non ci doveva essere una sola corda in tutta la stanza e
Scully notò che le plafoniere delle lampade non permettevano
di legare lenzuola. Non che il pensiero l'avesse sfiorata per se
stessa, ma da quell'indagine capì che Bianca Richards non era
morta suicida. Entrò nel box doccia e aprì l'acqua
senza pensarci. Fu investita da un getto gelido che la fece quasi
urlare. Quando l'acqua raggiunse una temperatura ottimale, Scully
prese in mano la spugna sintetica, rigorosamente giallo chiaro, e si
chiese se in quel posto sapevano che esistevano i colori.
Dopo essersi asciugata e infilata in un pigiama bianco, si distese
sul letto, prendendo l'articolo che il fumatore le aveva dato poco
prima.
"Agente federale uccide collega di lavoro durante un raptus di
follìa. Gli inquirenti seguono la pista del delitto
passionale."
Scully passò le dita sulla fotografia, sgranata e in bianco
e nero, di Mulder. Era quella del suo distintivo, una foto di
repertorio. Dana sorrise. Era così giovane, lì, Mulder.
Le lacrime si affacciarono silenziose ai suoi occhi, pensando che in
quella camera, così simile tante altre, avrebbe voluto poter
sentire i rumori del collega, durante una delle sue tante notti
insonni.
Appoggiò con cura l'articolo sul comodino, quindi si
infilò sotto le coperte, pensando di mettersi a dormire. Ma
qualcuno bussò alla porta. Scully sospirò e si mise a
sedere. "Chi è?"
"Dottoressa Scully, sono Sylvia, la donna delle pulizie."
"Entra." disse lei, cercando di tenere un tono più duro
possibile.
Una ragazza imponente, con capelli biondo scuro tagliati corti,
entrò. "Mi dovrebbe dare i suoi vestiti." disse. Scully
aprì la bocca per protestare, ma Sylvia la prevenne. "Non
è concesso tenerli qui, mi dispiace. Le assicuro che quando
avrà terminato il suo lavoro le verranno restituiti."
Scully sospirò. "Sono sulla sedia."
Sylvia raccolse tutti gli indumenti e uscì dalla stanza, in
silenzio.
Dana spense la luce e si raggomitolò nel letto. Prese tra
le punta delle dita la sua croce d'oro. L'avrebbe tenuta ad ogni
costo. Chiuse gli occhi e scosse la testa per cercare di scacciare le
lacrime.
Ma fu inutile.
Crollò in un pianto a dirotto, lasciò che il suo
corpo fosse scosso da disperati singhiozzi, soffocandone il rumore
nel cuscino.
Sylvia spinse il carrello della biancheria fino all'ascensore.
Discese al secondo piano sottoterra e arrivò fino alla sala
delle caldaie. Con attenzione aprì lo sportello
dell'inceneritore e vi gettò i vestiti di Dana.
Quando sentì un respiro alle sue spalle, si
voltò.
"Niente di sospetto." disse. "Ha ancora addosso una croce
d'oro."
L'uomo buttò il mozzicone di sigarette nell'inceneritore,
mentre Sylvia completava il suo lavoro.
"Si può lasciargliela. Per ora." L'uomo tirò fuori
un'altra sigaretta. "Continua a controllarla." Detto questo se ne
andò.
Sylvia sorrise alle fiamme che stavano consumando gli ultimi lembi
della camicia di Dana. Se avesse fatto un buon lavoro, avrebbe potuto
arrivare in alto.
*******
§1.26 (Monica)
Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)
Giovedì, 14 maggio 1998, 7:07 a.m.
Scully si svegliò al suono di una strana sirena. Aveva
passato una notte infernale, ma, grazie al cielo, anche quella era
finita. Lasciando la presa del cuscino, si mise a sedere, cercando di
identificare quel suono. Poi intuì che doveva essere la loro
sveglia. Si preparò in fretta, correttamente convinta di non
avere molto tempo a disposizione. Si stava infilando un camice bianco
quando sentì bussare alla porta.
Scully andò ad aprire, anche se, naturalmente, non c'erano
serrature.
Una donna era in piedi davanti alla porta, leggendo sulla
cartellina che teneva in mano.
"Sì?" fece Scully, per attirare l'attenzione
dell'altra.
La donna alzò lo sguardo, quasi meravigliata di trovarsi
davanti Scully. Diede un colpetto agli occhiali che le erano
scivolati distrattamente sul naso e disse: "Dottoressa Scully?"
"Penso di sì." fece lei, con un tono sarcastico che aveva
imparato da Mulder.
"E' pronta?" Senza aspettare una risposta, la donna estrasse un
cartellino nero scritto in bianco con il nome di Dana. Lo
infilò nell'apposita fessura sulla porta, mentre diceva:
"Andiamo, le mostro dov'è il refettorio."
"Ah, abbiamo anche un refettorio." disse lei, sullo stesso
tono.
La donna si fermò davanti a Scully, sbarrandole la strada,
pur essendo minuta. "Dottoressa Scully, capisco che lei, come la
metà di mille qui dentro, non sia qui di sua spontanea
volontà, ma essere scontrosi tra di noi non può far
altro che peggiorare la situazione."
"Sul serio può essere peggiore?" replicò Scully,
incrociando le braccia.
La donna alzò le sopracciglia: "Mi avevano detto che lei
già conosceva un distaccamento della Base." La donna si
girò per continuare a camminare, mettendosi a sfogliare il
plico di fogli che aveva in mano. "Difatti qui c'è scritto
così."
"Di che diavolo sta parlando?"
"Dell'ormai lontano 1994."
Scully si fermò di colpo, presa d'un tratto da un forte
senso di vertigini. Si appoggiò al muro, temendo di crollare a
terra. La donna si girò di scatto e le prese un braccio,
aiutandola a sorreggersi. "Ehi..."
"Sto bene." fece lei, liberandosi dalla presa.
"Senta, mi dispiace. Le informazioni in mio possesso sono sommarie
e qui non c'è scritto che le hanno cancellato la memoria del
periodo." La donna sospirò. "Andiamo, devo metterla al
corrente su alcune cose. Ce la fa a camminare ancora per un centinaio
di metri?"
"Sì, sto bene."
La donna fece una smorfia che Scully non vide. "Può
chiamarmi Nicole." disse. "Posso chiamarti Dana?"
Scully annuì impercettibilmente.
Il refettorio era una grande stanza, con grandi tavoli allineati e
un bancone self-service. A Scully ricordò quelli delle
prigioni. Chiuse gli occhi pensando a Mulder. Per quanto tempo ancora
doveva restare imprigionato per un crimine che non aveva commesso?
Quanto aveva sofferto e quanto ancora stava incolpando se stesso?
La voce di Nicole la riportò alla realtà: "Dana?
Dana, ma mi senti?"
"Scusa... non ho capito l'ultima cosa che hai detto."
"Siediti. Non mi sembri molto in forze. Ti porto qualcosa io, cosa
ti va?"
"Mhm... solo un caffè, grazie..." mormorò Dana.
"Ma non ci penso nemmeno, sei in calo di zuccheri, si vede lontano
un miglio. Scegli qualcos'altro. Un cappuccino?"
Scully alzò uno sguardo interrogativo verso la donna.
"Sono medico anch'io." Nicole guardò per terra.
"Cioè... no, non proprio. Tempo fa ero al quinto anno di
medicina. Non ho mai finito i corsi."
"Posso prendermelo da sola."
"Oh, avanti, mica ho intenzione di avvelenartelo. E poi mi vedrai
da qui." Nicole fece un sorriso sottile, quindi si allontanò
da lei. Scully la osservò. Doveva avere circa trent'anni,
questo voleva dire che era lì dentro da almeno cinque.
Sospirò. Si chiese quanti di quei famosi "rapiti dal cielo"
fossero finiti in posti come quello.
La donna tornò poco dopo tenendo in bilico su un braccio un
vassoio pieno di marmellata, burro, brioches e fette di pane, e
nell'altra mano due tazze di cappuccino. Ne passò una a Dana e
mise il vassoio in mezzo. "C'è di buono che non devi rifarti
il letto, cucinare e lavare i piatti." disse, spalmando una generosa
porzione di burro su una fetta di pane.
"Da quanto sei qui?" chiese Scully, di colpo.
La donna alzò le spalle: "Farò dieci anni a luglio."
Scully si portò la tazza alle labbra, ma Nicole la interruppe.
"Mettici lo zucchero." Le lanciò una bustina. "E anche qualche
cos'altro."
"Credo che non potremo andare d'accordo, se tu continui a farmi da
'madre'."
Nicole le sorrise: "Dana, lo sai meglio di me che se stai senza
mangiare per troppo tempo, poi non hai le forze per far niente."
Indicò la cartelletta mentre addentava un enorme pezzo di
brioche con una golosità da bambina. "Ti hanno trascinata in
giro per quattro giorni. Avevi qualche fidanzato da ricattare,
vero?"
"Come?" fece Scully, mescolando assentemente il cappuccino.
"E' giovedì, 21 maggio 1998."
Dana chiuse gli occhi. L'ultimo giorno che ricordava era
venerdì sera. Si chiese cosa sarebbe successo se Mulder fosse
stato con lei. Probabilmente niente di molto diverso. L'avrebbero
semplicemente rapita un altro giorno.
"Ehi." Sentì la mano di Nicole sopra la sua. La ritrasse di
scatto, aprendo gli occhi. "Hai perso la cognizione del tempo." disse
la giovane. "E' sempre così, all'inizio." Le diede una fetta
di pane con una quantità industriale di burro e marmellata.
"Approfitta della colazione, certi giorni non avrai voglia di fare
altri pasti."
*******
§1.27 (Monica)
Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)
Giovedì, 14 maggio 1998, 8:07 a.m.
Scully entrò nel Laboratorio Centrale accompagnata da
Nicole. La donna non le aveva detto più nulla, comprendendo il
bisogno della nuova collega di pensare in tranquillità. Non
che il refettorio fosse tranquillo, alle sette e mezza del mattino,
ma sempre meglio di niente.
"Tu lavori con Lynn Rainbow, l'hai già conosciuta?"
Scully scosse la testa.
"Una gran stronza." sussurrò Nicole.
"Perché?"
"Si comporta come se fosse la prima donna." Alzò le spalle.
"Imparerai a sopportarla. La tua scrivania è accanto alla
sua."
Scully scorse Rainbow in fondo al Laboratorio. "Tu che lavoro fai,
qui?"
Nicole si inumidì le labbra, prima di rispondere: "La
cavia."
Dana la guardò per qualche istante, volendo dire qualcosa,
senza riuscirci.
Fu Nicole a parlare per prima. "Ho qualcosa di strano nel DNA. Una
sorta di mutazione genetica che dovrebbe dar luogo a una malattia e
invece non la dà. Forse mio padre era un extraterrestre."
Nicole sorrise. "Con tutti gli uomini che si è portata a letto
mia madre, non scarterei nemmeno quest'ipotesi. Comunque, mi occupo
anche delle 'Pubbliche Relazioni'... per quanto possano essere
pubbliche. Tutoring, insomma. E tu sei la mia pupilla. Poi do una
mano con gli esami. D'altronde la cosa più divertente che si
può fare, qui dentro, è stampare geni su acetati. Non
è permesso uscire il sabato sera." Nicole diede una pacca
amichevole sul braccio di Scully. "Buon lavoro."
Scully sospirò. Era ora di affrontare la dottoressa
Rainbow.
*******
§1.28 (Steffy)
Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)
Giovedì, 14 maggio 1998, 8:30 a.m.
Il laboratorio era freddo, asettico, con un odore di medicina che
faceva pensare ai disinfettanti che usava anche lei dopo aver
eseguito un'autopsia.
Ma guardando meglio, in quel luogo fatto solo di sguardi e volti
persi nel vuoto, c'era un po' di umanità, per quanto potesse
sembrare strano. Su una delle scrivanie che affollavano il
laboratorio c'era una cornice con una fotografia: un uomo, una donna,
un bambino di pochi anni. Scully, al notarla, corrugò la
fronte come se fosse una nota stonata in tutta quella musica senza
colore.
--Forse,-- pensò --potrò farcela. Se anch'io rimango
ancorata al mio mondo di là fuori... magari non rimarrò
qui tanto tempo come è successo a Nicole--. I suoi pensieri
furono interrotti da una voce fredda.
"Dottoressa Scully?". Una donna minuta, con i capelli neri legati
in una coda lunghissima, le si avvicinò. Scully annuì
alla domanda. Con un gesto deciso, Lynn Rainbow le sfiorò una
spalla e la accompagnò ad uno schedario. Iniziò a
parlarle freddamente, con un'autorità che a Scully
ricordò le parole della sua nuova amica, Nicole 'E' una gran
stronza. Si comporta come se fosse la prima donna.' Osservandola,
pensò che magari aveva voglia di andare via quanto prima,
proprio come lei.
"Sì, sono io. Lei è la dottoressa Rainbow..."
suppose Scully che era ancora sulle sue.
"Sì." Tagliò corto la donna. "Voglio spiegarle il
suo lavoro qui." Dana la guardò per un attimo e i loro sguardi
si incontrarono. Rainbow distolse i suoi occhi per prima quasi che
Scully, al solo sfiorarla con lo sguardo, potesse leggerle
dentro.
"Tutte queste cartelle sono ordinate numericamente e contengono i
risultati dei test che vengono eseguiti su tutti i campioni contenuti
qui dentro." Appoggiò una mano sulla porta di una immensa
cella frigorifera che al tocco della mano della donna emise un gelido
rumore che fece socchiudere per un attimo gli occhi a Scully. "Quello
che dovrà fare lei all'inizio, sarà mettersi al
corrente di quelli che sono i risultati raggiunti dal nostro lavoro.
Quando avrà acquisito sufficienti informazioni volte a
spiegare i fini del Progetto, analizzerà piccoli campioni di
sangue e tessuti di vario genere. Dopodiché, farà
attente comparazioni con quelli che sono i risultati dei test
precedenti sullo stesso campione. Non le chiedo se è in grado
di farlo, so per certo che può. Ha delle domande?" Scully si
morse il labbro inferiore. Certo che aveva una domanda: come avrebbe
potuto fuggire da lì, ma chiaramente non la
pronunciò.
"Una sola. Dovrò riferirmi a lei come mio superiore o
lavoreremo insieme?"
La donna scrollò le spalle, alzò lo sguardo sopra
Scully come a guardarla dall'alto in basso e con una freddezza tale
da ferire, disse: "Lei dovrà compiere solo delle indagini
comparative. Niente domande, niente risposte, nessun imbarazzo e si
troverà benissimo." Detto questo, accompagnò Scully
alla sua postazione di lavoro che, come le aveva detto Nicole, era
accanto alla sua. Chissà, forse per tenerla d'occhio, capire
se poteva fidarsi di lei.
"Si metta comoda, Scully." La donna si allontanò mentre
Dana si sedeva su uno sgabello.
Si avvicinò alla cella frigorifera che doveva contenere
centinaia, forse migliaia di campioni di sangue e tessuti di ogni
genere. Prelevò dei contenitori minuscoli accompagnati da
alcune cartelle e le appoggiò sulla propria scrivania.
Dopodiché, fece un cenno a Nicole di portare a Dana 'quello
che lei sapeva'.
Mentre la ragazza si recava verso un grosso schedario, Rainbow si
rivolse a Scully con uno sguardo freddo e un tono di voce senza
umanità: "Per oggi, questo sarà abbastanza. Ricordi,
nessun tipo di ragionamento sopra. Ha capito?" Scully annuì e
lei ritornò al lavoro. Osservando i campioni di plastica che
la dottoressa stava analizzando e il suo modo di fare, ebbe la
sensazione di ritrovarsi al corso di biologia del professor La Hara
alle superiori.
Ma sentì che, questa volta, prendere una A non era lo scopo
che avrebbe dovuto prefiggersi. Prese un profondo respiro, distolse
lo sguardo da Rainbow e, con le mani in grembo e gli occhi bassi,
attese che Nicole le donasse la grande rivelazione.
*******
§1.29 (Monica)
Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)
Giovedì, 14 maggio 1998, 10:13 a.m.
Nicole arrivò con un plico di materiale in mano. Lo
appoggiò sulla scrivania di Dana, che osservò la pila
per alcuni secondi. "Prontuario della ricerca fatta fino ad
oggi."
Rainbow, dalla scrivania vicina, gesticolò verso i fogli
con una penna: "Mi auguro che nel giro di una settimana rinnoveremo
tutto, grazie anche al suo aiuto, dottoressa Scully. Per ora, si
metta al corrente di tutte le nostre ricerche." La donna alzò
lo sguardo su Nicole e le fece cenno di seguirla.
Scully prese il primo fascicolo. "Il Genoma Umano". Dana
aprì il fascicolo davanti a sé. Nessuna pagina
d'introduzione, nessuna scritta di chiarificazione. Iniziava subito
con milioni di dati sul DNA umano. Una piccola sequenza di geni era
raffigurata nella prima pagina, affiancata da decine di indicazioni.
Scully scorse velocemente le prime e famose pagine, fino ad arrivare
ad alcuni nuovi dati. Li lesse con cura, scoprendo che molte delle
ricerche lì scritte dovevano ancora pervenire alla medicina
ufficiale. Scosse la testa, pensando a quante altre scoperte
importanti avrebbero dovuto sorpassare le barriere della Base per
salvare vite umane. La lettura la portò fino all'ultima
pagina, in fondo alla quale vi era solo una semplice frase: "Inizio
del telomero".
"Oh mio Dio, non è possibile..." sussurrò.
"Telomero" veniva chiamata la parte finale del gene e serviva a
proteggere le informazioni importanti.
"Che cosa 'non è possibile'?" chiese Lynn, ritornata alla
sua scrivania.
"Questo è il completo esame del Genoma umano... Non... non
ci siamo ancora arrivati!"
"Come no, ne ha le prove sotto mano."
"Questa ricerca dovrebbe essere pubblicata." fece Dana.
"Sì, come no. Come tutte le altre." Con un gesto, Rainbow
indicò il plico che ancora stazionava davanti a Scully. "Non
perda tempo a fantasticare su cose che non possono avvenire."
Scully scosse la testa e passò al fascicolo successivo.
"Mutazioni genetiche nel DNA umano". I fogli stampati a laser si
intervallavano con acetati, ingrandimenti di DNA. Il fascicolo era
alto quasi quattro centimetri e Dana si chiese quanti esperimenti
dovevano essere stati fatti se quello era solo l'ultimo
aggiornamento. "Questi sono studi di malattie genetiche..."
disse.
"Non solo." replicò Lynn. "C'è ogni tipo di
mutazione significante trovata nella specie umana pura." Con quello,
la donna si alzò, raccolse alcune provette e si diresse verso
un bancone da laboratorio.
Scully la guardò allontanarsi e si chiese cosa intendeva
per "specie umana pura". Riprese a leggere il fascicolo.
Osservò una delle prime fotografie di DNA. La ventitreesima
coppia era formata da un cromosoma X e da uno con una forma vagamente
a Y. DNA maschile, questo era evidente come il terzo cromosoma in
quella che avrebbe dovuto essere la ventunesima coppia. Sindrome di
Down.
Scully sfogliò velocemente un centinaio di pagine e
fotografie sull'argomento, arrivando ad un'altra sezione. Nulla di
speciale a prima vista. Normale DNA femminile, con i suoi due
cromosomi a X nella ventitreesima coppia. Ma alcuni ingrandimenti
successivi mostravano diverse mutazioni nel gene MeCP2 della
ventitreesima coppia, rispetto a un gene normale. Sindrome di Rett.
Scully sospirò. Girò pagina, un singolo MeCP2
incastonato come una pietra preziosa nel gene X in una coppia XY.
"Questo è assurdo." disse lei. Si alzò in piedi e
andò verso Lynn che stava dirigendo alcuni tecnici di
laboratorio.
"Dottoressa Rainbow." la chiamò. "Che significa
questo?"
La donna si girò, spazientita: "Non nota che stiamo facendo
delle analisi? Le sue continue interruzioni non giovano al nostro
lavoro." Si girò verso Nicole, che era seduta su una sedia
tenendo piegato un braccio. "Nicole." la chiamò semplicemente.
La donna si alzò, tenendo ancora tamponata la puntura del
prelievo e ricondusse Scully alla sua scrivania.
"Dubbi sulla sindrome di Rett nei maschi?" chiese Nicole.
"E' assurdo." disse Scully. "I sintomi si manifestano intorno ai
diciotto o ventiquattro mesi, solo nelle bambine. E' un difetto di un
cromosoma X della ventitreesima coppia."
"Lo so." fece Nicole. "Anche nei maschi."
"In quel caso è mortale, i bambini non arrivano a diciotto
mesi, a volte nemmeno alla fine della gestazione."
"Ciò non vuol dire che non esista." disse Nicole,
semplicemente.
Fu allora che Dana realizzò: "Questo vuol dire che
c'è un... controllo genetico... che... che riescono a
individuare i geni... che..." balbettò.
"Dana, non credevo che fossi così ingenua. Non per niente
fanno prelievi di sangue ai neonati, non per niente i feti abortiti
rimangono negli ospedali a lungo... Non per niente si effettuano il
doppio delle autopsie di cui ci sarebbe realmente bisogno. Prelevano
campioni da chiunque gli capiti sotto mano."
"Ma... ma questo vuol dire che... che ci sono moltissimi
dati..."
Nicole annuì: "Una quantità enorme di dati che
potrebbero rivoluzionare la medicina, molti di più di quanti
non ne avrà la medicina ufficiale entro il 2100. Qui non
facciamo altro che esami e ricerche, ci sarebbe da stupirci se
avessimo solo un decimo in meno dei dati che abbiamo."
Scully alzò lo sguardo su Nicole. "Che incidenza ha la
sindrome di Rett?"
"Una bambina su ventimila di quelle nate vive."
--Una su ventimila. Una su ventimila. Una su ventimila. Una su
ventimila. Una su ventimila.-- Quella statistica echeggiò
nella mente di Dana. -- Una su ventimila... cento casi con l'analisi
fotografica del DNA, almeno tre schedati per ciascuna di quelle
foto.-- Voleva dire sessanta milioni di bambini esaminati dal 1966,
anno della scoperta del fattore. Sessanta milioni.
Dana girò pagina ancora, trovandosi di fronte la tabella
genetica di un individuo affetto da daltonismo, un altro difetto
della ventitreesima coppia, questa volta maschile.
Nicole sfilò gli occhiali dal taschino del camice e li
inforcò, prendendo in mano un fascicolo. "Non c'è
bisogno che tu legga tutto." disse. "Ci sono parti più
importanti di altre... anzi, queste parti delle mutazioni genetiche
del DNA umano puro non servono e di certo ne sai già
qualcosa..." La donna non finì la frase, perché alzando
lo sguardo su Dana, aveva notato lo sguardo umido e malinconico della
neo-collega. "Dana, che c'è?"
Scully sbatté le palpebre un paio di volte, prima di
rispondere: "Niente."
"Conoscevi qualcuno?"
Lei chiuse il fascicolo e lo appoggiò sulla scrivania,
senza rispondere.
"Lui era daltonico?"
"Non so di cosa stai parlando." disse Dana, raccogliendo un altro
fascicolo.
"E dài, guarda che di me ti puoi fidare. O ti fidavi solo
di lui?"
"Ti ho detto che non so di cosa stai parlando." replicò
Dana, aprendo il fascicolo.
Nicole sospirò, pensando che forse era quello il motivo per
cui Dana era considerata una "regina di ghiaccio".
Il fascicolo conteneva un'altra grossa quantità di dati del
DNA. A prima vista a Scully apparve l'analisi del cromosoma X della
ventitreesima coppia, con le perfette basi di acidi nucleici che si
susseguivano in maniera straordinariamente varia, ma perfettamente
ordinata per creare un essere umano.
Scully fece scorrere lo sguardo sui dati che aveva già
studiato: adenina e timina, guanina e citosina. Tutto splendidamente
e miracolosamente eccellente, un programma per creare un essere umano
completo.
Nella sequenza di A, T, G e C, l'attenzione di Scully fu attratta
da due lettere che non c'entravano nulla. F e L.
Scully guardò i dati. Nulla indicava cosa fossero di
preciso questi F e L.
"Vuoi saperlo?" le chiese Nicole, come se le avesse letto nella
mente.
"So che F e L indicano altri due nucleotidi. Non sono presenti in
natura... per quello che ne sappiamo."
Nicole annuì. "Sei già venuta a contatto con questi,
vero?"
"Sì... quasi quattro anni fa. Ma non ho fatto in tempo ad
averne analisi approfondite. Da quello che qui si vede..." Scully
scorse avanti qualche pagina. "Sembra che siano quasi complete."
"Di sicuro saprai che la guanina si lega con la citosina
attraverso tre legami di idrogeno, mentre la timina è tenuta
assieme da un legame di idrogeno con l'adenina."
"Per quello che ne sapevo," riprese Dana. "queste quattro basi
nucleotidiche formano qualsiasi forma vivente e qualsiasi virus,
disposti in modo diversi nei filamenti di DNA."
"Corretto, ma questo non impedisce che esistano altre due basi. La
F si lega con la L con due legami di idrogeno. Pensa a quante
combinazioni possono uscire da due coppie di nucleotidi."
Dana si inumidì le labbra: "Praticamente infinite,
considerando non solo la disposizione delle basi, ma anche la
lunghezza delle molecole di DNA, che può andare da 0,34
nanometri a qualche centimetro."
"In pratica, ma non in teoria. Metti di non oltrepassare il
centimetro come lunghezza. Prima o poi tutte le combinazioni DNA si
esauriscono."
Dana alzò un sopracciglio. "Prima o poi..."
"Aggiungi altri due nucleotidi, le combinazioni aumentano
moltissimo. E soprattutto, le informazioni possono diventare molto
più compresse."
"Che intendi dire?"
"E' semplice, come quando si scrivono i numeri in base diversa."
Nicole prese una matita dal portapenne di Scully e cominciò a
scarabocchiare su un foglio. "Ad esempio, prendi un numero un po'
alto, come 1230. In base binaria è... 10011001110, undici
cifre, in decimale 1230, quattro cifre, in esadecimale..." Nicole
fece qualche calcolo, quindi disse: "4CE, tre cifre. C'è un
sostanziale risparmio di caratteri se si usa un alfabeto più
esteso. Molecole più piccole, informazioni più
compatte, più informazioni in uno stesso spazio."
Rainbow arrivò in quel momento portando con sé una
decina di provette. "Dottoressa Scully, quando ha finito di
conversare, le sarei grata se iniziasse le analisi di laboratorio su
questi campioni." disse, con tono acido. "Completi la sequenza di
denaturazione, della stampa si occuperà Nicole."
La giovane le sorrise dall'altra parte della scrivania. Appena la
dottoressa si fu allontanata, Nicole commentò: "Che ti ho
detto? Stampare geni su acetati è il mio passatempo
preferito."
*******
§1.30 (Monica)
Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)
Giovedì, 14 maggio 1998, 12:30 p.m.
Scully agitò leggermente la provetta chiusa, guardandola
poi controluce. Lasciò che le invisibili eliche si
depositassero sul fondo, creando uno strato più scuro. Si
chiese che tipo di DNA fosse. Avrebbe dovuto aspettare di ordinarlo
sotto al microscopio per scoprirlo, ma a quel punto avrebbe passato
la mano a Nicole.
La quale arrivò, puntuale come un orologio svizzero, ad
annunciarle che era ora di pranzo.
Scully appoggiò la provetta nell'apposito contenitore. "Non
credo che mangerò." disse.
Nicole si sedette accanto a lei. "Temevo che l'avresti detto."
alzò le spalle. "Più che normale. Ma ti meriti un'ora
di pausa, smetti di lavorare, almeno."
"Se vedo cibo ora, vomito." ammise Dana.
Nicole annuì. "E' dura all'inizio. Ma tu ti stai
comportando benissimo. In generale, il primo giorno vanno tutti in
crisi. Io stessa. E anche Rainbow... ci crederesti?" Rise,
nascondendosi la bocca con una mano. Il gesto fece notare a Scully un
grosso livido viola nell'incavo del gomito.
"Che cosa hai fatto?" le chiese, prendendole delicatamente il
braccio.
"Oh, niente." Nicole scrollò le spalle. "E' il
prelievo."
"Te l'ha fatto Rainbow? Non si può dire che sia un ottimo
medico da questo punto di vista."
La giovane ritrasse il braccio. "Non c'è medico che tenga,
quando si tratta delle mie vene." disse, con una voce un po'
malinconica. "Il travaso è assicurato."
Lo sguardo di Scully cadde sul terzultimo campione di sangue che
aveva analizzato con la relativa stampa su acetato. La prese in mano,
guardandolo velocemente.
"Allora, vieni a pranzo?" chiese Nicole.
Ma lei non rispose: "Sei emofiliaca." disse Dana, con
un'espressione di improvvisa scoperta e meraviglia.
Nicole guardò la fotografia del proprio DNA. "Più o
meno. La chiamano Emofilia C."
"Carenza di fattore di Von Willebrand."
Nicole annuì. "Già, solo che non sono ancora
riuscita a capire perché è così basso per me, il
fattore di rischio. Nemmeno qui." Si alzò e le si
avvicinò. "Dana... devo dirti una cosa... Forse l'hai
già notato..."
"Hai i nucleotidi F e L nel sangue."
"Sì, esatto."
Scully riprese in mano la provetta. L'aprì e aspirò
il fondo scuro con una pipetta. Quindi lo pose su un vetrino sterile
e lo mise sotto al microscopio elettronico. Delicatamente
ordinò ogni cromosoma, finché non ebbe separato ogni
singolo capolavoro naturale dagli altri. Eccolo. Il patrimonio
genetico di Nicole. Le era sempre piaciuta l'espressione "patrimonio
genetico". Dava l'idea di qualcosa di prezioso e unico, quale era,
che un individuo possedeva come un suo tesoro per far fronte alla
vita.
Una mano sulla spalla le fece sollevare lo sguardo dagli
oculari.
"Andiamo, Dana."
*******
§1.31 (Monica)
Penitenziario dello Stato di Virginia
Giovedì, 14 maggio 1998, 1:12 p.m.
Mulder stava osservando distrattamente il soffitto della cella. I
suoi pensieri ricorrevano a quello che Skinner gli aveva detto.
'Non è la prima volta e non sarà l'ultima che
qualcuno cerca di incastrarla. Non ha mai pensato a questo?'
Era vero, ma come potevano arrivare ad uccidere Scully? Non
avrebbero fatto prima ad uccidere lui? Farlo fuori in silenzio, senza
che nessuno se ne accorgesse. Ma lasciare stare Scully.
I Lone Gunmen non l'avevano ancora contattato. Evidentemente non
avevano trovato niente di interessante. Questo era sospetto.
Mulder stava pensando di ritirare fuori il diario di Scully e
leggerlo di nuovo, quando sentì una guardia arrivare da lui.
"C'è una visita." disse, aprendo la porta.
Mulder sospirò e si alzò in piedi a fatica. Venne
scortato per l'ennesima volta lungo i corridoi freddi e vuoti della
prigione fino alla saletta.
Non conosceva il suo interlocutore, ma ad occhio e croce pensava
che avesse sì e no diciotto anni.
Il ragazzo osservò Mulder per qualche istante. Fox si
sedette davanti a lui, senza dire niente.
"Uhm... io mi chiamo Kyle."
"Io Mulder." rispose Fox, sottovoce.
"Sì, lo so. Senta..." Kyle si guardò in giro per
controllare che nessuna guardia lo stesse sentendo. "Io lavoro per
un'associazione segreta..." iniziò lui, senza sapere bene come
raggiungere il nocciolo della questione.
"Ah, davvero? Non sei un po' giovane?" fece Mulder, che voleva che
quella conversazione finisse al più presto.
"No... ecco... non sono qui per parlare di me. Devo parlarle... di
Dana."
Mulder si sentì mancare il fiato al suono del nome di
Scully. Si mise una mano sugli occhi, scacciando in dietro le
lacrime. "Non credo di averla uccisa io." sussurrò.
"Questo lo so." disse Kyle.
Mulder lo guardò stupito.
"So che è innocente, e credo che ci sia un modo di
provarlo... senza ombra di dubbio."
"Senti, ma tu chi sei? Chi ti ha mandato qui?"
"Non sono domande importanti. Deve fidarsi di me."
Mulder scoppiò in un risata amara. "C'era solo una persona
di cui mi fidavo. E quelli per cui immagino tu lavori, me l'hanno
portata via con un colpo di pistola sotto il mento."
"Signore, mi stia ad ascoltare. E' importante, per lei, per Dana,
per il destino dell'umanità."
"Già." convenne Mulder, ironicamente.
"Signor Mulder, la prego, mi creda... lavoro con un uomo che lei
conosce bene, che la conosce bene. Mi ha mandato lui qui a parlarle,
perché in questo momento, sta seguendo un progetto che
è importante anche per lei. Si tratta di un progetto in cui
è pienamente coinvolta anche Dana."
Mulder intervenne solo in quel momento, capendo: "E' per questo
che hanno sottratto il corpo dall'obitorio."
"Esatto. Io non so di preciso di cosa si tratti e credo che
nemmeno la persona che mi ha mandato qui lo sappia bene. Solo che..."
Kyle chiuse gli occhi per un secondo, realizzando di colpo di aver
saltato la parte importante. "Il punto, signor Mulder, è
che... uhm... ecco, a differenza di quello che lei crede... Dana
è viva."
Fox si irrigidì di colpo, quindi si alzò in piedi e
andò verso la porta.
"Mulder!" chiamò Kyle. "Aspetti, non ho ancora
finito..."
"Non avete nemmeno quel minimo di umanità che basta per non
ferirmi addirittura in galera?! Mi avete già distrutto
portandomi via Scully, accusandomi di averla violentata e uccisa,
perché dovete anche prendervi gioco di me?!"
"Mulder, io non..."
Ma Fox era già arrivato alla porta. "Per favore, voglio
tornare in cella!" esclamò.
Kyle sospirò. --Ottimo lavoro...-- pensò. --Se
Krycek non mi uccide questa volta, posso stare tranquillo per il
resto della mia vita.--
*******
§1.32 (Monica)
Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)
Venerdì, 15 maggio 1998, 11:29 a.m.
Scully versò delicatamente le invisibili cellule sul
vetrino riempito di base. In breve i filamenti si sarebbero staccati
l'uno dall'altro, permettendo l'analisi dei nucleotidi. Alzò
lo sguardo, quando Nicole arrivò da lei con un altro
fascicolo.
"Di che si tratta?" chiese, senza prenderlo in mano. Prese il
vetrino e lo infilò sotto il microscopio.
"Altre analisi. Rainbow vuole che tu le legga." Indicò il
vetrino e disse: "Ti dispiace se vado avanti io?"
Dana si alzò dalla sua postazione. "No, fai pure." disse,
senza mettere troppo entusiasmo nelle parole.
"Grazie." replicò Nicole, allegra. "Non mi capita spesso.
Che abbiamo qui?... Mica male..."
Dana si sedette alla sua scrivania, leggendo le informazioni
sull'ibridazione aliena. C'erano pagine intere di sequenze delle sei
basi nucleotidiche.
"GCGGTTCGCG CCCGAGCTGA TCAAGGAACA CGGCCGGCGG AAGCAGCATG TTCCGCCGGC
GGCGAGCGGC GGCGGCGGCG CTGCCATGTG" e poi le lettere stonate,
"FLFLLLFFFF", come note di una chitarra elettrica scordata in una
sonata di Mozart. "GGAATTTAFL GFLAFGLFFG GGLCFFGGLL GCGFFLLLGA."
Scully sospirò. "Ibridazione." Scosse la testa, quindi
riprese a sfogliare il fascicolo. Poi ad un tratto si fermò.
Chiuse il fascicolo lo buttò sulla scrivania.
"Dana, che c'è?" le chiese Nicole, ma la domanda fu
ignorata.
Alla mente di Dana riaffiorò una definizione che aveva
studiato durante i primi anni di medicina.
'Ibridazione: incrocio genetico tra individui con caratteristiche
genetiche diverse (ovvero di razza o specie diversa), che si fondono
in maniera più o meno complessa e più o meno durevole
nella discendenza.' Ovvero i caratteri dell'ibridazione potevano
scomparire col tempo.
E soprattutto: 'L'ibridazione tra due generi diversi non è
possibile.'
Scully scrisse questa frase su un blocco. Cosa comportava questo?
Ad esempio, che non è possibile ibridare un gatto e una tigre.
Tanto meno un gatto con un cane.
Scully si alzò in piedi, girandosi per andare verso il
banco di laboratorio che aveva appena lasciato.
--Ibridi alieno-umani.-- pensò. --Cosa significa?--
Nicole girò il viso per guardare Scully, che stava
arrivando lentamente verso di lei. Si alzò in piedi,
spaventata dal pallore dell'altra.
--Ibridi alieno-umani...--- continuava a pensare Scully.
--Ciò significa che... uomini e alieni... Sono dello... stesso
genere.--
Nicole arrivò appena in tempo da Scully per evitarle di
sbattere il capo a terra, cadendo svenuta per la seconda volta nel
giro di pochi giorni.
*******
§1.33 (Monica)
Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)
Venerdì, 15 maggio 1998, 2:12 p.m..
"Ehi. Vuoi farmi prendere un infarto?... Ehi? Sto parlando con
te..."
Dana sbatté gli occhi ancora qualche volta, cercando di
mettere a fuoco. "Dov'è Mulder?..." sussurrò.
"Mulder? Chi è?"
Scully chiuse gli occhi per un istante, poi li riaprì.
"Nicole?"
"Sì, sono io."
"Che cosa è successo?"
"Hai avuto un forte calo di zuccheri. Per questo..." Alzò
la mano di Scully, mostrandole che aveva una flebo. "Sai che mi hanno
stressato per due ore, perché io sono la responsabile dei tuoi
pasti? Se non lo vuoi fare per te, almeno dovresti pensare a me."
Scully sospirò.
"Hai avuto la rivelazione dell'ibridazione, vero?"
"Se..." si interruppe per qualche secondo. "Se è possibile
fare quell'ibridazione, questo vuol dire che..." si fermò.
"Che uomini e alieni sono della stessa specie."
"Gli alieni non esistono." disse Dana con decisione, cercando di
mettersi a sedere.
Ma Nicole le mise una mano sulla spalla, obbligandola gentilmente
a risdraiarsi. "Ne sei convinta?" Visto che l'altra non aveva nessuna
intenzione di replicare, riprese: "Senti, hai la giornata libera.
Cerca di godertela, perché non capitano spesso." Fece per
alzarsi, ma poi si fermò: "Chi è Mulder?"
Scully girò il volto dall'altra parte.
"E' lui, vero? Quello con cui ti stanno ricattando?"
Scully, alla fine, annuì.
Nicole si alzò, le mise una mano sopra la sua, per qualche
istante, quindi uscì dalla stanza, lasciandola sola.
Scully si raggomitolò su un fianco, tirando con attenzione
il tubetto della flebo. Si strinse attorno le coperte, quindi
raggiunse l'articolo di giornale con una mano, accarezzandolo come un
cucciolo, senza nemmeno prenderlo tra le dita. Non poté
impedire alle lacrime di iniziare a scorrere.
*******
§1.34 (Steffy)
Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)
Venerdì, 15 maggio 1998, 4:00 p.m.
Qualcuno le stava girando attorno da un po' di tempo. Lo sentiva
dal fruscio che faceva ad ogni spostamento, ad ogni passo. Scully si
svegliò dallo stato di dormiveglia a causa di un forte
rumore.
"Accidenti!"
"Chi c'è?" chiese Dana con voce impastata dal sonno.
"Non si preoccupi, ho inciampato nel carrello e mi è caduta
un po' di roba. Metto subito in ordine. Ritorni a riposare, io qui
faccio solo le pulizie."
"Hm..." Rispose Scully senza fare nemmeno molta attenzione a
ciò che la donna le aveva appena detto. Il braccio le faceva
male per la flebo e quello che avrebbe desiderato, in quel momento,
era la vista del sole, della luce del giorno, del profumo dell'aria
fresca che lì dentro proveniva solo da condizionatori d'aria.
Sylvia rimise in piedi il carrello che conteneva, per la maggior
parte, cartacce utilizzate chissà per cosa. Scully fece appena
in tempo ad accorgersene, quando la donna uscì dalla
stanza.
Si riaddormentò di nuovo appena Sylvia fu uscita. Quando si
risvegliò, qualche ora più tardi a sera ormai giunta,
si accorse di non avere più la flebo. Qualcuno, forse Nicole,
gliel'aveva tolta mentre dormiva. Si mise in posizione supina a
ripensare ciò che aveva scoperto quella mattina riguardo
l'ibridazione e tutte le bugie che si raccontava da anni.
--Quanto vorrei potertelo dire, Mulder-- Scully abbassò lo
sguardo sulle coperte che le arrivavano alla vita. Socchiuse gli
occhi e alzò appena il viso, quando si accorse di qualcosa di
strano che si intravedeva in fondo alla stanza, accanto
all'armadio.
Dana si alzò. Lentamente, si avvicinò alla porta del
bagno. Seminascosta dalla poltroncina accanto all'armadio, c'era una
fila di fogli stampati dal computer. Immediatamente, si alzò
dal pavimento e si mise a letto nascondendo quei fogli sotto al
cuscino. Appena un secondo dopo, qualcuno bussò alla porta ed
entrò.
Era Nicole: "Come ci sentiamo?" Con un gran sorriso, si sedette
sulla sponda del letto di Scully.
"Hm... meglio. Ma inizio a soffrire di claustrofobia. Come fai,
Nicole, a non sentire mai il bisogno di uscire di qui? Sentire il
calore del sole sulla faccia, fare una passeggiata all'aperto..."
"Dana, sono qui da troppo tempo per pensare che lì fuori ci
sia ancora il sole. E' una questione d'abitudine che acquisirai
presto anche tu."
Scully abbassò di nuovo lo sguardo.
"Vuoi parlarmi di quel... Mulder?" chiese la ragazza con un tono
dolcissimo. Da amica.
"No, ma non ti nascondo che vorrei rassicurarlo che sto bene.
Vorrei non essere la causa della sua sofferenza attuale. Chiedergli
scusa..." Scully si morse le labbra e prese un respiro profondo,
guardando Nicole.
"Scrivigli!" A Scully si illuminò il viso, ma per un attimo
soltanto. Realizzò che Nicole si riferiva a qualcosa di
totalmente diverso da ciò che pensava lei, appena
ascoltò le parole successive. "Ma stai attenta che nessuno
veda ciò che scrivi. In bagno nessuno va a controllare e non
ci sono telecamere a circuito chiuso. Puoi buttarle da lì. Non
se ne accorgerà nemmeno Sylvia che pulisce le camere ogni
mattina."
"Buttarle? Intendi dire che dovrei distruggere tutto quello che
scrivo? Perché dovrei farlo, allora?"
Nicole le sfiorò un braccio e sorridendo le disse: "Per non
impazzire. Per cercare il contatto con la realtà che mi ha
permesso di non gettarmi via in questi dieci anni. Puoi sfogarti solo
in questo modo. Io uso la carta igienica, così diventa
più facile farla sparire. Tieni." Dal taschino del camice,
Nicole prese una penna con la punta arrotondata e la porse a Dana
"Regalino per il tuo primo giorno di vacanza." Si alzò dal
letto, controllò che il braccio di Scully non avesse un
principio di ematoma per la flebo e andò via augurandole un
buon riposo.
*******
§1.35 (Monica)
Penitenziario dello Stato di Virginia
Venerdì, 15 maggio 1998, 3:21 p.m.
Gli ultimi due giorni erano passati vuoti e lenti. La suora non si
era più fatta vedere, ma di questo Mulder era grato.
Aveva avuto tanto tempo per pensare, era giunto alla conclusione
che c'erano abbastanza divergenze per ammettere una preliminare
innocenza. Non che la cosa gli importasse molto, Scully non sarebbe
comunque tornata in vita.
Ma se fosse uscito di lì, avrebbe cominciato a cercare i
responsabili di quella morte in giro per tutto l'universo, a
cominciare da quel bastardo che fumava. Si appoggiò al
tavolino, che si inclinò verso di lui. Già. A
cominciare dal fumatore. Fox sbatté la mano sul piano bianco
sporco, quando si ricordò che era già morto.
Aveva ripensato anche a quello che quel ragazzino gli aveva detto:
Scully era viva. Non poteva crederci, per quanto lo volesse. Non ci
riusciva. Aveva visto il suo corpo, sfiorato il suo volto freddo.
Anche Maggie Scully e Skinner l'avevano vista. Scully era morta e
niente l'avrebbe fatta tornare indietro. Forse quel ragazzo pensava
di consolarlo, dicendogli che Scully era viva nel cuore di tutti
loro, o in qualche altro stupido senso religioso che non avrebbe di
certo migliorato la situazione per lui.
"Mulder." la voce del secondino lo fece girare. "C'è una
visita." Dietro la guardia, Fox vide i tre Lone Gunmen.
Appena la guardia si fu allontanata, Langly iniziò:
"Abbiamo trovato qualcosa di sospetto." disse.
"Non crediamo sia stato tu ad ucciderla." disse Byers,
sottovoce.
Mulder annuì. "Cosa avete trovato?"
"Abbiamo letto il rapporto che ha steso l'agente Riordan." riprese
Langly. "Dice che il medico legale era un certo Clair, ma noi abbiamo
rintracciato quello vero."
"Robbins." fece Mulder.
I tre Lone Gunmen si scambiarono un'occhiata delusa. "Già."
fece Frohike. "Comunque, quando il corpo è sparito..." L'uomo
non fece in tempo a finire la frase, perché Mulder si
girò verso le sbarre, sbattendovi contro i palmi aperti.
Respirò a fondo qualche volta, per calmarsi e scacciare le
lacrime, quindi si rigirò verso di loro.
Fu Byers a riprendere parola. "Robbins si era portato a casa i
campioni. Li ha analizzati e i dati, non si sa come, si sono persi
nei meandri burocratici."
"Che dicevano?" chiese Mulder.
"Erano confusi, come se i campioni fossero stati contaminati."
"Ma?"
"Ma non sembra lo siano."
Langly annuì: "C'erano due tipi di sperma sui suoi vestiti,
0 negativo e 0 positivo."
Mulder si sedette sulla branda, chiudendo gli occhi. "Erano in
due."
"La pelle rinvenuta sotto le unghie, poi, non corrisponde alla
tua. C'era anche del sangue, questa volta... 0 positivo." concluse
Langly.
Mulder scosse la testa. "E' assurdo. E'... è inconcepibile,
erano... in due contro una?"
I tre uomini non parlarono.
"Non avete scoperto altro?"
Byers scosse la testa: "No, ma questo è probabilmente il
tuo passaporto per la libertà."
Mulder annuì, senza pensarci troppo. "Forse Scully è
stata portata via da casa verso le dieci." disse.
"Come lo sai?"
"E' scritto nel suo diario. L'ultima pagina si conclude
bruscamente. Io sono convinto che alle dieci ero ancora sveglio.
Credo di aver tirato più o meno le undici e mezza."
"Non hai nessuno che possa confermarlo?"
Mulder scosse la testa.
Byers intervenne di nuovo: "Se accetti la comparazione del DNA,
sarai fuori di qui appena le analisi saranno pronte."
"L'ho già accettata." disse Mulder, soprappensiero.
Quando i Lone Gunmen se ne furono andati, Mulder si distese di
nuovo sulla branda a pensare. --Sono innocente.-- concluse. Ma quel
pensiero non lo fece star molto meglio. --Due uomini.-- Forse lo
scontro non era avvenuto in macchina. Se fosse avvenuto a casa di
lei, la polizia l'avrebbe notato e anche lui stesso. O forse i due
bastardi si erano premurati di rimettere a posto tutto, d'altronde il
diario non era a terra vicino al divano, ma sul comodino, assieme
alla penna, non c'erano coperte lasciate in disordine sul divano.
Forse l'avevano portata in qualche altro posto. "Oh Dio..."
sussurrò Mulder, sentendo il suo stomaco contorcersi. Forse
era qualche posto buio, qualche scantinato. L'avevano trascinata
lì a forza, magari chiudendola nel bagagliaio...
Mulder si alzò in piedi e di corsa raggiunse la toilette
per vomitare. Mentre si sciacquava la bocca si chiese come doveva
essersi sentita Scully, rivivendo l'orribile esperienza di quattro
anni prima. Temendo di esser magari riportata in "quel posto pieno di
luce", era invece finita in un buio scantinato con due aggressori
molto più terrestri... perché non potevano essere
definiti "umani".
Mulder non sapeva quanto si era avvicinato alla realtà.
*******
§1.36 (Steffy)
Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)
Sabato, 16 maggio 1998, 4:00 p.m.
Scully osservò Nicole uscire dalla stanza.
Era rattristata più per lei che per se stessa. Non doveva
essere stato facile per una ragazza giovanissima rinunciare a quello
per cui lei e Melissa credevano di essere cresciute: una casa
propria, una famiglia, un lavoro 'normale'.
"Normale..." disse Scully con un filo di voce. La mente
iniziò a giocare con quella parola come se fosse un rebus da
risolvere. "La normalità può essere qualsiasi cosa che
rientri nel logicamente concepibile oppure un pensiero che sia
concepibile dalla mente di ognuno di noi?"
Nicole aveva ragione, doveva mettere per iscritto i suoi pensieri
'per non impazzire'.
La porta della stanza non poteva essere chiusa a chiave e se
avesse deciso di scrivere davvero, doveva farlo di nascosto. Si
alzò a fatica dal letto, in cui era stata costretta per la
maggior parte del giorno, e si avviò in bagno con i fogli
nascosti sotto la vestaglia che indossava. Nemmeno lì c'era la
chiave, ma nessuno avrebbe osato entrare senza bussare e questo le
avrebbe dato il tempo di nascondere gli scritti.
Appena fu dentro, si richiuse la porta alle spalle, aprì
l'acqua della doccia e si appoggiò di spalle sul bordo del
lavabo smaltato di bianco. Dana si accorse che il taccuino
improvvisato era formato da un insieme di tabulati che avevano
stampato i computer del laboratorio. Nessuno aveva dei collegamenti
con l'altro, a parte la data del giorno. Alcuni erano le stampe di
risultati biologici di uno stesso campione, altri erano risultati
comparativi, altri ancora le fecero pensare al motivo per cui era
svenuta.
"Non è vero. Se lo fosse..." Strinse in mano la penna, dono
di Nicole, guardò per l'ultima volta i tabulati e li
voltò per utilizzare lo spazio bianco sul retro come carta
utile. Si guardò attorno per trovare un appoggio su cui poter
scrivere e l'unico era la mensolina del lavandino. La sfilò
dall'inserto del muro e la appoggiò sul bordo del lavabo. Si
chinò sullo scrittoio improvvisato e sul primo foglio.
Iniziò a scrivere lentamente, con una scrittura più
minuta del solito come a risparmiare spazio.
'Sono qui da due giorni, credo al mio sesto dopo il rapimento. Non
ricordo nulla di quella sera, a parte l'ultima conversazione con
Mulder.
Non posso fidarmi di nessuno... forse dovrei confidare in Nicole.
Ma anche lei inizia a diventare come gli altri. Ha già
imparato a scendere a compromessi, a non fare domande e a rispondere
sempre come se quello che le stanno facendo fosse normale. Non lo
è. Stamattina... Mulder, se fossi qui mi guarderesti dritto
negli occhi come a dirmi 'visto, avevo ragione io. Uno a zero per me,
Scully', ma ho visto tutto il mio mondo e le mie certezze alzarsi in
piedi e accartocciarsi su se stesse nel medesimo istante.
In quello che ora è il tuo mondo si combattono guerre
invisibili per debellare malattie che qui hanno smesso di avere un
senso. Se le scoperte genetiche di cui sono venuta a conoscenza
potessero trapelare da queste mura e raggiungere gli occhi di uno
studentello di medicina, il destino del mondo cambierebbe.
Cos'è il destino, Mulder? E' ciò che la mente umana
rifiuta e che invece si presenta come un meccanismo estraneo alla
nostra volontà. Il destino non ha voluto che qui ci fossi tu.
A sapere ciò che so io, ora, ti metteresti a saltare come un
bambino che ha scoperto Babbo Natale sotto l'albero e che, invece, a
me ha rubato tutti i regali.
Quando ero all'università, nel mio corso di Fisica, venni a
conoscenza di una formula che nelle sue cinque lettere racchiude
tutte le ragioni che mi hanno spinto a diventare medico legale.
L'equazione di Boltzmann, che spiega l'entropia, dice che il caos
è l'unico modo possibile di sopravvivere perché se si
tenta di combatterlo per portare l'ordine, si finisce con il cedere
perché il caos che si vuole distruggere si ciba dell'energia
di chi tenta di combatterlo.
Era impossibile per me credere a una simile eresia. Pensavo che
l'ordine fosse insito in tutto ciò che ci sta attorno, dal
più piccolo atomo, al più grande universo.
Sai perché non ho proseguito nella mia carriera medica,
Mulder? Perché troppo presto mi ero resa conto che quella
formula racchiudeva in sé tutta la verità. La medicina
deve molte delle sue scoperte al caso e tentare di mettere in ordine
le cose non le serve. Quasi non c'è certezza nella medicina.
Fu a questo pensiero che decisi di entrare all'FBI; il Bureau si ciba
di ordine sì, ma anche di intelligenza. Punto.
Però, stamattina, le mie convinzioni si sono capovolte di
nuovo. Si potrebbe curare ogni più piccola malattia con la
sequenza di lettere che è custodita in una stanza non lontana
dalla mia. Una sequenza che ho letto con i miei occhi.
Sai cosa si potrebbe fare dopo aver ricostruito tutto il DNA di
una persona e aver imparato a modificarlo? Oh, Mulder, di tutto.
Curare malattie incredibili, prevenire alterazioni genetiche e per
cui c'è gente che non riesce a vivere come un essere umano.
Ma... può essere anche un'arma pericolosa.
Sai, non riesco a crederci ed è ingiusto che tu non possa
vedermi in volto in questo momento. Che regalo sarebbe se ti dicessi
che qui sono riusciti a rendere perfettamente compatibili,
ibridandoli, due DNA di cui uno non umano! Una nuova razza, Mulder.
Una razza perfetta, forte, probabilmente senza alcun sentimento,
finirebbe col popolare la Terra.
E tutto sta nascendo qui, in questo momento. Mi sento componente
importante del loro lavoro e in una parte della mia mente si è
presentata l'idea che sarebbe un bene, per me, rimanere qui. Senza
pensare a una via di fuga.
Nicole è una ragazza in gamba, ha capito che bisogna stare
alle regole del gioco per non complicarsi l'esistenza. Mi sta
aiutando e, se riuscissi a fuggire, sarei tentata di portarla con me.
Non ho ancora avuto il coraggio di chiederle che esami le fanno, ma
probabilmente non me lo direbbe. Qui nessuno può fare domande
su quello che succede.
Nessuno ti risponderà mai alla domanda 'per quale motivo
creare una super razza?' Se poi ti dài una risposta da solo,
speri che non sia quella giusta.
Sono le quattro del mattino e devo andare a riposare. Mi hanno
detto che domani mi aspetta un lavoro faticoso.
Non so cosa ti ho scritto, Mulder. A dire il vero, ne ignoro anche
la ragione. Non riceverai mai queste lettere. Forse, tra un po',
farò come mi ha consigliato Nicole: le distruggerò dopo
averle scritte con l'unico scopo di rimanerti accanto.'
Era stata una giornata difficile, quella. Era stremata da tante
nuove sensazioni e voleva riposare.
Cercò un posto sicuro dove poter nascondere i suoi scritti
e l'unico che le parve il più giusto fu lo scarico in alto e,
per capire se fosse chiuso o aperto all'estremità superiore,
salì sul water. Con la mano arrivò a toccarne la
superficie: era chiuso. Appoggiò, dopo averli ripiegati, i
fogli di cui era in possesso. Una volta scesa dalla sua scaletta di
fortuna, guardò bene per assicurarsi che nessuno si potesse
accorgere facilmente della loro presenza.
Uscì dal bagno e si sdraiò sul letto addormentandosi
immediatamente.
*******
§1.37 (Steffy)
Sezione crimini violenti, FBI building
Washington D.C., Virginia.
16 maggio 1998, ore 10:30 a.m.
L'agente Riordan ricevette il rapporto del dottor Clair dopo
alcuni giorni dall'omicidio del medico legale Robbins. Nel suo
ufficio, si apprestava a rileggere il fascicolo mentre ripensava a
come risolvere il caso dell'agente Mulder. Il latte scaduto, che
aveva versato nel caffè cattivo di sempre, lo strozzò
quasi, quando lesse ciò che nel rapporto era contenuto:
"... 'Il dottor Robbins è morto per un colpo di arma da
fuoco al cuore. La limatura rinvenuta sulla pallottola non coincide
con nessuna di quelle schedate presso gli uffici federali. La
sostanza ritrovata sotto le unghie della donna è epidermide.
Ha certamente lottato, prima di rimanere uccisa. L'analisi del DNA, a
cui l'agente Mulder si è sottoposto, dimostra che lui non era
l'aggressore e che quindi non aveva tentato di ucciderla: né
le tracce di liquido seminale né quelle di pelle trovate sui
vestiti e nell'auto gli appartengono. Per mancanza di campioni di
sangue prelevati dal corpo dell'agente Dana Scully ed ora scomparso,
è impossibile compiere una comparzione con in campioni che,
della stessa, possiede l'archivio medico dell'FBI...'"
"Figli di..." Riordan si alzò di scatto dalla sedia, si
portò le mani alle tempie. Mulder non aveva commesso il
crimine. Presa la giacca, si precipitò al penitenziario di
Stato.
Durante il tragitto in macchina, telefonò al tribunale per
avvertire il giudice Collins, curatore del caso, che era il momento
di liberare l'uomo per mancanza di prove dell'omicidio di Dana
Scully.
Un'ora più tardi si presentò al penitenziario di
Stato con il permesso di scagionare Mulder dalle accuse per non aver
commesso il fatto.
*******
§1.38 (Monica)
Penitenziario dello Stato di Virginia
Sabato, 16 maggio 1998, 11:29 a.m.
Con gli occhi chiusi, le ginocchia al petto, Mulder stringeva il
diario di Scully, oscillando leggermente sul bordo del materasso.
Aveva ormai perso le speranze in un miracolo che gli avrebbe
restituito Scully.
Non sentì i passi avvicinarsi alla cella, ma solo la
serratura scattare. Alzò lo sguardo di colpo verso l'ingresso,
rendendosi conto di non aver più tempo per nascondere il
diario. Cercò di scacciare il panico, ma una tempesta di
domande frenetiche attaccò la sua mente. --Come faccio senza
il diario? Come posso non averlo con me? Cosa faccio ora? Faccio
ancora in tempo a nasconderlo? Non posso lasciarlo, è il mio
unico ricordo tangibile di Scully...-- Chiuse gli occhi, stringendo
le braccia ancora più forte attorno alle gambe, nascondendovi
dietro il diario.
Mulder respirò a fondo un paio di volte, notando che c'era
una sola guardia. Di solito, quando veniva scortato per qualche
interrogatorio, erano almeno in due. --Perché è qui?
Cosa ho fatto? Cosa devo fare? Che notizia deve darmi? Mi hanno
già condannato? Sedia elettrica, camera a gas... Oh Dio,
Scully, voglio rivederti, voglio rivederti, voglio rivederti voglio
rivederti rivederti rivederti...--
La guardia non chiuse la porta e si avvicinò a una
velocità che a Mulder parve infinitesimale. Si chiese se il
tempo stesse scorrendo lentamente solo per lui. "Può uscire."
disse semplicemente la guardia.
"Come?" fece Mulder.
"Può uscire. L'agente Riordan la sta aspettando di
là. Le mostrerà le prove della sua innocenza."
Mulder chiuse gli occhi. "Sono libero?" sussurrò.
"Già. Venga."
Mulder fece scivolare il diario nella mano, quindi si alzò.
La guardia si accorse dell'oggetto e inarcò le sopracciglia
interrogativamente. Fox si limitò ad alzare le spalle e ad
uscire dalla cella. Percorse il corridoio in silenzio, seguito dalla
guardia. Non fece caso ai commenti degli altri carcerati, ma
tirò un silenzioso sospiro di sollievo quando arrivò
all'ufficio dove Riordan lo attendeva.
Ancora infilato nella tuta arancione, Mulder non si sedette in
presenza dell'altro agente, ma alzò leggermente il mento. Paul
lanciò una busta sul tavolo. "Gli esami del DNA hanno provato
che le tracce non sono tue." disse, con tono ancora freddo e
acido.
Mulder non disse nulla.
"Ma io non sono ancora convinto che tu sia innocente." aggiunse
l'altro. "Considerati ancora indagato."
Mulder raccolse la borsa che conteneva i suoi vestiti.
"Finché Skinner non ti toglierà l'indagine."
Riordan ringhiò qualcosa di indefinito, quindi uscì
dalla stanza.
Mulder passò a ritirare il suo portafoglio, l'unica cosa,
oltre ai vestiti, che aveva con sé al momento dell'arresto.
Uscì finalmente all'aperto e camminò lentamente fino
alla fermata dell'autobus. Riordan gli passò accanto con la
macchina e gli lanciò un'altra delle sue frasi da duro:
"Ricordati, Mulder, ti starò appiccicato al culo!"
Fox non rispose nemmeno. Si sedette sotto la pensilina ad
aspettare ed aprì il portafoglio. Cercando un po' di moneta,
la sua mano scivolò in una piega nascosta. Lentamente e con
attenzione estrasse la foto che vi aveva infilato alcuni mesi
prima.
Era stata scattata da qualche giornalista durante il caso che
aveva riguardato, per la seconda volta, Robert Modell. Mulder aveva
piegato l'articolo in modo da portare sul retro le scritte e la parte
della fotografia che meno gli interessavano. Rimaneva solo Scully,
girata a tre quarti. Avrebbe dato qualsiasi cosa per riaverla accanto
a sé. Mulder sfiorò il volto di lei, seguendone i
contorni sulla fotografia sgranata.
***
[continua in Omega 2]
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