OMEGA [Rx18]

 

Capitolo 2/4

di Monica M. Castiglioni e Stefania Murazio

con la partecipazione di Elena Romanello

 

[continua da Omega 1]

 

 

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§2.1 (Monica)

 

 

Appartamento di Dana Scully

 

Sabato, 16 maggio 1998, 4:04 p.m.

 

 

Mulder si rese conto di essere arrivato all'appartamento della collega solo quando si trovò davanti alla porta. Era arrivato lì senza pensarci. Per un solo istante pensò di usare le sue chiavi. Quindi decise di suonare il campanello.

 

--Atto infantile.-- pensò. --Lo sai bene che non tornerà.--

 

Ma proprio in quel momento sentì dei passi arrivare alla soglia, la serratura scattare due volte, quindi vide la porta aprirsi. Il suo cuore si fermò per qualche battito, socchiuse gli occhi e pensò che appena Scully fosse apparsa sulla soglia, l'avrebbe presa in braccio e stretta a sé per un giorno intero, come aveva sognato tutte le notti di quell'ultima settimana.

 

Ma apparve la Scully sbagliata.

 

Margaret lo guardò per alcuni istanti in silenzio. Poi disse: "Mi hanno detto che sei innocente."

 

Mulder, con lo sguardo sulle proprie scarpe, annuì. "Sì. Lo sono. Ora so di esserlo."

 

La donna si scostò dalla soglia. "Entra, Fox."

 

Camminò lentamente in quell'appartamento un tempo così familiare, ora così freddo e vuoto. Sentì Maggie chiudere la porta e per la seconda volta sperò che fosse pronta per il primo omicidio della sua vita. Ma poi la donna, con so grande stupore, lo abbracciò. "Ma perché non me l'hai detto subito?" gli sussurrò.

 

Mulder, ancora semi-paralizzato, confessò: "Non... non ricordavo... avevo... visioni strane."

 

"Come quelle che ha avuto Dana tempo fa?"

 

"Più o meno." rispose. Probabilmente le persone dietro a tutto quello erano le stesse.

 

"Sai, Fox... ho pensato molto in questa settimana." Alzò lo sguardo su di lui. "Vorrei che tu mi facessi un piacere."

 

Mulder annuì.

 

"Trova quelli che hanno fatto del male a Dana. E fai in modo che vengano puniti per quello che le hanno fatto." Gli prese dolcemente una mano. "Puniti secondo la nostra legge, ma puniti."

 

"Glielo giuro, signora Scully."

 

Maggie gli sorrise. "Sono venuta a sistemare la biancheria pulita e a pagare le bollette." disse, quasi per giustificare la sua presenza lì. "E'... è come se..." non riuscì a trovare le parole.

 

"La capisco." rispose Mulder. "E' lo stesso motivo per cui..." Fece un gesto verso la porta. "...per cui ho suonato."

 

"Stavo pensando che... un giorno Dana mi ha detto che casa tua ha... qualche problema."

 

Mulder sorrise. "E' un eufemismo."

 

"Potresti... venire qui, se vuoi." Fox capì che dire quelle parole era pesato parecchio alla donna. Se da una parte era assicurarsi che l'appartamento di Scully sarebbe rimasto quasi come l'aveva lasciato, dall'altra era un'ammissione della morte della figlia.

 

"Grazie, ma-"

 

"Puoi pensarci." lo interruppe. "Dana aveva già pagato l'affitto per i prossimi tre mesi."

 

Mulder sorrise tra sé. Sempre previdente, la sua scettica compagna. Tre mesi, in caso il suo lavoro l'avesse portata via da casa per troppo tempo per preoccuparsi di quei fastidi terreni. A Mulder venne spontaneo chiedersi se aveva pagato l'affitto negli ultimi sei mesi oppure, visto il suo arresto, gli avevano già sbaraccato l'appartamento e venduti i mobili in strada.

 

"Forse... vorrai stare un po' qui..." disse Maggie, che sembrava quasi cercare una scusa per lasciare un luogo così pieno di ricordi. Si avviò verso la porta. "Vorrei solo che tu mi tenessi al corrente di quello che scopri. D'accordo?"

 

"Può contarci, signora Scully." rispose lui.

 

"Puoi chiamarmi Maggie." La donna sorrise. Tirò fuori il mazzo di chiavi dalla tasca e disse: "Le hai già vero?"

 

Mulder annuì. "Credo uscirò con lei." Lentamente si avviarono verso l'uscita assieme.

 

"Sai Fox, chiunque abbia preso il suo corpo... non l'ha più riportato."

 

Mulder le rivolse uno sguardo pieno di dolore. "Io credo che ci sia sotto qualcosa..."

 

Maggie annuì, arrivando alla propria automobile. "Domenica 14 celebreremo ugualmente il suo funerale. Mi farebbe piacere se ci fossi anche tu."

 

Mulder deglutì. --Funerale...--

 

La donna fece un sorriso triste: "Mi piacerebbe tanto che anche questa volta tu mi dicessi che è troppo presto." Aprì la borsa e ne tirò fuori una foto leggermente stropicciata. "Volevo darti questa, Fox."

 

Lui prese in mano la fotografia come se si trattasse di un sottile capolavoro di cristallo.

 

"E' stata scattata il giorno in cui ha concluso il suo corso a Quantico ed è diventata un'agente dell'FBI."

 

In quella foto Scully aveva il sorriso più bello, grande e soddisfatto che le avesse mai visto. "Grazie." sussurrò Mulder.

 

Senza dire altro, Maggie salì in macchina e partì. Mulder rimase a guardare la foto per qualche minuto, qui si avviò verso casa.

 

 

 

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§2.2 (Monica)

 

 

FBI Headquarters, Washington D.C.

 

Lunedì, 18 maggio 1998, 8:07 a.m.

 

 

Aveva immaginato che, rientrando al lavoro, avrebbe incontrato decine di facce, ognuna che lo guardava con una sfumatura diversa di espressione, mista tra il solito odio, la consueta pietà e la vecchia superiorità, un pizzico di paura in più.

 

Era convinto che da qualche parte ci fosse anche Riordan a spiarlo, ma solo quando si ricordava e ne aveva voglia. Entrò nell'ascensore assieme a un'altra decina di persone. Era impossibile non sentire i commenti che venivano fatti su di lui.

 

"L'ha uccisa lui?"

 

"No, sembra di no... Ma sai com'è... è sempre stato un po' strano."

 

"Non sai che avevano un affare?"

 

"Un affare in quel senso?"

 

"Lui è pazzo..."

 

Mulder approfittò della prima fermata per svicolare fuori e imboccare le scale. Entrò nell'anticamera dell'ufficio di Skinner e salutò Kimberly con un cenno. La donna gli sorrise cortesemente, come suo solito, e per ora, pensò Mulder, era stata l'unica persona a non regalargli pietà che lui non voleva.

 

Fu ammesso praticamente subito nell'ufficio di Skinner.

 

"Agente Mulder, si sieda." disse Skinner, con una voce più pacata del solito.

 

Fox fece come gli era stato detto, notando che sulla scrivania del vicedirettore erano già pronti il suo distintivo e una pistola. Non era la sua Smith and Wesson 1056. Mulder rabbrividì. Già, la sua pistola era l'arma del delitto. La pistola che aveva ucciso Scully.

 

"Capisco che voglia tornare al lavoro al più presto." stava dicendo Skinner. "Ma vorrei che considerasse l'idea di prendere una pausa."

 

Mulder annuì. "Grazie, ma ho già perso abbastanza tempo."

 

Il più anziano scosse la testa. "Mulder, lo sa bene che non potrà seguire le indagini sulla morte dell'agente Scully."

 

Fox non disse nulla, ma lanciò uno sguardo significativo all'altro.

 

"Non ufficialmente, certo." sussurrò questi. "Va bene, ma si tenga fuori dai guai." Indicò con un gesto del capo i due oggetti.

 

Mulder si allungò per raccoglierli, ma la sua mano si chiuse solo attorno al distintivo. Skinner gli lanciò uno sguardo interrogativo.

 

"Non vorrei che venisse adoperata anche quella per usi impropri." disse. "E ho fatto una promessa, non voglio ammazzare qualcuno, prima di portarlo in prigione."

 

Il vicedirettore annuì. "Non le ancora a detto che mi dispiace." disse.

 

Il giovane alzò lo sguardo. "Ci sono dei momenti in cui mi dispiace talmente tanto che vorrei spararmi un colpo in testa." Skinner socchiuse le labbra per dire qualcosa, ma Mulder lo precedette. "Ma non ora. Prima devo prenderli."

 

 

 

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§2.3 (Monica)

 

 

FBI Headquarters, Washington D.C.

 

Ufficio degli X-Files

 

Lunedì, 18 maggio 1998, 10:13 a.m.

 

 

Mulder chiuse il fascicolo che Riordan aveva redatto sul suo conto. In quella decina di pagine c'erano tutte le accuse e tutte le prove di innocenza che l'avevano tenuto in ballo nell'ultima settimana. In realtà era poco o niente. Mulder non era stato trovato sul luogo del delitto. Intorno alle nove di sabato mattina si era presentato all'FBI. Non c'erano sue impronte nella macchina. Lo sperma trovato sui vestiti e il tessuto epiteliale sotto le unghie del cadavere non gli appartenevano. Le uniche prove che rimanevano a suo sfavore, erano la sua pistola e una videocassetta porno. Non era molto, visto che lui e Scully avevano la stessa pistola e che, come sembrava aver appuntato Skinner, avrebbero potuto scambiarsela per sbaglio. Un errore certamente non tipico da agente dell'FBI, ma comprensibile, dopo due settimane vuote. C'erano alcuni acetati nel fascicolo, sui quali erano stati stampati i due diversi DNA trovati sul corpo di Dana e il suo. Mulder si alzò, a colpo sicuro aprì un cassetto e andò a cercare un vecchio fascicolo. "Cardinal, Luis." sussurrò, sfilando la cartelletta bianca e rossa. Estrasse dal fascicolo la stampa del DNA che Scully aveva fatto. La sovrappose a quelle che aveva trovato nel proprio fascicolo. Si sovrapponeva di poco, niente di più che la semplice appartenenza alla stessa specie. Mulder si alzò di nuovo e frugò ancora nei cassetti. Aveva nascosto un fascicolo in mezzo ad altri di poca importanza. L'aveva messo lì perché non capitasse sotto gli occhi di Scully ogni volta che lei apriva un cassetto. Era il fascicolo su Emily. Mulder estrasse la stampa del DNA. Non era medico, l'unica cosa che sapeva era che se le bande scure coincidevano, allora si trattava la stessa persona. Se coincidevano in parte, le due persone potevano essere parenti. Si sedette e guardò tutto quello che aveva davanti.

 

--Scully, dovresti esserci tu al mio posto.-- pensò. --Ci capiresti di più.--

 

Poi si accorse di una cosa: nel proprio fascicolo mancava l'analisi del DNA di Scully. La sfilò da quello di Emily. Lo guardò come se stesse rimirando una foto della collega. Passò con la punta delle dita sulle colonne nere. Di colpo, rimise a posto il fascicolo di Emily, quindi riordinò gli altri due, lasciando fuori solo il proprio. Si risedette alla scrivania e tirò fuori dalla giacca la fotografia che Maggie Scully gli aveva regalato sabato. Dal cassetto estrasse una cornice che aveva comprato tempo prima, con l'idea di sostituire quella vecchia e disfatta di Samantha. Aprì la confezione con cura, sfilò il cartoncino che ritraeva un cerbiatto tra i fiori e lo fece scivolare nel cestino. Prese la fotografia e la infilò delicatamente nella cornice, che pose davanti a sé. Rimase a fissare la fotografia per alcuni minuti, quindi si alzò, prese la giacca e uscì dall'ufficio. Sapeva che dai database dell'FBI non era uscito niente riguardo agli aggressori di Scully. Aveva già spedito una copia del fascicolo ai Lone Gunmen.

 

 

 

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§2.4 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Lunedì, 18 maggio 1998, 7:00 a.m.

 

 

Guardare il ritaglio di giornale con la foto di Mulder, regalo del fumatore, le dava un senso di pace inspiegabile. Era l'articolo che parlava della sua morte, della condanna di Mulder, ma era l'unica cosa che la teneva legata a lui, alla sua vita.

 

Dana si era appena svegliata e lo sguardo era rivolto al tavolino dove era appoggiato quel ritaglio, quando un rumore alla porta la stupì. Si alzò dal letto di scatto e si trovò di fronte la dottoressa Rainbow.

 

"Come si sente?" La mancata risposta di Scully costrinse la donna a continuare il suo discorso. "Non ci siamo presentate come di dovere, prima d'ora. Io sono il medico che la prenderà in cura durante il suo soggiorno qui."

 

"Strana cura, quella per una malattia che non esiste, dottoressa Rainbow." disse Dana col tono piatto di chi crede di non aver nulla da perdere.

 

"Dana, posso chiamarla così, vero?" Scully non annuì. "Sono venuta qui da lei per illustrarle il progetto in modo adeguato e chiederle la massima collaborazione." La donna si sedette sul letto, accanto a Scully.

 

Dalla tasca del camice bianco che indossava prese una piccola fotografia a colori un po' sgualcita. La porse a Dana.

 

"E' mio figlio Kyle. La ragione per cui sono qui." Rainbow parlò con voce bassa, tremante e sincera, guardando la foto che ormai era tra le mani di Scully che la osservava con distacco. "L'ultima volta che l'ho visto è stato cinque anni fa. Lo salutai uscendo di casa per venire qui, in Canada, e riprendere gli esperimenti dal punto in cui li avevamo interrotti..."

 

"Siamo in Canada?!" La dottoressa guardò Scully negli occhi e, riprendendosi la fotografia di Kyle sorridente con il suo diploma in mano, le rispose "Sì, e voglio tornare a casa il prima possibile. Per questo sono qui. Se arriviamo al risultato in fretta, forse ci lasceranno andare prima..."

 

"... o ci faranno fuori prima. Ci aveva mai pensato?"

 

La donna, alzandosi dal letto, si avvicinò all'armadio di Dana. Si voltò.

 

"Non lo faranno. Noi siamo importanti per la riuscita di questo lavoro. Mio figlio è il risultato di un progetto precedente. Come la sua Emily, Dana. Con l'unica differenza che, all'epoca, a me non fu portato via. L'ho cresciuto con il dovere di tenerlo d'occhio per arrivare a una conclusione che portasse al compimento di un Omega, un ibrido perfetto che non mostrasse le debolezze del progetto precedente. Insomma, un ibrido con il sessanta percento di struttura elicoidale umana. Mi segue, dottoressa Scully?"

 

"Certo, siamo qui per creare un mostro che sia più mostro del precedente." Il tono di Dana fu inespressivo, mentre abbassava lo sguardo. Ma pochi istanti dopo, si ricordò che la donna aveva paragonato Kyle a Emily e le chiese il motivo.

 

"Rendere perfetti questi esseri significherebbe arrivare alla loro indistruttibilità, alla loro preminenza rispetto agli altri. Per renderli forti e capaci di combattere quello che sarà lo scontro del futuro contro chi vuole distruggere la razza umana."

 

A Scully non interessavano i perché del Progetto. Ormai era sicura che avrebbe fatto la stessa fine di chi aveva abitato la sua stanza prima di lei.

 

"Il motivo per cui io sono qui?" La donna prese un camice dall'armadio, si avvicinò a Dana e lo posò sul letto.

 

"Si prepari. Fra un'ora si presenti al laboratorio. Lo vivrà sulla sua pelle." Detto questo, diede un ultimo sguardo a Scully e, voltandole le spalle, si diresse verso l'uscita. "Nessuno la chiuderà a chiave, qui. Tanto, non c'è nessun modo per fuggire."

 

Uscì, chiudendo la porta dietro di sé.

 

Rimasta da sola, Dana si guardò attorno. Nella sua stanza, assieme alle finestre, mancava anche lo specchio. Evidentemente, avevano paura che qualcuno potesse compiere un gesto estremo. Scully indossò il camice e le scarpe e tentò di sistemarsi i capelli con la spazzola che trovò nell'asettico bagno. Unica stanza a parte la camera da letto.

 

Uscì e si inoltrò per lo stretto corridoio che aveva percorso in senso inverso non molto tempo prima. Si sentiva stanca, non aveva dormito molto, forse un paio d'ore, e questo non le era bastato a smaltire il tranquillante che le avevano dato e che l'aveva intorpidita per tutto il giorno.

 

Raggiunse una porta, bianca, blindata, forse un'infermeria. Bussò e un uomo con una mascherina in volto la fece entrare.

 

Dana valicò la porta e vide la dottoressa Rainbow in assetto di chirurgia che le fece cenno di avvicinarsi. Scully abbassò lo sguardo prendendo un respiro profondo, poi si avvicinò alla donna e al tavolo chirurgico. Vi si stese fissando la lampada al neon sopra la sua testa.

 

Una scena che aveva già visto, in passato. Alla sua destra, la dottoressa Rainbow le prese il braccio e lo disinfettò all'altezza del gomito. Dana la guardò negli occhi prima di chiudere i suoi.

 

Sentì l'ago penetrarle il braccio e, subito dopo, un calore percorrerla lungo tutto il corpo. Inspirò ed emise un gemito.

 

Si addormentò all'istante mentre gli occhi le si bagnavano di lacrime.

 

 

 

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§2.5 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Lunedì, 18 maggio 1998, 2:00 p.m.

 

 

Uscendo dalla sua stanza per recarsi in camera di Scully, per controllare che il primo stadio degli esperimenti che erano iniziati su di lei procedesse bene, Nicole quasi sbatté contro Alex Krycek che arrivava, nel corridoio, in senso contrario a quello della ragazza.

 

"Dove vai?"

 

"Da Dana."

 

"Le è successo qualcosa?" chiese, puntando i suoi occhi in quelli di lei.

 

"No... be', non proprio. Rainbow ha iniziato gli esperimenti ed ora sta rispondendo agli effetti. Tu come stai, Alex?"

 

Lui la guardò senza la minima espressione del viso, poi parlò con voce bassa: "Vieni..."

 

"Dove?"

 

"In camera mia. Devo parlarti." Nicole camminò al suo fianco e dopo pochi passi arrivarono nella stanza di lui non molto lontana da quella di Scully e molto simile alla sua. La donna entrò per prima e lui richiuse la porta alle loro spalle.

 

"So che posso fidarmi di te, Nicole. Ma adesso ho bisogno anche del tuo aiuto."

 

"E' per Dana, vero?" Lo osservò mentre lui, abbassando lo sguardo, prese un respiro profondo e si sedette alla sedia della piccola scrivania.

 

"Devo portarla via da qui. Non posso spiegarti tutto, Nicky, non ora. Ma ho bisogno del tuo aiuto per portarla fuori. Kyle mi aiuterà col resto. Non so come faremo, ma devo farla uscire."

 

Nicole stette ad ascoltarlo discretamente, senza fare domande. Gli si avvicinò, si inchinò verso di lui e gli prese il volto tra le mani in modo tale che potesse guardarlo negli occhi.

 

"Sono sempre stata dalla tua parte, Alex. Ma devo sapere perché lei e non qualcun altro." Era seria, Nicole. Nelle sue parole traspariva una punta di gelosia per l'unico uomo che le era stato accanto alla Base.

 

"Perché con lei avrò Mulder in pugno..."

 

"Mulder. Chi è?"

 

"E' uno che combatte senza aver capito bene qual è la guerra in corso. Mi aiuterai?" la guardò sfiorandole una mano che ancora era appoggiata sulla sua guancia destra.

 

"Tenterò..."

 

Si allontanò da lui e ritornò fredda.

 

"Cosa vuoi che faccia?" Krycek appoggiò il braccio sul tavolo.

 

"Ho bisogno di una prova che convinca Mulder che la sua collega è ancora viva. Per ora, è sufficiente. Penseremo più tardi al resto."

 

Lei fece per andare via quando Alex la fermò un attimo sfiorandole una mano. "Lo sai, puoi venire via quando vuoi. Ti porterei..."

 

"Da nessuna parte, Alex. Ormai, è questo l'unico luogo dove posso vivere, l'unica realtà che conosco."

 

Si allontanò per uscire dalla camera, poi si voltò per guardare Krycek: "Mi basta sapere che ritornerai qui".

 

Con lo sguardo basso, uscì dalla stanza.

 

 

 

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§2.6 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Lunedì, 18 maggio 1998, 2:30 p.m.

 

 

Uscendo dalla stanza di Alex, Nicole si diresse in quella di Scully, ripensando a ciò che l'uomo le aveva appena detto. Che fosse contrario al Progetto Omega, lo sapeva da sempre.

 

Si erano spalleggiati da quando lei, dieci anni prima, era stata portata alla Base. Lui, in cambio delle informazioni sulle nuove scoperte, la aiutava a rimanere viva, a trovare un motivo per non lasciarsi andare alla disperazione che porta il sapersi sepolta viva.

 

La chiamava Nicky solo quando aveva bisogno di fidarsi di qualcuno. Le aveva parlato spesso di due persone unite dalla fiducia e dal rispetto reciproco. Stati d'animo che le avevano portate a disseppellire vecchi scheletri di un passato che, ad ogni passo, ritornava a tormentarli. Non le aveva mai detto i loro nomi ma erano loro, Mulder e Scully, quelle due persone.

 

Nicole l'aveva capito dal senso di rispetto con cui Krycek ne aveva sempre parlato. 'Vorrei che tra noi ci fosse lo stesso tipo di rapporto, Nicky.' le diceva sempre. Li rispettava a tal punto da volerli dalla sua parte ad ogni costo.

 

L'unica differenza tra lei e Alex era la constatazione che lei ormai credeva nel Progetto. Era riuscita a trasformare la sua situazione di cavia in una ragione di vita.

 

Arrivata alla stanza di Scully, con discrezione, bussò alla porta e, non ottenendo risposta, entrò. Dana dormiva. Si avvicinò a lei, la osservò per alcuni istanti. La donna si mosse nel sonno. Pensò, in quel momento, a cosa potesse essere così personale per Scully da poter rappresentare una prova del suo essere in vita. Non possedeva nulla di suo, in quel posto, a parte un ritaglio di giornale.

 

--Alex, credo che stavolta dovrai fare diversamente.-- pensò. Era quasi sul punto di uscire dalla stanza quando, dando un'ultima occhiata a Scully, si accorse della catenina al collo. Le si avvicinò per capire se lo stato di sonno era profondo e, con delicatezza, sganciò il sottile filo d'oro e lo fece scivolare nella sua mano.

 

--Scusami, Dana.-- Pensò mentre usciva dalla stanza. Alex l'aspettava fuori . "Fatto?"

 

La ragazza sembrò sorpresa. "Sapevi che ci avrei provato subito, eh?"

 

"Ti conosco troppo bene. Grazie." Le diede un bacio leggero su una guancia ed andò via di corsa. Lei, ferma sulla porta della stanza di Scully, lo osservò mentre si allontanava.

 

--Si metterà di nuovo nei guai.-- pensò.

 

Respirò profondamente e si diresse al laboratorio dove il lavoro stava per riprendere.

 

 

 

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§2.7 (Steffy)

 

 

Luogo sconosciuto tra le foreste del Canada

 

Lunedì, 18 maggio 1998, 4:00 p.m.

 

 

"Senti, Alex, mi sono stancato di venirti a prendere come se fossi Cenerentola che aspetta la carrozza. Perché non posso entrare alla Base tanto spesso come fai tu?"

 

Krycek era uscito dai laboratori ed aveva un appuntamento a valle con Kyle che doveva aiutarlo a cercare una 'sistemazione principesca per la rossa', come era solito dire quell'insolente di ragazzino.

 

Si incontravano lontani dalla Base perché sarebbe stato pericoloso per il Progetto Omega, e anche per le necessità di Alex, che Lynn e Kyle s'incontrassero.

 

"Kyle, hai bisogno di me almeno quanto io ne ho di te. Quindi non lamentarti. Andiamo, piuttosto." Mentre il ragazzo metteva in moto la macchina, Alex sistemò la catenina di Scully all'interno di una bustina trasparente e poi nella tasca interna del giubbetto per essere sicuro di non perderla. Poi, con il solito tono da duro, si rivolse al ragazzo che gli era accanto e che era sempre più preoccupato per non aver ancora compreso appieno la situazione in cui si era cacciato.

 

"Dimmi esattamente cosa è successo con Mulder, imbranato. Al telefono mi hai detto che non ti ha creduto. Adesso, mi tocca parlarci di persona e con quell'uomo è un'impresa ciclopica farsi ascoltare."

 

"Cosa vuoi che ti spieghi? Non crede che la sua collega sia viva. Mi ha guardato come se si sentisse colpevole di ciò che è successo. Non ha voluto nemmeno ascoltare tutto ciò che avevo da dirgli. Ha preso ed è uscito dalla stanza. Punto." Krycek prese il cellulare e compose un numero di telefono scritto su un foglietto.

 

"Penitenziario di Stato."

 

"Vorrei parlare con Fox Mulder, sono un amico."

 

"Mi dispiace, il signor Mulder è stato rilasciato questa mattina."

 

"Ne siete sicuri?"

 

"Certo." L'uomo al telefono sembrava spazientito. Evidentemente, le ciambelle sul suo tavolo si stavano raffreddando.

 

"La ringrazio." Alex riagganciò perplesso.

 

"Hanno fatto uscire Mulder. L'idea del capo ha fatto di nuovo cilecca. Dobbiamo trovare una sistemazione il prima possibile per portarci Scully."

 

"Piuttosto, come dev'essere questa sistemazione?"

 

"Un motel, che sia anonimo e distante dalla Base quanto basta per non dare nell'occhio. Se è anche economico, tanto di guadagnato."

 

"Ho il posto che fa per noi. E' così anonimo che non lo conosce nemmeno il tuo capo. E' lo stesso dove alloggio io."

 

"Quello non è un motel ma una stamberga. Comunque, va bene. Prenotiamo a nome Lynch."

 

"Quando la portiamo lì?"

 

"Non lo so, ma tieniti pronto. E' questione di pochi giorni. Una volta che ho convinto Mulder, dobbiamo solo fare un lavoretto nei laboratori e il gioco è fatto."

 

"Alex?" Kyle azzardò una domanda che, sapeva, non avrebbe ricevuto una risposta chiara.

 

"Che vuoi?"

 

"Mi assicuri che rivedrò mia madre?" Krycek lo guardò, appoggiò una mano sul taschino dove era custodita la catenina di Scully e disse: "Schiaccia l'acceleratore se no non arriveremo mai, buono a nulla!" Era il modo brusco di Alex di dire 'non preoccuparti, ragazzino'.

 

 

 

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§2.8 (Monica)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Martedì, 19 maggio 6:07 a.m.

 

 

Scully aveva l'impressione di essere in un bozzolo di strisce di cotone strappato. Cercò di muoversi ma i suoi muscoli protestarono contro i lembi e le articolazioni. Aveva l'impressione di essere bendata come un lebbroso. Aveva in bocca un sapore amaro e acido. Un odore strano le fece venire un conato di vomito. Tentò di girarsi sul fianco per cercare di mandare via la nausea, ma ancora le strisce di cotone e i muscoli dolenti le impedirono di muoversi. Emise un gemito sottile, la sua gola si rifiutava di collaborare. Aprì gli occhi, ma intorno era tutto buio.

 

"Mulder!" chiamò con voce rauca e spezzata. "Mulder, aiutami!"

 

Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi sul colore che percepiva intorno a sé. Era piacevole. "Mulder..." sussurrò. Cosa avrebbe dato per potersi girare su un fianco e accoccolarsi accanto a lui, in quel momento.

 

"Mulder... Mulder... Mulder..."

 

Quando riaprì gli occhi, eterni minuti dopo, non si trovava più nel buio profondo, ma era in una foresta. Sopra di lei poteva vedere rami e foglie. Era stesa sulla schiena, come quando si era svegliata prima. Aveva ancora la sensazione delle strisce di cotone intorno al corpo, ma non poteva dire se le aveva o no, perché ancora non riusciva a muoversi. A ben guardare, era notte in quella foresta. C'era la Luna a rischiarare quasi a giorno la piccola radura. Ma perché era lì? Come c'era arrivata? Forse ce l'aveva portata Nicole. Oppure... no, ora ricordava. Dovevano andare a un seminario, e Mulder aveva voluto che si fermassero a Leon County. Sì, ma perché ora lei era stesa a terra? Riuscì a girare la testa quel tanto che bastava per vedere un uomo accovacciato che le dava le spalle. Sentiva il rumore di due sassi che venivano sfregati.

 

"Mulder?" sussurrò.

 

L'uomo non si girò. "Ci sono quasi, Scully." disse, con l'inconfondibile voce di Mulder. Scully sorrise. Quelle parole le erano sembrate miele caldo. Un sospiro la raggiunse pochi attimi dopo.

 

"Non ci riesco." finalmente l'uomo si alzò e si girò. Era Mulder. Decisamente Mulder. "Non è che per caso hai dei fiammiferi?"

 

"Non fumo..." rispose lei.

 

"E' un vizio che a volte può essere utile."

 

Scully sorrise. Mulder si inginocchiò accanto a lei. "Come stai?"

 

"Mi sentirei meglio, se potessi togliermi le bende da mummia..."

 

"Quali bende da mummia, Scully?"

 

Dana non rispose. Evidentemente quella era solo una sensazione, non qualcosa di reale. Mulder sospirò. "Scully stai male. Hai bisogno di calore." Mulder si sedette dietro di lei: "Vieni qui che ti scaldo." La prese delicatamente in braccio.

 

Scully sorrise. Tutto quello che aveva voluto era potersi girare su un fianco vicino a Mulder e ora ci era finalmente riuscita. "Uno di noi due deve stare sveglio..." disse Scully, appoggiando il volto al braccio di lui che le sosteneva il capo. Che strano, però, era convinta che la sua posizione dovesse essere diversa.

 

"Tu pensa a dormire." rispose lui.

 

"Se ti viene sonno svegliami."

 

"Non sono affatto stanco."

 

"Perché non canti qualcosa?"

 

Ci fu un attimo di silenzio. Scully si aspettava una sorta di implorazione di pietà, ma Mulder semplicemente iniziò a cantare.

 

"Joy to the world

 

All the boys and girls

 

Joy to the fishes in the deep blue sea

 

Joy to you and me."

 

Con la mano libera, Mulder le accarezzò i capelli, continuando a cantare.

 

"If I were the king of the world

 

I tell you what I'd do

 

I'd throw away the cars and bars and wars

 

And make sweet love to you..."

 

Quando Scully si risvegliò, Fox non c'era più. Ma assieme a lui era svanita anche la foresta e le Luna. Non se n'erano andate la sensazione delle bende e la nausea. Scully cercò di guardarsi intorno per capire dove diavolo fosse. Una mano riuscì a scivolare fuori dal caldo protettivo delle coperte e a toccare qualcosa di freddo e duro. Trovando finalmente un interruttore, accese la lampada sopra il letto. Era di nuovo nella sua stanza alla Base. Scully deglutì un sapore acido e si mise a sedere, un'azione che le costò tante forze da annebbiarle la vista.

 

Quando si fu ripresa, notò che non aveva nessuna benda intorno al corpo, ma era una sensazione talmente forte che sentì il bisogno di lavarsi. Si mise in piedi e aprì l'armadio, prendendo una tuta e della biancheria pulita. Andò in bagno e, appena chiuse la porta dietro di sé, vomitò. Non aveva mangiato molto la sera prima e rimise solo bile e sangue. Presa dal panico, tirò l'acqua e entrò nella doccia, per lavarsi e controllare di non avere nessuna cicatrice nuova. Si calmò solo quando non trovò nessun nuovo taglio, aprì la doccia e si lavò, prima velocemente, poi più lentamente.

 

Uscì dalla doccia mentre la sirena per la sveglia stava suonando. Era in anticipo. Si asciugò i capelli, osservando il suo riflesso nelle piastrelle. Si chiese che cosa le avessero fatto quella notte.

 

Mulder.

 

Chiuse gli occhi e si appoggiò al lavabo per non cadere. Le era sembrato così vero e dolce. Si obbligò a tornare alla realtà. Aveva ancora un po' di tempo a disposizione. Avrebbe potuto scrivere una lettera.

 

 

 

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§2.9 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Martedì, 19 maggio 1998, 7:00 a.m.

 

 

'Ci sono dei momenti difficili nella vita in cui anche il suono semplice di una sirena o un dolce ricordo possono fare male. Se non ci fosse questo suono ad entrarmi nelle orecchie ogni mattina e che mi ricorda che la mia è una realtà d'inferno, potrei illudermi di vivere un incubo da cui mi sveglierò solo col sudore sulla fronte.

 

Papà, per quale motivo ti scrivo proprio ora? Forse, perché ho paura e da bambina eri l'unico a far scomparire tutti i mostri della mente. E hai tentato di tenermi alla larga da loro anche volendomi al pulito, al sicuro ma... quante volte mi hai guardato negli occhi, pensando che qualcuno sarebbe venuto a casa ad avvisarti che tua figlia era morta coraggiosamente durante una missione? Invece, a casa la mamma è convinta che io mi sia tolta la vita o che sia stato Mulder a privarmene... Io morirò qui, in questo posto dove, della vita di un uomo, c'è solo una fotografia sbiadita e la vaga promessa di una giusta causa: il futuro.

 

Vorrei riuscire a salvarmi e portare con me queste scoperte che salverebbero la vita di milioni di persone, ma non posso. Io...'

 

Scully si toccò la gola a cercare la catenina con la croce, regalo di sua madre, ma non la trovò. Si alzò e uscì dal bagno di corsa per andarla a cercare in camera da letto, sul comodino, tra le lenzuola... scomparsa.

 

Provò l'impulso di piangere ma chiuse solo gli occhi, sedendosi pesantemente sul letto e cercando di ricordare dove poteva averla persa. Ma non ricordava.

 

Si alzò, lentamente ritornò in bagno, richiuse la porta dietro di sé e riprese a scrivere dal punto in cui s'era interrotta.

 

'Papà, vorrei riuscire a trovare in te la forza per andare avanti. Vorrei trasformarmi, per una volta, in Ismaele che riesce a salvarsi e a raccontare tutta la storia di Moby Dick.

 

Vorrei poter trovare una ragione in tutto ciò che mi è successo. Capire il motivo recondito per cui sono stata privata dei privilegi di una donna normale... inizio a vaneggiare, papà. Perché ti ho scritto? Perché mi sento in colpa di non aver seguito il tuo saggio suggerimento di rimanere in medicina?'

 

Mise al sicuro la lettera, uscì dal bagno mentre una lacrima le scendeva lungo una guancia per il dolore di aver di nuovo perduto il suo contatto materiale con Dio.

 

 

 

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§2.10 (Monica)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Martedì, 19 maggio 1998, 8:07 a.m.

 

 

Doveva essere da qualche parte. Si ricordava bene di averla ancora la collo, la sera prima. Tirò indietro le coperte, setacciò ogni centimetro del pavimento del bagno e della camera. Nulla. La sua crocetta d'oro era scomparsa.

 

Scully si sedette per terra per controllare di nuovo sotto al letto.

 

"Dana?" Nicole bussò, chiamandola. Aprì la porta e guardò all'interno: "Ehi. E' tardissimo. Stai bene?... Ma che c'è?"

 

"Non trovo più la mia croce." disse.

 

Nicole deglutì nervosamente, quindi si ordinò di calmarsi.

 

"Ieri sera l'avevo, ne sono sicura." proseguì Scully, senza notare l'atteggiamento nervoso dell'amica.

 

La voce di Scully tremava di panico e Nicole se ne accorse. Si abbassò accanto a lei. "Forse l'hai persa tra le coperte, questa notte."

 

"Ho già cercato, non c'è!"

 

"Dana, puoi continuare a cercare dopo, adesso devi venire in laboratorio, è tardi."

 

"No! Devo ritrovarla, prima..." Scully si alzò in piedi e disfece completamente il letto. Nicole l'aiutò a setacciare ogni piega delle lenzuola. Alla fine Scully si sedette accanto al letto, con il volto appoggiato alle braccia, incrociate sulle ginocchia.

 

"Dana..." Nicole si sedette accanto a lei. "Era un regalo di... Mulder?"

 

Scully scosse la testa.

 

"Dei tuoi genitori?"

 

Scully annuì. "Di mia madre."

 

Nicole le mise un braccio intorno alle spalle. "Mi dispiace." Dana alzò lo sguardo, aveva gli occhi lucidi, ma non stava piangendo. "Può capitare."

 

"Che intendi dire?" chiese Scully.

 

"A volte ti portano via quello che credono ti possa distrarre dal lavoro. E' successo anche a me." Nicole si morse le labbra. Era una mezza verità: era vero che portavano via quello che poteva distrarre, ma non era il caso di Scully.

 

Scully si girò, cercando di scacciare le lacrime. "Non mi stava distraendo." disse.

 

"Lo so."

 

"Andiamo, o finirai nei guai." Dana si alzò e camminò lentamente verso la porta.

 

Nicole scosse leggermente la testa. --Dio, che ho fatto...-- Abbassò lo sguardo sul pavimento, quasi nella speranza di trovare per terra la crocetta d'oro che lei stessa aveva rubato. Sbatté gli occhi qualche volta, quindi seguì Scully.

 

 

 

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§2.11 (Monica)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Martedì, 19 maggio 1998, 10:13 p.m.

 

 

Scully si stava rigirando nel letto da un'ora, senza riuscire a trovare una posizione comoda. Aveva inzuppato il cuscino per la seconda volta ed ora nessuno dei due lati era asciutto. Quella croce aveva sempre significato moltissimo per lei e ogni anno che passava aggiungeva nuovi ricordi. Era stato il regalo di sua madre, l'aveva indossata Mulder, quasi come un amuleto protettivo, mentre lei era stata rapita, portata in una di queste Basi. Gliel'aveva resa, al suo risveglio. Lei l'aveva regalata ad Emily, sua figlia.

 

Ed ora era sparita per sempre.

 

Quando sentì bussare, si rigirò di nuovo, facendo finta di non sentire. La porta si aprì leggermente. "Dana?" Era Nicole. "Dana, posso entrare?"

 

"Sì." disse infine lei, mettendosi a sedere sul letto. Accese la lampada sopra il letto e osservò Nicole camminare lentamente fino a lei. "Non hai mangiato niente, oggi."

 

"Non ho fame." rispose Scully.

 

"Dài, ho trafugato un panino alla marmellata dalla mensa, per te." Lo tirò fuori dalla tasca del camice e lo appoggiò sul comodino. Era avvolto in un tovagliolino bianco che aveva una leggera macchia rossa sul lato. Scully aveva ormai capito che Nicole aveva una vera e propria mania per le marmellate.

 

"Grazie." sussurrò Scully. "Non dovevi disturbarti."

 

"Nah, figurati. Sono un'esperta a trafugare panini alla marmellata."

 

--Appunto.--

 

"Poi... ho..." La ragazza infilò una mano in tasca. "...una cosa da darti." Nicole tirò fuori una catenina d'argento e gliela porse. Scully la prese tra le dita per guardarla. Vi era appesa una piccola raffigurazione della Madonna, con il velo fiorato e le mani congiunte in preghiera.

 

"Oh, Nicole, grazie, ma io... non posso. Non posso accettarla, ma grazie, grazie di cuore."

 

"Ehi, no. Devi accettarla. Ti prego." Le chiuse dolcemente la mano intorno alla Madonnina, stringendola con affetto.

 

"Nicole..."

 

"L'ho sempre tenuta nascosta, per questo non me l'hanno portata via. Forse all'inizio me l'avevano lasciata per sbaglio."

 

"Nicole, è un dono troppo grande."

 

"Senti Dana, ascoltami." La ragazza prese un profondo respiro. "Nonostante tutti i difetti che ha avuto, mia madre era una buona madre per me. Le volevo bene. Quando è morta, io mi sono iscritta a medicina con i soldi che lei aveva messo da parte per me."

 

"Questa è un suo regalo?" chiese Dana.

 

La ragazza annuì.

 

"Oh, Nicole..."

 

"Vedi... In breve il mio passaggio qui sarà finito. Non avranno più bisogno di me, mi uccideranno e questa andrà distrutta. Tienila tu. E..."

 

"E la passerò ad un'altra come me... quando io diventerò come te... non è così?"

 

"Già... ma non perdere mai la speranza. Mai, OK? Promettimelo."

 

Dana annuì. "Te lo prometto."

 

Nicole sorrise: "OK, adesso mangia. Se tutto va bene, dovrei farti arrivare la TV entro la prossima settimana."

 

"La TV?"

 

"Be', qualche svago ce lo danno, altrimenti impazziamo del tutto e non gli serviamo a nulla. Hai qualche libro che vorresti leggere?"

 

Dana rispose subito: "'Moby Dick'."

 

Nicole rise: "'L'idea dell'inferno è figlia di un budino di mele mal digerito.'"

 

Scully chiuse gli occhi.

 

"Oh, Dio, scusa, ho detto qualcosa che non andava?"

 

La donna scosse la testa. "No. Solo... niente. Ricordi."

 

"Viviamo di ricordi, di svaghi stupidi e di battute contro i superiori. In fondo non c'è niente di diverso rispetto a dei normali impiegati d'ufficio." Batté affettuosamente la mano su quella in cui Scully stringeva la catenina, quindi le augurò la buona notte ed uscì. Camminò per qualche metro in silenzio, quindi si mise a correre. Entrò nella sua stanza e si buttò sul letto piangendo. Se solo fosse riuscita a trovare Alex prima che lui tornasse nel 'mondo di sopra', avrebbe almeno potuto chiedergli di riportarle la catenina. Lo aveva cercato per tutto il giorno, inutilmente. Rainbow l'aveva richiamata all'ordine per ben sette volte e anche Sylvia ci si era messa coi suoi commenti stupidi.

 

Nicole si alzò in piedi faticosamente, andando a cambiarsi per la notte. Asciugandosi il volto, si guardò nel riflesso spezzato delle piastrelle. "Sei diventata un mostro." sussurrò. "Se Dana morirà, sarà tutta colpa tua."

 

 

 

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§2.12 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Mercoledì, 20 maggio 1998, 7:20 a.m.

 

 

Quella mattina, Nicole aveva svegliato Dana di persona senza aspettare che la sveglia suonasse. Appena ebbe bussato alla porta, la donna aprì gli occhi.

 

"Avanti" disse Dana e appena scorse Nicole le chiese con voce assonnata: "Che succede?". Dopo il dialogo della sera precedente, Nicole aveva tentato di creare un'atmosfera più rilassata per non permettere a Scully di abbandonarsi alla depressione. Presto, l'avrebbero sottoposta ad un altro incubo e sarebbe stata male di nuovo, avrebbe ripreso a sognare i mostri della sua vita e forse... forse avrebbe deciso di abbandonarsi a loro e non tornare mai più.

 

"Oggi, Dana, c'è una sorpresa. Sei pronta?"

 

"Una sorpresa... hm, fammi indovinare. Una passeggiata all'aperto?"

 

"No!" rispose Nicole alzando gli occhi al cielo mentre sorrideva.

 

"Vediamo... una finestra da cui poter vedere fuori!"

 

"Nooo! Ti dò un indizio 'te ne avevo già parlato'." Dana ci pensò su, poi rispose.

 

"La tv via cavo!!" Nicole, spinse in avanti un carrello con un piccolo televisore: un'iniezione di vita diversa.

 

"Oh, Nicole! Grazie."

 

"Non devi mica ringraziare me. E' il regolamento della Base. Adesso vado, mi raccomando, non fare tardi al lavoro per guardare la tv!" Blaterò Nicole imitando un modo di fare materno.

 

"Certo, mamma." Scully resse il gioco, sorridendole. Quando la donna fu uscita dalla stanza, Dana accese la tv su un canale qualsiasi e andò in bagno a fare una doccia prima di riprendere il lavoro. Poi, indossò l'accappatoio e uscì dal bagno, si sedette sul letto di fronte la televisione accesa mentre con l'asciugamano iniziava a tamponare i capelli bagnati. C'era un documentario in spagnolo sugli animali; cambiò canale più volte fino a che, approdando alla CNN, si fermò. Le notizie economiche, il bollettino dei morti della sera prima, il solito scandalo alla Casa Bianca, un'ultimora...

 

"... grazie. Mi giunge ora la notizia di un'inattesa sentenza. Ricorderete l'omicidio avvenuto quasi due settimane fa in Virginia in cui perse la vita un'agente dell'FBI: Dana Katherine Scully. Il suo presunto assassino è stato scarcerato in attesa di verdetto. L'agente speciale Fox Mulder era stato arrestato il 9 maggio scorso con l'accusa di aver assassinato la sua collega che aveva respinto le sue avances. Il caso non è ancora concluso, ma seguiremo i suoi sviluppi tenendovi aggiornati."

 

Dana si portò una mano alle labbra, lunghe lacrime di gioia le scivolarono lungo le guance e fino al mento. "E' libero." esultò sottovoce "E' libero. Oh, Mulder! Mulder..."

 

Pianse a lungo, senza alcun ritegno. Si coprì il volto con le mani, pensando che forse qualcuno aveva reso possibile la libertà di Mulder grazie al suo lavoro alla Base. Significava che stavano rispettando le regole del gioco. Ciò che le stavano facendo era disumano ma da oggi sarebbe stato più facile sopportarlo perché avrebbe avuto un senso ed un esito certo.

 

Mentre si cambiava per andare a lavorare, pensò che il suo sacrificio sarebbe valso la vita di Mulder e questo le avrebbe certamente dato la forza di sopportare la morte che ogni giorno le iniettavano con una siringa nel braccio.

 

 

 

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§2.13 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Mercoledì, 20 maggio 1998, 8:30 a.m.

 

 

Nicole, quella mattina, l'aveva accompagnata al laboratorio, come al solito, con un gran sorriso. Per allontanare Dana dal ricordo e dal sapore acido del primo esperimento del giorno prima, le aveva anche raccontato dei giochi che aveva insegnato al suo cagnolino quando ancora abitava a casa sua.

 

Non le aveva detto, però, che da quella mattina le carte in tavola sarebbero cambiate.

 

Appena entrate al laboratorio, come di consueto, Nicole si allontanò da lei per il solito prelievo che Rainbow le faceva, ma appena Scully si fu seduta alla sua postazione di lavoro fu chiamata dalla dottoressa.

 

"Stamattina, iniziamo con una fase un po' più familiare a lei, Dana. E' arrivato il momento di svolgere il lavoro di comparazione dei campioni analizzati. Si sente pronta?" Scully accennò vagamente un sì.

 

La donna prelevò dalla cella frigorifera dei campioni di vario genere, prevalentemente liquido, lo portò a Scully appoggiandolo sulla scrivania davanti a lei. Dana guardò prima le quarantacinque provette che avrebbe dovuto studiare e poi rivolse uno sguardo alle altrettante cartelle che Rainbow aveva appoggiato sul tavolo bianco laccato.

 

Alzò la testa per guardarla in faccia per porle, forse, una domanda, ma esitò troppo a lungo e la donna si allontanò senza avere il tempo di dire una parola.

 

Non riusciva a capirla. Quella che si era presentata il giorno prima in camera sua sembrava una creatura umana, con dei sentimenti. Poi, una volta varcata la soglia del laboratorio sembrava trasformarsi in un mostro senza pietà. Ma, quello, non era il momento di pensare a lei. Sapeva che quelle quarantacinque cartelle avrebbero dovuto considerarsi, entro sera, lavoro già svolto.

 

Prese in mano il primo plico e lo aprì. Ebbe un attimo di stupore che, però, passò subito.

 

--Cosa ti aspettavi, Dana? Nome e cognome, data di nascita? Sei una stupida.-- pensò Scully. Si trovò di fronte un foglio descrittivo con un numero di identificazione che corrispondeva ad una provetta che aveva di fronte.

 

--AK158B.-- Pensò: --Un uomo, una donna... un alieno...-- Al termine alieno, sorrise. Ma continuò il suo lavoro. Prese la provetta, la aprì con cautela, mischiò il contenuto ad un liquido trasparente che non sapeva cosa fosse. Segnò sulla cartella l'orario di creazione del composto. Ripose il contenitore. Ripeté lo stesso procedimento per quarantacinque volte in quattro ore di lavoro.

 

Alcuni di quei composti, analizzati, si modificavano immediatamente per non ritornare più allo stato d'origine. Altri, modificandosi, ritornavano al punto di partenza senza aver subito alterazioni.

 

Il perché, Scully aveva smesso di chiederselo alla venticinquesima provetta analizzata. La prima cosa che la dottoressa Rainbow le aveva detto al loro primo incontro era stata 'niente domande, niente risposte, nessun imbarazzo e si troverà benissimo'.

 

Aveva ragione. Non doveva pensare al motivo di tutto ciò che stava vivendo o la sua mente avrebbe iniziato ad ammalarsi. Solo numeri e lettere. Solo quello e sarebbe andato tutto bene. 'EL26S, EE789P, DM213C, SDK001K...'

 

La sirena suonò di nuovo per la pausa pranzo. Dana non seguì Nicole, non aveva fame, ma solo una profonda tristezza nel cuore.

 

 

 

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§2.14 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Mercoledì, 20 maggio 1998, 8:40 a.m.

 

 

Il solito cigolio del carrello della biancheria sporca accompagnava le giornate tutte uguali di Sylvia. L'espressione del suo volto era sempre accigliata. Due occhi semichiusi... avresti detto che erano in grado di guardarti dentro e di condannarti, quegli occhi.

 

Spaventarti con il loro lampo di cattiveria e senza paura di essere giudicati.

 

I corridoi della Base, Sylvia li aveva percorsi milioni di volte in anni di lavoro in quel posto. Era riuscita a scrutare tante vite lì dentro e, con il suo comportamento, ne aveva a volte stabilito il destino.

 

Eppure era solo la donna delle pulizie. Il suo diretto superiore, quello che lei chiamava 'capo', le aveva immediatamente fatto capire che le pulizie a cui era addetta erano ben altre che quelle consuete.

 

E lei, ogni giorno da dieci anni, ripuliva la Base. Da cima a fondo. Di ogni memoria, di ogni indumento che proveniva 'da fuori'. Anche con Bianca Richards aveva fatto così... anche con Dana... Ecco, quella era la porta della sua stanza.

 

Dana Scully... donna in carriera, forse. Donna di valore, certamente.

 

Il capo le aveva ordinato di privarla di ogni cosa, di osservarla, spiarla.

 

"Perché? Perché proprio lei?" gli aveva chiesto, un giorno. Lui l'aveva guardata tenendo anche lui gli occhi semichiusi e le aveva risposto con un'alzata di spalle, andando via. Chissà dove, chissà a fare cosa. Avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa da lui? Forse solo quello che le dava già: quel po' di potere che non aveva mai avuto nel mondo reale.

 

Nessuno la aspettava fuori dalla Base, dunque tanto valeva lavorare bene dentro.

 

Dana era appena uscita dalla stanza, il letto era da rifare, il bagno da rassettare... Il bagno... cambiò gli asciugamani bianchi di cotone dopo aver disinfettato tutto. Mai lo aveva fatto, ma quel giorno, per qualche ragione assurda, decise di arrivare fino allo scarico... Prese la sedia dalla camera da letto, la portò accanto al water, ci salì sopra e iniziò a pulire anche lì...

 

"Ma... cosa...?" Si trovò tra le mani dei fogli. Si chiese chi potesse averli messi lì e trovò la risposta nelle date scritte in alto a destra su ogni pagina. Erano recenti. L'ultima aveva la data del giorno, di poche ore prima.

 

"Oh! E così abbiamo un hobby. Brava, Dana! Stavolta il lavoro è davvero ben fatto!"

 

Scese dalla sedia portando con sé tutto ciò che c'era di Scully in quel posto pieno di niente, finì di rassettare la stanza di Dana ed uscì di corsa.

 

L'espressione accigliata diventò presto un sorriso luminoso, per quando fosse possibile su un volto buio e arrabbiato come quello di Sylvia.

 

 

 

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§2.15 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Mercoledì, 20 maggio 1998, 10:30 p.m.

 

 

In quel momento, non stava pensando a nulla di triste: né al suo 'nuovo lavoro', né alla preoccupazione in cui stava certamente vivendo la sua famiglia o alla paura di cosa ne sarebbe stato del domani.

 

Non pensava neppure a Mulder.

 

La mente era diventata d'un tratto una strada libera da ogni pensiero. Forse, Lynn si riferiva a quello quando diceva che sarebbe stato meglio mettersi al lavoro senza farsi domande. Sarebbe stato più semplice accettare il proprio stato.

 

Trascorsero un paio d'ore di lavoro senza che Dana nemmeno se ne accorgesse. Cosa c'era di tanto complicato, in fondo? Bastava prendere una provetta, leggerne il nome, vedere che alterazioni suscitava e poi dichiarare il cambiamento sulla cartellina. E il tutto, cercando di non pensare che si è diventati dei sepolti vivi e non aspettarsi nient'altro, dalla vita, se non il dono della morte.

 

Nulla di strano, fino a quando...

 

Era lì, era la terza provetta a sinistra di una fila di sei.

 

L'etichetta recitava così: DKS_001K. Nel leggerla, Dana quasi sorrise, poi pensò --le prime tre lettere sembrano...-- ma il pensiero si fermò a metà quando un'altra parte della mente aveva già realizzato un'altra consapevolezza --001... mi è stato fatto un solo test fino ad oggi...-- Scully si paralizzò, tentò di cacciare via un pensiero che non solo sarebbe stato banale ma anche stupido, considerato che nessuno avrebbe commesso un simile errore in un Progetto che pretendeva di rappresentare una minaccia per il mondo. Passò a leggere la lettera K. Il settore in cui alloggiava era il K. L'aveva notato il primo giorno della sua permanenza alla Base, quando Krycek l'aveva accompagnata in camera.

 

Con la provetta in mano, rimase immobilizzata per alcuni secondi lunghissimi quando realizzò che avrebbe seguito l'evoluzione di quell'unico campione fino in fondo. Che appartenesse a lei o no, non importava. Era necessario capire il punto a cui volevano arrivare con quei test.

 

Rilesse tutte le informazioni che lei stessa aveva annotato a mano in quei giorni, le paragonò all'ultimo prelievo di sangue e ciò che scoprì la rattristò. Il sangue dava tracce di nuovo DNA. Ancora, come le era successo durante il suo primo rapimento. Piccolissime e quasi insignificanti tracce di DNA che stavano intaccando inesorabilmente la sua identità.

 

E fu chiaro solo allora: quel campione le apparteneva certamente.

 

Lei, a differenza di Nicole, non era una cavia. Stavano tentando di fare di lei un essere diverso. Così diverso da non essere nemmeno definito umano.

 

Realizzato ciò, Dana chiuse gli occhi e represse una lacrima. Accennò un sorriso amaro, pensando: --Quale parte di me rimarrà umana: le mie lacrime di dolore o gli incubi di ogni notte?--

 

La sirena suonò l'ora di pranzo e Nicole, accanto alla porta, l'aspettava sorridendo. Per ora, era lei la sua umanità.

 

 

 

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§2.16 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Mercoledì, 20 maggio 1998, 4:00 p.m.

 

 

Quello che aveva scoperto sul suo conto l'aveva lasciata perplessa. Avrebbe voluto confidare a Nicole di aver scoperto che il suo sangue lo analizzava lei stessa ogni giorno. Ma Nicole, involontariamente, avrebbe potuto parlarne con qualcuno e a lei era comodo controllare il suo stato di salute senza che 'loro' sapessero della sua scoperta. Pensava a questo, quando bussarono alla porta. Era raro che qualcuno si presentasse dopo l'orario di inizio lavoro.

 

Nicole e Scully si guardarono sbalordite quando si accorsero che ad essere entrata nel laboratorio era Sylvia, la donna delle pulizie. Di solito, non era ammesso nessuno lì dentro a parte i tecnici e tanto meno senza avere un permesso speciale. Sylvia, invece, entrò in quel posto come se avesse carta bianca, con un modo di fare che era addirittura più prepotente della dottoressa Rainbow che lì dentro rappresentata il capo esecutivo.

 

Scully e Nicole erano, dunque, piuttosto sorprese da quella visita, ma a Dana si fermò il cuore quando si accorse che dietro di lei c'era anche il gran capo in persona: il fumatore.

 

Parlarono in modo fitto, l'uomo e la donna, fino a quando quest'ultima non si diresse a passo veloce verso Dana. La guardò in faccia con espressione dura, dopodiché le gettò sul grembo un plico di alcuni fogli: i tabulati che lei utilizzava come diario personale.

 

"Sono suoi!" Gridò Sylvia, rivolgendo lo sguardo al suo capo e il dito indice accusatore a Scully.

 

Dana si alzò dalla postazione di lavoro tentando di parlare azzardando una labile difesa, ma le fu impedito dalla voce alterata dall'indignazione della dottoressa Rainbow.

 

"Lei sta tentando di rendere pubblico il Progetto Omega!!" disse avvicinandosi lentamente a Scully.

 

"No, io... avevo..."

 

"No?! E' scritto qui. Non solo sta cercando di renderlo pubblico ma ha anche pensato bene di documentarlo con le stampe di tutto ciò che riguarda il Progetto!!!"

 

Scully tentò di prendere la parola, ma senza molto successo.

 

"Non sarebbe mai trapelato niente da..."

 

"La smetta!!!"

 

Scully iniziava a perdere la sua sicurezza, aveva paura.

 

"E cosa ne avrebbe fatto, sentiamo." disse Lynn.

 

Dana era imbarazzata. Non era solo il suo diario di viaggio; quel plico di fogli rappresentava tutto ciò che di più importante e significativo c'era stato nella sua vita: i suoi genitori, il suo lavoro, Mulder... Mulder... Mulder. Non doveva tradirlo. Se avesse detto qualcosa di sbagliato, avrebbe certamente messo a repentaglio la sua vita e non poteva succedere proprio ora che qualcosa avrebbe potuto accadere. Proprio ora che il suo collega era libero e poteva tentare l'impossibile: cercarla.

 

Quando la dottoressa le fu abbastanza vicina, Dana le parlò guardandola negli occhi cercando di far leva sul po' di umanità che aveva nel cuore e che si chiamava Kyle. Tentò di ordinare i pensieri che si accavallavano uno sull'altro: quelli su Mulder, sulla sua vita privata, sulla Rainbow, quando sentì una voce che parlò al suo posto: "E' colpa mia. Le ho detto io di farlo." La dottoressa Rainbow diede uno sguardo a Nicole.

 

"Nicole, rimani fuori da questa storia. E' più grave di quanto..."

 

"Di quanto sia successo con Bianca? Non credo. E comunque ho detto io a Dana di sfogarsi in quel modo. E' colpa mia."

 

Dana si avvicinò a Nicole e le appoggiò una mano sulla spalla.

 

"Basta, Nicole. Non è necessario che tu mi difenda. Non ho nulla da nascondere." Poi, si girò verso la Rainbow e le parlò lentamente, come se non avesse nulla da perdere... o comunque era ciò che voleva farle credere. "Era solo un modo per evadere da quello che mi sta succedendo. Nonostante l'incubo in cui sono sprofondata da un giorno all'altro, ho tentato di mantenere inalterata la mia salute mentale. Quali danni psichici può comportare su una persona il fatto di non poter mai vedere la luce del giorno e vivere una vita normale? Quelli erano solo pensieri che prima o poi sarebbero stati buttati via. Non avrei mai avuto il coraggio di farli leggere a qualcuno e se anche lo avessi trovato, come pensate che sarei riuscita a portare quei tabulati fuori di qui?"

 

Il forte colpo di un pugno su una scrivania fu seguito da un attimo di silenzio pesantissimo.

 

Il fumatore aveva un'aria accigliata. Aveva gettato violentemente a terra la sigaretta finita a metà e infine si era avvicinato alla dottoressa Rainbow che era di fronte a Dana. La voce diventò dura, grave, spaventosa.

 

"L'agente Scully non sa ringraziare chi le fa del bene. Non è così?" Abbassò il suo volto su Dana, poi flemmaticamente tirò fuori una sigaretta dal pacchetto che aveva nella tasca interna della giacca e la mise in bocca. La accese e aspirò una profonda boccata di fumo, dopodiché, senza distogliere i suoi occhi da quelli di Scully, disse: "E' il momento di donare alla signorina Scully il seme della conoscenza. Dottoressa Rainbow, non si preoccupi per lei, non farà mai più qualcosa di pericoloso. Il prezzo da pagare sarebbe troppo alto anche per lei." Aspirò un altro po' di morte grigia dopodiché spense la sigaretta sui fogli che Dana aveva ancora in mano. Poi glieli strappò di mano e li consegnò a Sylvia.

 

"Devono diventare cenere." Detto questo, uscì dal laboratorio lasciando la porta aperta. Sylvia lo seguì e Nicole si avvicinò a Dana accarezzandole una mano mentre la dottoressa Rainbow se ne allontanava, dicendo: "Considerata la gravità della situazione, le è andata bene. Ma da questo momento, pagherà caro ogni attimo di respiro, Dana."

 

 

 

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§2.17 (Monica)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Mercoledì, 20 maggio 1998, 5:05 p.m.

 

 

--Un altro gradino in su.-- stava pensando Sylvia con un sorriso, mentre scendeva con il suo carrello pieno di carte e vestiti da bruciare. Erano arrivate nuove 'cavie' e il suo lavoro era aumentato, ma era certa che il fumatore era stato immensamente felice per la sua scoperta di oggi. Aveva lasciato le lettere di Scully sopra gli altri fogli. Sapeva che doveva curare che tutti i tabulati del progetto Omega andassero in cenere. Questo voleva dire passare diverso tempo seduta a guardare nell'oblò della caldaia. E non era certo divertente per lei, soprattutto nei giorni di ristampa dei dati. Entrò nella sala sotterranea delle caldaie e chiuse la porta dietro di sé. Aprì lo sportello, da cui usciva sempre un caldo infernale, e cominciò a buttarvi i fogli. Avrebbero dato un po' di calore a quel luogo, dissolvendosi poi nell'aria, e i dati sarebbero andati persi per sempre. Buttò gli indumenti e guardò l'orologio che era ammucchiato assieme ai vestiti. Non era particolarmente vecchio, ma il vetro era infranto, segnava le 9:03 ed era evidentemente rotto. Si chiese se venisse da un incidente aereo o da un più classico rapimento al suolo. Scrollò le spalle e buttò anche quell'oggetto nel fuoco. Quindi chiuse lo sportello e si sedette sullo sgabello da cui, di solito, controllava che tutto venisse bruciato. Questa volta aveva di meglio da fare. Aveva conservato le lettere, senza bruciarle, e ora le teneva in mano. Iniziò a leggerle.

 

"Sono qui da due giorni, credo al mio sesto dopo il rapimento. Non ricordo nulla di quella sera, a parte l'ultima conversazione con Mulder. Non posso fidarmi di nessuno... "

 

Sylvia sbadigliò. "Non dirmi che tutta la lettera è così?" Guardò più in basso. "Nessuna descrizione di sesso o almeno qualche uscita serale?"

 

"L'equazione di Boltzmann..."

 

Sbuffando, la donna buttò il plico di fogli a terra. "Che delusione." disse. Prese un accendino che teneva con sé per ogni evenienza, quindi diede fuoco a un angolo della lettera. Non sentì la porta aprirsi e nemmeno il respiro alle sue spalle.

 

"CHE STAVI facendo?" le chiese Krycek, dal dietro, alzando la voce sulle prime parole con tutta la volontà di farla spaventare.

 

La donna trasalì e si alzò in piedi di scatto. "Cazzo, Alex, mi ha fatto spaventare."

 

"Non credo che tu stessi leggendo i risultati di esperimenti che non sapresti capire." Krycek mise un piede sopra i tabulati, spegnendo il fuoco. "Ero convinto che le cose andassero bruciate dentro la caldaia, non fuori."

 

Sylvia gli sorrise. "Oh, be', non sono cose importanti, sono dati molto vecchi."

 

Krycek li prese in mano. Sapeva cos'erano. "98-5-2." lesse la data stampata a computer. "Non avresti già dovuto bruciarli da un po'?" Non attese una risposta, li girò ed esclamò, con finta meraviglia: "Una lettera! Di chi è, Sylvia?"

 

"Non ne ho idea." La donna girò lo sguardo verso la caldaia. Ormai gli ultimi resti dell'orologio stavano colando verso l'invisibile centro, che stava un piano sotto di loro.

 

"Stavi leggendo le lettere di Scully, non è così?"

 

"No... le stavo bruciando."

 

"Andiamo, perché dovresti farlo qui fuori, quando c'è la caldaia apposta?"

 

"Alex..."

 

"Lo sai cosa ti farebbe il capo, se scoprisse che lo stai tradendo..."

 

"Non l'ho tradito... Sto solo..."

 

"Facendo una cosa che non si può fare."

 

Sylvia deglutì nervosamente. "Cosa vuoi Alex?"

 

Lui sorrise: "Fammici pensare."

 

La donna si avvicinò a lui lentamente. "Vengo da te stanotte... che ne dici?"

 

Alex la fissò negli occhi.

 

"Possiamo divertirci. Nessuno ci sentirà, la tua camera è una di quelle senza telecamere, vero?" Ormai era letteralmente appoggiata a lui.

 

"Sei fantastica, Sylvia."

 

"Oh, Alex..."

 

Poi Krycek scoppiò a ridere. Sylvia si tirò indietro di scatto, offesa.

 

"Mi fai sempre ridere."

 

"Bastardo..."

 

Lui, sempre con un sorriso strafottente stampato sul volto, sventolò le lettere bruciacchiate. "Io sto zitto, tu stai zitta." disse, infilandosele in tasca.

 

"D'accordo." replicò Sylvia, tirando un silenzioso sospiro di sollievo.

 

Alex si girò per andarsene, ma lei lo richiamò: "Chi ti sbatti stanotte? La nuova arrivata, questa dottoressa Scully l'Acida, oppure quella puttanella di Nicole?"

 

Alex si girò di scatto, la prese per il bavero del camice e la spinse contro il muro della caldaia. "Non permetterti mai più, MAI PIU' di offendere Nicole. Hai capito?!"

 

Sylvia, terrorizzata, annuì. Krycek la lasciò andare di colpo e lei cadde a terra. Guardò Alex svanire dietro la porta, quindi si inginocchiò a raccogliere le ceneri che erano rimaste delle lettere di Scully.

 

 

 

*******

 

§2.18 (Monica)

 

 

Appartamento di Fox Mulder, Alexandria, Virginia

 

Mercoledì, 20 maggio 1998, 7:07 p.m.

 

 

L'appartamento era immerso nell'oscurità tagliata solo da lame sottili di luce che filtrava dalle veneziane chiuse. Gli pervenivano solo rumori soffocati. Una macchina che passava sotto alla sua finestra. Un cane che abbaiava a qualche passante. La signora dell'appartamento accanto che passava l'aspirapolvere. Rumori di vita quotidiana che gli dicevano che il mondo continuava a girare. Anche senza Dana Scully.

 

Mulder respirò a fondo, cercando di scacciare la sensazione di soffocamento. Il suo mondo personale non stava girando. Si era fermato giorni prima, dopo una telefonata di sabato mattina. Nulla aveva avuto più importanza da allora. Dopo aver indagato per quattro giorni si era reso conto che non sarebbe mai giunto a nulla. Non aveva avuto ancora il permesso di accedere alle prove e anche se Skinner gli aveva detto che avrebbe fatto il possibile, sapeva che per lui, che era ancora l'indagato numero uno, sarebbe stato praticamente impossibile.

 

Non aveva nulla di concreto su cui lavorare. E non aveva più una collega su cui contare. Soprattutto questo. Non aveva più Scully.

 

<Dai, non mollare.> Quanti anni erano passati da quando gli aveva detto quella frase? Quattro? Forse adesso era ora di cedere.

 

La pistola era fredda e pesante nella sua mano. La sollevò, passando le dita sulla canna, sul calcio, quindi seguì il contorno del grilletto. Estrasse il caricatore e controllò che fosse pieno. L'aveva già fatto molte volte quella sera. Controllò i proiettili, uno per volta, quindi reinserì il caricatore e fece scattare la sicura.

 

<Mulder, metti giù la pistola... ti prego, Mulder.> Il buio era lo stesso, nella casa a Quonochontaug, ma il rumore assordante di quel silenzio non era rotto dalla sua voce.

 

Chiuse gli occhi. Alzò la canna della pistola finché non gli sfiorò la gola. Respirò a fondo.

 

<Mulder! Aiutami, Mulder!> La voce di Scully, sulla segreteria telefonica, rimbombò nella sua mente. Le sue urla, appena sovrapposte a quelle di Duane Barry, gli mandavano ancora il cuore in frantumi.

 

Qualunque cosa avesse portato Scully a morire, ora stava portando anche lui sullo stesso oscuro cammino.

 

--Eri l'unica per me su cinque miliardi. Non ci sei più. Sono solo.--

 

Trattenne il respiro.

 

<Hai intenzione di sparami? Fino a questo punto è importante per te?>

 

--No no no no no... niente è più importante ora.-- Mulder si premette la canna della pistola sotto il mento. --Oh, Scully... Scully...--

 

<Non è questo il modo per arrivare alla verità, Mulder. Devi fidarti di me.>

 

Mise il dito sul grilletto.

 

--Scully, perché? Scully Scullyscullyscullyscullyscullyscullyscully...--

 

Era arrivato il momento. Prese un ultimo profondo respiro, chiuse gli occhi, quindi...

 

Il telefono squillò.

 

"Merda!" Con rabbia Mulder si alzò in piedi e scagliò la pistola sul divano. Alzò la cornetta, sbraitando un 'pronto' allo scocciatore di turno.

 

Dall'altro capo del telefono, Frohike allontanò di colpo il ricevitore da sé. Quindi lentamente rispose: "Mulder?... Sono Frohike."

 

Fox sospirò. "Che diavolo vuoi?"

 

"Abbiamo i tuoi risultati."

 

Mulder chiuse gli occhi per qualche istante.

 

"Mulder? Ehi Mulder, ci sei ancora?"

 

"Sono da voi tra mezz'ora." disse e senza aspettare una risposta, riagganciò.

 

 

 

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§2.19 (Monica)

 

 

Ufficio dei Lone Gunmen, Washington, D.C.

 

Mercoledì, 20 maggio 1998, 8:07 p.m.

 

 

Mulder suonò il campanello e si preparò per un'attesa di cinque minuti buoni. Ma poco dopo sentì scattare le numerose serrature e Frohike gli aprì la porta.

 

"Perché non mettete uno di quegli aggeggi per il riconoscimento della retina?" disse, entrando.

 

Langly e Byers lasciarono le loro postazioni per accogliere l'agente. "E' un piacere riaverti tra noi, Mulder."

 

"Cosa avete trovato?"

 

"Qualcosa che può interessarti." disse Langly.

 

"Ehi, perché non ti accomodi e non mangi la pizza con noi?" intervenne Frohike.

 

Mulder si sedette e fece un gesto con la mano: "Passo."

 

Byers gli mise una mano sulla spalla: "Come ti senti?"

 

Fox scrollò le spalle, senza voler entrare nei particolari. "Veniamo a un dunque, ragazzi."

 

Langly si sedette accanto all'agente. "Sembra che non ci siano state irregolarità nello svolgersi dell'autopsia. Il dottor Robbins ha prelevato alcuni campioni e li ha portati a casa sabato 9, verso sera. Ha lasciato il corpo nella sala dell'autopsia, perché era sera e avrebbe concluso l'esame di lunedì. Da qui però inizia l'odissea."

 

"Il corpo viene portato via," continuò Byers. "l'obitorio messo sottosopra."

 

"Probabilmente stavano cercando i campioni." intervenne Frohike.

 

Mulder annuì. "Ma perché?"

 

"Ancora non lo sappiamo." riprese Byers. "In seguito, il dottor Robbins è stato ucciso nella sua abitazione. L'ha ritrovato un tuo collega, Paul Riordan."

 

Mulder annuì. "Quindi?"

 

"Ritrovati i campioni sono stati mandati in analisi e i dati sono quelli che hai visto anche tu."

 

"Manca il DNA di Scully." disse Mulder. "Non riesco a capire perché far sparire il... il corpo... e perché cercare di trafugare i campioni."

 

"Probabilmente perché ci sono prove che possono incastrare qualcuno."

 

"Chi?"

 

I tre uomini si scambiarono occhiate.

 

"Abbiamo fatto una piccola ricerca sui due campioni trovati, Mulder."

 

Frohike prese in mano un foglio. "Abbiamo setacciato gli archivi di mezzo mondo e alla fine siamo giunti a un nominativo, niente di meno che nel cuore del KGB."

 

"Il KGB?" fece Fox, incredulo. "Di che state parlando?"

 

Frohike gli passò il foglio. "Alex Arnetz, che forse tu conosci meglio come Alex Krycek."

 

Mulder guardò il foglio davanti a sé per qualche istante, senza parlare. Poi disse solo: "Quel figlio di puttana..."

 

 

 

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§2.20 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Giovedì, 21 maggio 1998, 9:25 p.m.

 

 

L'acqua scorreva dalla doccia in gocce leggere, andando ad accarezzare la pelle tesa dallo stress della giornata. Con la spugna insaponata, Scully si accarezzava il collo quando d'un tratto si fermò e, intravedendo la propria immagine riflessa nelle mattonelle, gettò la spugna contro la parete. Si strinse le braccia attorno alle spalle e abbassò il volto.

 

Pensò a ciò che le avevano fatto quel pomeriggio. Alla paura che aveva provato quando Sylvia le si era scagliata contro, al tono di voce della Rainbow che pronunciava quella vendetta 'pagherà caro ogni attimo di respiro'.

 

Perché, non stava già pagando abbastanza? L'avevano sottratta alla sua quotidianità, l'avevano separata da Mulder e dalla sua famiglia, le avevano dato la consapevolezza che tutto ciò che aveva studiato come 'inclassificabile' era non solo stato già spiegato, ma anche usato per fini sporchi. Il Genoma Umano era stato completato da chissà quanto tempo e l'umanità continuava a soffrire...

 

Lei si malediceva già, niente era peggio di ciò che stava vivendo.

 

Quando le lacrime finirono assieme alla forza di piangere e all'acqua calda, uscì dalla doccia e indossò l'accappatoio di spugna.

 

Uscì dal bagno e si sedette sul letto, appoggiando la schiena contro il cuscino.

 

Il suono secco di due colpi leggeri sulla porta le fece capire che era Nicole.

 

"Avanti."

 

La ragazza entrò e si sedette sul letto, accendendo la televisione ad un volume tale che nessuno potesse ascoltare la loro conversazione.

 

Dopodiché, iniziò a parlare col volto abbassato, guardandosi le mani che aveva appoggiato sulle ginocchia. Evitando lo sguardo di Scully, disse: "Dana, ti avevo detto di distruggere qualsiasi cosa scrivessi. Perché non lo hai fatto?" Aspettò la risposta di Scully.

 

"Perché non volevo, Nicole. Perché avevo bisogno di tenere qualcosa che fosse mio, che fosse vero. Non sono ancora pronta a rimanere da sola. Non riesco a staccarmi dal mondo di fuori totalmente. Quei fogli erano il mio solo legame con tutto ciò che non ritroverò mai più."

 

La voce di Scully iniziò ad incrinarsi. "Li avrei buttati via quando... quando avrei capito la loro inutilità. Erano l'unica cosa che mi teneva in vita. I miei ricordi... ora ho solo quelli, Nicole. Se mi priveranno anche di quelli... se un giorno ti accorgessi che non mi è rimasto niente a cui aggrapparmi... Nicole, promettimi... promettimi che mi lascerai andare." Adesso, Dana piangeva. Nicole si voltò verso di lei e la vide asciugarsi le lunghe lacrime con la manica dell'accappatoio.

 

"Lasciarti andare?" chiese.

 

Dana guardò la donna in modo quasi supplichevole e Nicole corrugò la fronte comprendendo il senso di quelle parole. Si alzò dal letto e scosse Scully prendendola per le spalle.

 

"Non dirlo mai più! Dana, hai capito?! Non dire... non pensare mai più che io ti permetta di farlo!!!" Guardò Scully con uno sguardo a metà tra lo sbalordito e lo spaventato. Strinse più forte le spalle di Dana che abbassò il viso.

 

Nicole, allora, appoggiò due dita sotto il mento della donna e la costrinse a guardarla negli occhi. Poi con dolcezza, o forse solo con la paura che deriva dalla consapevolezza che si sta per perdere qualcuno, le disse: "Promettimi che non lo farai." Gli occhi di Nicole si bagnarono di lacrime, aspettando una risposta che non arrivava. "Dana, promettimi che non ci penserai nemmeno." Ora, Nicole piangeva. Si alzò dal letto e stava per uscire, quando Scully finalmente le rispose: "Solo se tu non mi abbandonerai, Nicole."

 

La ragazza, senza voltarsi e con una mano appoggiata alla maniglia della porta semiaperta, le disse: "Me lo sono chiesta per dieci lunghissimi anni, il motivo per cui sono qui. Adesso, solo adesso, l'ho capito. Sono qui per te." Le ultime parole furono dette con voce spezzata dalle lacrime, dopodiché uscì dalla stanza. Non voleva che Dana scoprisse la sua debolezza.

 

Fuori dalla porta, Nicole si fermò un attimo a riprendersi prima di tornare in camera sua. In lontananza, vide la figura di un uomo che in fretta usciva dalla porta che portava al piano inferiore, quello delle caldaie. Era Krycek. Nicole prese un profondo respiro e si allontanò dalla stanza di Scully.

 

--Alex è la sua salvezza... e anche la mia.--

 

 

 

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§2.21 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Giovedì, 21 maggio 1998, 9:40 p.m.

 

 

L'aveva osservata uscire dalla sua stanza con le lacrime agli occhi. Avrebbe dovuto fermarla, dirle 'Nicole, mi dispiace. Non penso davvero ciò che ho detto'.

 

Eppure, Dana era rimasta seduta sul letto a girare attorno a quella frase. E si era detta che no, non le dispiaceva per ciò che aveva confidato a Nicole. Se le cose fossero andate in quel modo, davvero non avrebbe voluto continuare a vivere. Sentiva di non dover mentire a Nicole, a chiunque altro ma non a lei.

 

Prese un profondo respiro, si alzò dal letto e uscì dalla stanza. Fuori dalla porta, si guardò attorno. Non c'era nessuno. Se avesse conosciuto i rischi cui andava incontro, probabilmente, vi si sarebbe avventurata per cercare la libertà. Ma gli unici corridoi che conosceva erano quelli che conducevano ai laboratori e al refettorio.

 

Tutto quello che fece, fu incamminarsi verso la stanza di Nicole non molto lontana dalla sua. Dopo alcuni metri si fermò, si guardò alle spalle per constatare che le telecamere la stavano riprendendo, prese un profondo respiro e bussò alla porta.

 

"Avanti." rispose una voce triste e bassa. Dana entrò nella stanza lasciando dietro di sé la porta aperta, accorgendosi che Nicole era di spalle.

 

Non era mai stata nella camera dell'amica e si accorse che era triste almeno quanto la sua. E allora, Nicole dove trovava la forza necessaria da donare anche a lei? Nessuna fotografia, alcuni libri, nient'altro. La donna non si rese conto di chi era entrato fino a quando non si voltò verso la porta.

 

"Dana..." esclamò con sorpresa.

 

"Lo so che è tardi ma vorrei parlarti. Posso entrare?" Nicole si avvicinò a Scully e chiuse la porta dietro di sé.

 

"Che domande, ma certo che puoi. Di cosa vuoi parlarmi?" Scully rimase in silenzio per un attimo tentando di mettere insieme le parole che le avrebbe detto.

 

"In realtà, voglio solo scusarmi con te." Si avvicinò al tavolino e vi si appoggiò di spalle osservando Nicole sedersi sul bordo del letto senza rispondere, aspettando che la donna le dicesse tutto.

 

"E' stato un atteggiamento stupido, il mio. Me ne rendo conto solo ora." Si guardò attorno, poi disse: "Credevo che tu avessi dei privilegi in questo posto. Mi dicevo 'Nicole deve aver trovato una sua dimensione'. Invece, non è così. Tu vivi nel mio stesso squallore. I colori della tua vita sono il bianco di queste pareti e il rosso delle analisi con cui ti torturano." Si fermò un attimo, incrociando le braccia, poi riprese. "Io ho sempre pensato di essere forte, di non aver paura di nulla. E i miei genitori questo lo sapevano. A volte ne sorridevano, altre volte mi dicevano di stare attenta perché ognuno di noi può credere di essere forte pur senza esserlo e per questo, quando si ritroverà per terra, non avrà la forza necessaria per alzarsi in piedi. Ma non li ascoltavo. E, per pura fortuna finora, tutte le volte che sono caduta per terra, sono riuscita ad alzarmi. Stavolta... stavolta, non è così. Ho capito cosa mi fa paura, cosa mi rende debole." Si fermò, guardò negli occhi Nicole e riprese a parlare "Ho paura di ciò che non conosco. Lo so, è un controsenso, l'ignoto l'ho combattuto ogni giorno per anni, eppure... Penso a delle cose, a dire il vero a tante, ma questo... tutto questo mi ha lasciato sorpresa."

 

"Vuoi parlarne con me?" chiese Nicole osservando la donna che si era mossa dal tavolino per avvicinarsi a lei e sederle accanto.

 

"Sì, ho bisogno di dirlo a qualcuno."

 

Nicole annuì. "Io sono qui."

 

"Quello che ti ho detto prima... vedi, non faccio altro che pensare a Bianca, al motivo per cui non è più alla Base e... non riesco a dormire, tentando di cercare un motivo che mi spieghi la sua scomparsa, il vostro atteggiamento nel parlarne... parlami di lei."

 

"Pensi che sapere cosa le è successo possa cambiare la situazione?" Chiese Nicole.

 

"Almeno mi aiuterà a stare meglio."

 

"Se lo pensi davvero... Ma è una brutta storia." La ragazza guardò Scully che, con uno sguardo, la spronò ad andare avanti.

 

"Bianca era una donna forte, in gamba, ed era il mio punto di forza, qui. Lei... lei ha fatto degli errori e li ha pagati."

 

"Che errori?"

 

"Si poneva delle domande, cercava delle ragioni a cui nessuno avrebbe potuto rispondere. Nemmeno io... Ero in bilico tra il dirle ciò che voleva sentire o lasciarla nel dubbio." La voce di Nicole si ruppe nella commozione del ricordo. "Ma le domande che si poneva la stavano uccidendo. A volte stava tanto male da non riuscire a sopportare la mia presenza nella sua stanza... Urlava dalla paura di quello che vedeva nei suoi sogni e mi guardava, al risveglio, con tanto odio... A volte, confondeva quei sogni con la realtà che aveva vissuto fuori dalla Base e impazziva. E decisi di rispondere agli interrogativi che si poneva. Pensavo che farlo l'avrebbe fatta soffrire meno, le avrebbe regalato un po' di pace. E lei, ricordo, aveva preso a stare meglio. Forse, se ne era fatta una ragione. Aveva capito ciò che era successo. Dopo... dopo, quei sogni erano quasi scomparsi, ma lei aveva confuso le sue due vite e alla fine... non ricordava chi fosse... Viveva all'inferno, ormai..." Nicole iniziò a piangere, Scully le si avvicinò ancora di più, le prese la testa in modo che si appoggiasse sulla sua spalla. "Ho sbagliato... è stata colpa mia, Dana... colpa mia..." Scully si morse le labbra, ma era convinta che in quel momento avrebbe potuto porre quella domanda. L'unica domanda che si poneva dal primo giorno della sua permanenza alla Base.

 

"Che è successo a Bianca?" rimase in silenzio ad aspettare la risposta della donna.

 

Lei si allontanò da Dana. "Quello che non succederà a te, Dana."

 

"Perché no?"

 

"Perché stavolta lo impedirò."

 

"Si è suicidata, vero? Non vedeva se stessa nello specchio e non si ritrovava nemmeno nell'anima e ha deciso di morire. E' così." Nicole si alzò dal letto, si inginocchiò davanti a Scully, le prese le mani nelle sue e le parlò con voce bassa: "Dana, Bianca era diventata fragile e io non ero abbastanza forte per entrambe. Decise di farsi amica Lynn, più forte di me, e dopo poco tempo erano diventate inseparabili." Sorrise. "Ero gelosa di loro. Stavano bene, capisci? L'una trovava la propria ragione di vita negli occhi dell'altra. E Lynn, lei era simpatica all'inizio, prima..." Nicole si fermò nel racconto, abbassò lo sguardo sulle mani di Dana che erano appoggiate su quelle di lei, poi riprese a parlare: "Una mattina, passai dalla stanza di Bianca e lei non rispose. Pensai che fosse già in refettorio ma quando ci andai non c'era. Ritornai alla sua stanza pensando che dal bagno non m'avesse sentita. 'Forse,' mi dissi, 'è passata da Lynn'. Ci arrivai di corsa, avevo uno strano presentimento, una forte fitta allo stomaco. La porta era aperta e vidi Lynn... vidi Lynn di spalle, in ginocchio per terra e tra le braccia teneva Bianca... mi avvicinai e... era lì con tanto sangue attorno, sulle gambe di Lynn, sul letto, sulla porta... Lynn la guardava senza dir nulla, era in stato di shock." Nicole interruppe ancora il racconto. Alzò gli occhi per incontrare quelli di Scully. "Mi disse: 'Non capisco... perché... perché... perché...'. Sembrava un disco rotto e per due mesi non ha fatto altro che ripetermi quella domanda. Mi incontrava per i corridoi, bussava alla mia porta e l'unica cosa che riuscisse a pronunciare era quella domanda 'Perché?'.

 

Si era procurata tanti piccoli tagli, ovunque sul corpo. Sembrava come voler fare delle prove di resistenza al dolore prima di... Quando andò nella camera di Lynn, era già tardi. Aveva reciso i polsi per essere sicura di morire ma in modo tale da avere comunque il tempo di dirle addio. Le cadde tra le braccia e... e io le ho trovate così."

 

Si alzò da terra, si allontanò da Scully e si avvicinò al bagno. Senza voltarsi disse a Dana: "Lynn se ne fa ancora una colpa, per questo dice a tutti di non porsi mai delle domande. Ma lei lo sa che non è sufficiente. Lo sa che togliere gli specchi da ogni camera non è abbastanza."

 

Entrò in bagno e prima di richiudere la porta alle sue spalle, disse: "Io rimarrò in vita fino a quando lo sarai anche tu, Dana.".

 

Poi sparì dietro la porta.

 

Scully ritornò in camera sua. Dopo essersi preparata per la notte, si mise a letto e spense la luce. Ma non si addormentò subito. Quando gli occhi si furono abituati all'oscurità della stanza, Dana si mise a sedere e si guardò intorno. Quante stanze uguali alla sua c'erano alla Base, quanti ospiti di quel posto si erano comportati come Bianca, decidendo di porre fine alla propria agonia e ai quali Nicole non aveva mai accennato? Sarebbero morti tutti allo stesso modo o qualcuno riusciva a fuggire dalla Base?

 

'Affinché l'umanità faccia delle scoperte sensazionali e perché qualcuno ne tragga beneficio, ci deve essere qualcun altro pronto al sacrificio.' Chi l'aveva detta quella frase? Le sembrava di averla sentita, addirittura, a proposito dei genocidi avvenuti ad opera dei nazisti...

 

Cosa significava l'ultima frase detta da Nicole --io rimarrò in vita fino a quando lo sarai anche tu--? Si chiese la donna.

 

--E va bene, Nicole. Ci salveremo a vicenda. Fino a che saremo vive entrambe, tutto sarà più sopportabile.--

 

A quel pensiero, si addormentò con le lacrime agli occhi. Bianca non era più un incubo e Dana, a differenza di lei, aveva una certezza. Aveva ancora i suoi ricordi.

 

 

 

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§2.22 (Monica)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Giovedì, 21 maggio 1998, 10:13 p.m.

 

 

Lynn Rainbow si sciolse le lunghe trecce nere, specchiandosi indolentemente nelle piastrelle bianche del bagno. I capelli le ricaddero sulle spalle e lei li spazzolò con cura, come faceva ogni sera e ogni mattina prima di farsi lo chignon. Era stanca, aveva voglia di uscire e riabbracciare Kyle.

 

Sorrise al pensiero. Non mancava molto. Tre mesi, forse quattro. Poi, al diavolo tutto. Avrebbe preso Kyle con sé e sarebbe andata in Europa, in Francia o in Germania. In Svizzera, magari. Avrebbe convinto Kyle a scegliere una professione più tranquilla di quella del medico e lei avrebbe lavorato in qualche ospedale tranquillo di periferia.

 

Appoggiò la spazzola alla mensola e si scrollò di dosso i sogni, ritornando in camera. Appena si fu seduta sul letto, qualcuno bussò alla porta.

 

Strano, pensò. Di solito nessuno la andava a trovare. "Avanti." disse.

 

L'uomo entrò con il suo passo tranquillo. "Dottoressa Rainbow." la salutò flemmatico. "Le dovrei parlare di un problema... comune."

 

Lynn annuì.

 

Il fumatore chiuse la porta dietro di sé e si accomodò senza dire nulla sulla poltroncina vicino alla porta del bagno. Tutte così uguali e impersonali quelle stanze. Questa aveva un pizzico di calore in più. Lynn Rainbow era una dei pochi che aveva potuto portare qualcosa là dentro. Foto di Kyle erano sparse ovunque. Non aveva nulla da nascondere.

 

"Di cosa mi vuole parlare?" chiese Lynn, girandosi verso di lui.

 

Il fumatore estrasse una sigaretta dalla tasca e l'accese. La donna aveva già in passato tentato di non farlo fumare in sua presenza, ora nemmeno ci provava più. Sapeva che era una battaglia persa. "Abbiamo un problema con il nostro recente acquisto."

 

"Sta parlando di Dana Scully." Era un'affermazione, non una domanda. "Le lettere che ha scritto non potranno mai uscire di qui. E non credo ne scriverà altre."

 

L'uomo rimase a fumare per qualche istante, poi riprese: "Dottoressa Rainbow, la procedura per un Upsilon era già stata iniziata su Scully. Mi chiedo cosa impedisca di accelerare la procedura per un Omega."

 

Rainbow deglutì nervosamente.

 

"La metta di fronte ai fatti. Scully è una patologa. E noi abbiamo bisogno di un'accurata autopsia." Il fumatore si alzò. "Quella donna è pericolosa. Lo era fuori di qui." Lasciò cadere la sigaretta sul pavimento. "E lo è qui." Schiacciò il mozzicone con la punta del piede. "Dottoressa Rainbow, mi aspetto da lei un lavoro ben fatto." Detto questo uscì dalla stanza.

 

Lynn, stava ancora guardando la sigaretta a terra. "Vuole fare di Scully un Omega." sussurrò. Se questo le avesse permesso di uscire di lì, bene, l'avrebbe fatto. Tutto quello che contava ora era Kyle.

 

Kyle.

 

Rainbow alzò lo sguardo sulla foto del figlio che aveva sul comodino.

 

"Come la sua Emily."

 

Dio, cosa stava per fare? Su quel lettino avrebbe potuto esserci lei stessa, invece di Dana.

 

Chiuse gli occhi e respirò per qualche volta a fondo. Tutto quello che doveva fare ora, era per Kyle. Non poteva fermarsi a pensare alla vita di persone che conosceva da pochi giorni. Kyle era più importante per lei.

 

 

 

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§2.23 (Monica)

 

 

FBI Headquarters, Washington, D.C.

 

Venerdì, 22 maggio 1998, 8:27 a.m.

 

 

Mulder aveva aspettato pazientemente fino a quel momento, ma ora stava perdendo la calma. Si alzò in piedi e camminò fino davanti alla scrivania della segretaria di Skinner. "Kimberly." disse con un tono a metà tra il supplichevole e l'arrabbiato. "Ho bisogno di vedere Skinner da dodici ore ormai."

 

La donna annuì. "Proverò di nuovo, agente Mulder." Alzò la cornetta con una cortesia e una pazienza che stupiva sempre Fox. Parlò brevemente, quindi si rivolse all'agente. "Cinque minuti, agente Mulder."

 

Fox sospirò un grazie e si sedette. Si chiese se non gli sarebbe convenuto saltare tutte le procedure come faceva da sempre. Sapeva però di avere ancora il fiato di Riordan sul collo, comportarsi in modo impulsivo non l'avrebbe certo messo in una buona condizione.

 

Tre infiniti minuti dopo, Skinner aprì la porta. Fox si alzò in piedi di scatto ed entrò nell'ufficio.

 

"Di cosa deve parlarmi, Mulder?"

 

"Ho bisogno di avere accesso alle prove del caso su Scully."

 

Skinner sospirò. "Sapevo che prima o poi me l'avrebbe chiesto. Mulder, lei non può intromettersi nelle indagini."

 

"Lo so, ma ho bisogno di vedere la sua macchina."

 

Il vicedirettore si sedette alla scrivania. Quindi gli chiese: "Perché?"

 

"Ho... ho ricevuto le comparazioni su uno dei campioni di DNA trovati sul suo corpo."

 

L'altro gli lanciò uno sguardo interrogativo: "Ho guardato anch'io quei dati, non è stata trovata nessuna corrispondenza."

 

"Ufficialmente." disse Mulder. Quindi gli porse il foglio che i Lone Gunmen gli avevano dato la sera prima.

 

"Krycek?" chiese Skinner.

 

"Non mi stupisce più di tanto." replicò Mulder.

 

"Che cosa pensa di trovare nella macchina, Mulder?"

 

Fox scosse leggermente la testa. "Ancora non lo so. Tracce di cenere, forse."

 

"Sta correndo troppo."

 

"E' stato lei a darmi quest'idea, non ricorda?"

 

Skinner sospirò. "Non voglio che faccia idiozie, Mulder."

 

L'agente annuì.

 

 

 

*******

 

§2.24 (Monica)

 

 

FBI Headquarters, Washington, D.C.

 

Deposito dei reperti, Sezione K-1

 

Venerdì, 20 maggio 1998, 9:09 a.m.

 

 

Mentre camminava verso il deposito, Mulder ripensò ancora alle domande che lo avevano tenuto sveglio quella notte. Alex Krycek. --Perché Alex Krycek avrebbe dovuto rapire, tentare di violentare e uccidere Scully? Mi odia, è reciproco, ma allora perché non vendicarsi direttamente su di me, mesi fa? Perché così soffro di più. Ma non ha senso. Non ha senso quello che mi aveva detto. Sembrava quasi che... che mi considerasse un suo alleato, qualcuno su cui contare...--

 

Mentre attraversava un corridoio, con la coda dell'occhio intravide qualcosa. Si girò di scatto: "Scully!" Ma era solo un'altra donna dai capelli rossi. Mulder sospirò e si fermò per qualche istante. Chiuse gli occhi. Sarebbe andato avanti per tutta la vita a vedere Scully ad ogni angolo? Si fece coraggio e arrivò all'ingresso del deposito.

 

"Ho bisogno di vedere le prove del caso... del caso Scully." disse.

 

"Uhm... un momento..." disse la guardia di turno. Mulder sospirò. Di sicuro stava cercando se lui ne avesse il permesso. L'uomo alzò lo sguardo dal monitor del computer: "E' tutto nella sezione K-1, reperti 1028." disse, passandogli un paio di guanti di lattice. "Devo accompagnarla?"

 

"No, so dov'è."

 

Camminò lentamente, continuando a pensare a Krycek. Nessuno l'avrebbe fermato dall'ammazzarlo, la prima volta che l'avesse incontrato.

 

Mulder osservò tra gli scaffali, cercando il numero 1028. Fece scivolare fuori la scatola, appoggiandola a terra. Si infilò i guanti e appoggiò le dita attorno al coperchio. Chiuse gli occhi e respirò a fondo. Quindi aprì la scatola. C'erano alcuni sacchetti trasparenti che avvolgevano oggetti che gli erano familiari: il distintivo, gli occhiali, il portafoglio. In un sacchetto c'era il biglietto da visita che le era stato trovato addosso. Era stropicciato, ma si leggeva ancora il nome e l'indirizzo di Mulder. Dietro era stato scritto "A.D. Skinner" e il suo numero di telefono all'FBI. La grafia non era quella di Scully, ma lo stampatello poteva trarre in inganno. Fox osservò gli altri oggetti che erano stati rinvenuti all'interno della macchina o addosso al corpo. C'erano una piccola spazzola, una cartina stradale, altri oggetti di poca importanza.

 

Riprese in mano la busta con il portafoglio e lo estrasse. Lo aprì delicatamente, sentendosi un po' in colpa nel violare un posto segreto della collega. All'interno c'era tutto quello che si aspettava da lei: la carta di credito, abbastanza soldi da poter affrontare un paio di giorni in caso di necessità, una foto di Emily, una piccola rubrica del telefono che aveva, sulla copertina interna, la scritta "In caso di emergenza chiamare" e il numero di Maggie Scully. Infilò la mano nella tasca posteriore: piegato in una maniera strana ma a lui familiare, lo stesso articolo su Modell che anche lui teneva nel portafoglio. Questa volta, invece di esserci solo lei, erano insieme: Scully girata a tre quarti, Mulder di spalle e tagliato a metà dal bordo della fotografia. Fox sorrise. Rinfilò l'articolo all'interno della tasca, risistemò tutto e camminò per qualche metro, fin dove gli scaffali finivano.

 

L'automobile era coperta da un telo trasparente e polveroso. Fox lo tolse e aprì la portiera dalla parte del guidatore. La tappezzeria era stata ripulita per gli esami, la stoffa tagliata e il tetto aveva il foro del proiettile. Poteva ancora sentire l'odore di Scully nella macchina. Girò intorno alla vettura e si sedette sul sedile passeggero. Chiuse gli occhi e provò a ripensare a quella notte. Nella sua mente c'era ancora il vuoto. Poi d'un tratto visualizzò un'immagine orribile. Al suo posto c'era seduto Krycek. Era in cima alla collina assieme a Scully.

 

"Oh Dio... L'autopsia non è stata nemmeno iniziata." sussurrò Mulder. "Ha fatto sparire il corpo per evitare che si scoprisse che l'aveva violentata..." Fox uscì di corsa dall'auto, andando verso l'uscita il più in fretta possibile. L'aria fresca gli permise di calmare la nausea.

 

Mentre guidava verso casa, tutte le tessere di un puzzle inesistente andarono al loro posto.

 

Krycek aveva voglia di vendetta, per una qualsiasi ragione, contro di lui. Quale miglior punizione poteva esserci che far del male a Scully? Assieme a un complice, l'aveva rapita, portata in cima a quella collina maledetta, violata, quindi lasciata lì perché potesse tornare da lui, dirgli quello che era successo. Ma qualcosa era andato storto: Scully si era suicidata. Allora Krycek aveva lasciato che incolpassero Mulder, quindi aveva fatto scomparire il corpo di Scully per evitare che i suoi capi, chiunque fossero, si accorgessero dell'errore che aveva fatto. O magari erano loro ad aver deciso quello che Alex doveva fare. Questo, comunque, non contribuiva a diminuire la sua colpa.

 

Né a cancellare il fatto che Scully aveva preferito spararsi un colpo sotto il mento, piuttosto che chiedere aiuto a lui.

 

 

 

*******

 

§2.25 (Monica)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Venerdì, 22 maggio 1998, 9:25 a.m.

 

 

Scully alzò lo sguardo quando la Rainbow entrò nel laboratorio. Era in ritardo, quella mattina. Scully non l'aveva mai vista arrivare tardi. Di solito era in laboratorio molto prima di lei, non l'aveva nemmeno mai incontrata a colazione.

 

Nicole, che era seduta al bancone di laboratorio primo dietro alla scrivania di Dana, commentò l'entrata: "Ahi, stamattina ha le palle girate." Scully si voltò per guardare Nicole. La ragazza alzò le spalle. "Lo riconosci subito quando ha la luna di traverso. Arriva in ritardo, ha lo sguardo più arrabbiato del solito, e comincia a criticare qualsiasi cosa le capiti sotto mano." Le sorrise e ritornò al microscopio elettronico.

 

Lynn arrivò al bancone e prese in mano alcuni acetati che Nicole aveva stampato la sera prima. "Cosa sono questi, Nicole?" esclamò.

 

La ragazza alzò lo sguardo. "L'ho scritto in alto. Il DM212 e il VG321. Ibridazioni parziali."

 

"Rifalle."

 

"Perché?!" replicò lei.

 

"Nessuno ti ha insegnato che i cromosomi vanno messi dritti?!" Rainbow piegò i fogli in quattro parti e li ributtò sul tavolo. Non sentì il commento poco gentile che Nicole le rivolse quando si allontanò.

 

"Dottoressa Scully, venga con me."

 

Dana e Nicole si girarono all'unisono verso Lynn. Mentre Scully si alzava e la seguiva, Nicole rimase a guardarle mentre si avviavano verso la porta in fondo al laboratorio. Sapeva dove portava. C'erano tante piccole stanzette che sembravano piccole infermerie dove gli esperimenti sulle cavie umane iniziavano e spesso finivano. Nicole stessa frequentava quel posto più di quanto avrebbe voluto. Quando Scully svanì dietro la porta assieme a Lynn, non poté fare a meno di sentire una profonda tristezza nel cuore. "Oh Dana..." sussurrò.

 

 

 

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§2.26 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Venerdì, 22 maggio 1998, 9:30 a.m.

 

 

Quando entrarono nella stanza, Scully si sentì come a casa. Era un obitorio e lei era abituata a vedere lettini per autopsie, celle frigorifere, strumenti di chirurgia...

 

Il pensiero del suo passato fu interrotto dalla voce della dottoressa Rainbow che la riportò alla realtà.

 

"Mi aiuti." le disse facendo cenno alla grande cella metallica in fondo alla stanza.

 

"Perché siamo qui?" chiese Dana. Lynn aprì uno dei cassettoni della cella frigorifera, ne estrasse un corpo appena coperto da un lenzuolo azzurro. Avvicinò la lettiga d'acciaio ed entrambe vi ci appoggiarono quel fagotto e lo portarono al centro della stanza, sotto la lampada al neon.

 

Rainbow si appoggiò con entrambe le mani sul tavolo e fissò per alcuni attimi interminabili il corpo inerme. Poi, senza spostare lo sguardo, iniziò a parlare a Scully.

 

"Dana, io le eviterei questo lavoro. Per quanto possa apparirle una donna crudele, non arriverei a farle questo se non fosse un ordine superiore." Posò gli occhi sulle mani di Scully come se non riuscisse a guardarla negli occhi. Continuò nel suo discorso, ancora privo di senso per Dana.

 

"Lei... era medico legale, giusto?" Iniziò a guardarsi le unghie, sempre a disagio.

 

"Sì, *sono* medico legale. Perché me lo chiede?" fece Scully. Lynn si diresse verso un tavolino che era alla sua sinistra, prese un fascicolo che vi era appoggiato sopra, tornò da Scully e glielo porse. Alzò lo sguardo e le disse: "Spero che sia dotata di molto sangue freddo. Buon lavoro, Dana." Si allontanò in fretta dal lettino per uscire dall'obitorio.

 

Chiusa la porta alle sue spalle, prese un profondo respirò come se per tutto il tempo che era rimasta con Dana non l'avesse mai fatto.

 

Poi deglutì, scrollandosi di dosso l'ansia di consegnare una donna al proprio incontro col male.

 

 

 

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§2.27 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Venerdì, 22 maggio 1998, 9:50 a.m.

 

 

Dana osservò la dottoressa uscire dalla stanza.

 

Aveva dimostrato molto disagio nel parlarle. La risposta a quell'atteggiamento era sicuramente in quel nuovo incarico. Sbuffando, pensò di essere troppo stanca per eseguire un'autopsia. Aprì il fascicolo che aveva in mano, chiedendosi a chi appartenesse il corpo di fronte a lei e la percorse un brivido quando lesse quella sigla di identificazione: 'p.upsilon 30 DKS_090894'.

 

--DKS, la stessa sigla dei campioni... il 1994... l'anno del mio... primo rapimento...-- pensò.

 

Scosse la testa e lasciò cadere il fascicolo per terra. Non poteva essere ciò che credeva...

 

Iniziò a respirare affannosamente. Sfiorò con dita leggere il lenzuolo. Ne percepì il gelo dal quale proveniva. Prese un lembo della stoffa e iniziò, lentamente, a scostarlo. Intravide le dita sottili, bianche, curate. Il polso fragile, un avambraccio, un braccio, la spalla... era una donna...

 

Ricoprì il corpo, tentando di farsi coraggio.

 

Avevano sbagliato, non poteva essere... perché lei? Rivolse gli occhi al cielo tentando di carpirne forza.

 

Si avvicinò di più alla parte superiore del corpo che le stava di fronte e di nuovo lentissimamente riprese a spostare il lembo del lenzuolo. Capelli rossi... Il mento di Dana tremava ma continuò ancora fino a scoprire la fronte, gli occhi, il naso, la bocca... Dischiuse le labbra come a invocare Dio. Non vi riuscì, non esisteva nessun Dio lì dentro.

 

Solo tanta paura.

 

Lasciò il lenzuolo, abbandonò le mani sul lettino e chiuse gli occhi. Iniziò a piangere, ma lo fece così sommessamente che se non vi fossero state le telecamere a circuito interno a riprendere quel momento, nessuno lo avrebbe mai saputo.

 

Quando quei momenti carichi di paura e odio verso chi le stava facendo tanto male svanirono nelle lacrime, Scully si allontanò dal lettino, si appoggiò con le spalle al muro e realizzò che avrebbe dovuto eseguire un'autopsia sul *suo* cadavere. Al solo pensiero, scosse la testa due o tre volte, altrettante volte cacciò indietro le lacrime.

 

Poi, piano piano, si avvicinò alla donna, a se stessa. Con esitazione e con un'espressione tristissima le sfiorò una mano, poi la strinse e la tenne stretta fino a quando quasi non si gelò la sua.

 

Poi, di scatto, se ne allontanò, tolse completamente il lenzuolo e avvicinò a sé il tavolino degli strumenti di chirurgia. Aveva cacciato via Dana per far posto alla fredda e razionale dottoressa Scully.

 

 

 

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§2.28 (Steffy)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Venerdì, 22 maggio 1998, 10:00 a.m.

 

 

Ripreso il dossier che poco prima aveva lasciato cadere per terra, Scully iniziò a studiarne ogni contenuto, tentando di capire cosa fosse successo a quella donna, il motivo per cui proprio lei era stata incaricata ad eseguire l'autopsia, quando lo sguardo le cadde su alcuni appunti scritti a penna in alto a sinistra sul primo foglio.

 

'Il soggetto è deceduto per una ferita da arma da fuoco situata all'altezza della gola immediatamente a ridosso del sottomento. Il proiettile ha trapassato la gola ed è uscito dalla parte superiore del cranio...' La firma del presunto dottore che aveva appena iniziato l'autopsia, era stata cancellata e subito dopo un altro appunto recitava

 

'E' necessario stabilire con assoluta certezza il *motivo* per cui il p.upsilon 30 DKS_090894 si sia suicidato...' La firma, chiarissima, era quella della dottoressa Lynn Rainbow.

 

Dana chiuse gli occhi dopo aver trovato la prova che aveva sicuramente assolto Mulder. Se il suo doppio era morto suicida, ovviamente Mulder era innocente dato che non vi era omicidio e a questa scoperta prese un respiro profondo come a liberarsi di un dubbio forse... un dubbio a cui aveva creduto per un po': che il suo collega si fosse davvero macchiato di quel delitto. Magari nella mente di Mulder si era fatta largo la convinzione che quello di fronte a lui fosse un ibrido e l'aveva ucciso. Ma la prova del suicidio l'aveva scagionato. E, finalmente, era libero anche se nessuno avrebbe mai scoperto che a suicidarsi non era stata lei, ma quel... Non importava. Era comunque una notizia positiva.

 

In questo stato d'animo avvicinò a sé il registratore e iniziò l'autopsia, sperando di scoprire cose che l'avrebbero forse sconvolta, ma anche avvicinata alla verità assoluta che Mulder cercava da sempre.

 

"22 maggio 1998. Esame autoptico eseguito da Dana Scully su un soggetto di razza bianca, di sesso femminile e dell'età di... dell'*apparente* età di 34 anni..."

 

La voce di Dana seguì ogni passaggio dell'autopsia e mentre descriveva lo stato del cadavere, mentre analizzava la ferita da cui era stata già estratta la pallottola, mentre si preparava ad iniziare l'autopsia vera e propria, ripensò al suo professore di medicina legale all'università.

 

Quante volte le aveva detto che di fronte quel tavolo chirurgico era necessario mantenere il sangue freddo e non farsi sconvolgere dalla natura di se stessi.

 

Quante volte le aveva ripetuto di pensare con distacco a quei momenti.

 

Non aveva mai seguito quei consigli, non aveva mai portato la mente oltre la porta di una sala autopsie. Forse perché aveva sempre avuto di fronte dei casi poco consueti e il divagare con la mente le sarebbe costato delle sviste da cui poteva dipendere la sua vita e quella di Mulder... Per la prima volta, però, decise di estraniarsi totalmente dal lavoro e svolgerlo meccanicamente perché sentiva che la sua mente avrebbe potuto impazzire...

 

Si era ritrovata, così, con il bisturi in mano appoggiato sulla pelle chiara di quel corpo tanto uguale al suo e, prima che se ne accorgesse, si paralizzò. Le dita non seguivano i comandi che la mente impartiva e si bloccarono prive del coraggio necessario a tagliare.

 

Ma il tutto durò un attimo e la punta del piccolo coltello affilato iniziò a separare il buio dalla conoscenza a cui Scully era destinata di lì a poco.

 

--Cosa ti aspettavi? Sangue verde, gelatina al posto del fegato? Dana, inizi a fantasticare un po' troppo-- pensò Scully, quando si accorse che ogni organo era al suo posto, che il cuore era dove tutti hanno un cuore, che i polmoni erano due, che il fegato era a destra...

 

Ci rimase quasi male. Per odiare quell'essere, era importante per Scully trovare un minimo di anormalità in lui. Era fondamentale capire, stabilire un limite alla sua *umanità*.

 

Uno alla volta, estrasse ogni organo e li analizzò per stabilire che tutti rientravano nella norma della sanità fisica.

 

Durante tali esami pensò a Mulder.

 

Ritornò con la mente al primo giorno in cui l'aveva conosciuto, quando era stranamente emozionata di lavorare a fianco di una mente tanto brillante. Si era chiesta, quel giorno, se avrebbe dovuto assecondarlo come se fosse un malato di mente o se imparare a lavorare e a ragionare come lui. Presto, si era resa conto che la pazzia da cui difendersi non era insita in lui ma ovunque *attorno* a lui. E quell'uomo le aveva cambiato la vita, era stato un punto di partenza e sarebbe sempre stato l'approdo di ogni verità. Anche ora, che stava scrutando il buio della mente di una donna che in un universo parallelo avrebbe potuto essere sua sorella, pensava a lui e alla sanità mentale che aveva mantenuto nonostante tutti quegli anni a combattere mostri. Dana l'aveva sempre pensato che Mulder avesse visto più di quanto lei stessa poteva solo immaginare.

 

'Ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne possa immaginare la tua filosofia, Orazio'.

 

--Ti giuro, Mulder. Se da questo luogo buio e vuoto, se da queste persone senza vita, se da quest'incubo senza fine riuscirò a venirne fuori, non ti darò mai più del pazzo.--

 

Eppure, anche Mulder avrebbe perso la ragione se in un attimo, un solo attimo della sua esistenza, qualcuno gli avesse rivelato tutto il futuro, tutto il male che l'umanità avrebbe vissuto.

 

La calotta cranica della donna inerme di fronte a lei fu aperta e quello che Dana scoprì la lasciò senza parole. La massa tumorale, che in lei stessa era regredita fino a scomparire completamente, in quella sosia si era estesa dal seno frontale a gran parte del cervello.

 

Era questa la causa del suicidio.

 

Quel corpo ibrido era così poco alieno da aver ereditato da un essere umano la sua parte peggiore: la vulnerabilità della malattia, la paura della morte, disturbi psichici che avevano albergato in quel corpo da troppo tempo e l'avevano costretto al suicidio.

 

E da questo momento, molte cose furono chiare a Dana.

 

--Se ogni ibrido di questa generazione, la Upsilon, possiede una struttura elicoidale umana al sessanta percento, nella stessa percentuale mantiene la possibilità di avere gli stessi difetti di un essere umano e le sue debolezze e paure e malattie e patologie nervose. Dunque, se non riescono a correggere questo difetto che renderebbe gli ibridi più deboli, diventa più conveniente trasformare un uomo *imperfetto* in ibrido perfetto, senza paura, senza memoria, senza affetto... ed io... io sono stata un'ancora di salvezza. Ed è per questo motivo che sono qui. Mi stanno trasformando in un Omega!--

 

A questo pensiero, si allontanò dal tavolo chirurgico e andò verso il lavabo che era accanto alla porta d'ingresso. Si tolse i guanti e la mascherina e li gettò con rabbia nel cestino per terra. Aprì l'acqua fredda e si lavò le mani.

 

Mentre il getto d'acqua le bagnava la pelle, osservò il proprio riflesso nelle piastrelle bianche e lucide che le erano di fronte. Non poté distinguere molto ma si accorse che i capelli legati erano crespi e il viso era scavato e solcato da rughe che, ci avrebbe giurato, non aveva mai avuto fino a poche settimane prima.

 

E pensò a sua sorella Melissa e a quanto si divertivano a disobbedire alla madre, truccandosi. E da grandi, poi 'Ti invidio, Dana. In vita tua non dovrai mai usare simili artefatti. Hai una pelle così giovane' le ripeteva sempre Missy.

 

Cacciò via quei pensieri, quei ricordi umani, di prepotenza. Si bagnò il volto con l'acqua fredda e dopo essersi asciugata indossò nuovi guanti e un'altra mascherina per continuare l'autopsia.

 

Da quante ore era lì dentro? Troppe, e non era nemmeno suonata la pausa pranzo per lei.

 

'Pagherà caro ogni attimo di respiro, Dana' le aveva detto Lynn. Stava pagando davvero, con ogni paura, ogni fitta di dolore che le colpiva lo stomaco per la tensione, ogni dolore legato ai ricordi...

 

E quell'autopsia assurda...

 

Rimaneva solo una sezione da analizzare ed era l'apparato riproduttivo.

 

Si avvicinò al p.upsilon 30 non aspettandosi più nulla. Il risultato dell'esame era già ovvio. Invece, ciò che trovò in quell'ultimo frammento di lavoro fu la scoperta più allucinante e sgradevole che potesse fare in vita sua. Trovò il brandello che distingueva quel corpo da lei. La mancanza totale di un apparato riproduttivo.

 

E d'un tratto fu chiaro il motivo per cui il p.upsilon 30 era stato sottratto dall'obitorio in Virginia: sarebbe stato facile stabilire la sua falsa identità con una semplice cartella clinica di Dana.

 

Se quegli ibridi fossero diventati i soldati del mondo, la loro sarebbe stata una missione perfetta. Nella loro guerra non ci sarebbe mai stato un momento da regalare all'amore, alla vita, alla procreazione. Sarebbero stati combattenti forti e perfetti.

 

Era quasi riuscito, il Progetto Omega... per quell'unico particolare che li rendeva troppo umani...

 

Poi, con la mente tornò indietro.

 

No, il Progetto non era fallito. Stavano trasformando lei in un Omega. Era l'essere umano da rendere perfetto, da trasformare in qualcosa di meno umano, dunque. Era stata scelta lei perché era già sopravvissuta all'innesto di un DNA alieno ed era dunque stata immunizzata in parte dal rigetto. E in più, era anche già stata menomata...

 

Scully scosse la testa più volte quando realizzò che quella donna che le giaceva di fronte spogliata di ogni pudore, sfigurata di ogni bellezza era più di una sorella.

 

Sì, perché nell'umanità dell'una e la disumanità dell'altra, il punto di congiunzione del loro legame era il loro non essere, comunque, libere di scegliere.

 

 

 

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§2.29 (Monica)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Sabato, 23 maggio 1998, mattina

 

 

Appena entrata nel Laboratorio, Scully tirò dritto verso la sua scrivania. Fece per sedersi, quando Rainbow la chiamò. "Dottoressa Scully, con me." disse semplicemente. Dana ricordò quelle parole, dette il giorno prima: poco dopo aveva scoperto una copia di sé. Si alzò e non guardò verso Nicole. Sapeva che lei la stava guardando, probabilmente con le lacrime agli occhi. Seguì Rainbow di nuovo oltre quella porta, ma questa volta, invece di imboccare l'unica apertura sulla destra, la sala delle autopsie, Lynn camminò per tutto il corridoio, quindi entrò nella stessa stanzetta dove l'aveva portata alcuni giorni prima. Scully deglutì nervosamente. "L'autopsia non andava bene?" chiese.

 

"Poco sarcasmo, dottoressa Scully." disse Lynn, accendendo una lampada. "Ha fatto un gran bel lavoro." disse.

 

"Si può sapere chi era quella donna?"

 

Lynn non rispose. Disse solo: "Si tolga il camice e si sdrai."

 

Scully sospirò. Si sistemò sul lettino, quindi chiuse gli occhi.

 

"E' un Upsilon." disse Lynn.

 

Dana riaprì gli occhi di scatto. Raramente aveva sentito un tono umano nella voce di quella donna. "Upsilon?"

 

"Sì... il nostro... ventesimo tentativo di ibridazione. Ma qualcosa è andato storto, come sempre."

 

"Che significa?"

 

Lynn le alzò la manica della tuta. "Fino ad oggi abbiamo tentato miriadi di esperimenti, Dana. Siamo al 24° stadio, il progetto Omega."

 

"Cosa ne è stato dei primi?"

 

La donna disinfettò il braccio a Dana, quindi si girò per prendere una siringa e una fiala. "Ognuno ha presentato problemi diversi." rispose. "La sua Emily, era un Fi."

 

"Come?"

 

Lynn si fermò qualche istante prima di aprire la fiala. "Struttura elicoidale aliena troppo accentuata. Con gli Upsilon ci siamo andati più piano, il risultato è stato che sono troppo umani. Kyle... Kyle è uno Xi. E gli Xi sono troppo umani. Troppo vulnerabili."

 

Scully scosse la testa. "Non capisco... io ho trovato..."

 

"Lo so cos'ha trovato. Ho letto il suo rapporto. Lo so." Tirando un profondo sospiro, Lynn riempì la siringa. "L'ho saputo da poco. Hanno tenuto quell'ibrido sotto osservazione per parecchio tempo. Avrebbe dovuto morire nel giro di pochi mesi, ma quando l'hanno rapita, Dana, l'hanno rimesso in libertà, controllandolo da lontano. Ha fatto esattamente quello che pensavano: si è suicidato. Molti degli Upsilon hanno tendenze suicide." Fece uscire l'aria dalla siringa, quindi guardò Dana negli occhi per la prima volta dopo molto tempo. "Ora abbiamo fretta, dottoressa Scully."

 

 

 

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§2.30 (Monica)

 

 

Laboratorio di ricerca La Base (distaccamento 30, Canada)

 

Sabato, 23 maggio 1998, 3:21 p.m.

 

 

Scully si accomodò sul sedile e slacciò al cintura di sicurezza. Guardò l'orizzonte frastagliato, il cielo coperto di nuvole. Era l'alba. Sospirò e si girò alla sua destra.

 

"Be', Mulder?"

 

Lui le sorrise.

 

"Mulder, avanti, che ci siamo venuti a fare, qui, alle cinque del mattino?"

 

"Be', sai..." Fox sorrise ancora. "Volevo parlarti."

 

"Alle cinque del mattino di sabato? Non potevi aspettare almeno... questo pomeriggio?" Scully sospirò.

 

"No, vedi... è una cosa che volevo dirti da un po'." Mulder si avvicinò a lei. "Da molto tempo e visto che credo di trovare il coraggio ora... non vorrei perdere l'occasione."

 

Dana alzò un sopracciglio. "Mulder?"

 

Lui le si avvicinò: "Scully... sono cinque anni che ci conosciamo..." Mise una mano dietro al collo di lei e l'avvicinò in un bacio incerto.

 

Dana, quasi istintivamente, si allontanò. Di colpo faceva troppo caldo. "Mulder..." balbettò. Doveva essere diventata rossa in maniera indecente. "Io..."

 

"Hm?" fece Mulder, sorridendole.

 

"Io... credo che sia troppo presto per..."

 

"Presto? Scully, sono cinque anni!" esclamò lui.

 

Scully abbassò lo sguardo sul cruscotto. "No, intendo che..." Alzò lo sguardo. "Io non mi sento pronta."

 

Dana sobbalzò quando il pungo di Mulder colpì violentemente la portiera. "Già!" esclamò. "Dovevo aspettarmelo. Sei sempre stata così, Scully."

 

Lei deglutì. "Mulder, di che stai parlando?"

 

"Del tuo atteggiamento!"

 

"Mulder, ti prego, smettila!"

 

"Smetterla io?! Sei tu quella che deve smettere di avere quell'aria da santerella, per finire a letto con il primo che incontri quando io giro lo sguardo."

 

Dana aprì la bocca per dire qualcosa, ma Mulder non smetteva di parlare. Le sue parole la stavano ferendo, sentì le lacrime scorrerle prima di accorgersi di star piangendo. "Smettila, ti prego!"

 

Mulder si alzò dal proprio sedile e le andò quasi addosso. La baciò di nuovo, con più violenza. Scully cercò di spingerlo indietro, ma tutti i suoi sforzi erano inutili. Lui era più grosso e più forte di lei. Ormai era praticamente sopra di lei, intrappolandola.

 

"Mulder, basta!" urlò, sentendo le sue mani toccarla.

 

Tentando di spingerlo indietro Scully percepì qualcosa di duro sul fianco di lui. La pistola. Non pensava di dover arrivare a tanto, ma la sfilò dalla fondina e gliela puntò contro. "Ora basta, Mulder!" gridò.

 

"Che stai facendo?!"

 

"Mulder, smettila, sono stanca! Vattene via!"

 

"Che stai facendo, Scully?!"

 

Dana strinse le labbra. "Ti ho detto di toglierti!"

 

Fox la prese per i polsi e le spinse indietro le braccia. Dana premette il grilletto. Strinse gli occhi e urlò quando si sentì addosso sangue caldo. Poi li riaprì lentamente. Sangue rosso ricopriva il parabrezza. Si girò verso Fox, che aveva il capo appoggiato alla sua spalla.

 

"Mulder?" sussurrò. Lentamente lo spinse indietro. "Muldeeeeeeeer!" lasciò cadere la pistola e gli mise una mano sulla gola. "Mulder, rispondimi! Mulder!" Il battito cardiaco non c'era. E anche una parte della gola di Fox mancava. "No, Mulder! Nooooooo!"

 

"Dana!"

 

Scully aprì gli occhi, trovandosi faccia a faccia con Nicole. "Mulder..." sussurrò.

 

"Era un sogno." le disse l'amica. "Stai tranquilla."

 

"Mulder... Mulder..."

 

"Calmati." Nicole, tenendo una mano stretta nella propria, raggiunse un fazzoletto sul comodino e le asciugò dolcemente il volto. "Va tutto bene, Dana, era solo un sogno."

 

"Mulder..." sussurrò Scully di nuovo. Cercò di mettersi a sedere, ma appena si mosse, la testa iniziò a girarle vorticosamente. Era in stato confusionale e continuava a ripetere il nome del collega.

 

"Dana, stai tranquilla. E' tutto normale." Cercò di tranquillizzarla. --Non è normale nemmeno il trattamento, non è normale niente qui dentro.-- pensò Nicole.

 

"Mulder... Mulder..."

 

"Shhh... Stai tranquilla."

 

"Mulder..."

 

Nicole la fece sdraiare di nuovo, scostandole i capelli dal volto. "Ora calmati." Il cuscino era completamente inzuppato di lacrime. "E' finito."

 

"No... Nicole..."

 

La ragazza non poté trattenere un sospiro di sollievo. "Sta passando." Almeno aveva smesso di ripetere una sola parola.

 

"Nicole, Mulder è..." Dana stava respirando affannosamente. "E' in pericolo... lui..."

 

"No, non ti preoccupare. Sono sicura che lo lasceranno in pace." Nicole le accarezzò la mano. --Per quel che può essere una consolazione.--

 

"No... non... Mulder è in pericolo... lui..." Nicole prese la maschera dell'ossigeno a fianco al letto e cercò di metterla sul volto a Dana, ma lei la spinse via con le poche forze che le erano rimaste. "Si potrebbe... Oh Dio... lui potrebbe... oh no... suicidarsi... non... non voglio, Nicole..."

 

La ragazza rimase ferma. "Dana... io credo che non si darà per vinto così facilmente. Ti cercherà."

 

"Lui... crede che io... sia morta..."

 

Nicole si inumidì le labbra. "Ma... cercherà chi ti ha ucciso... lui..."

 

"E' in pericolo... lui stesso è... il suo stesso pericolo... pensa... mi sia suicidata."

 

"Sono sicura che cercherà le cause. E continuerà a cercare. Vivrà per te. Deve farlo." Nicole riuscì finalmente ad infilare la mascherina dell'ossigeno a Dana. --Se solo potessi confidarti che Alex sta per dirgli che sei viva...-- Le sorrise. "Andrà tutto bene."

 

Scully non rispose. Ricominciò a piangere, in silenzio, finché non si addormentò.

 

 

 

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§2.31 (Monica)

 

 

Appartamento di Fox Mulder

 

Sabato, 23 maggio 1998, 11:29 p.m.

 

 

Avrebbe scommesso uno stipendio che l'appartamento non aveva un gradevole odore. Di sicuro ristagnava di chiuso, di polvere e aria viziata.

 

Ed ora anche alcool.

 

Era al quinto bicchiere di scotch. Non aveva ghiaccio, così lo stava bevendo quasi caldo. Un altro giro dei canali con il telecomando, un altro sorso di scotch, un altro passo verso l'oblio.

 

L'alcool gli bruciava la gola con un piacevole senso di potenza. Mulder osservò di nuovo lo schermo del televisore, sul quale girava un'accozzaglia di immagini e suoni senza senso. Portandosi il bicchiere alle labbra, Mulder notò con disapprovazione che era vuoto.

 

Emise un lamento gutturale, quindi lanciò il bicchiere contro il televisore. Il bicchiere andò in frantumi, ma ignorandolo, Fox spense il televisore con il telecomando. Quando i suoi occhi si furono abituati al buio, prese la bottiglia che aveva lasciato sul tavolino e bevve a canna qualche sorso, quindi scoppiò a tossire. Si alzò dal divano per andare in bagno a bere, ma le sue gambe non lo ressero e cadde appena sorpassato il tavolino.

 

Aveva la nausea e si sentiva come se fosse in una centrifuga.

 

Si allungò e prese il telefono dal tavolino. Compose il numero senza nemmeno guardare il tastierino.

 

"Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile." replicò una voce registrata dall'altra parte.

 

Mulder emise un altro lamento.

 

"Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile."

 

"Noooo..." sussurrò, girandosi sul fianco. "Scully..."

 

"Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile."

 

"Scullyyyyyyyyyyyyyyyyy!!!!!"

 

"Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile."

 

"Scully, perché mi hai lasciato?! Perchéééééééééé?!"

 

"Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile."

 

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[continua in Omega 3]

 

 

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