Oscar 2000 di Emandini

 

Un anno fa, di questi tempi, l'America del cinema si inchinava all'estro delicato ed elegante di Roberto Benigni, ed alla comicità rigata dalle lacrime dell'indimenticabile La vita è bella. La prepotente incursione nostrana tra i colossi hollywoodiani è rimasta isolata, e gli americani da quest'anno hanno ufficialmente ricominciato a premiarsi a vicenda, riprendendo l'annuale consuetudine.

Nella prima notte degli Oscar del nuovo millennio ci sono poche sorprese, parecchi musi bassi, qualche incomprensibile stranezza. Come le quattro statuette (su 4 nominations) consegnate a Matrix, l'iniezione di fantascienza cyberpunk partorita dai fratelli Andy e Larry Wachowski; il film si è portato a casa gli Oscar per il montaggio, il sonoro, il montaggio degli effetti sonori e gli effetti speciali visivi. Con tutto il rispetto per il genere, francamente esagerato.

Le poche sorprese riguardano il trionfo annunciato di American Beauty; troppo bello il film, troppo scarsa la concorrenza. I cinque Oscar (su 8 nominations) sono ampiamente meritati, soprattutto quello al sublime Kevin Spacey che, dopo la performance de I soliti sospetti, dovrà fare altro spazio nella sua bacheca. La specialità degli americani è lavare i panni sporchi in famiglia: ecco come è nata questa opera prima di Sam Mendes (anche lui premiato), feroce sberleffo al finto perbenismo e al conformismo made in USA. Il film ha fatto il giro del mondo, poi è tornato in patria, giusto in tempo per essere pluridecorato. Ha stappato lo champagne anche la delicata favola di formazione Le regole della casa del sidro, che ha ritirato i riconoscimenti per il miglior attore non protagonista (Michael Caine) e per la migliore sceneggiatura non originale (opera dello scrittore John Irving). Sullo stesso piano un film incredibilmente sottovalutato: i due Oscar per Sottosopra Topsy-Turvy (migliori costumi e miglior trucco), opera dalla risata facile, sono stati la vera sorpresa della serata.

A stregare la giuria ci hanno pensato anche le atmosfere gotiche di Il mistero di Sleepy Hollow (migliori scenografie), la Angelina Jolie nella sua fuga dal manicomio in Ragazze interrotte (miglior attrice non protagonista), l'ambiguità di Hilary Swank nell'amara storia di amore saffico Boys don't cry (migliore attrice protagonista), le melodie di John Corigliano ne Il violino rosso (miglior colonna sonora) e la canzone di Phil Collins in Tarzan. Il premio per il miglior film straniero, che l'anno scorso aveva elevato Benigni sulle vette del cinema, è andato quest'anno a Pedro Almodovar, con il suo capolavoro Tutto su mia madre.

Decisamente più interessante la lista dei perdenti: il Grande Escluso è Insider che, svelando i brutali misteri dell'industria del tabacco, si presentava alla prova finale con ben sette nominations. Il risultato è un deludente pugno di mosche. A mio parere l'errore più lampante della giura riguarda però Il talento di Mr. Ripley, di Anthony Minghella (ve lo ricordate Il paziente inglese?), che al di là delle cinque candidature, è veramente un bel film. Un giallo psicologico che sterza sul thriller, senza mai smettere di essere angosciante e coinvolgente, con un cast assolutamente eccezionale. Anche le sei nominations de Il sesto senso non hanno fruttato nulla, come le quattro de Il miglio verde, le tre del sublime Essere John Malkovich e del pirotecnico La minaccia fantasma. Il buon Woody Allen è andato a vuoto con le atmosfere musicali e delicate di Sweet and Lowdown, così come lo strapubblicizzato Magnolia, che aveva da poco sbancato il festival di Berlino. L'analisi della società americana attraverso un tono concitato e biblico non ha fatto colpo, al contrario del bruciante realismo di American Beauty.

Alcune pellicole meritevoli sono state letteralmente ignorate: fanno parte della schiera S.O.S. Summer of Sam, durissimo ritratto degli States anni settanta attraverso le gesta di un serial killer, operato dal pennello malefico di Spike Lee, senza contare il kolossal Giovanna D'Arco, con la prestigiosa firma di Luc Besson, il Kubrick erotico di Eyes wide shut ed il Jim Carrey travolgente di Man on the Moon. Quest'ultimo sembra avere un conto aperto con le statuette: l'anno passato fece scandalo la sua esclusione per la dolce favola triste The Truman Show.

Gli americani premiano, ed è già qualcosa. Pretendere un certo criterio sembra davvero esagerato.

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