IL REGNO DI EMANDINI

Lo Scuoiatore

 

Premessa: mi scuso già da adesso con tutti i lettori che saranno colpiti duramente nella loro sensibilità personale. Grazie.

Aprii stancamente la porta di casa. Dopo una fottuta giornata scolastica, mi aspettava un pomeriggio di studio solitario. I miei erano andati al Creatore un paio d’anni prima, e mia nonna se così si poteva chiamare quella vecchia trombona con cui convivevo, era stata invitata ad bere un tè a casa di un’amica. Conoscendola, la Vecchia ci sarebbe rimasta fino all’ora di cena. Mi levai le giacca e sprofondai sul divano, cercando di non pensare all’interrogazione di storia che avrei dovuto preparare per il giorno successivo. Accesi svogliatamente la televisione perché non avevo fame: strada facendo avevo ingurgitato tre tramezzini e una Coca Cola. Una scema annunciava le notizie del telegiornale con voce flautata. Imprecai tra i denti perché i Simpson erano già finiti. Maledizione. Non un giorno che riuscivo a vederli. Poi un particolare catturò la mai attenzione. Il tono di voce della Scema si era fatto solenne quando diceva:

"Il famoso assassino noto come "Lo Scuoiatore" ha ucciso ieri sera per la quinta volta in un mese. Gli inquirenti sono disorientati, le modalità del delitto risultano analoghe a quelle precedenti: questa volta la vittima è Angelica Mariani, sedici anni. Mentre era sola a casa il killer è penetrato nell’appartamento, e, dopo averla uccisa a coltellate, ha estirpato il cuore della vittima, tenendolo con sé come macabro ricordo dell’impresa. La vittima, come le precedenti, era sola nella sua casa, ed aveva un’età compresa tra i quattordici e i diciassette anni. A Roma torna la paura"

Ricordandomi di avere anch’io sedici anni mandai al diavolo l’annunciatrice e cambiai canale. Nel corso di un talk-show un padre di famiglia confessava tra i singhiozzi di essere un finocchio per la gioia dell’annunciatrice. Spensi definitivamente la tivù, sconsolato. Al programma sul wrestling mancavano ancora un paio d’ore, e nel frattempo non avevo idea di cosa fare. La mia mente si posò un attimo sul pensiero dell’interrogazione di storia, e mi affrettai a maledirmi e a maledire la professoressa nelle sue ultime sette generazioni. Dopo una lacerante riflessione decisi di mettermi a leggere un fumetto: una di quelle boiate giapponesi che avevo comprato tempo prima in un momento di non lucidità mentale. Il protagonista, un certo Shirozu, si impegnava come un disperato per conquistare l’amore della bella Kazuko. Dopo cinque minuti, in preda ad una rabbia indeterminata, stavo già facendo a pezzi il giornaletto, e dedicando pensierini gentili alla madre del disegnatore. Avevo sempre odiato i fumetti e i cartoni giapponesi.

Con il libro di storia sotto braccio decisi di andare al gabinetto. Unire l’utile con il necessario: poteva essere una buona idea. Dopo una mezzoretta avevo espletato il bisogno fisiologico e tentavo invano di ripetere un paragrafo del libro, tra un anatema e l’altro.

Quando finalmente riuscii a ripeterlo scorrevolmente uscii dal bagno e passai al paragrafo successivo. Mi sedetti alla scrivania. Quando ormai il secondo paragrafo era ormai memorizzato qualcosa mi si accese nel cervello; se non stavo diventando sordo sentivo un rumore. Ripensai al volto ebete della Scema, e alle scorribande dello Scuoiatore; di nuovo mi maledissi e continuai a studiare. Ma il rumore continuava a ripetersi, e ad aumentare d’intensità. Poi capii: un rumore secco, inconfondibile. Qualcuno aveva aperto la porta di casa mia. Cominciai a passare in rassegna chi potesse essere ma nessuno, tranne la Vecchia, aveva le chiavi. Feci un rapido conto: un mazzo le avevo io, un mazzo la Vecchia, il terzo mazzo, quello d’emergenza, quand’ero entrato era sul tavolo della cucina. Tesi le orecchie angosciato: rumore di passi. Ma non erano i passi della Vecchia, zoppa da una gamba, che ogni volta faceva un gran fracasso perché era anche mezza cieca e andava a sbattere; no, erano passi decisi. Di un uomo. Dello Scuoiatore.

Chiusi il libro di storia mentre i passi continuavano, e mi infilai sotto il letto. Il mio fianco si poggiò su qualcosa di schifosamente duro, e dovetti mordermi la lingua per non strillare come una iena. Mentre era già cominciata l’ondata di maledizioni, realizzai che l’oggetto spaccafianco era in realtà il vocabolario di latino. Ecco perché non lo trovavo. Inveii contro la mia deficienza, poi mi ricordai improvvisamente dell’intruso. I passi si avvicinavano. Pensieri e segmenti di pensieri mi passavano per la testa, senza riuscire a collegarli e a creare una sequenza logica. L’unica cosa che rimbalzava nella mia mente bacata era che anch’io avevo sedici anni, e che stavo a casa solo. Anzi, no, solo no; con me c’era un serial killer. E in quel momento successe quello che avevo sempre saputo. Intravidi due piedi muniti di anfibi e realizzai che lo Scuoiatore era entrato nella stanza. Poi un rumore metallico. Rabbrividii vedendo che a mezzo metro dal mio corpo c’era un coltello da macellaio lucente. Dopo ogni delitti lo Scuoiatore lo puniva meticolosamente. Bastardo. Trattenni il respiro per tutto il tempo – una manciata di secondi, ma mi parvero anni – in cui una mano guantata raccoglieva l’arnese da cucina. Naturale, non poteva lasciare impronte. I guanti erano obbligatori.

Tutto d’un tratto la mia mente in subbuglio cominciò a riordinarsi. Ma certo, che idiota a non averci pensato prima. Impugnai istintivamente il vocabolario, e, nello spazio seppur minimo che avevo che muovermi, cercai di concentrare tutta la mia forza nel braccio sinistro. Ormai sarei morto, mi avrebbe visto; ma se lo avessi preso bene, la caviglia del bastardo sarebbe partita. E ci sarebbe stato tempo a sufficienza per uscire fulmineamente da sotto il letto e stendere lo Scuoiatore con un calcio sulle gengive fatto bene. Naturalmente, però, in caso di errore sarei morto.

Sarei finito sulla bocca della Scema o di qualche altro scemo, sarei diventato una notizia da telegiornale. La sesta vittima dello Scuoiatore. Sorrisi al pensiero che probabilmente non sarei più stato interrogato in storia, e in nessun altra materia, poi mi venne da piangere. Lasciai sgorgare le lacrime in silenzio mentre l’assassino aveva deciso probabilmente di mettere le radici nella camera. Ma appena sarebbe stato sotto tiro…

Passarono trenta secondi, poi lo Scuoiatore si portò ancora una volta in prossimità del mio corpo raggomitolato e sudicio di polvere. E decisi che era il momento. Impugnai l’elegante vocabolario cartonato come ci si aggrappa all’ultima speranza. Caricai. E lasciai andare.

 

Lo Scuoiatore imprecava dolorante toccandosi la caviglia sanguinolenta. A quel punto feci per uscire. Quando realizzai che la mia felpa Nike era rimasta impigliata nella rete del letto mi sentii gelare. Lo spazio era troppo esiguo per sfilarmela. E lo Scuoiatore si stava riprendendo; la mia mente era pervasa da un caos primordiale; era un susseguirsi di luci psichedeliche, o forse di stelle cadenti. Insomma, stavo morendo: cominciai a vedere tutto sfocato... l'ultima cosa che ricordo è un coltello sporco di sangue, che penetrava ripetutamente nella mia carne... penetrava e lacerava e lacerava e lacerkoslghhhh... ghhh...

 

Mi svegliai, il vestito imbrattato di un liquido rosso. Un filo di sole filtrava dalle veneziane abbassate. Mandai al diavolo le mie fantasie; durante quest’ultimo periodo ero proprio esaurito. Avevo sognato di essere ammazzato dallo Scuoiatore. Che stronzata. Sapevo che non era possibile.

Mi versai un bicchiere di latte, e lo sorseggiai avidamente per un paio di minuti. Poi aprii il frigo per prenderne ancora. E sorrisi, alla vista della mia impeccabile collezione di cuori umani.

 

Malattia mentale di Emandini

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