Il tuo ultimo sibilo

Si guardò intorno soddisfatto; nemmeno una macchiolina. Tutto perfettamente pulito, lindo; era sempre così, non poteva essere altrimenti. La figura alta e snella si infilò l'impermeabile ed uscì dall'abitazione con estrema disinvoltura. Appena chiusa la porta alle sue spalle, si frugò nelle tasche e ne estrasse un'agenda di cui non era impossibile indovinare il colore originario. La aprì e girò lentamente le pagine logore ed incrostate, appoggiato sul corrimano del pianerottolo. Tirò fuori una penna dal taschino della camicia, e tracciò meticolosamente alcune lettere sul libretto. Alla fine i segni grafici avevano formato il nome di Linda Anderson. Mentre chiamava l'ascensore sorrise, e le sue labbra lasciarono intravedere qualcosa di animalesco.

L'uomo basso e tarchiato si stava aggiustando la cravatta marrone di pessimo gusto. Non doveva essere un buon segno; ogni volta che il Cobra uccideva lui si sentiva come soffocare, ed automaticamente si portava una mano al colletto. Forse era una coincidenza, ma era già stato parecchie notti a pensarci sopra, e non poteva essere così: all'inizio non ci aveva fatto caso, ma poi si era reso conto. Ogni omicidio sentiva un'inspiegabile stretta al collo, e il dolore durava per due o tre minuti. Era già un minuto e mezzo e non accennava a passare; cazzo, quel bastardo ne aveva fatta fuori un'altra. Ormai quella maledetta storia era durata diciannove mesi; cominciava a pensare che non sarebbe mai finita. Sconsolato chiamò l'ascensore, avvertendo nell'aria un impercettibile rumore simile ad un sibilo; ma probabilmente non se ne rese neanche conto.

Si passò tre dita tra i capelli biondo platino, e raccolse appena in tempo un grumo di trucco in procinto di schiantarsi al suolo. Non avrebbe dovuto mettersi i tacchi quella mattina; i piedi ormai facevano un male tremendo, senza contare che il mal di testa non accennava a diminuire neanche dopo tre aspirine. Il corridoio le sembrava non finire mai; quando intravide da lontano due figuri, uno alto ed uno basso, di fronte all'entrata di un ascensore, respirò a fondo, e pensò che tra poco sarebbe stata a casa.

L'ascensore si schiuse, con un gorgoglio degno di un brodo primordiale. I due uomini entrarono velocemente, mentre la donna affrettò il passo; riuscì a scivolare all'interno un attimo prima della chiusura delle porte. Blaterò una parolaccia quando si accorse che dovevano scendere ben trentasei piani. L'uomo basso aprì il portafoglio, per cercare l'aspirina che si portava sempre con sé: il dolore stava passando, ma l'avrebbe presa per precauzione. Qualcosa scivolò dal portafoglio e finì a terra. Sembrava una tessera; si chinò per raccoglierla quando una voce gli riempì l'orecchio:
"Lei è un poliziotto?" chiedeva sorridendo l'uomo alto dal fisico scheletrico
"Sono l'investigatore Barnes, della Squadra Omicidi" rispose il grasso raccogliendo il suo tesserino
La donna sbatté impercettibilmente le sopracciglia. Stava per aprire bocca, poi ci ripensò; il silenzio durò alcuni secondi, prima che la bionda si decise e chiese:
"E' vero… quello che scrivono i giornali su… su quel serial killer?"
Barnes la squadrò un paio di volte prima di risponderle: "Il Cobra, si. Uccide donne e ragazze sole. Pulisce l'appartamento delle vittime dopo i delitti. Le chiude negli armadi delle loro case, o le mette a letto, a scelta"
"E' vero… che lo chiamano… Cobra… perché…"
Barnes la guardò negli occhi fulminandola con lo sguardo. La fitta al collo stava passando, ma quella storia non gli piaceva per niente.
"Le avvelena" disse lentamente "con un morso. Non siamo riusciti a capire come sia possibile"
"Una malformazione genetica" la voce dell'uomo secco risuonò metallica nell'ascensore "forse è una specie di uomo serpente"
Barnes sbatté le ciglia pensoso; in quella dannata scatola di ferro c'era qualcosa che non andava. Intanto la spia rossa annunciava che l'ascensore era al ventinovesimo piano.
"Dio che orrore…" l'incerta voce femminile si era fatta indignata "se ho capito bene… fino ad adesso…"
"Ha commesso quarantuno omicidi" ribatté secco Barnes "con quello di… di stamattina… quarantadue…"
"Di stamattina?" L'uomo secco cominciava a diventare bianco più di quanto non fosse
"Gesù… mica l'avrà rifatto?" biascicò la donna
"Il cadavere ancora non è stato trovato. Ma ha ucciso una persona anche stamattina; glielo posso garantire"
La fronte dell'uomo alto era decorata da enormi goccioloni di sudore.
"Come lo sa?" sibilò
"Io lo sento. E' difficile da spiegare. Ma lei sta sudando…"
"…fa un fottuto caldo dentro questo ascensore"
Ma non era vero: erano esattamente sedici gradi all'interno quando lo scatolone di ferro oltrepassava il ventesimo piano. La sua mente era un succedersi di luci psichedeliche. Come diavolo era possibile? Quello sbirro prevedeva i delitti? Non ci poteva credere. I suoi delitti… c'era solo una soluzione da applicare: ma c'era un'altra persona nell'ascensore… non avrebbe avuto veleno a sufficienza, dato che l'aveva usato poco fa. Un morso sarebbe andato bene, ma poi avrebbe dovuto usare le mani. E poi? Quando l'ascensore si sarebbe aperto? Non poteva passare inosservato. Ma non voleva finire in galera per il resto dei suoi giorni. Diciottesimo piano… diciassettesimo… forse c'era un modo… doveva farlo: il tempo si stava esaurendo.
"Lo sa che anch'io ho una piccola malformazione?" la voce dell'uomo era giunta all'orecchio di Barnes metallica, diabolica
La donna fece un passo indietro, andando a sbattere al pannello dei bottoni; l'ascensore si bloccò bruscamente al quindicesimo piano. Barnes intanto stava portando una mano alla pistola di ordinanza, che rigonfiava la sua tasca sinistra.
"Ci sono nato" continuava l'uomo "fortunatamente non mi provoca alcun fastidio quando mangio…"
Lentamente aprì la bocca. Le labbra si deformavano in una smorfia disumana, mentre una spaventosa lingua verde biforcuta fuoriusciva dal palato emettendo dei sibili infernali. All'investigatore bastò uno sguardo, per capire che in quel momento la sua vita era in grave pericolo. Impugnò la .38 con entrambe le mani come se fosse stata la sua ultima speranza
"Fermo Cobra! Ti dichiaro in arresto per omicidio plurimo. Hai il diritto di non parlare, ogni cosa che dirai potrà essere usata contro di te in tribun… ahh!"
Barnes cadde a terra inerte, con due minuscoli segni blu stampati sul collo. Mentre si divincolava e si contorceva assumendo posizioni innaturali, dalla bocca fuoriusciva una gorgogliante schiuma bianca, che impregnava il colletto e la cravatta marrone. Cercava di tenere aperti gli occhi, che però volevano chiudersi a tutti i costi; tentava di parlare ma avvertiva solo un tremendo dolore alla gola. Negli ultimi secondi della sua vita, una fitta di dolore attraversò tutto il collo. No, decisamente non poteva essere una coincidenza. Dopo un paio di minuti, l'ascensore ripartì. Il Cobra si era sottovalutato; non pensava di poter avvelenare due persone quasi contemporaneamente. Per lui era una novità assoluta; ogni giorno diventava più potente. Uscì dall'ascensore e si immerse nell'oscurità sporca del seminterrato, dove non c'era mai nessuno. Doveva uscire velocemente; entro dieci minuti li avrebbero trovati. Per fortuna aveva imparato ad arrampicarsi. Si attaccò su un muro e, come un viscido rettile, arrivò ad una finestra a circa dieci metri da terra. Forzò le inferriate con estrema facilità, e si ritrovò sul marciapiede. Mosse tre passi e fermò a specchiarsi nel riflesso della vetrata di un negozio: il Cobra si era sporcato la gonna, e alla scarpa sinistra mancava un tacco. Tutto sommato, però, non importava.

"Quando arriva questo cazzo di ascensore?"
Jeremy aveva cinquantasei anni e rischiava seriamente di perdersi la partita dei Los Angeles Lakers in tivvù. Tutto per quello scatolone che saliva al rallentatore; ma in quello schifoso grattacielo non c'era uno straccio di tecnico?
"In effetti, io aspetto da cinque minuti. Tutto ciò è alquanto disdicevole"
Marita aveva settantatré anni, due figli, tre nipoti, ed una certa fretta di andare a casa. Passarono trenta secondi e finalmente arrivò. Le porte si aprirono lentamente, lasciando intravedere due corpi in un lago di sangue. Marita stramazzò al suolo rantolante, in preda ad un attacco di cuore; ma Jeremy non la guardò nemmeno. Aveva gli occhi sbarrati e continuava a fissare la scena: due uomini, uno alto e secco, l'altro basso e tarchiato, giacevano in una sorta di spaventosa contorsione umana. Il sangue zampillava copioso da un paio di microscopici fori sui colli degli individui. In un angolo dell'ascensore, un paio di centimetri di tacco nero erano ormai diventati rossi. Jeremy si avvicinò, ancora incredulo, incapace di parlare. Uno dei due individui aveva un'orribile lingua biforcuta che sporgeva dalle labbra. Non aveva mai visto niente di simile; si chinò sui corpi, e provò a sentire i battiti cardiaci. Aveva appena poggiato l'orecchio sul petto del tizio basso, quando sentì una serie di mani afferrarlo da dietro. Poi un accavallamento di voci:
"Mio Dio! E' orribile!"
"E' il Cobra! Abbiamo preso il Cobra!"
"Guardate come sono ridotti questi due…"
"Questa signora è morta. Probabilmente ha morso anche lei, anche se non vedo sangue…"
"Cristo, è un mattatoio"
"Diventeremo famosi!"
I quattro uomini della security si allontanarono, tenendo Jeremy ben stretto con le loro braccia energiche.

Una produzione di Emandini

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