SOL PER NOCTEM [Rx07]

(di Stefania Murazio)

 

[Dal diario personale di Daniel Joe Brown.]

New York, 14.03.2086

 

 

'Ogni mia fibra era stata scossa, quel mattino di ottobre del 2083. Mi ero trovato per caso nella biblioteca multimediale del grande studio quando il mio sguardo fu attratto da un vecchio schedario, di quelli che nessuno usa più da almeno cinquant'anni. Ricordo, come se fosse ieri, di averlo aperto e di avervi trovato centinaia di cartelle tenute in ordine alfabetico. Non si poteva capire molto. Era chiaro che molti files erano stati distrutti parzialmente da un incendio, altri avevano superato appena la prova del trascorrere del tempo. ma ero rimasto affascinato da ciò che intuiì. Chiesi il permesso al mio diretto superiore di poter recuperare quei documenti. Il vicedirettore Jack Rokert mi concesse un po' di tempo per quel lavoro: due mesi. Ricordo la gioia nel sapere di essere assegnato ad una mansione tanto importante per me.

 

Giorno e notte, leggendole, sistemai le cartelle in ordine cronologico anziché alfabetico. Erano rapporti scritti da una mente lucida. Una mente che non avrebbe potuto sbagliare nelle sue giustapposizioni. Ogni singola frase era comprovata da ragionamenti logici e puntigliosi. Sembrava il lavoro di menti abituate a dover lottare con i cavilli giuridici, con le false affermazioni. A firmare i rapporti due nomi quasi sempre insieme: Dana Katherine Scully e Fox William Mulder.

 

Dopo aver letto di strani rapimenti da parte dei cosiddetti extraterrestri, dopo aver conosciuto i particolari sconcertanti di mostri vissuti nelle viscere della Terra, avevo pensato che quei due agenti dell'FBI fossero solo caricature di uno strano fumetto a colori. O forse, se persone vere, erano semplicemente pazze.

 

Feci delle ricerche su entrambi e scoprii che erano esistiti realmente. L'uomo, Mulder, aveva creato la sezione X-Files per una manìa personale. La donna, Scully, era stata affiancata a lui successivamente per screditarlo. Ma dopo il primo caso risolto insieme, i due iniziarono a fare coppia fissa. Dopo poco tempo, Scully fu rapita da qualche strano ente. Rimase via tre mesi dopodichè, in circostanze mai accertate, ritornò in coma in un letto d'ospedale. Lei ed il suo collega avevano iniziato una guerra contro chi voleva che quei casi fossero seppelliti nell'oblìo della dimenticanza. Erano stati screditati più di una volta. Più di una volta avevano iniziato la loro disperata ricerca della verità dal punto zero. Se fossi stato al loro posto, non avrei mai sacrificato tutta la mia vita ad una missione che sarebbe stata cestinata. Loro hanno rinunciato alle croci e delizie della vita normale di ogni giorno. Hanno rinnegato il battere irregolare di un cuore innamorato. E tutto per approdare in un isola dove l'unico abitante è la consolazione di aver trovato un compagno di viaggio. Un Venerdì matto che ti dà retta solo perché parlate la stessa lingua.

 

 

In due mesi, quei due matti erano diventati un punto di riferimento, il mio legame con un mondo che ormai non esisteva più. Stavo studiando con una passione che non sapevo esistesse in me, i casi risolti da due fantasmi dell'investigazione. Dopo quel tempo trascorso a cercare ogni singola informazione sui due agenti più disprezzati dell'FBI, avevo pensato di scrivere un opticalbook. Invece, Rokert mi assegnò al mio vecchio incarico di ricercatore informazioni utili alle indagini in corso. A malincuore misi da parte gli X-Files. Non ci pensai più fino a quando, un mese più tardi, trovai per caso tra la mia collezione di antichità, una vecchia foto sbiadita. Un uomo e una donna erano seduti su una panchina in quello che, probabilmente, era un giardino all'aperto. Lei, toccandogli uno strano indumento -che scopriì essere una cravatta- gli sorrideva. Lui le ricambiava il sorriso scostandole la mano. Dietro la foto i loro nomi erano scritti con calligrafia minuta e precisa. La data era il 12.04.98. Decisi di riprendere in mano gli x-files. A quel punto, se non interessava al WBI, riguardava me, una mia passione personale. Sacrificando il mio lavoro di ricerca, sono riuscito a lavorarci su per tre anni. Ma Rockert se ne accorse e mi sospese dal lavoro a tempo da determinare. "Non ritorni in ufficio fino a auando non avrà recuperato tutta la sua salute mentale, agente Brown! Lei ha disobbedito ad un ordine del suo diretto superiore. Ha portato avanti un lavoro che le avevo ordinato di chiudere. Torni a casa. Le farò sapere io delle conseguenze di questo suo assurdo quanto inaspettato comportamento negativo". Richiuse sbattendo la porta del mio ufficio, quando uscì. Ero sconsolato. Ma quel periodo di sospensione mi avrebbe concesso del tempo prezioso da dedicare al mio lavoro di ricerca. Appena tornato a casa, ricevetti un messaggio dal mio ufficio che mi informava di essere stato sospeso dal lavoro per almeno due mesi. Causa: indisciplina. Decisi di andarmene in vacanza. Lo comunicai al beaureau il quale mi diede il permesso. Chiesi un arco di tempo "meno novanta". Mi fu concesso. Controllai che ogni variabile fosse giusta per il mio viaggio. Le consegnai all'agenzia viaggi temporali. Decisi di partire il giorno dopo la mia sospensione. Portai con me solo due cose: il manuale di sopravvivenza "meno novanta" che mi avrebbe permesso di vivere secondo le regole del periodo, e la fotografia delle due persone che mi hanno permesso di scoprire un sentimento che non mi aveva mai toccato: la passione. La stessa passione che oggi non esiste più tra i sentimenti degli uomini.

 

Avevo già viaggiato nel tempo ma mi sono sempre proiettato nel futuro. Il passato non mi interessava. Quando entrai nella cabina di vetro che avrebbe dovuto portarmi nel 1998, ero emozionato e spaventato. Gli organizzatori mi avevano fatto indossare degli indumenti scomodi che erano, però, necessari per non dare nell'occhio alla gente locale. Il tempo di entrare in cabina e mi ritrovai catapultato ad un paio di anni prima dell'epoca del grande disfacimento che caratterizzò il mondo della fine del secondo millennio.

 

Ogni viaggio ha degli inconvenienti iniziali. Dopo essere entrati nella macchina ed aver azionato il programma, si cade in uno stato di incoscienza. I sentimenti, le sensazioni, tutto si sgretola per ricomporsi al momento dell'arrivo a destinazione. Si vive il distacco completo da spazio e tempo. Lo sapevo. Ma ero comunque impreparato. E lo capiì definitivamente solo dopo il mio approdo alla stazione di arrivo: il parcheggio di un grande magazzino. La mia anima fu assalita da mille colori, odori, sensazioni nuove e mai provate prima. Eppure era la mia città. Diversa, ma sempre lei. Le risa dei bambini ancora spensierati, la varietà dei negozi, la libertà di parlarsi senza controlli elettronici. Il calore. D'un tratto, mi svegliai da quello strano incantesimo. Sentiì sul mio viso del calore. Sì, il calore del sole. Il sole vero. Scaldava già poco, ma c'era ancora. Ed il cielo era la sua casa e la luna la sua compagna. Provai il dolore del rimpianto. Il rimpianto di quello che abbiamo perso in meno di un secolo. Ma continuai. Con il mio esiguo bagaglio, decisi di seguire le prime regole contenute nel mio manuale. Il primo punto prevedeva la ricerca di un posto dove trascorrere il periodo di vacanza. Lo feci. Affittai un piccolo appartamento, -era arredato con mobili stranissimi, c'era anche una cosa chiamata telefono- dopodichè andai in giro per quella città che non mi apparteneva. Solo ora lo scoprivo nonostante i miei antenati siano sempre stati abitanti di New York. Lo stile di vita che mi accingevo a conoscere era stato, fino a momenti prima, un insieme di informazioni impiantate nella mia mente attraverso un microchip. Ma non era lo stesso. Mi incamminai per Manhattan, la vecchia Manhattan, e d'un tratto scorsi da lontano un'isola di verde. Che strano, io a New York il verde non l'avevo mai visto. Mi incamminai in quella radura che scopriì chiamarsi Central Park e provai una gran voglia di piangere. Da bambino avevo chiesto ai miei genitori di poter vedere da vicino la natura che avevo studiato a scuola. Ma loro rifiutarono. Non era possibile. Gli animali erano sotto protezione e le poche riserve d'ossigeno erano affidate a qualche sparuto albero anch'esso sotto protezione. Avevo sempre sentito il desiderio di toccare la consistenza d'una foglia vera, il profumo d'un fiore. Ed ora che ero lì a vivere il mio sogno di sempre, provavo il desiderio di portare con me quel mondo a parte. Ma non potevo farlo. Di nuovo. Comprai una di quelle bizzarre macchinette con cui catturare le immagini. Fotografai ogni cosa. I bambini, le macchine, i vestiti, i colori, il cielo. Anche gli uccelli e i tombini da cui sbuffavano strane folate di calore. Nessuno sembrava curarsi del mio modo infantile di guardare la città. Per quelle persone ero un turista, uno dei tanti che affollano da chissà quanto tempo New York per visitarla col naso all'insù. Ritornai a Central Park e ad ogni passo ogni cosa che avevo solo immaginato o studiato acquistava la consistenza della realtà. Possibile che tanto verde si trovasse nel bel mezzo di una città, che gli scoiattoli potessero gironzolare tra gli uomini e che questi considerassero logico vivere così? Chi ha iniziato a distruggere tutto? Gli esseri umani? Non posso crederci. Persone con sentimenti tanto elevati da creare opere d'arte che hanno resistito nei millenni, perché avrebbero dovuto distruggere tutto in pochi decenni? Di questa New York, nel 2086 non è rimasto un solo grattacielo, un solo scoiattolo o area verde. Il sole non riesce a scaldare neppure d'estate. Ed i miei concittadini, quelli che vivono nel dorato futuro, non sentono la mancanza di tutto questo. Sono contenti di vivere in scatolette quadrate, tutte uguali, sono soddisfatti del cibo precotto che mangiano, intenti come sono a lavorare e a cercare nuovi metodi per saziare ogni abitante della terra strapopolata. I bambini non hanno la luce della vitalità negli occhi. E invece i bambini di un secolo fa, riuscivano ancora a giocare spensierati.

 

Ricordo di essermi rattristato per simili pensieri. Ma durò poco. Il mio intento era quello di godermi il passato e, soprattutto, incontrare chi ha cambiato lo svolgersi del mio pensare quotidiano. Chiesi informazione al mio orologio transtemporale. Ad un mese dal mio arrivo, che era avvenuto il 12.03.98, i miei colleghi del passato sarebbero stati ospiti di New York per assistere ad un seminario sulle nuove tecnologie a disposizione dell'investigazione. Il mio viaggio nel tempo non mi consentiva di valicare i limiti di spazio. Avrei dovuto rimanere a New York fino alla fine della mia vacanza. Se avessi superato questo limite, avrei infranto il regolamento del contratto e avrei dovuto tornare nel 2086. New York mi avrebbe offerto tanto da poter riempire bene ogni istante della mia permanenza. Tanto valeva godersela, aspettando che Mulder e Scully mi venissero incontro.'

 

 

Mentre Daniel si era preso una vacanza obbligata dal lavoro, nella sua epoca si stava consumando una tragedia. Un caso che, senza saperlo, avrebbe risolto proprio grazie alla sua sua fuga dal futuro.

 

 

Manhattan, New York

Un mese dopo

12.04.98 h.12.20 a.m.

 

 

"Non so tu ma io, con il mio computer, ci litigo sempre. Non mi ispira fiducia e poi preferisco affidarmi alle mie capacità di umano che ad una macchina che potrebbe guidare da sola"

 

"Applichi il tuo motto 'non fidarti di nessuno' anche alla tecnologia, eh? Ti dirò, se un giorno dovessero inventare un robot che esegue le autopsie al posto mio, io ammirerei e sarei piena di rispetto per chi lo ha progettato".

 

Mulder e Scully erano per strada e, dopo aver trascorso quasi quattro ore a sentir parlare un gruppetto di specialisti in tecniche futuristiche, lo stomaco aveva iniziato a fare le capriole ad entrambi. Avevano deciso di andare a mangiare qualcosa alla fine del convegno che Skinner gli aveva imposto di andare a seguire per distogliersi un po' dal lavoro. Si erano incamminati per Manhattan e il Blue Spirit Cafè, con la sua atmosfera rilassata e un po' surreale per New York, era sembrato il luogo ideale. Avevano preso posto ad uno dei tanti tavoli dalle tovaglie blu e stavano per ordinare il pranzo, quando si avvicinò loro un individuo dalla strana espressione beata che, fino a cinque secondi prima, era seduto al tavolo alle loro spalle.

 

 

[dal diario] Quella mattina del 12.04.98, giusto dopo un mese dal mio arrivo nel passato, Rokert mi aveva contattato per avvisarmi di un caso che io avevo già studiato durante il mio lavoro di recupero degli X-Files. Il caso Tooms si era ripresentato ed il mio superiore mi aveva ordinato di approfondire l'argomento visto che ero sul luogo del fatto e che i due agenti erano proprio lì, a New York. Avrei dovuto incontrarli al Blue Spirit Cafè a Manhattan alle 12:40, quando loro sarebbero andati lì per il pranzo. Ero puntuale ed emozionato. Mi avvicinai incredulo al loro tavolo.

 

"Buongiorno. Ehm... vi chiedo di scusarmi, ma siete gli agenti dell' FBI Mulder e Scully, vero?". Mi rispose Mulder.

 

"Sì, siamo noi. Possiamo esserle utili signor..."

 

"Il mio nome è Daniel Joe Brown. Sono un vostro allievo, se posso definirmi tale. Ho studiato tutti i casi che avete risolto insieme. I cosiddetti X-Files. Vi ammiro molto". Mulder mi guardò in modo strano. Tipico di un uomo che sa bene di non doversi fidare. Mai.

 

"Beh, questo ci lusinga molto specie considerato il fatto che nessuno vorrebbe trovarsi al nostro posto, visto i casi che affrontiamo. Non sapevo nemmeno che fossimo materia di studio… Ci ha avvicinati per questo signor... Brown?"

 

"Sì, ma non solo. Vede, ho per le mani un caso piuttosto bizzarro e gradirei il vostro aiuto. Anche se non ho alcun diritto a chiedervelo"

 

"Lei è un agente federale, uno sceriffo...?"

 

"No, io provengo da molto lontano"

 

"Beh, per non essere cittadino americano, parla bene la nostra lingua". Fu Scully a rivolgersi a me. Che grazia!

 

"A dire il vero, non intendevo lontano in quel senso". Mulder mi invitò a sedermi al loro tavolo. Perché non avrei dovuto accettare? Parlammo molto del convegno cui i due agenti federali avevano assistito, ma Mulder si sentiva chiaramente non a suo agio. Il discorso fu portato avanti da me e Scully che sembrava affascinata dal mio modo di esporle le mie teorie sul futuro che avevo già visto e che loro potevano solo immaginare, ma che era molto più prossimo di quanto loro avrebbero mai creduto.

 

"Ogni cosa avrà un suo posto specifico. Anche l'uomo. Ogni casa sarà programmata come oggi lo è un forno a microonde o un personal computer. Vi sveglierete e, in cucina, la colazione sarà calda e fumante sul tavolo. La macchina sarà già accesa e pronta a partire. Uscirete di casa e i piatti si laveranno e ritorneranno da soli al loro posto. Le malattie saranno curate in modo diverso da oggi. Basterà un innesto sottocutaneo e l'uomo sarà preservato da malattie come il cancro, la tubercolosi..." Mulder interruppe la mia conversazione con Scully.

 

"Signor Brown, perché invece di ipotizzare il futuro, non ci parla del caso che ha accennato poco fa?"

 

"Agente Mulder, è un discorso molto complicato e vorrei darvi appuntamento per stasera per parlarne ampiamente. Anzi, vi invito a cena. Ne parleremo lì, se vorrete." Ricordo di essermi alzato dal tavolo e di averli salutati dopo avergli dato appuntamento al "Twenty-one" un club esclusivo di Manhattan. "Stasera vi aspetto. Tanto, le cattive condizioni del tempo non vi permetteranno certo di tornare a Washington. Arrivederci".

 

 

Quando Daniel se ne fu andato, Mulder e Scully rimasero a tavola ancora un'oretta. Il tempo di finire il loro pranzo quando, d'un tratto, Mulder guardò fuori dalla vetrata del locale

 

"Senti Scully, cosa vedi di strano lì fuori?". Dana lo guardò chiedendosi se il suo collega non fosse già proiettato nel suo lavoro

 

"Non lo so Mulder. Cosa può esserci di strano in una città come New York? La gente non si scambia sguardi, i taxi non si fermano quando li chiami, il cielo non può essere scorto facilmente a meno che non ruoti la testa indietro di novanta gradi. Che c'è di strano? E' tutto normale"

 

"Quel Brown ha detto che non saremmo partiti per Washington a causa del maltempo. Ma a me non sembra che stia per piovere"

 

"Magari l'ha detto per trattenerci qui ancora un pò". Fox guardò la collega come a darle ragione di quella supposizione. Finito di pranzare, si fermarono all'hotel dove altri colleghi, poliziotti e gente comune, avevano preso camere per partecipare al convegno. Al Midtown's presero com'era loro solito, due camere e, come al solito, una di fronte all'altra. Avevano già deciso che quella sera sarebbero andati all'appuntamento del loro "discepolo" -come si era definito Daniel-. Mulder era nella sua camera quando Scully, ormai pronta, bussò alla porta per spronarlo a sbrigarsi. L'appuntamento era per le sette. Non sarebbe stato cortese presentarsi in ritardo da un collega che voleva incontrarli per parlare di lavoro.

 

"Metti qualcosa di pesante Mulder. Il nostro amico aveva ragione. Il tempo ha preso una brutta piega, stasera. Piove e c'è un forte vento"

 

"Col sole di oggi?! Questo si che è strano. Anche per una città imprevedibile come New York".

 

Fuori dall'hotel, Mulder ci mise un po' a far fermare un taxi, ma alla fine vi salirono e chiesero all'autista di portarli a destinazione. Appena entrati al "Twenty-one", non riuscirono a scorgere immediatamente il loro ospite. In effetti, furono accompagnati ad un separè. Lì era seduto tranquillamente Daniel.

 

 

[Dal diario] Quando li vidi arrivare, tutta l'ansia che avevo accumulato durante il giorno sparì. Ero certo che non sarebbero mancati all'appuntamento, ma non sapevo come affrontare il mio problema con loro. Mi avrebbero creduto? Appena furono abbastanza vicini, mi alzai per salutare l'agente Scully con un sorriso ed una stretta di mano e lei, con il suo splendore, ricambiò e si sedette alla mia destra. Mulder prese posto accanto a Scully, di fronte a me. Iniziammo a parlare di cose futili io e l'agente Scully. Parlammo di New York e delle sue mille contraddizioni. Parlammo dei sogni che in questa città, come d'incanto, sapevano avverarsi. Mi rivolsi a Mulder il cui sguardo sembrava perso nel vuoto.

 

"Agente Mulder, lei non ha dei sogni che vorrebbe realizzare?"

 

"A me bastano già i sogni incomprensibili di ogni notte e l'inesplicabilità che vivo ogni giorno della mia vita". Sapevo a cosa si riferissero quelle parole. Lo sapevo solo perché ero a conoscenza di tutto ciò che avevano visto lui e la sua collega…

 

"Conosco le domande che, in questo momento, vi state ponendo. Ed io sono in grado di rispondere a tutte. Ma non ora. Vi ho invitati qui, stasera, per parlarvi di qualcosa che, sono sicuro, non vi aspettate. Ho il dovere di dirvi, prima di qualsiasi altra cosa che, se intenderete fare delle indagini sul mio conto, non troverete nulla che possa condurvi a me. Ma, nonostante questo, ho bisogno del vostro prezioso aiuto" Scully seguì con lo sguardo ogni singola espressione del mio viso e intervenne quando ebbi finito di parlare

 

"Di cosa si tratta signor Brown?". Spiegai, senza tralasciare nulla, il caso fronteggiato dai miei colleghi nel 2086. Gli dissi, con più tatto possibile, che alcuni miei concittadini, avevano trovato la morte in modo bizzarro. Nonostante i locali, dove i soggetti si trovavano al momento della loro aggressione, fossero chiusi a chiave o comunque senza via d'accesso apparente, le vittime erano morte in seguito ad estirpazione del fegato. Apparentemente, a mani nude. Gli usuali metodi di indagine avevano condotto ad un nome: Victor Hugene Tooms. Non nascondo a me stesso la vergogna che provai nello scorgere sul volto dell'agente Scully un'espressione di indefinibile ilarità. Mulder si alzò di scatto dalla sedia

 

"E' stato un piacere conoscerla signor Brown. Nonostante tutto. Arrivederci". Dana fece segno di alzarsi per seguire il suo collega ma la trattenni per un braccio. Mulder, accorgendosi del mio gesto, si fermò ed io potei dirgli ciò che sentivo dentro.

 

"A parte il fatto che mi aspettassi una sua reazione totalmente diversam, agente Mulder, le chiedo di ascoltarmi. Lei pensa che io sia fuori di testa, ma potrei sorprenderla. Da quello che so, quel Tooms potrebbe scomparire da un momento all'altro". I due agenti federali si guardarono come a chiedersi conferma di rimanere ad ascoltare. Si risedettero ai loro posti ma fu Scully a parlare

 

"Noi abbiamo risolto quel caso più di due anni fa. Le assicuro che Tooms è deceduto in un gran brutto incidente al quale noi abbiamo assistito" "Evidentemente, avete sottovalutato quell'uomo. E' vivo e, l'organizzazione per la quale lavoro, non ha idea di come comportarsi. Io studio da anni i casi che voi avete risolto durante la vostra attività. Ho tentato di capire come voi siete arrivati a risolvere il caso di Tooms"

 

"E come mai? Lei sembra informatissimo riguardo noi due. Proprio la soluzione di quel caso le è sfuggita? E poi sarei curioso di sapere per quale tipo di organizzazione lavora". Nel pormi questa domanda, Mulder mi guardò dritto negli occhi come se in questi potesse trovare la verità di ciò che sostenevo. Mi sentiì a disagio. Non potevo rivelargli il mio segreto. E ci misi un secolo prima di rispondere. Non volevo perderli prima ancora di potermi guadagnare la loro fiducia.

 

"Io sono stato addetto a riclassificare il vostro lavoro perché ciò che è arrivato a noi è messo molto male. Alcuni files in mio possesso sono rovinati dal tempo. Altri, come questo, erano stati già distrutti da un incendio nel vostro..."

 

"Senta signor Brown, quella di oggi è stata una giornata lunga e noiosa. Io, e credo anche la mia collega, non riesco a trovare nessun senso in quello che ci sta dicendo. Se ci sta prendendo in giro..."

 

"Vengo dal futuro, agente Mulder. Non posso provarglielo per ordini superiori, ma se non mi aiuterà a risolvere questo caso, avrà sulla coscienza delle vite umane". Gliel'avevo detto. Non potevo credere alle mie stesse parole. Ma ormai era fatta. Con quelle poche frasi avrei potuto perdere una fiducia mai conquistata e soprattutto avrei perso la possibilità di risolvere il caso in fretta.

 

 

Nella saletta appartata dove Brown aveva prenotato il tavolo sembrò incedere, a passi veloci, il freddo. Rapidamente, col pensiero, Fox ritornò al giorno in cui lei e Scully avevano assistito alla morte di Tooms e si era assicurato che il suo corpo fosse sottoposto a cremazione. Ma un pensiero, in quei due anni, lo aveva tenuto sveglio spesso di notte. Nemmeno alla sua collega aveva mai rivelato che nella sua mente si era fatto largo un pensiero fisso: che Tooms potesse non essere l'unico esemplare di una nuova specie di umani.

 

 

[Dal diario] Dopo un momento di esitazione, durante il quale credo che l'agente Mulder si stesse chiedendo se concedermi o meno la sua fiducia, mi guardò con meno scetticismo rispetto ad un attimo prima e mi pose quella domanda

 

"E da quale epoca proverrebbe lei, signor Brown?". Mi schiariì la voce e, con l'esitazione di chi sa di non avere nessuna possibilità di essere creduto, risposi abbassamdo lo sguardo

 

"Ehm...dal 2086". Alla mia destra, sentiì Scully esplodere in una risata. La osservai con la coda dell'occhio e mi accorsi che stava guardando il suo collega. Si calmò quasi subito e si scusò con me.

 

"Scusi, ma credevo avessimo già risolto il caso viaggi nel tempo e invece siamo punto e daccapo"

 

"Sì, lo so agente Scully. Ma, nonostante qualcuno sia ancora scettico a riguardo, qualcun altro ha sempre coltivato il sogno dei viaggi nel tempo. Ed ovviamente, nonostante qualcuno eviterà l'argomento, qualcun altro, nel garage di casa sua, inventerà il modo di passeggiare tra un'epoca e l'altra. Ritornando al caso Tooms, dalle informazioni che i miei superiori mi hanno mandato, pare che ci siano prove in contrasto con quelle da voi trovate nel corso della vostra indagine. Sembra che le vittime siano morte in quelle stesse circostanze, ma questa volta non c'è nessun limite. Cinque pranzi evidentemente non sono più sufficienti per il nostro omicida. Le vittime sono già otto e potrebbe aver ucciso ancora durante la mia permanenza qui. Lei, agente Mulder, come fa ad essere così sicuro di aver seppellito Tooms?"

 

"Abbiamo disposto la sua cremazione e dispersione in mare aperto. Non è sopravvissuto. Glielo assicuro"

 

"Allora c'è qualcun altro che compie omicidi emulando quel tipo. Oppure...". Scully e Mulder aspettarono che continuassi ad esporre la mia stravagante teoria "Oppure?"

 

"Potrebbe esserci una specie di compagna o compagno. Magari quei cinque fegati non servivano solo a lui, ma anche a qualcun altro che ne aveva bisogno per lo stesso motivo"

 

"Se fosse così allora, morto Tooms, le dosi necessarie avrebbero dovuto diminuire, non aumentare. Come se lo spiega?" mi chiese Scully

 

"Anch'io mi sono posto la stessa domanda e l'unica risposta è che Tooms abbia lasciato degli eredi. Magari una compagna e dei figli". Guardai Dana e Fox che intanto si scambiarono un lungo sguardo. Credermi o assecondare la mia, per loro evidente, mitomania? Sembrava questo il tema dei loro sguardi interrogatori. Ed io risposi a quella domanda mai pronunciata.

 

"La mia richiesta di aiuto, agenti, non è né più né meno strana dei casi che avete affrontato in tutti gli anni di indagine sul paranormale. Non ci rimettereste niente a credermi". Mi alzai appena la nostra cena fu conclusa. Diedi a Scully la busta che avevo portato con me e, prima di andar via, gli diedi un nuovo appuntamento.

 

"Domani verrò a Washington con voi. Se vorrete aiutarmi, ve ne sarò grato altrimenti, la mia visita qui, sarà stata solo una bella gita e il caso non avrà alcuna soluzione". Mi avviai all'uscita del locale sapendo che il giorno dopo non avrei preso il volo per la Virginia.

 

 

Midtown's hotel

Ore 11.40 p.m.

 

 

In albergo, Dana e Fox si riunirono nella stanza di lui per parlare un po' di Daniel.

 

"Senti Scully, non mi convince. Viene dal futuro, resuscita Tooms e poi ci dà questa foto di noi due che non ha alcun senso. Sembra un pazzoide senza alcun controllo. Se faremo delle indagini sono sicuro che scopriremo che è uscito, magari un mese fa, da un centro di riabilitazione mentale. Magari ci ha avvisato per questo che non troveremo informazioni a suo riguardo. Per non farci controllare"

 

"Anche se fosse così, devi ammettere che le sue teorie sono affascinanti. Tooms che ha dei figli che continuano l'attività del padre. Quell'uomo ha fantasia. Poi mi sembra abbiamo già risolto un caso simile in New Jersey con la donna primitiva. Ricordi?"

 

"Uno dei nostri primi casi. Scully, hai un'ottima memoria. Brava. Io di quel caso mi ero quasi dimenticato!" Dana sorrise.

 

"Mulder, è stata una giornata davvero faticosa. Molto più dura di quelle trascorse ad inseguire alieni. Buonanotte e mi raccomando, non scervellarti a pensare a quel tipo. Anch'io credo non abbia tutte le rotelle a posto. Se avesse voluto informazioni sul caso Tooms, bastava recarsi all'archivio di qualsiasi giornale e leggesse del caso. Per me è innoquo e sono sicura che domattina non ci raggiungerà nemmeno in aeroporto"

 

"Buonanotte Scully"

 

"Notte Mulder". Dana uscì dalla stanza del collega e, quando rientrò nella sua, si preparò per la notte. La "fotografia" che Brown aveva donato loro era appoggiata sulla specchiera di fronte al letto. Guardandola, Dana sorrise. Era rimasta affascinata da quello strano tipo di Brown. Per una strana sensazione, sperava che lui non avrebbe dato forfait, il giorno dopo, per recarsi insieme a Washington. Lei non stava bene. Ogni giorno era più debole. Forse Skinner aveva convinto loro ad andare a New York per una cosa tanto futile, proprio per consentirle un po' di respiro. 'Se solo Daniel non fosse così patetico. Se fosse tutto vero. Un innesto sottocutaneo che preservi da malattie come tubercolosi e cancro' pensò. Si rattristò pensando che forse, avrebbe potuto chiedere a Daniel cosa ne sarebbe stato di lei nel suo prossimo futuro. Ma in cuor suo sapeva che Daniel non avrebbe potuto darle nessuna risposta. Sarebbe morta. Punto.

 

Il mattino seguente, l'aereo diretto in Virginia, partì in orario e tra i suoi passeggeri non c'era Daniel Joe Brown.

 

 

Washington D.C.

h. 08.00 a.m.

 

 

Arrivati a destinazione, Mulder e Scully, con due taxi, si recarono alle rispettive residenze per riprendersi da un viaggio comunque breve. Quando Scully, dopo appena un'ora dal suo arrivo a Washington, ritornò in ufficio, si accorse che Mulder doveva essere arrivato lì prima di lei. Sulla scrivania c'era un plico con un foglietto accanto su cui era scritto:

 

"Scully, se quel tipo dovesse per qualche strana ragione presentarsi qui, consegnali questo file. E' una sorta di riassunto del caso Tooms. Ho fatto ricerche approfondite per capire chi sia, ma non ho scoperto niente. A dire il vero non sono nello spirito giusto per stargli dietro. Comunque puoi consegnargli il file tranquillamente. Non contiene nulla di più di ciò che è stato dichiarato alla stampa. Torno più tardi. Mulder". Quando sentì bussare alla porta pensò che fosse lui, in realtà era Daniel. "Daniel, pensavamo ci avesse abbandonati nella Grande Mela. Dunque il caso che sta seguendo è ancora irrisolto"

 

"Buongiorno, agente Scully. Dov'è Mulder?"

 

"E' ancora a casa, ma arriverà a momenti. Si accomodi".

 

 

[Dal diario]Avevo disobbedito alle regole del mio contratto per il viaggio temporale. Ed ora ero lì, a Washington, seduto di fronte a questa creatura simbolo della lotta al drago che non vuole morire. Sapevo della sua malattia e sapevo che l'avrebbe sconfitta. Ma non potevo dirglielo. Qualsiasi mio atto in questo senso, avrebbe potuto cambiare il suo destino. E non sarebbe stato giusto, anche se lei e Mulder erano riusciti a condizionare il mio in pochi anni. Mi sono chiesto, mentre studiavo i loro casi, come avessero fatto a vivere nel buio che li circondava. Quella notte che, durante tutta la loro vita, non ha fatto altro che perseguitarli con i suoi mostri, le sue insidie, le sue ombre create da lumini poco chiari. Brancolavano nell'oscurità mentre cercavano una verità nascosta in sentieri bui dove il sole non arriva. Solo conoscendoli, solo guardandoli negli occhi, ho potuto scorgere nel loro cuore, la luce. La luce che illumina la ricerca e che si riflette, scaldandola, nella notte perenne che abitava nei vicoli delle loro vite.

 

"Lo so che non mi credete. Prima di arrivare qui, neanch'io credevo esistessero sul serio animali in grado di volare e macchine in fila per colpa del traffico. Ma è così"

 

"Il nostro non vuol essere uno scetticismo alla sua teoria di abbattimento della barriera temporale, Daniel. E' che non è facile accettare ciò che la nostra mente non può comprendere. Comunque, sembra che Mulder abbia voluto accordarle un minimo di fiducia. Questi files sono per lei. Spero l'aiutino a risolvere il suo caso". Dopo un attimo di silenzio, Dana si alzò dalla scrivania

 

"In cambio, però, le chiedo un favore"

 

"Dica, agente Scully" la vidi prendere la fotografia che le avevo dato la sera prima. Si alzò dalla scrivania e si avvicinò alla mia sedia appoggiandosi di schiena sul fronte della scrivania stessa. Mi guardò dall'alto, come a voler essere sicura di non avere a che fare con un pazzo. Poi mi pose la domanda

 

"Mi spieghi un po' questo" alzai gli occhi verso Scully

 

"E' una vostra fotografia. La trovai negli archivi del WBI quando fui assegnato al riordino degli X-Files. Nulla di che" Scully mi guardò negli occhi, pensando chissà cosa.

 

"Io e l'agente Mulder ce lo siamo chiesti ieri sera e non ricordiamo di esserci mai trovati in una situazione che richiamasse questa foto. Sembrerebbe un fotomontaggio. Ma se così fosse, perché farlo?" le dissi che non sapevo rispondere a quella domanda. Le rispiegai ancora che quella fotografia l'avevo solo trovata, ma lei abbassò lo sguardo, si allontanò dalla scrivania per sedersi dietro di essa e mi rispose come se avesse perso, in quei pochi secondi, quello spiraglio di fiducia su cui contavo per lasciare un buon ricordo di me "Ha ottenuto ciò che cercava, ora può tornare a casa, finalmente"

 

"Ho ricevuto un messaggio da parte dei miei supervisori. Devo tornare immediatamente nella mia epoca anche se è un'epoca infelice rispetto a quella che voi state vivendo. Porterò con me le foto che ho scattato in questo mese di vacanza. Le mostrerò ai bambini"

 

"Ha dei figli Daniel? Una famiglia?"

 

"Purtroppo le nascitte sono controllate su tutto il pianeta Terra. 12 mld di persone sembrano difficili da gestire. Appena nati, alcuni di noi vengono messi nella condiziione di non poter procreare. E' un posto triste il futuro, agente Scully. Tentate di godervi quello che avete oggi"

 

"Daniel, da come ne parla, sembra che veramente lei abbia visto il futuro. Ma se così fosse... Noi, oggi, possiamo accedere a dati di secoli fa, andando in biblioteca e cercando fra i giornali dell'epoca. Non vorrà farmi credere che nel vostro tempo non esista un'archivio" Dana mi aveva guardato negli occhi come a cercare un pò di verità in quelle che lei credeva solo bugie. Abbassai i miei e le risposi nascondendole il motivo per cui ero stato allontanato dal mio lavoro "La verità è che... volevo conoscere di persona due dei miti che sono arrivati nel mio tempo. Lo sa, agente Scully, la vostra ricerca della verità è entrata nei testi di storia. Siete famosi almeno quanto Bill Clinton e Monica Lewinsky" "Monica Lewinsky?!" chiese Dana

 

"La futura prima donna Presidente degli U.S.A. nel 2033. Ma non importa. Fra 10 minuti, ho un appuntamento molto importante. Non posso perdere la porta temporale. Devo andare. Ma la ringrazio.

 

"Di cosa?"

 

"Di non avermi chiesto come sarà il vostro futuro. La vostra ricerca della verità. Non avrei potuto risponderle, agente Scully". Guardai la fotografia che le avevo donato

 

"Mi dispiace per quella. Non so spiegarmelo. E mi dispiace non aver potuto salutare l'agente Mulder e ringraziarlo per un aiuto che, sicuramente, sarà fondamentale. Addio, Scully" avrei voluto conoscerla nella mia epoca per non lasciarla più. Ma non sono stato cresciuto per il romanticismo. E forse, se fosse esistita sul serio come donna del 2086, non l'avrei riconosciuta come amore.

 

"Addio Daniel".

 

Uscìì dalla sua vita e dal 1998 sotto lo sguardo di Dana.

 

 

05.25 p.m.

 

 

Mulder, quella mattina, non si fece vedere. Le aveva dato una bella buca! Era ovvio che il rapporto sul viaggetto a New York sarebbe toccato a lei. Dopo quel compito ingrato, Dana ebbe un lampo di genio. Fare delle ricerche in più databases possibili sul conto di Daniel Joe Brown. Non riuscì a trovare nulla. Come se veramente non esistesse.

 

 

Quando arrivò l'ora di andare via, prese la giacca, la foto che forse era il fotomontaggio di un pazzo ed uscì dall'ufficio per recarsi a casa. Quando fu fuori dell'edificio, dalla sua macchina intravide Mulder seduto su una panchina nel parco. Fece un'inversione ad U, scese dalla macchina e si avviò da lui. Gli sedette accanto

 

"Non sei venuto a lavoro! Bravo, ho dovuto stenderlo io il rapporto. Grazie! Ad ogni modo sappi che Brown è passato dall'ufficio. Gli ho consegnato il file che mi hai evidenziato". Lo sguardo di Dana fu attratto dalla cravatta rosso acceso del suo collega. Con la mano, la toccò per assicurarsi che esistesse sul serio. Qualcuno, nel frattempo, poco lontano, scattò una foto che, assieme ai monumenti del parco, riprese, involontariamente, anche i due colleghi.

 

"Dio, Mulder è orrenda! Dove l'hai scovata?"

 

"Perché? Che ha che non va?"

 

"E' rossa. Di un rosso così violento da accecare. E poi sta malissimo con la camicia!"

 

"Che vuoi, ogni tanto il mio daltonismo mi crea ancora dei problemi". Mulder si slacciò la cravatta per toglierla definitivamente, mentre Dana riprese il suo discorso

 

"Sai che mi ha detto?"

 

"No, cosa?"

 

"Che nel futuro avremo un posto nella storia accanto ad una certa Monica Lewinsky che sembra conoscere il presidente Clinton e che diventerà la prima presidente donna nel 2033. Hai idea di chi sia?"

 

"Mi sembra una studentessa che ha trascorso un periodo di studi alla Casa Bianca, ma dev'essere un'altra bell'invenzione di quello squinternato di Brown" "Non so se sia proprio pazzo. Mi sembrava sincero quando gli ho parlato. Anche riguardo alla foto"

 

"A proposito. Dov'è?"

 

"In macchina. Perché?"

 

"Andiamo. Voglio dargli un'occhiata". Si avviarono alla vettura di Scully. Dana prese la foto appoggiata sul cruscotto e la diede a Mulder

 

"Cosa pensi di trovarci di tanto cambiato?"

 

"Niente. Curiosità. Se Brown non è un pazzo, questo dono dovrebbe avere un senso".

 

 

"Scully..." "Mulder non dirmelo. Non è possibile". Dopo aver dato un'occhiata a quella foto che per loro non aveva senso, si guardarono a vicenda. Dopodiché, assieme, guardarono verso la panchina dove erano seduti fino a pochi istanti prima. La foto chiarissima, riprendeva loro due seduti lì, mentre Dana toccava la cravatta rossa che Mulder mai aveva indossato fino a quella mattina. Incrociarono di nuovo i loro sguardi, senza parlare, senza porsi domande. Dopo un attimo di esitazione, come a trovare una risposta che abitava già nel loro cuore, si salutarono. Entrarono nelle rispettive macchine e si avviarono verso le loro case. Scully, sul sedile accanto a sè, aveva appoggiato la fotografia che Daniel Joe Brown le aveva portato dal futuro 2086 e che era stata scattata quel pomeriggio, forse da un turista, alle 17: 25 del 18.04.1998 e che sarebbe arrivata chissà come e chissà perché, nel 2086.

 

 

[Dal diario] Quando sono ritornato a casa mia, nella mia epoca, il caso Tooms fu risolto grazie alle informazioni e all'aiuto che mi era stato dato dal passato. Ottenni una promozione ed ora posso decidere sui casi in cui voglio ficcare il naso. Ho finalmente recuperato tutti gli X-Files. Sono riuscito a far arrestare definitivamente la famiglia Tooms. Ma sono fiero di una cosa. Ho catturato un raggio di sole da un luogo buio dove la verità è nascosta nell'ombra e l'ho portato qui nel mio presente, affinchè il sole della verità non muoia.

 

Daniel Joe Brown

 

 

F I N E

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