SOL PER NOCTEM [Rx07]
(di Stefania Murazio)
[Dal diario personale di Daniel Joe Brown.]
New York, 14.03.2086
'Ogni mia fibra era stata scossa, quel mattino di ottobre del
2083. Mi ero trovato per caso nella biblioteca multimediale del
grande studio quando il mio sguardo fu attratto da un vecchio
schedario, di quelli che nessuno usa più da almeno
cinquant'anni. Ricordo, come se fosse ieri, di averlo aperto e di
avervi trovato centinaia di cartelle tenute in ordine alfabetico. Non
si poteva capire molto. Era chiaro che molti files erano stati
distrutti parzialmente da un incendio, altri avevano superato appena
la prova del trascorrere del tempo. ma ero rimasto affascinato da
ciò che intuiì. Chiesi il permesso al mio diretto
superiore di poter recuperare quei documenti. Il vicedirettore Jack
Rokert mi concesse un po' di tempo per quel lavoro: due mesi. Ricordo
la gioia nel sapere di essere assegnato ad una mansione tanto
importante per me.
Giorno e notte, leggendole, sistemai le cartelle in ordine
cronologico anziché alfabetico. Erano rapporti scritti da una
mente lucida. Una mente che non avrebbe potuto sbagliare nelle sue
giustapposizioni. Ogni singola frase era comprovata da ragionamenti
logici e puntigliosi. Sembrava il lavoro di menti abituate a dover
lottare con i cavilli giuridici, con le false affermazioni. A firmare
i rapporti due nomi quasi sempre insieme: Dana Katherine Scully e Fox
William Mulder.
Dopo aver letto di strani rapimenti da parte dei cosiddetti
extraterrestri, dopo aver conosciuto i particolari sconcertanti di
mostri vissuti nelle viscere della Terra, avevo pensato che quei due
agenti dell'FBI fossero solo caricature di uno strano fumetto a
colori. O forse, se persone vere, erano semplicemente pazze.
Feci delle ricerche su entrambi e scoprii che erano esistiti
realmente. L'uomo, Mulder, aveva creato la sezione X-Files per una
manìa personale. La donna, Scully, era stata affiancata a lui
successivamente per screditarlo. Ma dopo il primo caso risolto
insieme, i due iniziarono a fare coppia fissa. Dopo poco tempo,
Scully fu rapita da qualche strano ente. Rimase via tre mesi
dopodichè, in circostanze mai accertate, ritornò in
coma in un letto d'ospedale. Lei ed il suo collega avevano iniziato
una guerra contro chi voleva che quei casi fossero seppelliti
nell'oblìo della dimenticanza. Erano stati screditati
più di una volta. Più di una volta avevano iniziato la
loro disperata ricerca della verità dal punto zero. Se fossi
stato al loro posto, non avrei mai sacrificato tutta la mia vita ad
una missione che sarebbe stata cestinata. Loro hanno rinunciato alle
croci e delizie della vita normale di ogni giorno. Hanno rinnegato il
battere irregolare di un cuore innamorato. E tutto per approdare in
un isola dove l'unico abitante è la consolazione di aver
trovato un compagno di viaggio. Un Venerdì matto che ti
dà retta solo perché parlate la stessa lingua.
In due mesi, quei due matti erano diventati un punto di
riferimento, il mio legame con un mondo che ormai non esisteva
più. Stavo studiando con una passione che non sapevo esistesse
in me, i casi risolti da due fantasmi dell'investigazione. Dopo quel
tempo trascorso a cercare ogni singola informazione sui due agenti
più disprezzati dell'FBI, avevo pensato di scrivere un
opticalbook. Invece, Rokert mi assegnò al mio vecchio incarico
di ricercatore informazioni utili alle indagini in corso. A
malincuore misi da parte gli X-Files. Non ci pensai più fino a
quando, un mese più tardi, trovai per caso tra la mia
collezione di antichità, una vecchia foto sbiadita. Un uomo e
una donna erano seduti su una panchina in quello che, probabilmente,
era un giardino all'aperto. Lei, toccandogli uno strano indumento
-che scopriì essere una cravatta- gli sorrideva. Lui le
ricambiava il sorriso scostandole la mano. Dietro la foto i loro nomi
erano scritti con calligrafia minuta e precisa. La data era il
12.04.98. Decisi di riprendere in mano gli x-files. A quel punto, se
non interessava al WBI, riguardava me, una mia passione personale.
Sacrificando il mio lavoro di ricerca, sono riuscito a lavorarci su
per tre anni. Ma Rockert se ne accorse e mi sospese dal lavoro a
tempo da determinare. "Non ritorni in ufficio fino a auando non
avrà recuperato tutta la sua salute mentale, agente Brown! Lei
ha disobbedito ad un ordine del suo diretto superiore. Ha portato
avanti un lavoro che le avevo ordinato di chiudere. Torni a casa. Le
farò sapere io delle conseguenze di questo suo assurdo quanto
inaspettato comportamento negativo". Richiuse sbattendo la porta del
mio ufficio, quando uscì. Ero sconsolato. Ma quel periodo di
sospensione mi avrebbe concesso del tempo prezioso da dedicare al mio
lavoro di ricerca. Appena tornato a casa, ricevetti un messaggio dal
mio ufficio che mi informava di essere stato sospeso dal lavoro per
almeno due mesi. Causa: indisciplina. Decisi di andarmene in vacanza.
Lo comunicai al beaureau il quale mi diede il permesso. Chiesi un
arco di tempo "meno novanta". Mi fu concesso. Controllai che ogni
variabile fosse giusta per il mio viaggio. Le consegnai all'agenzia
viaggi temporali. Decisi di partire il giorno dopo la mia
sospensione. Portai con me solo due cose: il manuale di sopravvivenza
"meno novanta" che mi avrebbe permesso di vivere secondo le regole
del periodo, e la fotografia delle due persone che mi hanno permesso
di scoprire un sentimento che non mi aveva mai toccato: la passione.
La stessa passione che oggi non esiste più tra i sentimenti
degli uomini.
Avevo già viaggiato nel tempo ma mi sono sempre proiettato
nel futuro. Il passato non mi interessava. Quando entrai nella cabina
di vetro che avrebbe dovuto portarmi nel 1998, ero emozionato e
spaventato. Gli organizzatori mi avevano fatto indossare degli
indumenti scomodi che erano, però, necessari per non dare
nell'occhio alla gente locale. Il tempo di entrare in cabina e mi
ritrovai catapultato ad un paio di anni prima dell'epoca del grande
disfacimento che caratterizzò il mondo della fine del secondo
millennio.
Ogni viaggio ha degli inconvenienti iniziali. Dopo essere entrati
nella macchina ed aver azionato il programma, si cade in uno stato di
incoscienza. I sentimenti, le sensazioni, tutto si sgretola per
ricomporsi al momento dell'arrivo a destinazione. Si vive il distacco
completo da spazio e tempo. Lo sapevo. Ma ero comunque impreparato. E
lo capiì definitivamente solo dopo il mio approdo alla
stazione di arrivo: il parcheggio di un grande magazzino. La mia
anima fu assalita da mille colori, odori, sensazioni nuove e mai
provate prima. Eppure era la mia città. Diversa, ma sempre
lei. Le risa dei bambini ancora spensierati, la varietà dei
negozi, la libertà di parlarsi senza controlli elettronici. Il
calore. D'un tratto, mi svegliai da quello strano incantesimo.
Sentiì sul mio viso del calore. Sì, il calore del sole.
Il sole vero. Scaldava già poco, ma c'era ancora. Ed il cielo
era la sua casa e la luna la sua compagna. Provai il dolore del
rimpianto. Il rimpianto di quello che abbiamo perso in meno di un
secolo. Ma continuai. Con il mio esiguo bagaglio, decisi di seguire
le prime regole contenute nel mio manuale. Il primo punto prevedeva
la ricerca di un posto dove trascorrere il periodo di vacanza. Lo
feci. Affittai un piccolo appartamento, -era arredato con mobili
stranissimi, c'era anche una cosa chiamata telefono- dopodichè
andai in giro per quella città che non mi apparteneva. Solo
ora lo scoprivo nonostante i miei antenati siano sempre stati
abitanti di New York. Lo stile di vita che mi accingevo a conoscere
era stato, fino a momenti prima, un insieme di informazioni
impiantate nella mia mente attraverso un microchip. Ma non era lo
stesso. Mi incamminai per Manhattan, la vecchia Manhattan, e d'un
tratto scorsi da lontano un'isola di verde. Che strano, io a New York
il verde non l'avevo mai visto. Mi incamminai in quella radura che
scopriì chiamarsi Central Park e provai una gran voglia di
piangere. Da bambino avevo chiesto ai miei genitori di poter vedere
da vicino la natura che avevo studiato a scuola. Ma loro rifiutarono.
Non era possibile. Gli animali erano sotto protezione e le poche
riserve d'ossigeno erano affidate a qualche sparuto albero anch'esso
sotto protezione. Avevo sempre sentito il desiderio di toccare la
consistenza d'una foglia vera, il profumo d'un fiore. Ed ora che ero
lì a vivere il mio sogno di sempre, provavo il desiderio di
portare con me quel mondo a parte. Ma non potevo farlo. Di nuovo.
Comprai una di quelle bizzarre macchinette con cui catturare le
immagini. Fotografai ogni cosa. I bambini, le macchine, i vestiti, i
colori, il cielo. Anche gli uccelli e i tombini da cui sbuffavano
strane folate di calore. Nessuno sembrava curarsi del mio modo
infantile di guardare la città. Per quelle persone ero un
turista, uno dei tanti che affollano da chissà quanto tempo
New York per visitarla col naso all'insù. Ritornai a Central
Park e ad ogni passo ogni cosa che avevo solo immaginato o studiato
acquistava la consistenza della realtà. Possibile che tanto
verde si trovasse nel bel mezzo di una città, che gli
scoiattoli potessero gironzolare tra gli uomini e che questi
considerassero logico vivere così? Chi ha iniziato a
distruggere tutto? Gli esseri umani? Non posso crederci. Persone con
sentimenti tanto elevati da creare opere d'arte che hanno resistito
nei millenni, perché avrebbero dovuto distruggere tutto in
pochi decenni? Di questa New York, nel 2086 non è rimasto un
solo grattacielo, un solo scoiattolo o area verde. Il sole non riesce
a scaldare neppure d'estate. Ed i miei concittadini, quelli che
vivono nel dorato futuro, non sentono la mancanza di tutto questo.
Sono contenti di vivere in scatolette quadrate, tutte uguali, sono
soddisfatti del cibo precotto che mangiano, intenti come sono a
lavorare e a cercare nuovi metodi per saziare ogni abitante della
terra strapopolata. I bambini non hanno la luce della vitalità
negli occhi. E invece i bambini di un secolo fa, riuscivano ancora a
giocare spensierati.
Ricordo di essermi rattristato per simili pensieri. Ma durò
poco. Il mio intento era quello di godermi il passato e, soprattutto,
incontrare chi ha cambiato lo svolgersi del mio pensare quotidiano.
Chiesi informazione al mio orologio transtemporale. Ad un mese dal
mio arrivo, che era avvenuto il 12.03.98, i miei colleghi del passato
sarebbero stati ospiti di New York per assistere ad un seminario
sulle nuove tecnologie a disposizione dell'investigazione. Il mio
viaggio nel tempo non mi consentiva di valicare i limiti di spazio.
Avrei dovuto rimanere a New York fino alla fine della mia vacanza. Se
avessi superato questo limite, avrei infranto il regolamento del
contratto e avrei dovuto tornare nel 2086. New York mi avrebbe
offerto tanto da poter riempire bene ogni istante della mia
permanenza. Tanto valeva godersela, aspettando che Mulder e Scully mi
venissero incontro.'
Mentre Daniel si era preso una vacanza obbligata dal lavoro, nella
sua epoca si stava consumando una tragedia. Un caso che, senza
saperlo, avrebbe risolto proprio grazie alla sua sua fuga dal
futuro.
Manhattan, New York
Un mese dopo
12.04.98 h.12.20 a.m.
"Non so tu ma io, con il mio computer, ci litigo sempre. Non mi
ispira fiducia e poi preferisco affidarmi alle mie capacità di
umano che ad una macchina che potrebbe guidare da sola"
"Applichi il tuo motto 'non fidarti di nessuno' anche alla
tecnologia, eh? Ti dirò, se un giorno dovessero inventare un
robot che esegue le autopsie al posto mio, io ammirerei e sarei piena
di rispetto per chi lo ha progettato".
Mulder e Scully erano per strada e, dopo aver trascorso quasi
quattro ore a sentir parlare un gruppetto di specialisti in tecniche
futuristiche, lo stomaco aveva iniziato a fare le capriole ad
entrambi. Avevano deciso di andare a mangiare qualcosa alla fine del
convegno che Skinner gli aveva imposto di andare a seguire per
distogliersi un po' dal lavoro. Si erano incamminati per Manhattan e
il Blue Spirit Cafè, con la sua atmosfera rilassata e un po'
surreale per New York, era sembrato il luogo ideale. Avevano preso
posto ad uno dei tanti tavoli dalle tovaglie blu e stavano per
ordinare il pranzo, quando si avvicinò loro un individuo dalla
strana espressione beata che, fino a cinque secondi prima, era seduto
al tavolo alle loro spalle.
[dal diario] Quella mattina del 12.04.98, giusto dopo un
mese dal mio arrivo nel passato, Rokert mi aveva contattato per
avvisarmi di un caso che io avevo già studiato durante il mio
lavoro di recupero degli X-Files. Il caso Tooms si era ripresentato
ed il mio superiore mi aveva ordinato di approfondire l'argomento
visto che ero sul luogo del fatto e che i due agenti erano proprio
lì, a New York. Avrei dovuto incontrarli al Blue Spirit
Cafè a Manhattan alle 12:40, quando loro sarebbero andati
lì per il pranzo. Ero puntuale ed emozionato. Mi avvicinai
incredulo al loro tavolo.
"Buongiorno. Ehm... vi chiedo di scusarmi, ma siete gli agenti
dell' FBI Mulder e Scully, vero?". Mi rispose Mulder.
"Sì, siamo noi. Possiamo esserle utili signor..."
"Il mio nome è Daniel Joe Brown. Sono un vostro allievo, se
posso definirmi tale. Ho studiato tutti i casi che avete risolto
insieme. I cosiddetti X-Files. Vi ammiro molto". Mulder mi
guardò in modo strano. Tipico di un uomo che sa bene di non
doversi fidare. Mai.
"Beh, questo ci lusinga molto specie considerato il fatto che
nessuno vorrebbe trovarsi al nostro posto, visto i casi che
affrontiamo. Non sapevo nemmeno che fossimo materia di studio
Ci ha avvicinati per questo signor... Brown?"
"Sì, ma non solo. Vede, ho per le mani un caso piuttosto
bizzarro e gradirei il vostro aiuto. Anche se non ho alcun diritto a
chiedervelo"
"Lei è un agente federale, uno sceriffo...?"
"No, io provengo da molto lontano"
"Beh, per non essere cittadino americano, parla bene la nostra
lingua". Fu Scully a rivolgersi a me. Che grazia!
"A dire il vero, non intendevo lontano in quel senso". Mulder mi
invitò a sedermi al loro tavolo. Perché non avrei
dovuto accettare? Parlammo molto del convegno cui i due agenti
federali avevano assistito, ma Mulder si sentiva chiaramente non a
suo agio. Il discorso fu portato avanti da me e Scully che sembrava
affascinata dal mio modo di esporle le mie teorie sul futuro che
avevo già visto e che loro potevano solo immaginare, ma che
era molto più prossimo di quanto loro avrebbero mai creduto.
"Ogni cosa avrà un suo posto specifico. Anche l'uomo. Ogni
casa sarà programmata come oggi lo è un forno a
microonde o un personal computer. Vi sveglierete e, in cucina, la
colazione sarà calda e fumante sul tavolo. La macchina
sarà già accesa e pronta a partire. Uscirete di casa e
i piatti si laveranno e ritorneranno da soli al loro posto. Le
malattie saranno curate in modo diverso da oggi. Basterà un
innesto sottocutaneo e l'uomo sarà preservato da malattie come
il cancro, la tubercolosi..." Mulder interruppe la mia conversazione
con Scully.
"Signor Brown, perché invece di ipotizzare il futuro, non
ci parla del caso che ha accennato poco fa?"
"Agente Mulder, è un discorso molto complicato e vorrei
darvi appuntamento per stasera per parlarne ampiamente. Anzi, vi
invito a cena. Ne parleremo lì, se vorrete." Ricordo di
essermi alzato dal tavolo e di averli salutati dopo avergli dato
appuntamento al "Twenty-one" un club esclusivo di Manhattan. "Stasera
vi aspetto. Tanto, le cattive condizioni del tempo non vi
permetteranno certo di tornare a Washington. Arrivederci".
Quando Daniel se ne fu andato, Mulder e Scully rimasero a tavola
ancora un'oretta. Il tempo di finire il loro pranzo quando, d'un
tratto, Mulder guardò fuori dalla vetrata del locale
"Senti Scully, cosa vedi di strano lì fuori?". Dana lo
guardò chiedendosi se il suo collega non fosse già
proiettato nel suo lavoro
"Non lo so Mulder. Cosa può esserci di strano in una
città come New York? La gente non si scambia sguardi, i taxi
non si fermano quando li chiami, il cielo non può essere
scorto facilmente a meno che non ruoti la testa indietro di novanta
gradi. Che c'è di strano? E' tutto normale"
"Quel Brown ha detto che non saremmo partiti per Washington a
causa del maltempo. Ma a me non sembra che stia per piovere"
"Magari l'ha detto per trattenerci qui ancora un pò". Fox
guardò la collega come a darle ragione di quella supposizione.
Finito di pranzare, si fermarono all'hotel dove altri colleghi,
poliziotti e gente comune, avevano preso camere per partecipare al
convegno. Al Midtown's presero com'era loro solito, due camere e,
come al solito, una di fronte all'altra. Avevano già deciso
che quella sera sarebbero andati all'appuntamento del loro
"discepolo" -come si era definito Daniel-. Mulder era nella sua
camera quando Scully, ormai pronta, bussò alla porta per
spronarlo a sbrigarsi. L'appuntamento era per le sette. Non sarebbe
stato cortese presentarsi in ritardo da un collega che voleva
incontrarli per parlare di lavoro.
"Metti qualcosa di pesante Mulder. Il nostro amico aveva ragione.
Il tempo ha preso una brutta piega, stasera. Piove e c'è un
forte vento"
"Col sole di oggi?! Questo si che è strano. Anche per una
città imprevedibile come New York".
Fuori dall'hotel, Mulder ci mise un po' a far fermare un taxi, ma
alla fine vi salirono e chiesero all'autista di portarli a
destinazione. Appena entrati al "Twenty-one", non riuscirono a
scorgere immediatamente il loro ospite. In effetti, furono
accompagnati ad un separè. Lì era seduto
tranquillamente Daniel.
[Dal diario] Quando li vidi arrivare, tutta l'ansia che
avevo accumulato durante il giorno sparì. Ero certo che non
sarebbero mancati all'appuntamento, ma non sapevo come affrontare il
mio problema con loro. Mi avrebbero creduto? Appena furono abbastanza
vicini, mi alzai per salutare l'agente Scully con un sorriso ed una
stretta di mano e lei, con il suo splendore, ricambiò e si
sedette alla mia destra. Mulder prese posto accanto a Scully, di
fronte a me. Iniziammo a parlare di cose futili io e l'agente Scully.
Parlammo di New York e delle sue mille contraddizioni. Parlammo dei
sogni che in questa città, come d'incanto, sapevano avverarsi.
Mi rivolsi a Mulder il cui sguardo sembrava perso nel vuoto.
"Agente Mulder, lei non ha dei sogni che vorrebbe realizzare?"
"A me bastano già i sogni incomprensibili di ogni notte e
l'inesplicabilità che vivo ogni giorno della mia vita". Sapevo
a cosa si riferissero quelle parole. Lo sapevo solo perché ero
a conoscenza di tutto ciò che avevano visto lui e la sua
collega
"Conosco le domande che, in questo momento, vi state ponendo. Ed
io sono in grado di rispondere a tutte. Ma non ora. Vi ho invitati
qui, stasera, per parlarvi di qualcosa che, sono sicuro, non vi
aspettate. Ho il dovere di dirvi, prima di qualsiasi altra cosa che,
se intenderete fare delle indagini sul mio conto, non troverete nulla
che possa condurvi a me. Ma, nonostante questo, ho bisogno del vostro
prezioso aiuto" Scully seguì con lo sguardo ogni singola
espressione del mio viso e intervenne quando ebbi finito di parlare
"Di cosa si tratta signor Brown?". Spiegai, senza tralasciare
nulla, il caso fronteggiato dai miei colleghi nel 2086. Gli dissi,
con più tatto possibile, che alcuni miei concittadini, avevano
trovato la morte in modo bizzarro. Nonostante i locali, dove i
soggetti si trovavano al momento della loro aggressione, fossero
chiusi a chiave o comunque senza via d'accesso apparente, le vittime
erano morte in seguito ad estirpazione del fegato. Apparentemente, a
mani nude. Gli usuali metodi di indagine avevano condotto ad un nome:
Victor Hugene Tooms. Non nascondo a me stesso la vergogna che provai
nello scorgere sul volto dell'agente Scully un'espressione di
indefinibile ilarità. Mulder si alzò di scatto dalla
sedia
"E' stato un piacere conoscerla signor Brown. Nonostante tutto.
Arrivederci". Dana fece segno di alzarsi per seguire il suo collega
ma la trattenni per un braccio. Mulder, accorgendosi del mio gesto,
si fermò ed io potei dirgli ciò che sentivo dentro.
"A parte il fatto che mi aspettassi una sua reazione totalmente
diversam, agente Mulder, le chiedo di ascoltarmi. Lei pensa che io
sia fuori di testa, ma potrei sorprenderla. Da quello che so, quel
Tooms potrebbe scomparire da un momento all'altro". I due agenti
federali si guardarono come a chiedersi conferma di rimanere ad
ascoltare. Si risedettero ai loro posti ma fu Scully a parlare
"Noi abbiamo risolto quel caso più di due anni fa. Le
assicuro che Tooms è deceduto in un gran brutto incidente al
quale noi abbiamo assistito" "Evidentemente, avete sottovalutato
quell'uomo. E' vivo e, l'organizzazione per la quale lavoro, non ha
idea di come comportarsi. Io studio da anni i casi che voi avete
risolto durante la vostra attività. Ho tentato di capire come
voi siete arrivati a risolvere il caso di Tooms"
"E come mai? Lei sembra informatissimo riguardo noi due. Proprio
la soluzione di quel caso le è sfuggita? E poi sarei curioso
di sapere per quale tipo di organizzazione lavora". Nel pormi questa
domanda, Mulder mi guardò dritto negli occhi come se in questi
potesse trovare la verità di ciò che sostenevo. Mi
sentiì a disagio. Non potevo rivelargli il mio segreto. E ci
misi un secolo prima di rispondere. Non volevo perderli prima ancora
di potermi guadagnare la loro fiducia.
"Io sono stato addetto a riclassificare il vostro lavoro
perché ciò che è arrivato a noi è messo
molto male. Alcuni files in mio possesso sono rovinati dal tempo.
Altri, come questo, erano stati già distrutti da un incendio
nel vostro..."
"Senta signor Brown, quella di oggi è stata una giornata
lunga e noiosa. Io, e credo anche la mia collega, non riesco a
trovare nessun senso in quello che ci sta dicendo. Se ci sta
prendendo in giro..."
"Vengo dal futuro, agente Mulder. Non posso provarglielo per
ordini superiori, ma se non mi aiuterà a risolvere questo
caso, avrà sulla coscienza delle vite umane". Gliel'avevo
detto. Non potevo credere alle mie stesse parole. Ma ormai era fatta.
Con quelle poche frasi avrei potuto perdere una fiducia mai
conquistata e soprattutto avrei perso la possibilità di
risolvere il caso in fretta.
Nella saletta appartata dove Brown aveva prenotato il tavolo
sembrò incedere, a passi veloci, il freddo. Rapidamente, col
pensiero, Fox ritornò al giorno in cui lei e Scully avevano
assistito alla morte di Tooms e si era assicurato che il suo corpo
fosse sottoposto a cremazione. Ma un pensiero, in quei due anni, lo
aveva tenuto sveglio spesso di notte. Nemmeno alla sua collega aveva
mai rivelato che nella sua mente si era fatto largo un pensiero
fisso: che Tooms potesse non essere l'unico esemplare di una nuova
specie di umani.
[Dal diario] Dopo un momento di esitazione, durante il
quale credo che l'agente Mulder si stesse chiedendo se concedermi o
meno la sua fiducia, mi guardò con meno scetticismo rispetto
ad un attimo prima e mi pose quella domanda
"E da quale epoca proverrebbe lei, signor Brown?". Mi
schiariì la voce e, con l'esitazione di chi sa di non avere
nessuna possibilità di essere creduto, risposi abbassamdo lo
sguardo
"Ehm...dal 2086". Alla mia destra, sentiì Scully esplodere
in una risata. La osservai con la coda dell'occhio e mi accorsi che
stava guardando il suo collega. Si calmò quasi subito e si
scusò con me.
"Scusi, ma credevo avessimo già risolto il caso viaggi nel
tempo e invece siamo punto e daccapo"
"Sì, lo so agente Scully. Ma, nonostante qualcuno sia
ancora scettico a riguardo, qualcun altro ha sempre coltivato il
sogno dei viaggi nel tempo. Ed ovviamente, nonostante qualcuno
eviterà l'argomento, qualcun altro, nel garage di casa sua,
inventerà il modo di passeggiare tra un'epoca e l'altra.
Ritornando al caso Tooms, dalle informazioni che i miei superiori mi
hanno mandato, pare che ci siano prove in contrasto con quelle da voi
trovate nel corso della vostra indagine. Sembra che le vittime siano
morte in quelle stesse circostanze, ma questa volta non c'è
nessun limite. Cinque pranzi evidentemente non sono più
sufficienti per il nostro omicida. Le vittime sono già otto e
potrebbe aver ucciso ancora durante la mia permanenza qui. Lei,
agente Mulder, come fa ad essere così sicuro di aver
seppellito Tooms?"
"Abbiamo disposto la sua cremazione e dispersione in mare aperto.
Non è sopravvissuto. Glielo assicuro"
"Allora c'è qualcun altro che compie omicidi emulando quel
tipo. Oppure...". Scully e Mulder aspettarono che continuassi ad
esporre la mia stravagante teoria "Oppure?"
"Potrebbe esserci una specie di compagna o compagno. Magari quei
cinque fegati non servivano solo a lui, ma anche a qualcun altro che
ne aveva bisogno per lo stesso motivo"
"Se fosse così allora, morto Tooms, le dosi necessarie
avrebbero dovuto diminuire, non aumentare. Come se lo spiega?" mi
chiese Scully
"Anch'io mi sono posto la stessa domanda e l'unica risposta
è che Tooms abbia lasciato degli eredi. Magari una compagna e
dei figli". Guardai Dana e Fox che intanto si scambiarono un lungo
sguardo. Credermi o assecondare la mia, per loro evidente, mitomania?
Sembrava questo il tema dei loro sguardi interrogatori. Ed io risposi
a quella domanda mai pronunciata.
"La mia richiesta di aiuto, agenti, non è né
più né meno strana dei casi che avete affrontato in
tutti gli anni di indagine sul paranormale. Non ci rimettereste
niente a credermi". Mi alzai appena la nostra cena fu conclusa. Diedi
a Scully la busta che avevo portato con me e, prima di andar via, gli
diedi un nuovo appuntamento.
"Domani verrò a Washington con voi. Se vorrete aiutarmi, ve
ne sarò grato altrimenti, la mia visita qui, sarà stata
solo una bella gita e il caso non avrà alcuna soluzione". Mi
avviai all'uscita del locale sapendo che il giorno dopo non avrei
preso il volo per la Virginia.
Midtown's hotel
Ore 11.40 p.m.
In albergo, Dana e Fox si riunirono nella stanza di lui per
parlare un po' di Daniel.
"Senti Scully, non mi convince. Viene dal futuro, resuscita Tooms
e poi ci dà questa foto di noi due che non ha alcun senso.
Sembra un pazzoide senza alcun controllo. Se faremo delle indagini
sono sicuro che scopriremo che è uscito, magari un mese fa, da
un centro di riabilitazione mentale. Magari ci ha avvisato per questo
che non troveremo informazioni a suo riguardo. Per non farci
controllare"
"Anche se fosse così, devi ammettere che le sue teorie sono
affascinanti. Tooms che ha dei figli che continuano l'attività
del padre. Quell'uomo ha fantasia. Poi mi sembra abbiamo già
risolto un caso simile in New Jersey con la donna primitiva.
Ricordi?"
"Uno dei nostri primi casi. Scully, hai un'ottima memoria. Brava.
Io di quel caso mi ero quasi dimenticato!" Dana sorrise.
"Mulder, è stata una giornata davvero faticosa. Molto
più dura di quelle trascorse ad inseguire alieni. Buonanotte e
mi raccomando, non scervellarti a pensare a quel tipo. Anch'io credo
non abbia tutte le rotelle a posto. Se avesse voluto informazioni sul
caso Tooms, bastava recarsi all'archivio di qualsiasi giornale e
leggesse del caso. Per me è innoquo e sono sicura che
domattina non ci raggiungerà nemmeno in aeroporto"
"Buonanotte Scully"
"Notte Mulder". Dana uscì dalla stanza del collega e,
quando rientrò nella sua, si preparò per la notte. La
"fotografia" che Brown aveva donato loro era appoggiata sulla
specchiera di fronte al letto. Guardandola, Dana sorrise. Era rimasta
affascinata da quello strano tipo di Brown. Per una strana
sensazione, sperava che lui non avrebbe dato forfait, il giorno dopo,
per recarsi insieme a Washington. Lei non stava bene. Ogni giorno era
più debole. Forse Skinner aveva convinto loro ad andare a New
York per una cosa tanto futile, proprio per consentirle un po' di
respiro. 'Se solo Daniel non fosse così patetico. Se fosse
tutto vero. Un innesto sottocutaneo che preservi da malattie come
tubercolosi e cancro' pensò. Si rattristò pensando che
forse, avrebbe potuto chiedere a Daniel cosa ne sarebbe stato di lei
nel suo prossimo futuro. Ma in cuor suo sapeva che Daniel non avrebbe
potuto darle nessuna risposta. Sarebbe morta. Punto.
Il mattino seguente, l'aereo diretto in Virginia, partì in
orario e tra i suoi passeggeri non c'era Daniel Joe Brown.
Washington D.C.
h. 08.00 a.m.
Arrivati a destinazione, Mulder e Scully, con due taxi, si
recarono alle rispettive residenze per riprendersi da un viaggio
comunque breve. Quando Scully, dopo appena un'ora dal suo arrivo a
Washington, ritornò in ufficio, si accorse che Mulder doveva
essere arrivato lì prima di lei. Sulla scrivania c'era un
plico con un foglietto accanto su cui era scritto:
"Scully, se quel tipo dovesse per qualche strana ragione
presentarsi qui, consegnali questo file. E' una sorta di riassunto
del caso Tooms. Ho fatto ricerche approfondite per capire chi sia, ma
non ho scoperto niente. A dire il vero non sono nello spirito giusto
per stargli dietro. Comunque puoi consegnargli il file
tranquillamente. Non contiene nulla di più di ciò che
è stato dichiarato alla stampa. Torno più tardi.
Mulder". Quando sentì bussare alla porta pensò che
fosse lui, in realtà era Daniel. "Daniel, pensavamo ci avesse
abbandonati nella Grande Mela. Dunque il caso che sta seguendo
è ancora irrisolto"
"Buongiorno, agente Scully. Dov'è Mulder?"
"E' ancora a casa, ma arriverà a momenti. Si accomodi".
[Dal diario]Avevo disobbedito alle regole del mio
contratto per il viaggio temporale. Ed ora ero lì, a
Washington, seduto di fronte a questa creatura simbolo della lotta al
drago che non vuole morire. Sapevo della sua malattia e sapevo che
l'avrebbe sconfitta. Ma non potevo dirglielo. Qualsiasi mio atto in
questo senso, avrebbe potuto cambiare il suo destino. E non sarebbe
stato giusto, anche se lei e Mulder erano riusciti a condizionare il
mio in pochi anni. Mi sono chiesto, mentre studiavo i loro casi, come
avessero fatto a vivere nel buio che li circondava. Quella notte che,
durante tutta la loro vita, non ha fatto altro che perseguitarli con
i suoi mostri, le sue insidie, le sue ombre create da lumini poco
chiari. Brancolavano nell'oscurità mentre cercavano una
verità nascosta in sentieri bui dove il sole non arriva. Solo
conoscendoli, solo guardandoli negli occhi, ho potuto scorgere nel
loro cuore, la luce. La luce che illumina la ricerca e che si
riflette, scaldandola, nella notte perenne che abitava nei vicoli
delle loro vite.
"Lo so che non mi credete. Prima di arrivare qui, neanch'io
credevo esistessero sul serio animali in grado di volare e macchine
in fila per colpa del traffico. Ma è così"
"Il nostro non vuol essere uno scetticismo alla sua teoria di
abbattimento della barriera temporale, Daniel. E' che non è
facile accettare ciò che la nostra mente non può
comprendere. Comunque, sembra che Mulder abbia voluto accordarle un
minimo di fiducia. Questi files sono per lei. Spero l'aiutino a
risolvere il suo caso". Dopo un attimo di silenzio, Dana si
alzò dalla scrivania
"In cambio, però, le chiedo un favore"
"Dica, agente Scully" la vidi prendere la fotografia che le avevo
dato la sera prima. Si alzò dalla scrivania e si
avvicinò alla mia sedia appoggiandosi di schiena sul fronte
della scrivania stessa. Mi guardò dall'alto, come a voler
essere sicura di non avere a che fare con un pazzo. Poi mi pose la
domanda
"Mi spieghi un po' questo" alzai gli occhi verso Scully
"E' una vostra fotografia. La trovai negli archivi del WBI quando
fui assegnato al riordino degli X-Files. Nulla di che" Scully mi
guardò negli occhi, pensando chissà cosa.
"Io e l'agente Mulder ce lo siamo chiesti ieri sera e non
ricordiamo di esserci mai trovati in una situazione che richiamasse
questa foto. Sembrerebbe un fotomontaggio. Ma se così fosse,
perché farlo?" le dissi che non sapevo rispondere a quella
domanda. Le rispiegai ancora che quella fotografia l'avevo solo
trovata, ma lei abbassò lo sguardo, si allontanò dalla
scrivania per sedersi dietro di essa e mi rispose come se avesse
perso, in quei pochi secondi, quello spiraglio di fiducia su cui
contavo per lasciare un buon ricordo di me "Ha ottenuto ciò
che cercava, ora può tornare a casa, finalmente"
"Ho ricevuto un messaggio da parte dei miei supervisori. Devo
tornare immediatamente nella mia epoca anche se è un'epoca
infelice rispetto a quella che voi state vivendo. Porterò con
me le foto che ho scattato in questo mese di vacanza. Le
mostrerò ai bambini"
"Ha dei figli Daniel? Una famiglia?"
"Purtroppo le nascitte sono controllate su tutto il pianeta Terra.
12 mld di persone sembrano difficili da gestire. Appena nati, alcuni
di noi vengono messi nella condiziione di non poter procreare. E' un
posto triste il futuro, agente Scully. Tentate di godervi quello che
avete oggi"
"Daniel, da come ne parla, sembra che veramente lei abbia visto il
futuro. Ma se così fosse... Noi, oggi, possiamo accedere a
dati di secoli fa, andando in biblioteca e cercando fra i giornali
dell'epoca. Non vorrà farmi credere che nel vostro tempo non
esista un'archivio" Dana mi aveva guardato negli occhi come a cercare
un pò di verità in quelle che lei credeva solo bugie.
Abbassai i miei e le risposi nascondendole il motivo per cui ero
stato allontanato dal mio lavoro "La verità è che...
volevo conoscere di persona due dei miti che sono arrivati nel mio
tempo. Lo sa, agente Scully, la vostra ricerca della verità
è entrata nei testi di storia. Siete famosi almeno quanto Bill
Clinton e Monica Lewinsky" "Monica Lewinsky?!" chiese Dana
"La futura prima donna Presidente degli U.S.A. nel 2033. Ma non
importa. Fra 10 minuti, ho un appuntamento molto importante. Non
posso perdere la porta temporale. Devo andare. Ma la ringrazio.
"Di cosa?"
"Di non avermi chiesto come sarà il vostro futuro. La
vostra ricerca della verità. Non avrei potuto risponderle,
agente Scully". Guardai la fotografia che le avevo donato
"Mi dispiace per quella. Non so spiegarmelo. E mi dispiace non
aver potuto salutare l'agente Mulder e ringraziarlo per un aiuto che,
sicuramente, sarà fondamentale. Addio, Scully" avrei voluto
conoscerla nella mia epoca per non lasciarla più. Ma non sono
stato cresciuto per il romanticismo. E forse, se fosse esistita sul
serio come donna del 2086, non l'avrei riconosciuta come amore.
"Addio Daniel".
Uscìì dalla sua vita e dal 1998 sotto lo sguardo di
Dana.
05.25 p.m.
Mulder, quella mattina, non si fece vedere. Le aveva dato una
bella buca! Era ovvio che il rapporto sul viaggetto a New York
sarebbe toccato a lei. Dopo quel compito ingrato, Dana ebbe un lampo
di genio. Fare delle ricerche in più databases possibili sul
conto di Daniel Joe Brown. Non riuscì a trovare nulla. Come se
veramente non esistesse.
Quando arrivò l'ora di andare via, prese la giacca, la foto
che forse era il fotomontaggio di un pazzo ed uscì
dall'ufficio per recarsi a casa. Quando fu fuori dell'edificio, dalla
sua macchina intravide Mulder seduto su una panchina nel parco. Fece
un'inversione ad U, scese dalla macchina e si avviò da lui.
Gli sedette accanto
"Non sei venuto a lavoro! Bravo, ho dovuto stenderlo io il
rapporto. Grazie! Ad ogni modo sappi che Brown è passato
dall'ufficio. Gli ho consegnato il file che mi hai evidenziato". Lo
sguardo di Dana fu attratto dalla cravatta rosso acceso del suo
collega. Con la mano, la toccò per assicurarsi che esistesse
sul serio. Qualcuno, nel frattempo, poco lontano, scattò una
foto che, assieme ai monumenti del parco, riprese, involontariamente,
anche i due colleghi.
"Dio, Mulder è orrenda! Dove l'hai scovata?"
"Perché? Che ha che non va?"
"E' rossa. Di un rosso così violento da accecare. E poi sta
malissimo con la camicia!"
"Che vuoi, ogni tanto il mio daltonismo mi crea ancora dei
problemi". Mulder si slacciò la cravatta per toglierla
definitivamente, mentre Dana riprese il suo discorso
"Sai che mi ha detto?"
"No, cosa?"
"Che nel futuro avremo un posto nella storia accanto ad una certa
Monica Lewinsky che sembra conoscere il presidente Clinton e che
diventerà la prima presidente donna nel 2033. Hai idea di chi
sia?"
"Mi sembra una studentessa che ha trascorso un periodo di studi
alla Casa Bianca, ma dev'essere un'altra bell'invenzione di quello
squinternato di Brown" "Non so se sia proprio pazzo. Mi sembrava
sincero quando gli ho parlato. Anche riguardo alla foto"
"A proposito. Dov'è?"
"In macchina. Perché?"
"Andiamo. Voglio dargli un'occhiata". Si avviarono alla vettura di
Scully. Dana prese la foto appoggiata sul cruscotto e la diede a
Mulder
"Cosa pensi di trovarci di tanto cambiato?"
"Niente. Curiosità. Se Brown non è un pazzo, questo
dono dovrebbe avere un senso".
"Scully..." "Mulder non dirmelo. Non è possibile". Dopo
aver dato un'occhiata a quella foto che per loro non aveva senso, si
guardarono a vicenda. Dopodiché, assieme, guardarono verso la
panchina dove erano seduti fino a pochi istanti prima. La foto
chiarissima, riprendeva loro due seduti lì, mentre Dana
toccava la cravatta rossa che Mulder mai aveva indossato fino a
quella mattina. Incrociarono di nuovo i loro sguardi, senza parlare,
senza porsi domande. Dopo un attimo di esitazione, come a trovare una
risposta che abitava già nel loro cuore, si salutarono.
Entrarono nelle rispettive macchine e si avviarono verso le loro
case. Scully, sul sedile accanto a sè, aveva appoggiato la
fotografia che Daniel Joe Brown le aveva portato dal futuro 2086 e
che era stata scattata quel pomeriggio, forse da un turista, alle 17:
25 del 18.04.1998 e che sarebbe arrivata chissà come e
chissà perché, nel 2086.
[Dal diario] Quando sono ritornato a casa mia, nella mia
epoca, il caso Tooms fu risolto grazie alle informazioni e all'aiuto
che mi era stato dato dal passato. Ottenni una promozione ed ora
posso decidere sui casi in cui voglio ficcare il naso. Ho finalmente
recuperato tutti gli X-Files. Sono riuscito a far arrestare
definitivamente la famiglia Tooms. Ma sono fiero di una cosa. Ho
catturato un raggio di sole da un luogo buio dove la verità
è nascosta nell'ombra e l'ho portato qui nel mio presente,
affinchè il sole della verità non muoia.
Daniel Joe Brown
F I N E
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