Ho trascritto questa
intervista da"Il Mattino" di Napoli del 4 agosto 1999.
L'autore è il giornalista Francesco Cordella. Buon
divertimento, e scrivetemi per dirmi cosa ne pensate.
Intervista a Tiziano
Sclavi
Dylan Dog non esiste. O forse sì. Tiziano Sclavi esiste. O
forse no, visto che non rilascia (quasi) mai interviste. Sbrigatevi a
leggere domande e risposte, questa pagina potrebbe scomparire
presto.
È vero che il
suo primo racconto venne pubblicato sul giornalino della scuola? Che
tipo di storia era?
Non era il giornalino della scuola, ma una
rivista per le scuole, il cui animatore era il mio professore
ditaliano al liceo. Tra laltro, questo professore,
il Muggia, è stato tra i primi a credere in me:
leggeva tutto quello che scrivevo, compresi i fumetti (disegnavo,
anche, allora, ma poi, dato il mio grande amore per il disegno, ho
preferito smettere), mi dava dei voti in più proprio per
queste cosette extrascolastiche, e in quinta liceo è stato un
po il regista di uno spettacolino dove più che altro si
suonavano e cantavano le mie canzoni (altro mio grande sogno, quello
di diventare cantautore, ma purtroppo sono
stonaterrimo). E appunto il Muggia ha fatto
pubblicare quel racconto, che si intitolava Lettere
bianche ed era una storia alla Buzzati. Buzzati
è stato il mio primo idolo letterario, e ancora una volta il
merito è del Muggia, che ci aveva dato da leggere durante le
vacanze Il deserto dei Tartari. Io non avrei mai
letto un italiano, disprezzavo la narrativa italiana (e
in gran parte sono ancora daccordo con me). Leggevo solo
inglesi e americani, soprattutto thriller e fantascienza. È
buffo: ora che ci penso non sono cambiato poi molto, e sul mio
comodino, tranne rare eccezioni, Grisham si alterna a Perez-Reverte,
o a Crichton, o a David Leavitt, o a Stephen King.
Che tipo di studi ha
fatto?
Liceo classico e qualche anno di
università, Lettere moderne. Ma già lavoravo, intendo
pagato, e di studiare non avevo più voglia. Ho dato tre o
quattro esami, e ho smesso definitivamente quando sono stato assunto
dallEditoriale Corriere della Sera (non ancora Rizzoli), come
redattore al Corriere Ragazzi. Con grande dolore
di mia madre, non ho preso mai una laurea. E daltronde nessuno
me lha mai chiesta. Voglio dire, nel mio mestiere non contano i
titoli accademici, non gliene importa niente a nessuno. In circa
trentanni di lavoro, lunico che mi ha fatto una domanda
del genere è stato lei.
Ci racconta le tappe
salienti della sua carriera, dagli esordi al successo?
Professionalmente, ho iniziato con
articoletti e cose varie per il Messaggero dei Ragazzi
di Padova. Poi cè stato il
Corrierino, con racconti e fumetti. I racconti
sono stati poi raccolti in volume, con il titolo I misteri
di Mystère, dallo scomparso Editore Bietti, ma da
tempo la Mondadori ne ha fatto una nuova edizione, che si vende
ancora oggi. Adesso è firmata con il mio nome, mentre allora
usavo uno pseudonimo, Francesco Argento (omaggio a Guccini e a
Dario). Fin dagli inizi non volevo espormi, addirittura
non usando il mio vero nome. E poi ci sono stati i fumetti: per un
bel po ho fatto da ghost writer ad
Alfredo
Castelli, sceneggiando molti episodi
degli Aristocratici, poi ho inventato dei
personaggi miei, tra cui Altai & Jonson. Nel
76, se non mi sbaglio, sono stato assunto come redattore al
Corrierino. Finanziariamente una catastrofe: da free
lance guadagnavo più di seicentomila lire al mese, mentre
lì lo stipendio era esattamente la metà, trecento.
Comunque cerano la mutua, la pensione e tutto quel genere di
cose che servono a consolare una mamma il cui figlio non ha preso una
laurea. Verso la fine degli anni 70 ho cominciato a collaborare
con la Bonelli, scrivendo storie di Zagor e di
Mister No. Intanto il Corriere era passato alla
Rizzoli e cera stata la faccenda della Pidue. Non mi andava
più di stare in quellambiente, e così ho chiesto
alla Bonelli se volevano dare rifugio politico a un povero redattore
profugo, e nell81 mi hanno assunto. Latmosfera era
familiare, si lavorava bene, con passione, con amore. Qualche anno
più tardi è venuta la
Bonelli-Dargaud (ovvero una casa editrice
metà italiana e metà francese), e mi hanno detto di
fare il direttore. È durata quindici mesi: io e Federico
Maggioni come art director abbiamo fatto quella che ritengo
ancora una bella rivista, Pilot. Finita
quellesperienza, Bonelli e Canzio, proprietario e
direttore generale della Casa editrice, hanno deciso di tornare a
dedicarsi completamente agli albi tradizionali,
Tex in testa, e magari di creare qualche serie
nuova. Io ho proposto la mia, che si chiamava Dylan
Dog e che è stata accettata. Era l85, un anno
dopo usciva il primo numero. Nel frattempo ho fatto un sacco di altre
cose, tra cui parecchi romanzi, molti dei quali hanno provocato,
quando sono stati pubblicati, unesplosione di indifferenza
totale.
Veramente,
Dellamorte Dellamore ha avuto un notevole
successo, tanto che ne è stato tratto un film diretto da
Michele Soavi. Le è piaciuto?
Moltissimo. Secondo me quel film è un
piccolo gioiello di umorismo nero e grottesco. Posso dirlo
tranquillamente, dato che io ho solo venduto i diritti e non ho fatto
altro. La sceneggiatura era dello stesso Michele Soavi e di Giovanni
Romoli. Quando lho letta ho telefonato a Michele con grande
entusiasmo: era molto meglio del mio libro! In un altro caso, quello
di Nero. (con il punto, notare), film diretto da
Giancarlo Soldi, ho scritto io la sceneggiatura (che poi ho
trasformato in romanzo), e quindi non posso esprimere
giudizi.
Cè qualche
altro suo libro che vorrebbe vedere trasposto sullo
schermo?
Be, gli ultimi due, Le
etichette delle camicie e Non è successo
niente mi sembrano adatti sia per il cinema sia per il
teatro. Tra laltro sono anche due romanzi che si distaccano
dalle atmosfere cupe di quelli precedenti, e li ho scritti solo con
lintenzione di far ridere. O almeno sorridere.
Sta lavorando a un altro
libro, in questo periodo? Ci descrive il suo studio e il modo in cui
lavora?
In questo periodo non scrivo neanche le
parole incrociate. Ho il cosiddetto blocco dello scrittore, sia per i
romanzi sia per i fumetti. Anzi, di libri, dopo il risultato
sconfortante di vendite di Non è successo
niente, ho giurato di non scriverne più. Anche per i
fumetti sono stanco (mi avvio al trentennale), ma in questo caso
spero proprio che il blocco passi, prima o poi. Attualmente sono in
aspettativa e ricevo gli avvisi dello stipendio con scritto "Netto in
busta: zero"
Quanto al mio studio sarà così
ancora per poco, perché spero di poter traslocare al
più presto. Comunque cè una grande scrivania con
due computer: un Macintosh per il lavoro e un Pc per i videogiochi.
Sul Macintosh cè un dito di polvere.
Tornando ai fumetti, le sue,
più che sceneggiature, sono racconti. Come nascono? Le
è mai capitato di dover correre al computer per mettersi a
scrivere dopo aver visto un film o aver letto un romanzo che
lhanno colpita al punto di darle lo spunto per una storia?
Le domande fatidiche, Come nascono
le tue storie? o Da dove prendi le
idee?, sono un incubo per tutti quelli che fanno il mio
mestiere, dato che presuppongono un ragionamento del genere:
Voglio fare lo scrittore, quindi adesso cerco le
idee. Invece bisognerebbe ribaltare tutto: a me, fin da
bambino, venivano delle idee, e così sono diventato uno
scrittore e un fumettaro. Insomma, è proprio perché gli
vengono da chissà dove delle idee che un ragazzo, invece di
andare a giocare, si mette a scrivere (o a dipingere, o a comporre
musica). Molto più tardi si forma il cosiddetto
mestiere, ovvero la capacità di scrivere anche se
di idee ne vengono pochine, e anche la capacità di andarle a
cercare. Vedendo appunto un film, o leggendo giornali e libri. Non
sono mai corso al computer, ma ho sempre preso appunti di battute e
idee da copiare (già, copiare, perché no?
Nellantichità era pratica comune, e poi lo dice anche il
grande Totò: Tutti sono capaci di fare, è
copiare che è difficile!).
Quanto tempo impiega, di
solito, per scrivere la sceneggiatura di un fumetto? E per un libro?
Se tutto va bene, una storia di Dylan Dog la
scrivo in un mese circa (se va male come ora, circa mai). Per i libri
il discorso è diverso, ed è impossibile fare una media.
In Italia difficilmente scrivere libri può diventare una
professione, devi sempre avere un lavoro vero (per lo
più il giornalista) e dedicarti ai romanzi di sera o
addirittura di notte, o nel fine settimana. Io impiego di solito
moltissimo tempo, anche parecchi anni, a pensare a un libro, e a
raccogliere tutto il materiale. Alla fine la stesura vera e propria
dura pochi mesi.
Quali libri e videocassette
ci sono sugli scaffali della sua libreria?
Nel mio caso, penso che la domanda dovrebbe
essere piuttosto quanti. Così a spanne direi
ventimila libri e due o tremila cassette. In più, qualche
migliaio di Cd e qualche centinaio di CdRom. È una specie di
mini biblioteca di Babele, dove si trova di tutto, dal giallo
Mondadori ai Buddenbrook, dai film trash a
Kubrick, dalla musica techno a Vivaldi e Bach.
Con quali letture e film
è cresciuto? Qual è il libro che le ha fatto più
paura?
Dico sempre che a sei anni avevo letto tutto
Poe, ma forse esagero un poe (ecco, vede? È nata una battuta!
È cretina, ma è una battuta). In realtà fin da
bambino mi piacevano le storie che facevano paura, prima le fiabe e
poi i romanzi e i racconti. Credo di aver letto pochissimi libri
per ragazzi, e anche pochissimi classici
(tipo i grandi romanzi russi). Quanto al libro che mi ha fatto
più paura, ricordo che forse non ho mai finito il
Giro di vite di James: leggevo a letto, la sera, e
quel libro mi spaventava sul serio. Come del resto tutte le storie di
fantasmi. Quanto ai film, si può dire che io sia nato al
cinema: fin dai primi mesi, mia madre, grande appassionata, mi
portava sempre al cinema, tenendomi in braccio. Anche qui, si
è poi sviluppata una preferenza per lhorror e la
fantascienza, ma non saprei citare un solo film che mi abbia
terrorizzato, e la lista di tutti i titoli sarebbe troppo
lunga.
E nella realtà che
cosa le fa paura?
Tutto.
Ci sono elementi o
situazioni autobiografiche nelle storie che scrive?
Nei romanzi moltissime, nei fumetti un
po meno. Comunque trovo necessario che ci siano, nel senso che,
in ogni caso, qualunque cosa tu scriva, ci devi mettere un po
di te stesso, altrimenti sarà una storia
senzanima.
Per lei scrivere è un
divertimento?
Lo è stato a lungo, un divertimento,
come leggere un libro o vedere un film. Poi ho cominciato a sentire
la fatica, e adesso che scrivo da trentanni è quasi
tutta fatica. Ma quasi, appunto: un po di divertimento resta,
altrimenti smetterei e farei un altro lavoro.
Ha sempre voluto fare lo
scrittore o da bambino sognava di fare un altro mestiere?.
Da piccolo volevo fare il cowboy. E guarda
caso il primo romanzo che ho scritto era un western. Ero
in prima o seconda media, credo. Sono stato anche un grande
appassionato dellAgente 007, e visto che i romanzi di Ian
Fleming li avevo letti tutti, me ne sono scritto uno o due da me. Da
ragazzo non avevo dubbi, volevo fare lo scrittore, il fumettaro, il
cantautore e il regista. Me ne sono andate bene due su quattro, non
mi posso lamentare.
Perché ha scelto il
nome Dylan Dog? Si dice che il suo cane si chiami Dylan, che lei ami
il poeta Dylan Thomas e che Dylan Dog era il nome provvisorio che
dava a tutti i suoi personaggi.
Ho avuto tanti cani e gatti, ma mai nessuno
di nome Dylan. Il resto è vero. Dylan viene proprio da Dylan
Thomas. Dog, invece, viene dal titolo di un libro di Spillane che non
ho mai letto, ho solo visto nella vetrina di una libreria:
Dog figlio di. E davvero Dylan Dog era sempre
stato il mio XY, cioè il nome provvisorio che davo
ai miei personaggi (e ne ho le prove: esiste una mia breve storia,
disegnata da Lorenzo Mattotti, che si intitola proprio Dylan
Dog, e che risale alla fine degli anni 70). Il classico
nome di cui si dice per ora chiamiamolo così, dopo lo
cambiamo. Ecco, la differenza tra Dylan e tutti i miei
personaggi precedenti è che quella volta il nome non
labbiamo cambiato.
In "Raccontare Dylan
Dog" di Michele Masiero, lei ha dichiarato: "Dylan Dog
è un fumetto ribelle, popolato da mostri, da persone
'diverse'. Perché io sono 'diverso'". In che senso si
sente "diverso"?
Non lo so. Ma tutte le volte che sono andato
a Parigi e sono entrato a Notre Dame mi sembrava di essere tornato a
casa
Che consigli darebbe a un
giovane che vuole intraprendere la carriera di sceneggiatore di
fumetti?
Gli direi che questa non è affatto
una carriera, ma una passione che risale allinfanzia, il sogno
di un bambino. Se anche per lui è così, benvenuto. Ma
non speri di diventare ricco. A parte pochissime eccezioni (come me,
che ho avuto una fortuna sfacciata), un fumettaro guadagna mediamente
come un impiegato di banca, ma senza pensione né
mutua.
Come passa il tempo
libero?
Nei modi più diversi e normali:
leggendo, guardando film, ascoltando musica. Negli ultimi anni ai
divertimenti tradizionali si sono aggiunti i videogiochi, i CdRom.
È capitato spesso, a me e a mia moglie, di fare le tre o le
quattro di notte per cercare di risolvere un enigma, e poi, sfiniti,
vagare per Internet in cerca di soluzioni.
Sappiamo che sua moglie
è unappassionata lettrice delle sue storie: le ha mai
fatto qualche critica negativa?
Pochissime. Ma dato che le temo molto, ho
pensato di premunirmi coinvolgendola nel mio lavoro: ha già
collaborato al soggetto di alcune storie, e ha provato
comè difficile lavorare e comè facile
criticare.
Dove ama trascorrere le
vacanze?
È strano che lei me lo chieda proprio
adesso. Da quando avevo diciotto anni non ero più andato in
vacanza, e le estati me le passavo in casa, con laria
condizionata, a scrivere, a leggere e a fare tutte le cose che facevo
normalmente. Questanno, invece, per la prima volta vado davvero
in vacanza, in campagna, quasi al confine svizzero, in una casa
immersa in un grande bosco. Di giorno è stupendo, di notte non
lo so. E non lo saprò mai.