*Esprite*
- Racconti - Indietro - Home
Frammento
d'una cerimonia
Mi sento bizzarramente scontento dentro queste scarpe
scricchiolanti, un turgore morale compresso, messo alle strette.
Eppure non è male la giornata, il cielo screziato di nuvole che
sfuma al bianco a contatto con la cresta di colline. Spingo la
ghiaia con la punta del piede, come per creare delle corsie, dei
canali con la bruna terra sul fondo. Un certo brusio si va
componendo, da sparuti brandelli sbatacchianti; e sale fino al
cornicione affrescato più in alto, sulle verticale della zona
deputata al rinfresco. Due visi non particolarmente freschi di
camerieri dietro un tavolo, lei giovane e tutto sommato compita.
Mi raccomando dare del lei a tutti e non toccare il bordo del
calice con il collo della bottiglia. Lui più anziano, raccolto
in una sua forma di competente responsabilità, alcuni sfuggenti
particolari del vestire denotanti una lieve negligenza, forse
rilassatezza. Perdono questo ed altro, seduto su una sedia di
ferro dal sedile traforato, le bollicine ghiacciate tra le mani.
Potrei emendare qualsiasi male mi pare con questa acquolina in
bocca e lo stomaco astutamente solleticato. Pregusto già il
seguito di queste olive ascolane, mi scivolano attorno a questi
pregevoli bocconi i pensieri per poi sbocciare addosso al vestito
azzurro di una fanciulla giù in fondo, bionda e con l'aria di
esserlo. In questo momento ho il vago sentore di preferire le
scure di capelli ma l'aria invitante vibra in contrappunto con
quelle ombre d'oro. Troppo profumata e liscia e laccata però, lo
sento anche da qui. Una insospettata fioritura mondana di una
sgambettante impiegata; correre dietro a questa sua vita mi
sembra interessante per alcuni minuti, i suoi giorni, il prima e
il dopo. Mi sembrano futilità quelle che dice, ma forse no, non
sento bene. Mi rilasso attorcigliato attorno a quest'altro
polpaccio ben tornito, non molto distante; un trambusto di parole
ancora, assorbite da decine di corpi. E i fumi, il passato di
queste vite che si tocca, ma non si fonde, come olio e acqua. E'
strampalata l'idea di associare Dio a questo soffocato stridore
di freni a disco ben tenuti, un'altra auto di un ricorrente
luccicante blu. Accosta vicino alle altre. A ben vedere c'è un
certo movimento di sguardi in questo momento, verso la siepe di
oleandro dietro il parcheggio. Ma deve trattarsi di un malinteso,
l'increspatura svanisce. E' fastidioso ma quasi rassicurante
pensare che anche gli altri ci sogguardino con la stessa
indifferente curiosità, soppesare con nonchalanche i trascorsi,
i sentito dire, la faccia, l'andatura, qualche rimasuglio di
contatto o di conoscenza. Pochi grammi, tracce. Seppure di grossi
pesi si tratti. Un vestito grigio sulla destra, una pelle ben
rasata, lo sguardo brillante ma non ancora brillo, l'alito quasi
visibile di prosecco e auto ben tenuta. Un pulviscolo di parola
facile, andatura adatta, soldi prfumati e rassicuranti. Accavallo
le gambe, un piccolo dolore alla coscia. Sarebbe troppo facile e
anche ingiusto sputare su questo retrogusto di vita lucida e
assicurata. Che altro. Borghese (o piccolo) si sarebbe detto
tanti anni fa. Forse solo supponenza che esista un malcelato
altro. Probabilmente oziose sciocchezze. Mi stiro e mi alzo, la
sedia si assesta con un ghiaioso cigolio.Non ci sono più nuvole
pare, una rapida occhiata. Passo la linea invisibile tra la luce
e l'ombra dell'edificio. Vado a farmi riempire il bicchiere.
Novembre
2004