Gruppo Telecom: quanti accordi buoni negli ultimi anni.
l’occupazione cala, i salari pure, chi può scappa
e chi rimane scoppia.
Roma,21 maggio
2002.
Cambiano
governi, strategie, padroni ed amministratori delegati, ma per CGIL-CISL-UIL, in
Telecom, permane una granitica certezza: partire dalla bontà dell’accordo del
28.3.2000 e continuare nello stesso percorso…………….
Forti
di questa fede, in data 16 maggio 2002 i segretari generali dei tre sindacati,
da mesi in trattativa con l’azienda, giudicando “un positivo risultato”
l’ipotesi d’accordo raggiunta, sono pronti alla firma, dopo “una verifica
ed ottenere un mandato positivo dalle RSU”, da concludersi entro il 23/24
maggio.
Le
nostre posizioni negative sull’Accordo del marzo 2000 sono note. Rispetto al
nuovo accordo nutriamo forti dubbi ,comunque approfondiremo ulteriormente
l’analisi delle 17 pagine dell’intesa - salvo
che non ci sia dell’altro -, ed
intanto rileviamo:
1.
Democrazia:
vogliono
utilizzare le RSU quali paravento delle loro decisioni. La trattativa è in atto
da mesi ed ora, in meno di 4 giorni lavorativi, pretendono:
·
una
valutazione, ma
come è possibile farle entrare nel merito in un tempo così breve ?
·
un assenso,
ma queste non
sono tutte operative: e ad oggi non esistono né gli esecutivi
RSU , né , tantomeno, il coordinamento
nazionale.
E che dire sul
coinvolgimento dei lavoratori che sono i soggetti direttamente interessati? Non
ci vorrebbero assemblee e Referendum? Inoltre menzionano, nel loro comunicato,
il coinvolgimento delle RSU prima della sigla dell’accordo: ci si chiede quali
RSU siano state coinvolte, visto che i nostri rappresentanti RSU, pur presenti
su tutto il territorio nazionale, non hanno avuto alcun materiale, né sono
stati consultati. Non
ci presteremo a questo gioco.
2.
Occupazione:
continuano
a diminuire gli occupati, al termine della durata dell’accordo si avranno
almeno 2.000 lavoratori in meno (dic.2000 = 66.541, dic.2001 = 61.081);
ad ogni accordo, in cambio degli esodi, si
“vendono” nuove assunzioni, che si tramandano di accordo in accordo
come leggende metropolitane. Comunque, si procede nel cacciare il lavoro
buono,
quello a tempo indeterminato, per introdurre, nei casi in cui avviene, quello
cattivo;
interinale (in TIM supera di gran lunga le percentuali previste), contratti di
formazione, apprendistato, collaborazioni coordinate, lavoro ripartito ed altro.
Tutte forme occupazionali assistite da contribuzione dello Stato.
3.
Lavoratori
atipici: il
passaggio dei “collaboratori” di Atesia, della sede di Caltanissetta a
contratto di “formazione lavoro” part-time con Telecontact puzza di manovra
elettorale per ingraziarsi il governo, che gode di ampi consensi in Sicilia e
sfiora il grottesco. Infatti si trascurano i gravi problemi presenti nelle altri
sedi di ATESIA ed anche l’anomalia rappresentata da questa azienda del gruppo
che svolgendo il lavoro per TELECOM e TIM applica condizioni di lavoro peggiori,
alla faccia del contratto di settore che doveva mettere tutte le aziende nelle
stesse condizioni. Il grottesco è riferito al fatto che i “collaboratori”
in questione verrebbero assunti con un contratto di formazione al lavoro per le stesse mansioni che svolgono da anni, ciò
esclusivamente per la convenienza di Telecom a fruire di sgravi fiscali e
contributi pubblici.
4.
Mobilità: l’accordo prevede l’impiego
della mobilità, senza che siano specificate le quantità, per fuggire
“volontariamente” dal lavoro verso la pensione. I contraenti contano
sull’elevata adesione dei lavoratori quale conferma della loro abilità nel
trattare. Al contrario, noi crediamo che l’adesione alla fuga rappresenti con
estrema evidenza la disaffezione ed il disagio del vivere in azienda e,
conseguentemente la cattiva politica
sindacale sin qui tenuta.
Il ricorso all’ulteriore strumento
della mobilità, già usato per 7.500 persone, visto dalle parti quale
accompagnamento alla pensione, evidenzia
l’acquiescenza sindacale e gli
appoggi di cui il gruppo Telecom gode, a prescindere dai governi in carica.
Sorvoliamo sul continuo pianto sul
deficit dell’INPS, fatto per poter abbassare le pensioni, e sulla coerenza tra
questi accordi e le recenti autorevoli dichiarazioni sugli ammortizzatori
sociali (vedi, Cofferati e Maroni ). E’ utile, anche se fastidioso, ricordare
che la legge 223/91 prevede licenziamenti collettivi e non prepensionamenti, ovvero non
esiste allo stato attuale alcuna legge che garantisca chi va in mobilità in
caso di modifiche al sistema pensionistico.
5.
Per
chi resta: per chi non ha
la “fortuna” ( ! ) di poter fuggire, i problemi restano tutti, anzi si
aggravano, in quanto vengono ribaditi la mobilità all’interno del gruppo e
quella territoriale, le terzializzazioni (cessioni di rami d’azienda) e si
aggiunge il “distacco”. Aumentano il ruolo e l’incidenza delle forme di
lavoro precario e delle aziende che producono tale lavoro (ATESIA - TELECONTACT
CENTER – ITALIA LAVORO). Vi è, inoltre, il rischio che la sbandierata
formazione professionale, 3 milioni di ore, oltre a fornire un notevole
business, per chi la gestirà, potrà essere utilizzata quale strumento per
agevolare la mobilità. Basta ricordare, a proposito, la grottesca e tragica
esperienza dei corsi di formazione per i cassaintegrati che dopo tali corsi sono
stati demansionati.
6.
Orgia
di commissioni ed osservatori congiunti: sulla validità di tali organismi,
facciamo notare che l’unico risultato positivo ottenuto negli ultimi tempi,
l’interruzione della CIGS ed il
rientro anticipato al lavoro, si è ottenuto grazie alla lotta intrapresa dai
diretti interessati che hanno mandato a quel paese commissari ed osservatori. Il
caso della Commissione Welfare è emblematico, a distanza di due anni ancora non
si conoscono le patologie protette. Proprio in questi giorni, inoltre,
verifichiamo che, mentre CGIL-CISL-UIL raggiungevano l’intesa in questione,
l’azienda procedeva imperterrita nell’applicazione di nuovi turni nella
rete, fregandosene delle proteste dei lavoratori. Con buona pace delle
commissioni congiunte che servono solo a sistemare qualche burocrate sindacale
che, un domani, forse, ritroveremo dirigente aziendale.
E’ tempo di cambiare rotta:
·
ripartire
dalle condizioni di vita e dalle esigenze di chi lavora;
·
rimettere al
centro il salario, sempre diminuito in questi anni, lontano da quello degli
altri paesi europei, inferiore all’inflazione e, di gran lunga, ai profitti;
·
ridiscutere
orari, turni e ritmi di lavoro.
Basta con le politiche sindacali
che covano la rassegnazione e la paura e gestiscono le fughe.
COBAS Tlc
Flmuniti CUB
SNATER