SIGNIFICATO DEL "PREMIO"
Il prof. Giorgio Zampa di San Severino Marche, giornalista e docente universitario, fu ispiratore, circa otto anni fa, del Premio Salimbeni per la storia e la critica d’arte, che il Consiglio comunale istituì ufficialmente nel novembre 1981. Egli fu il principale collaboratore dell’Amministrazione comunale del tempo durante la fase di costituzione, avvenuta l’anno successivo, del Centro Studi Salimbeni per le arti figurative che ora si sta trasformando in Fondazione. In questa intervista Giorgio Zampa traccia la storia del giovane, ma gia' affermato "Premio", e ne chiarisce gli scopi.
Professor Zampa, ormai da anni si parla del Centro Studi e del "Premio Salimbeni". Essi hanno acquistato notorieta' anche all’estero, ma tra i settempedani permane ancora una scarsa informazione, soprattutto sul loro significato. Puo' Lei spiegarlo?
Si puo' spiegare con delle premesse e poi con dei programmi.
Le premesse sono queste. San Severino ha avuto per circa un secolo e mezzo una civilta' pittorica particolare che non si e' del tutto esaurita, ha continuato, diciamo cosi', a scorrere invisibile: anche nell’’800 ha dato dei pittori neoclassici non trascurabili. Poi, non soltanto per la parte pittorica, per la parte figurativa, ma anche per la parte delle arti applicate ha avuto uomini insigni come i lavoratori in ferro, gli Acciaccaferri, e come gli intarsiatori che sono arrivati alla Basilica di Assisi e come i costruttori di mobili e come maestranze di muratori che hanno dato alla citta' l’aspetto che ha. San Severino come centro storico e' stata scelta tra le 12 citta' italiane esemplari nella "Storia dell’Arte" di Einaudi, diretta da Federico Zeri. Insieme con Montefalco rappresenta l’ideale storico italiano dell’Italia Centrale, quindi il massimo della caratterizzazione e delle qualita' che si possono attribuire ad una citta'.
Se voglio risalire, in termini personali, all’origine del Premio, l’idea venne dall’uscita del volume di Einaudi; si penso', in un primo momento, data la menzione che per la prima volta si faceva di San Severino sul piano nazionale, di fare una tavola rotonda, per celebrare la pubblicazione. La cosa, per ragioni contingenti, non ando' in porto; pero' si penso' che, tutto sommato, l’incoraggiamento che ci veniva dall’esterno da un organo cosi' prestigioso come la "Storia dell’Arte" di Einaudi, non poteva rimanere inerte, era bene che fosse ripreso per approfittare dell’interesse con cui il Paese guardava a San Severino. Parlando un po' di quanto si sarebbe potuto fare per giovarsi di tale spinta, si penso' di fare un Premio e parlando con il professore Pietro Zampetti, si disse: perche' non un Premio di Storia dell’Arte? In Italia, dove ci sono piu' di mille premi di tutti i generi, per tutte le manifestazioni, stranamente non esisteva un premio per la Storia dell’Arte, pur avendo l’Arte da noi l’importanza che ha, e sul piano editoriale costituendo il fenomeno che tutti sappiamo dalle pubblicazioni da edicola alle grandi opere, alle monografie, alle piccole biografie etc.: basta pensare ora al fenomeno che a Roma si e' verificato con la mostra del Van Gogh, richiamando da ogni parte d’Italia centinaia di migliaia di persone. Curiosamente, c’erano tutti i premi, ma non c’era un premio che riconoscesse la qualita' di un libro dedicato alla storia dell’arte.
Zampetti ed io parlammo con nostri amici in questo campo, e anzitutto con Federico Zeri, amico di entrambi, il quale si mostro' subito pronto, disponibile a partecipare a tale iniziativa, e propose nomi per i componenti della Commissione, insistendo sul fatto che doveva trattarsi di una commissione sganciata da ogni interesse accademico prima di tutto, perche' in Italia le cose vanno bene se sono in mano ai politici o agli universitari, mentre quando sono fatte da persone che non hanno secondi fini, cioe' ne' cattedre, ne' elezioni, ne' passaggi di grado trovano handicaps di ogni genere. Si scelsero quindi nomi fuori da ogni area partitica, fuori da ogni congrega universitaria, fatto importante: venne spontaneo il fatto di chiamare i nomi piu' autorevoli che ci fossero, perche' un Premio vale non per il riconoscimento che da', neppure per l’ammontare economico, ma per l’autorevolezza di quelli che lo conferiscono.
I nomi furono quelli di Mina Gregori, ordinaria di Storia dell’Arte all’Universita' di Firenze; Carlo Volpe, ordinario di Storia dell’Arte a Bologna; Raffaello Causa, Sovrintendente ai Beni Artistici a Napoli; Giulio Briganti, ordinario di Storia dell’Arte all’Universita' di Roma; infine pensammo che, dato il carattere internazionale del Premio, era necessaria anche la presenza di stranieri, quindi venne designato Pierre Rosenberg, allora Conservatore per il Dipartimento Pitture al Museo del Louvre ed ora Conservatore-Capo, cioe' Direttore di tutti i reparti di pittura, di tutte le Scuole di Pittura, che sono al Museo del Louvre.
Nella foto, da sin. Attilio Bertolucci, Piero Bigongiari, Roberto Longhi, Federico Gentile, Giuliano Briganti,Giorgio Zampa, Giorgio Bassano, Federico Zeri, Anna Banti, Adelia Noferi, Raffaello Causa,Mina Gregori, Carlo Volpe
Con questa compagine partimmo alla ventura, perche' non si sapeva se il fondo che ci era stato concesso ci sarebbe stato l’anno successivo, se i soldi bastavano, se le cose sarebbero andate in una certa maniera. Stabilimmo che il Premio avrebbe avuto due edizioni, una per un libro di storia dell’arte relativa alle Marche e una per un libro di storia dell’arte relativa all’Italia fino all’Ottocento compreso. Il Premio escludeva quindi la parte contemporanea, per ragioni di misura, altrimenti il campo da esaminare diventava sterminato.
La prima edizione, dato il carattere del Premio, fu quella marchigiana; premiato fu il prof. Mazzini, gia' Sovrintendente per il Piemonte e attualmente docente all’Universita' Cattolica di Milano, per un’opera intitolata "I mattoni e le pietre di Urbino", relativa alla storia di Urbino come citta' d’arte, vista attraverso tutte le sue manifestazioni: architettoniche, pittoriche, scultoree, e naturalmente attraverso le vicissitudini storiche. L’edizione successiva fu dedicata a un’opera di storia dell’arte italiana; fu premiato un insigne studioso britannico che aveva dedicato la vita all’arte del nostro Paese attraverso i disegni dei grandi Maestri e aveva pubblicato appena pochi mesi prima un corpus dei disegni della Fondazione Lugt di Parigi, in tre grandi volumi dedicati ai disegni italiani: impresa di straordinaria importanza per la solidita' dello studioso, per l’ampiezza a la sicurezza con cui erano esaminati tanti materiali e specialmente per le scoperte che rivelava. La scelta fu accolta con favore all’estero e il Premio comincio' a prendere quota, si comincio' a intravedere quali erano i suoi caratteri. Purtroppo proprio nel secondo anno Carlo Volpe, colpito da un male incurabile, si spense; a questo punto e' da correggere quanto ho detto prima, Rosenberg non fece parte della prima compagine del Premio, venne con la morte di Carlo Volpe, come successivamente con la morte di Raffaello Causa venne Jennifer Montagu, che fa parte della Direzione del Warburg Institute dell’Universita' di Londra, cioe' di uno dei massimi centri di discipline per la storia dell’arte.
In questo modo il premio, in un giro relativamente breve di anni, si impose da solo, perche' qui non e' che sia stata fatta molta pubblicita', e la somma che si conferisce non e' quello di un "Nobel"; pero' l’autorevolezza, il prestigio della Commissione, la qualita' segnalata nelle opere scelte e' tale che in cinque anni il Salimbeni e' arrivato ad essere l’unico Premio in questo settore, nonostante altre iniziative, ma anche, di gran lunga, il piu' desiderato, conteso da chi vuole avere una distinzione al di fuori di ogni discussione in un campo di studi cosi' minato e difficile, cosi' frequentato e combattuto come quello della storia dell’arte.
Questo e' per quanto riguarda il Premio.
La vostra proposta come veniva accolta a San Severino e fuori San Severino?
Occorre essere aperti e comprensivi per questi fenomeni, bisogna tenere conto delle realta' culturali, sociali, economiche in cui avvengono, della disponibilita' che c’e' in certi centri.
A San Severino non era facile accettare la qualita' di questa manifestazione, e l’importanza che aveva per la citta' come elemento di vitalizzazione, perche' non si afferma nulla di nuovo dicendo che noi viviamo in un certo isolamento rispetto a centri maggiore, per forza di cose; siamo in una citta' con risorse modeste, non abbiamo grandi vie di comunicazione, non disponiamo di grandi organi che ci permettano una circolazione molto ampia; la nostra posizione, anche all’interno delle Marche, e' di isolati.
Allora, cosa si e' tentato con questa operazione?
S’era tentato inizialmente di operare su due aspetti, per San Severino, nell’ambito di San Severino. Uno fu di immettere energie dall’esterno, di far conoscere, sempre con l’idea che ho detto prima, partita dalla "Storia dell’Arte" di Einaudi, e quindi da Federico Zeri, di far conoscere questo centro storico che viene additato come esemplare. L’altro fu ed e' quello di risvegliare a San Severino energie che con il dopoguerra sembravano spente. Mi spiego meglio. San Severino ha avuto da sempre una tradizione di artigiani eccellenti, fabbri, falegnami, intarsiatori, intagliatori, maestri muratori, corniciai, decoratori. Nell’ambito di tre, quattro decenni, queste maestranze si sono esaurite, si sono spente. L’opera, svolta dalla Scuola d’Arte fondata e avviata dal Professor Egino Bellucci con due generazioni si e' quasi spenta.
Se uno vuol far riparare un mobile o vuole fargli ridare una certa patina o vuole rifare cose in un certo stile, si trova oggi in difficolta' e deve andare fuori San Severino, perche' sono rimasti alcuni bravissimi artigiani che possono svolgere un lavoro minimo; questa nostra cosiddetta Citta' d’Arte, che aveva mantenuto caratteri di fierezza e finezza, di autonomia, di energia e bellezza, ad un certo punto s’era esaurita. Abbiamo pensato che riattivando dall’interno, non solo il Premio, perche' il Premio si propone altre finalita', ma con il Centro - ecco che veniamo al dunque - articolando il Premio entro il Centro Salimbeni , si sarebbe potuta fare un’opera di rianimazione, di riattivazione, di ossigenazione di mestieri e attivita' che purtroppo si stanno perdendo. Questa seconda fase e' naturalmente la piu' faticosa, perche' come tutte quelle iniziali soffre della vischiosita' dell’inerzia. Ci sono poi difficolta' oggettive, soprattutto di carattere economico, anche se le autorita' comunali hanno appoggiato ed appoggiano la nostra iniziativa e danno il massimo che possono dare; di piu' non si puo' chiedere percha' la Citta' ha le risorse che ha e deve distribuirle equamente, non puo' provocare squilibri. I mezzi del Centro sono quelli che sono, abbiamo quello che possiamo avere. Un rilevo pero' va fatto. Il desiderio di riallacciarci a tradizioni, di censire quello che rimane, perche' purtroppo nel dopoguerra sono stati fatti guasti irreparabili al centro storico, e quindi di cercare di salvare le cose che sono rimaste relativamente intatte, di censire quelle che ancora ci sono, ferri battuti, portoni, cornici di finestre, tipi di mattoni, qualita' di pietre; e' scomparsa, non l’adopera piu' nessuno, la cosiddetta "pietra di Cingoli", bellissimo marmo con cui sono state fatte le balaustre, le soglie, gli stipiti delle porte dei palazzi di San Severino; oggi non sanno neppure che cos’e', eppure e' stata per secoli, almeno per sei secoli, una delle pietre, uno dei materiali con cui e' stata costruita la Citta'.
Devo insistere sul fatto che si ritorni all’uso del mattone, del laterizio, abbandonato per l’intonaco. L’intonaco qui non i dovrebbe essere perche' la nostra e' stata sempre una citta' con i mattoni a vista e quindi bisognerebbe ripartire da questo fondamento, lentamente, con interventi singoli, appropriati, poi con una forma di rieducazione generale, in modo da far rinascere comprensione per il carattere del centro storico, per l’animo di questo paese: tutte le persone che abitano nei nuovi rioni, la sera, nei giorni di festa, nelle occasioni particolari convergono nel vecchio centro perche' capiscono che l’anima del paese sono le vie intorno alla grande piazza, che li' e' la ragione d’essere della citta'.
Il Centro Salimbeni vorrebbe anche essere un organo, uno strumento per far conoscere, riconoscere, ricordare, rimettere in circolo questa tradizione che è' bastato pochissimo a cancellare, per far ritrovare una coscienza spontanea, naturale a chi oggi non sa piu' cosa rappresentino certi utensili, certi materiali, non conosce certi modi di costruire. Cosa gravissima e' la quasi completa scomparsa dell’architettura rurale che nel nostro amplissimo circondario offriva un campionario di case stupendo, da poter scalare attraverso i secoli. Con l’abbandono della campagna, con la conversione di queste case da abitazioni agricole in pseudo ville, in piccole industrie, o che altro sia, contravvenendo per solito a disposizioni di legge (basta pensare ad un centro ormai irrecuperabile come Elcito, esempio tra i piu' straordinari di architettura spontanea nell’alto Appennino), sarebbe bastato anche solo avere una documentazione di quello che era l’abitato, prima degli interventi fatti. C’e' ancora molto da fare con la nostra casa rurale, una casa in via d’estinzione che andrebbe documentata, fotografata; nel giro di un dieci, quindici anni nessuno ne avra' memoria. Anche questo fa parte di piani, che considero primari, della nostra iniziativa, perche' il Centro, tra poco Fondazione, ha le sue radici a San Severino e per San Severino ha disposto un tipo particolare di ingranaggio che si chiama "Premio Salimbeni", per attirare l’interesse di altri paesi, di altre citta'.
L’iniziativa come e' stata accolta dagli editori d’arte?
E’ stata accolta nel modo piu' lusinghiero. Nel marzo partecipai ad un grande convegno a Parigi sul mercato mondiale dell’arte, una specie di grande fiera riservata agli operatori d’arte, agli antiquari, ai direttori dei musei, a tutte le attivita' connesse. Con mio stupore per tre volte i congressisti che parlavano inglese, tedesco , francese, citarono il Premo Salimbeni di San Severino Marche. Io mi trovavo li' non in veste di membro del Premio Salimbeni, ma come semplice spettatore. Il fatto mi sembra parlare da solo.
Con gli editori italiani grandi e piccoli siamo in ottimi rapporti. Con cio' non e' che si possa dormire sugli allori, c’e' ancora molto da definire, da mettere a punto. I nostri mezzi di diffusione di notizie sono quelli che sono (siamo una minuscola impresa) pero' grazie alla qualita' dell’iniziativa, all’interessamento che in modo disinteressato ogni membro della Commissione ha portato nel suo lavoro, al particolare interesse dimostrato da Federico Zeri, il Premio e' seguito con attenzione e ha conseguito sicuro prestigio. Abbiamo fatto un convegno su Giambattista Salvi, il Sassoferrato, ed e' stato accolto molto bene, come la tavola rotonda sul Catalogo d’Arte.
Oltre alla organizzazione del "Premio", quali sono le attivita' del Centro Studi?
Le attivita' del Centro Studi sarebbero queste. Considero fondamentale un’attivita' che abbia attinenza con la vita di San Severino. Importante e' che si diffondano nella coscienza del paese l’amore e la conoscenza per un passato che ha lasciato testimonianze preziose. Il carattere della Citta' e' dato dal complesso dei suoi edifici, non solo dai palazzi, ma dalle case di abitazione civile in genere. Ci sono case del Quattrocento nel rione San Lorenzo, un quartiere gotico stupendo che e' andato quasi tutto perduto negli ultimi quarant’anni, conseguenza di politica cieca e dissennata. Tuttavia ci sono ancora alcuni elementi, cortili interni, certi tipi di scale, porte e via discorrendo, che sono assolutamente da documentare. Certi tratti, come Via Massarelli, Via Salimbeni, la Piazzetta (dovuta a demolizioni) davanti al Museo, dovrebbero essere rianimati, perche' se consideriamo il centro storico come una specie di scenario che deve rimanere finche' riesce a tenersi in piedi e poi quando e' caduto buona notte, e' finita. Bisogna far capire che Via Salimbeni era la via piu' aristocratica, piu' illustre, piu' importante di San Severino, era il corso di San Severino. Basta pensare a Treia, a Recanati, a paesi che hanno mantenuto, tenuto in vita il loro "corso". A Treia hanno capito molte cose, hanno scelto di aprire botteghe senza alterare il carattere dei palazzi, lasciando i vecchi portoni, destinando l’androne a botteghe. E’ stata una forma di salvataggio per il centro storico, non s’e' attentato alla sua integrita' e nello stesso tempo si e' promosso l’interesse commerciale, si e' portata la gente.
A San Severino da Porta del Peso, da Porta Romana fino a S.Agostino bisognerebbe che si riattivasse una circolazione commerciale, cominciando con alcune isole di prima necessita' e che poi si riportasse vita in case semi-abbandonate, per fare di una strada di passaggio una strada di acquisti e di passeggio, perche' altrimenti muore.
Queste cose saranno possibili soltanto se si fa capire alla gente che i quartieri debbono essere animati da chi li abita. Fino a un certo punto, a San Severino, si seppe perche' si costruiva, perche' si sceglieva un modo piuttosto che un altro. Poi tale coscienza si perse, prevalsero interesse privato, casualita', prevaricazione e una quantita' paurosa di ignoranza.
Ci parli dell’attivita' gia' svolta
Avevamo pensato da soli, e ci fu fatto rilevare da altri, che concentrare la nostra attivita' solo sul Premio, esaurendola in un giorno, sarebbe stato antieconomico, difficilmente giustificabile anche sul piano culturale. Abbiamo cercato, incontrando notevoli difficolta' di carattere economico, di affiancare il Premio a una doppia serie di attivita': una di mostre particolari, non di costi alti, ma di qualita' sicura; mostre di rivendicazione, diciamo cosi', di riscoperta di artisti marchigiani, se e' vero che i marchigiani sono non di rado nemici di se stessi: abbiamo artisti di grande e grandissima qualita' che sono ignoti a tutti, cominciando da rappresentanti di consigli comunali.
Non possiamo permetterci mostre di grande respiro, con quadri che sono all’estero, non abbiamo mezzi per farle. Abbiamo puntato sulla qualita'; dato che oggi il disegno in se' e' considerato sul piano della figurazione pittorica, ci siamo orientati verso mostre di disegni di maestri. La prima mostra fu di Fortunato Duranti, pittore fra Neoclassicismo e Romanticismo, certo tra i piu' originali d’Italia, non delle Marche, come ha scritto di recente Federico Zeri, presentando a Fano una sua esposizione; abbiamo fatto una mostra su un altro insigne maestro, Simone il Pesarese, cioe' Simone Cantarini, l’allievo piu' geniale di Guido Reni, con tutta la sua opera grafica e buona parte dei disegni; abbiamo fatto una mostra, se si vuole leggermente eccentrica, ma credo utile sotto molti aspetti, di disegni di Ottone Rosai, presentata da Mario Luzi. Quest’anno facciamo una mostra di disegni di opere anche inedite, fatto importante, di Gian Francesco Guerrieri, figura interessantissima di Fossombrone, tra Barocci e Caravaggio. La mostra e' curata da Andrea Emiliani, autore di una monografia su Guerrieri, e massimo conoscitore del Barocci e del suo ambiente. Ci sara' un nucleo di disegni custodito a Urbania, che facevano parte delle raccolte roveresche, e un certo numero di tele che verranno sia dalla Sovrintendenza delle Marche, sia da privati, mai esposte in precedenza.
Qual e' l’aspetto piu' importante dell’attivita' nel campo delle mostre? Andrea Emiliani ha compreso le intenzioni, i propositi, i programmi del Centro, l’importanza del tentativo di agire in una zona decentrata rispetto ai centri maggiori dove piove sul bagnato. Fare mostre a Bologna, Roma, Milano e' un conto, qui e' un po' piu' difficile. Emiliani ha capito l’esempio che proponiamo, lo sforzo che facciamo per cercare di vincere tante resistenze, di natura soprattutto locale, ha accettato che le mostre allestite a San Severino abbiano una seconda vita a Bologna, in sedi prestigiose.
La mostra di Gian Francesco Guerrieri avra' quindi una doppia edizione, sanseverinate e bolognese, in concomitanza con la grande mostra di Guido Reni che si terra' tra il settembre e il novembre a Bologna. Per questa operazione abbiamo ottenuto un notevole contributo dalla Cassa di Risparmio di Bologna. Per quanto riguarda le mostre, ne abbiamo in programma quattro per i prossimi anni, sempre in collaborazione con Bologna.
Un’altra attivita' riguarda la stagione invernale e primaverile, organizzando conferenze, tavole rotonde, conversazioni, presentazioni. Siamo riusciti, l’anno scorso, a fare una stagione abbastanza buona, abbiamo avuto delle cose di prim’ordine, quest’anno non e' andata altrettanto bene per la difficolta' di reperire fondi. Con la trasformazione del Centro Salimbeni in Fondazione dovremmo avere, forse a partire dalla prossima stagione, un’autonomia modesta, sufficiente per consentirci - da ottobre a marzo - aprile - un certo numero di manifestazioni.
Che significato ha la trasformazione da Centro Studi in Fondazione?
Si tratta di una promozione, nel senso che dopo tre anni si riconosce all’attivita' del Centro una ragion d’essere, un’autonomia, una motivazione culturale. Per garantire una continuita', per disporre di maggiori fondi (la Fondazione ricevera' fondi dal Ministero, non sara' piu' a carico unicamente dal Comune), per disporre di uno stato giuridico che conferisce e garantisce un minimo di stabilita', si potranno svolgere programmi piu' complessi, anche perche' tra i membri fondatori, tra quelli che saranno i membri d’onore, speriamo che si cominci a stabilire quel circolo e soprattutto quel ricambio tra San Severino e l’esterno, che e' stato il primo movente per fare tutte queste cose.
Perche' Centro Studi e Premio furono intitolati ai Salimbeni?
Fu una cosa spontanea. I fratelli Lorenzo e Jacopo Salimbeni furono pittori che lavorarono tra il 1395 circa e il 1430, fondando, conferendo, un carattere alla "Scuola di San Severino". In loro si rispecchia simbolicamente l’attivita' figurativa che la nostra Citta' esercito' per secoli con artisti anche di prim’ordine, rimasti purtroppo quasi sconosciuti al grande pubblico. Basta pensare a Lorenzo D’Alessandro, autore di notevole statura, di cui purtroppo qui in Citta' abbiamo poco, perche' le sue tavole sono sparse per i musei maggiori del mondo; a un artista come Ludovico Urbani, forse il maggiore (basta pensare al polittico di Recanati).
La bottega dei Salimbeni continuo' ad essere attiva nel palazzo posto di fronte alla Pinacoteca Civica. Come simbolo del Premio Salimbeni, del Centro Salimbeni, abbiamo scelto, dagli affreschi superstiti del Duomo Vecchio, una donnina che su una loggia innaffia un vaso di fiori perche' essa allude al nostro modo di procedere, stiamo cercando di tenere in vita una pianta di geranio, grazioso fiore contadinesco, con la poca acqua che possediamo.
Quali sono le prospettive future?
L’appoggio venuto da Bologna, la comprensione delle autorita' di Bologna che ci hanno messo a disposizione una sede importante, la collaborazione della "Nuova Alfa Editoriale" che ci stampa i cataloghi, sono stati fondamentali. Tra le attivita' che abbiamo in programma c’e' anche quella editoriale. Abbiamo pubblicato buoni cataloghi. Quando abbiamo fatto il Convegno sul Sassoferrato abbiamo provveduto alla riproduzione anastatica di un trattato irreperibile in qualsiasi biblioteca italiana, quello di Andrea Gilio sull’arte secondo i principi della Controriforma, testo a cui si sono attenuti tutti i pittori dal Concilio di Trento fino a tutto il Seicento. La pittura italiana e' stata eseguita, si puo' dire, sulla falsariga di una precettistica codificata dal Gilio, un prelato nato a Fabriano e, guarda caso, morto in Val Fucina, sotto Elcito, nel nostro territorio, quindi legato anche alla nostra Citta'. Ci siamo rivolti alla Casa Editrice "Spes" della professoressa Paola Barocchi, la quale ha pubblicato a condizioni eccezionalmente favorevoli il trattato del Gilio che abbiamo distribuito ai partecipanti al Convegno sul Sassoferrato, l’esponente piu' noto della pittura controriformistica. Abbiamo fatto anche il catalogo della mostra di Rosai, pagato interamente dalla galleria Pananti. Al Convegno su "La pittura sacra del Seicento e il Sassoferrato" parteciparono i maggiori studiosi dell’argomento; gli interventi verranno presto pubblicati, attendiamo solo quello del Direttore del Museo del Prado. Una tavola rotonda di cui si e' occupata la stampa nazionale e' stata dedicata al catalogo d’arte. Siamo stati i primi a fare il punto sull’importanza, la fenomenologia, la tipologia, i caratteri economici, culturali, bibliografici del moderno catalogo d’arte.
Insisterei sull’importanza che hanno il Centro, la futura Fondazione e il Premio, rispetto ad attivita' connesse con la vita quotidiana, con la vita in generale di San Severino. Non si tratta, come e' stato obbiettato, ingiustamente e ingenerosamente, di iniziative, di manifestazioni che non intendono tenere conto dei caratteri del luogo. E’ esattamente il contrario, quello che noi abbiamo fatto. Abbiamo voluto agire qui perche' e' qui che vogliamo dare l’esempio di come si puo' intervenire in situazioni delicate, difficili, tra vecchio e nuovo. Ci siamo voluti togliere l’abitudine, dalla coercizione, dalla necessita' di agire culturalmente in grandi centri che dispongono di grandi mezzi, di larga udienza per cercare, rovesciando i termini, di lavorare in un centro di scarsi mezzi, di dimensioni ridotte, culturalmente impoverito, esaurito dal punto di vista artigianale e artistico come e' San Severino; quindi quello che noi vogliamo e' agire dentro e su San Severino. Questo e' il nostro compito.
C’e' un’altra attivita' di cui dobbiamo parlare. Grazie ad una elargizione abbastanza notevole della Comunita' Montana, richiesta ad hoc, abbiamo potuto programmare per quest’anno un corso per specializzati (non per specializzandi), cioe' per laureati in storia dell’arte o comunque per chi lavora nel campo della storiografia artistica, che verra' tenuto dai maggiori specialisti di cui attualmente si dispone in Italia. Si terranno lezioni sulla tecnica del restauro, sulla lettera dell’opera d’arte, sulla committenza e sulla storiografia artistica, sui rapporti tra la pittura marchigiana e quella umbra, su specifici temi di arti nelle Marche, sulla legislazione artistica, cioe' su tutto quanto riguarda i decreti, le leggi, le istituzioni, gli uffici che regolano una materia delicata, poco o punto conosciuti. Il corso e' per iscrizioni, a numero chiuso perche' piu' di sessanta persone non possiamo ospitare. Il numero delle iscrizioni e' stato coperto prima del previsto, con adesioni da ogni parte di Italia, a testimonianza della opportunita', se non della necessita', dell’iniziativa. Le lezioni verranno impartite il mattino ex cathedra; il pomeriggio continueranno in luoghi del circondario, ogni volta diversi, per studiare, commentare, analizzare sul luogo opere di cui la nostra regione e' ricca.
(1990)