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- L'intifada
di Fracci e Berté
- La
tragedia palestinese raccontata con efficacia tra
rock classica con la batteria di De Piscopo
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- Il solito aeroplano
che sorvola le Terme di Caracalla (e in genere
disturba le esecuzioni musicali, soffocandone in
qualche caso le sonorità) stavolta offre un
realistico contributo allo spettacolo che segna
il ritorno del Teatro dell'Opera al suo
tradizionale spazio estivo. Ma è un contributo
minimo, forse inutile perchè la colonna sonora
del balletto in programma contiene rumori ben
più aspri e assordanti: i velivoli in essa sono
elicotteri con il rullio delle pale che alimenta
in un inquietante contrappunto il crepitio delle
mitragliatrici. Il grandi ruderi del
"calidarium" quelli a cui fino a
qualche anno fa si dava il compito di
circoscrivere maestosamente il proscenio delle
opere liriche, ora risultano piuttosto arretrati
rispetto al nuovo palco "a giorno",
sfruttano i colori e la patina di antico tanto da
somigliare vagamente alla Porta di Damasco di
Gerusalemme, che è però molto meno segnata dal
tempo e soprattutto meno distensiva di quanto non
siano questi imperturbabili ruderi. Anzi, oggi è
un'autentica porta dell'inferno. Perchè è nella
Gerusalemme odierna che si ambienta lo spettacolo
ideato da Beppe Menegatti: al tempo stesso una
celebrazione verdiana e il racconto della
tragedia palestinese. Il collegamento è proprio
nella parola Gerusalemme, che è anche il titolo
di una versione "alla francese" dei Lombardi
alla prima crociata in cui Verdi per la
prima volta aprì la sua musica alla danza. Sul
tapperto sonoro delle musiche che egli scrisse,
appunto, come supporto ballettistico di alcune
sue opere (ma non esclusivamente: l'inizio ad
esempio è lo sconvolgente Dies Irae
della Messa da Requiem, poi ci sono celebri arie
affidate all'orchestra ed altri brani nati come
intermezzi o come preludi) lo spettacolo
coinvolge il corpo di ballo dell'ente lirico
romano e la sua attuale direttrice, Carla Fracci,
il poeta Mario Luzi, Loredana Bertè, il
batterista Tullio De Piscopo. C'è un po' di
tutto: dalla musica verdiana, riscritta o
trascritta, che si presta alle tribolazioni e ai
fantasmi della gioia, alle diaspore e agli
assalti di commandos armati, a un "rap di
fine secolo", con cui la Berté fotografa
Gerusalemme e tutti i mali del nostro tempo,
arrivando alla conclusione che "non è
cambiato proprio niente dal medio evo al medio
oriente"; e ancora dalle esemplari
performances percussive di De Piscopo alle
deflagrazioni belliche simili a loro spaventose
"variazioni". De Piscopo è stato forse
la sorpresa dello spettacolo: un apporto
determinante di significato e di originalità.
Non ha smesso mai di suonare, dominando la scena
con una batteria grande come una montagna, vero
laboratorio di suoni. Ha cominciato
contrappuntando in l'evare l'esplosione verdiana
del Requiem, e è andato avanti così
punteggiando, ribadendo, completando le frasi,
sottolinenado le atmosfere, nei momenti di grande
tensione e persino là dove la musica si fa
soave. Con lui vanno apprezzati soprattutto la
Fracci, per i suoi interventi in prima persona,
limitati da un punto di vista quantitativo, ma
densi ed ispirati, e per come ha preparato le sue
giovani colleghe e tutti gli altri, arrichendo di
suggestioni la regia di Menegatti. E la Berté
per la scontata aggressività ma anche per il
temperamento con cui ha interpretato le poesie di
Luzi messe in una musica che esalta il loro
contenuto di denuncia o di supplica: il lamento
di una madre musulmana o di una ebrea, il dialogo
d'amore fra un giovane e una ragazza appartenenti
alle due razze in guerra, un'implorazione al
Divino perchè conceda la sua pietà. Sono tempi
graffianti di rock che collimano con il
melodramma ottocentesco solo per l'amplificazione
assordante. Ma nonostante gli accostamenti
apparentemente impossibili lo spettacolo conserva
l'eleganza che in genere sfugge alle commistioni
di questo tipo. La musica di Verdi si incricia
con le danze: ma ogni volta che ci si avvicina ai
momenti di splendore e di grande godibilità, un
trauma improvviso riporta in primo piano la
guerra, gli spari, le cortine di fumo colorato.
Di Verdi resta in scena solo l'orrendo fuoco
cantato nel Trovatore.
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