Avvenire - mercoledì 1 agosto 2001
spettacoli - p. 25
 
Alle Terme di Caracalla "Gerusalemme" di Menegatti con le due star con le note di Verdi e i testi di Luzi
 
L'intifada di Fracci e Berté
La tragedia palestinese raccontata con efficacia tra rock classica con la batteria di De Piscopo
 
Il solito aeroplano che sorvola le Terme di Caracalla (e in genere disturba le esecuzioni musicali, soffocandone in qualche caso le sonorità) stavolta offre un realistico contributo allo spettacolo che segna il ritorno del Teatro dell'Opera al suo tradizionale spazio estivo. Ma è un contributo minimo, forse inutile perchè la colonna sonora del balletto in programma contiene rumori ben più aspri e assordanti: i velivoli in essa sono elicotteri con il rullio delle pale che alimenta in un inquietante contrappunto il crepitio delle mitragliatrici. Il grandi ruderi del "calidarium" quelli a cui fino a qualche anno fa si dava il compito di circoscrivere maestosamente il proscenio delle opere liriche, ora risultano piuttosto arretrati rispetto al nuovo palco "a giorno", sfruttano i colori e la patina di antico tanto da somigliare vagamente alla Porta di Damasco di Gerusalemme, che è però molto meno segnata dal tempo e soprattutto meno distensiva di quanto non siano questi imperturbabili ruderi. Anzi, oggi è un'autentica porta dell'inferno. Perchè è nella Gerusalemme odierna che si ambienta lo spettacolo ideato da Beppe Menegatti: al tempo stesso una celebrazione verdiana e il racconto della tragedia palestinese. Il collegamento è proprio nella parola Gerusalemme, che è anche il titolo di una versione "alla francese" dei Lombardi alla prima crociata in cui Verdi per la prima volta aprì la sua musica alla danza. Sul tapperto sonoro delle musiche che egli scrisse, appunto, come supporto ballettistico di alcune sue opere (ma non esclusivamente: l'inizio ad esempio è lo sconvolgente Dies Irae della Messa da Requiem, poi ci sono celebri arie affidate all'orchestra ed altri brani nati come intermezzi o come preludi) lo spettacolo coinvolge il corpo di ballo dell'ente lirico romano e la sua attuale direttrice, Carla Fracci, il poeta Mario Luzi, Loredana Bertè, il batterista Tullio De Piscopo. C'è un po' di tutto: dalla musica verdiana, riscritta o trascritta, che si presta alle tribolazioni e ai fantasmi della gioia, alle diaspore e agli assalti di commandos armati, a un "rap di fine secolo", con cui la Berté fotografa Gerusalemme e tutti i mali del nostro tempo, arrivando alla conclusione che "non è cambiato proprio niente dal medio evo al medio oriente"; e ancora dalle esemplari performances percussive di De Piscopo alle deflagrazioni belliche simili a loro spaventose "variazioni". De Piscopo è stato forse la sorpresa dello spettacolo: un apporto determinante di significato e di originalità. Non ha smesso mai di suonare, dominando la scena con una batteria grande come una montagna, vero laboratorio di suoni. Ha cominciato contrappuntando in l'evare l'esplosione verdiana del Requiem, e è andato avanti così punteggiando, ribadendo, completando le frasi, sottolinenado le atmosfere, nei momenti di grande tensione e persino là dove la musica si fa soave. Con lui vanno apprezzati soprattutto la Fracci, per i suoi interventi in prima persona, limitati da un punto di vista quantitativo, ma densi ed ispirati, e per come ha preparato le sue giovani colleghe e tutti gli altri, arrichendo di suggestioni la regia di Menegatti. E la Berté per la scontata aggressività ma anche per il temperamento con cui ha interpretato le poesie di Luzi messe in una musica che esalta il loro contenuto di denuncia o di supplica: il lamento di una madre musulmana o di una ebrea, il dialogo d'amore fra un giovane e una ragazza appartenenti alle due razze in guerra, un'implorazione al Divino perchè conceda la sua pietà. Sono tempi graffianti di rock che collimano con il melodramma ottocentesco solo per l'amplificazione assordante. Ma nonostante gli accostamenti apparentemente impossibili lo spettacolo conserva l'eleganza che in genere sfugge alle commistioni di questo tipo. La musica di Verdi si incricia con le danze: ma ogni volta che ci si avvicina ai momenti di splendore e di grande godibilità, un trauma improvviso riporta in primo piano la guerra, gli spari, le cortine di fumo colorato. Di Verdi resta in scena solo l'orrendo fuoco cantato nel Trovatore.