Maia è una stella delle Plèiadi , fa dunque parte del
progetto di D’Annunzio di assegnare ad ognuna di queste un poema. Maia
fu forse l’opera introduttiva e fu pubblicata per la prima volta nel 1903.
È un poema in cui l’ideologia superomistica condiziona le strutture
formali e tematiche. Presenta al suo interno varie fonti anche di epopea
classica. Protagonista è il poeta stesso, in prima persona, nei
panni di un nuovo Ulisse in viaggio tra mito e realtà. È
infatti il resoconto di un effettivo viaggio fatto da D’Annunzio con alcuni
amici. Durante questa crociera su di uno yacht egli incontra Ulisse il
quale lo invita ad emularlo. Ulisse è colui che volle scoprire lo
scopribile, assetato di sapere, dunque.
L’opera trae grande fonte d’esaltazione anche dai vari testi di Friedrich
Wilhelm Nietzsche (1844-1900) che contrapponevano alle idee cristiane
di pietà, rassegnazione, uguaglianza i concetti dell’eterno ritorno,
della volontà di potenza, del superuomo. A proposito di quest’ultimo
un testo importante, sicuramente letto da D’Annunzio, è Così
parlò Zarathustra, personaggio che ne incarnò il mito.
In Maia assistiamo all’esaltazione da parte di D’Annunzio del proprio
io. Un io assetato di esperienze ed esaltato dalla propria vita multiforme.
Il poeta è teso ad accogliere in sé tutti gli aspetti della
vita senza scegliere perché una scelta determina un’esclusione.
Aspetti positivi o negativi, gesti rudi e delicati, il bene e il dolore,
è pronto a fare l’atto spirituale e volgare poiché entrambi
sono aspetti conoscitivi e costruttivi della vita. È pronto a realizzare
col sogno ciò a cui è impossibile arrivare umanamente. A
questa orgogliosa esaltazione è naturalmente sottesa una nondimeno
orgogliosa concezione del mondo, della vita. Una concezione che affonda
le sue radici nel mito del superuomo a cui del resto si allude esplicitamente
al 61° verso de’ “La sirena del mondo”:
…però ch’io son colui che t’ama,
o Diversità…;
mentre Nietzsche fa dire a Zarathustra:
…perché io t’amo,
o Eternità.
D’Annunzio fa suo, incarnandolo, il mito dell’eroe, che nella crisi
di ogni valore si eleva al di sopra di tutti e realizza i suoi istinti
aldilà di ogni norma senza porre alcun limite alla propria capacità
di agire e sentire.
La sirena del mondo
Dal punto di vista espressivo le quattro lasse lette sono un esemplare
della cosiddetta strofa lunga dannunziana. Una struttura in cui ricorrono
vari espedienti volti a creare i necessari effetti musicali: ripetizioni
di parole, di sintagmi, di frasi, gli enjambements frequentissimi, le ripetute
antitesi. Si assiste alla tendenza di far coincidere la strofa ad un unico
periodo sintagmatico. Un altro espediente presente nelle strofe di Maia
sono le rime e le assonanze che stabiliscono rapporti tra concetti anche
lontani.
I giacigli e I risvegli
Dopo l’inno alla vita e l’io assetato di esperienze di cui abbiamo
letto in “La sirena del mondo”, ecco, con queste strofe, l’inno al piacere
di vivere e di godere delle inesauribile sorpresa della vita per coloro
che sanno aprire gli occhi. Privilegiati sono coloro che sanno leggere
e vivere l’esistenza come se fosse sempre la prima volta. Elemento centrale
di queste strofe è il piacere, il mezzo più certo di conoscenza
per cui chi non gode non impara nulla. Si potrebbe dire che colui che molto
ha gioito ha conosciuto più di chi ha sofferto.
La carne esperta e Le donne
Viene esaltata la sensibilità intesa dal poeta come strumento
insuperabile di piacere (voluttà) ma anche di conoscenza, come atto
di affermazione del proprio io. Nelle ultime due strofe l’autore rievoca
con un elenco le donne con cui egli ha avuto relazioni d’amore, e sulle
quali si è sfogsta la sua sete di piacere.
I versi che compongono Maia sono liberi, il testo è amplificato.