Dante e il Gingo

di andrea paoli

Nella primavera del 1992 il professor Stanley J. Foster, dell'Universita di Norwich (Inghilterra), rinveniva in una località delle Marche un frammento del tutto simile, per struttura, metrica e contenuti, a un canto della Divina Commedia. L'esame col metodo del carbonio 14 ha permesso al professor Foster di stabilire con esattezza la data di composizione del reperto: 1292.

Studiando attentamente il linguaggio della composizione il professor Foster è giunto alla conclusione che il frammento altro non è che una parte di un'opera giovanile del Sommo Poeta, che in quel periodo viveva proprio nella zona dell'Appennino Marchigiano sede del miracoloso ritrovamento.

L'opera ha in sé molti dei contenuti che saranno poi sviluppati dal Fiorentino nell'inizio della sua Commedia: c'è lo smarrimento nel buio della notte, una figura simile a Virgilio che si offre di fargli strada, la discesa in una sorta di "Inferno" giocosamente rappresentato. Eh già, perché l'oggetto del canto altro non è che il Gingo, all'epoca giocato diffusamente nell'Italia Centrale, soprattutto nel Ducato dei Varano (Rosario Villari, Storia Medievale, pag. 567).

Pare, ma non è dimostrato da fonti scritte, che proprio il Gingo, di cui Dante andava pazzo, sia stata la causa della fine del suo rapporto con Beatrice, stanca di vederlo tornare a casa tutte le sere senza voce, irato e ombroso per non essere riuscito a vincere la quotidiana partita con i suoi fedeli Brunetto Latini, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e Tommaso di Vignano.

Ma ora godetevi questo frammento di autentica poesia epica, tenendo presente che l'azione si svolge a Frascati.

 

Sera di maggio, sera di calura,

Per questo me n'uscii dalla magione

Onde pigliare un poco di frescura.

La passeggiata vuota ed il vialone

Avean nessuna luce né finestra,

Tanto era buio da facér paura.

Cosicché mi diressi alla palestra

Al fresco della quale avrei smaltito

Il pollo arrosto e il piatto di minestra.

Giunto che fui rimasi lì impietrito

Da voci ed urla come mortaretti,

Da una risata che parea un nitrito.

La voce d'uom può avere questi effetti?

Chiedevo timoroso tra me e migo,

Quando da tergo alcun disse: "Brunetti

E' il mio cognom, nome è Amerigo,

Spiegar ti posso lo perché del chiasso

Che vien dal loco ov'anch'io mi dirigo

Sì celermente e con spedito passo.

Si tratta sol di un giuoco con le carte,

Quelle italiane, con il fante e l'asso,

A cui cinque persone prendon parte.

Gingo è il suo nome e per giuocarlo bene

Richiede astuzia somma e somma arte

E sangue freddo a iosa nelle vene."

"Ora ho capito il perché delle voci"

Risposi sollevato dalle pene

"Ma spiegami di più su questi giuochi

E dimmi pure se anche a noi è permesso

A questo sodalizio essere soci."

"Basta con le quistion, entriamo adesso"

Disse Amerigo nell'aprir le porte

"Convienci ora non parlare spesso

Per non rischiare inutilmente morte,

Per non innervosir chi è lì a giocare

Ché l'aere è caldo e la tensione è forte."

Il piglio da esso avuto nello entrare

Tosto sparì, come decolla un razzo,

Quando un de' cinque dall'iroso fare

Con li occhi ardenti e l'espression del pazzo

L'apostrofò con aggressivo tono:

"Brunetti zitto, nun ce rompe er cazzo!"

Come uno can ch'allo rombar del tròno

Ratto s'accuccia onde evitar lo peggio

Così Amerigo stette bono bono

E prese posto su d'un vuoto seggio

Facendo cenno di sedergli accanto.

"Maestro" diss'io "da qui molto non veggio"

Ma lui rispose premuroso alquanto

"E' vano preoccuparsi inutilmente

Provvedo io a chiarirti tutto quanto."

E cominciò parlando affabilmente:

"Le regole del giuoco principali

Son quelle della briscola, ovviamente

Con queste differenze sostanziali:

Le otto carte avute dal cartaro

Le tieni in man, le guardi e non le cali

Prima c'è l'asta in cui sarà ben chiaro

Dalla lettura delle carte tue

Se in essa esser dovrai prodigo o avaro,

Chiamar sessantacinque o ottantadue