La prima volta

di emilio de bonis

 

31 ottobre 1993: è' il grande giorno. Finalmente, dopo mesi di attesa, esordisco in una partita ufficiale. L'appuntamento è alle ore 15:00 nel Gingodromo di turno, Casa Paoli. Fin dalla mattina sono assalito da un nervosismo crescente che arriva al culmine quando scorgo il tavolo di gioco con i nomi dei partecipanti: Dolci, Paoli, Brunetti, Locci e... e De Bonis! Sì, proprio io! Meno male, si sono ricordati anche di me!

Prima di descrivere le mie sensazioni devo fare una premessa triste ma doverosa: riguarda la ragione della mia partecipazione a questo Torneo (il Secondo Torneo Invernale).

Dunque: si dà il caso che per rendere più frizzante il Torneo sia stata messa in palio (si fa per dire) una simpatica maglietta con una fantomatica (ma non tanto) scritta, "cane morto", per chi si classificherà ultimo nel suddetto Torneo. "Cane morto", come si evince dal Glossario Dolci, è una "simpatica espressione coniata da Ferrario (il mio terrore!) con la quale si indica la particolare incapacità di un giocatore e tende a evidenziare il disprezzo verso questi non solo come ginghista ma anche come uomo".

La tristezza della premessa riguarda il fatto che gente esperta come Dolci, Tommasi, Paoli, Ercolani, per paura (sì, proprio quella!) di dover indossare l'infausto indumento, si è prodigata nel cercare qualche povero ingenuo (come il sottoscritto) che raccogliesse su di sé gli sfavori del pronostico. Accusare i citati Ginghisti (o presunti tali...) di scarsa personalità ed estrema vigliaccheria (eufemismi!) è un esercizio al quale mi sottraggo volentieri!

Ma torniamo all'esordio. Dopo aver ripassato fino all'ultimo momento (retaggio di antiche interrogazioni scolastiche) i termini essenziali del Gingo (bigattino, chi era costui?) può avere inizio l'incontro.

Improvvisamente cala il silenzio. L'atmosfera diventa surreale. I volti si fanno tesi, impenetrabili. Siccome non avevo già abbastanza problemi per conto mio, il prode Paoli (grande amante del cinema), per commemorare degnamente la scomparsa di Fellini, decide di far giocare la prima mano con le carte romagnole, incomprensibili ai più, figuriamoci a me che ero già in stato confusionale. Mi sembra di scorgere tre, dieci, otto e quattro di bastoni, non ne sono sicuro ma chiamo 70. Paoli mi squadra con un ghigno satanico da attore consumato e poi, ricordando l'ultima esibizione giocata a casa sua, fa presente a tutti come in quell'occasione, invitato più volte a chiamare, mi fossi sempre rifiutato e sorvola sul fatto che nelle prime cinque mani della suddetta partita non avessi capito neanche chi aveva vinto o perso.

Comunque, dopo aver rialzato l'asta com'è suo costume fare, mi lascia la chiamata a 72. Vi risparmio lo svolgimento della mano, che ha avuto per me autentici momenti di panico ogni qualvolta Brunetti continuava a chiedere come fosse fatto l'asso di bastoni. Però alla fine l'ho spuntata e le sensazioni sono state indimenticabili: tremore alle gambe, attacco di calore, esultanza controllata (come quando la tua squadra del cuore segna e tu sei nella curva nemica).

Il pensiero va subito all'orologio e l'idea è quella di far melina fino alla fine (Trapattoni docet...). Ma le mani si susseguono con ritmo incalzante e la classifica subisce frequenti variazioni: mi ritrovo dal primo al quinto posto nel giro di poco tempo. L'importante è non arrivare ultimi, e la lotta con Brunetti per questo triste primato è senza esclusione di colpi. Tragico il momento in cui Paoli mi chiama non avendo un ca... niente in mano.

Alla fine salvo l'onore e conquisto due preziosi quanto sudati punti, seppur tra mille trabocchetti: Locci che regala carichi come noccioline, Paoli che mi chiama due volte secco come un fico, Dolci che si abbassa a squallidi suggerimenti all'indirizzo di Brunetti utilizzando metafore che richiamano le armate romane disposte a testuggine che non facevano passare niente, neanche i carichi...

Per concludere, mi riprometto di essere più aggressivo nelle prossime partite, dove prego Dio di non incontrare Ferrario, il terrore delle mine vaganti (cani morti?) come me.