Psicopatologia del Gingo

 

di diego dolci

 

Il Gingo rientra nel quadro generale dell'appetizione maniaca, la quale ha come substrato la sfera degli istinti, delle pulsioni, dei sentimenti.

La psicopatologia definisce come appetizione maniaca la tendenza, la spinta irresistibile a realizzare un desiderio, una pulsione somatica, una rappresentazione di scopo e la ricerca incoercibile dei mezzi atti a realizzarla; essa si traduce in una impostazione della vita nella quale il soggetto finisce con il divenire succube della "necessità" imposta dalla appetizione medesima.

Si passa così dal piano del "desiderio", volto alla realizzazione del contenuto di tale appetizione, a quello del "bisogno" incoercibile della realizzazione medesima, bisogno che condiziona a tal punto il comportamento da annientare ogni possibilità di scelta.

Quindi la totalità della vita psichica del soggetto è al servizio dell'appetizione maniaca ed è condizionata da essa: il soggetto è, rispetto all'appetizione, in un rapporto di dipendenza.

Le impostazioni della letteratura psichiatrica meno recenti, che inquadravano nella loro totalità i cosiddetti "passionali", i ginghisti, i pervertiti sessuali nell'ambito delle personalità piscopatiche, debbono oggi essere riconsiderate come il perno fondamentale su cui ruotare le varie teorie miranti a ricercare il punto d'unione tra i vari "casi pietosi" che gli esperti hanno potuto osservare negli ultimi anni nella zona di Roma e dei Castelli.

Comunque, se è vero che un certo numero di "gingopatici" tende, proprio in virtù della struttura intrinseca della propria personalità, verso determinate forme di perversione sessuale come la "frociaggine", è pur vero che vi sono "gingopatici i quali non presentano tali tendenze (Costantini).

D'altra parte, è noto come anche personalità saldamente strutturate possano abbandonarsi alla condotta appetitiva (Tommasi di Vignano).

Dal Gingo dunque deriva una esperienza di coartazione, un "rapporto di dipendenza" che conduce dal piano puramente psicologico (la soddisfazione che si prova nel giocare) a quello organico (la necessità del gioco per evitare uno stato di malessere).

L'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce il Gingo come uno stato di intossicazione periodica o cronica, nociva all'individuo ed alla società, generata dall'assidua ripetizione del gioco stesso.

Le sue caratteristiche sono:

a) il bisogno continuo di giocare e di procurarsi con ogni mezzo l'occasione di gioco;

b) una tendenza ad aumentare il numero di "mani" giornaliere;

c) una dipendenza psichica e fisica nei confronti degli effetti del Gingo.

Dunque, come si può chiaramente intendere, il Gingo è una tossicomania che dà luogo a problemi per l'individuo, per la salute pubblica e per la società, tanto che alcuni autorevoli scienziati lo definiscono come "un veleno per l'uomo e la società, agente elettivamente sulla corteccia cerebrale, suscettibile di promuovere una gradevole ebbrezza, d'essere assunto in dosi crescenti senza determinare avvelenamento acuto o morte ma capace di generare uno stato di bisogno tossico, gravi e pericolosi disturbi da astinenza, alterazioni somatiche e psichiche profonde e progressive".

Secondo altri Autori il fenomeno della diffusione del Gingo tende ad aumentare le seguenti caratteristiche:

a) il gioco del Gingo tende a estendersi secondo le stesse modalità con le quali si estendono le malattie infettive: per contatto, investendo ambiti sempre più ampi (dai Cinichisti ai Mecozziani, ai Quattrocentisti del Ballero fino ai Tapasci);

b) tende lentamente ad aumentare il tempo di gioco (da "mezzoretta" passatempo alle quattro ore del Grand Prix, fino al tentativo della "Ventiquattrore" di Gingo).

La prima partita di Gingo può derivare da una somministrazione di ordine terapeutico o rivestire il carattere della causalità. Si parla per lo più di uso del gioco tossico per curare disfunzioni sessuali, problemi di timidezza, necessità o volontà di nuovi rapporti sociali o stringere ancora più stretti legami col gruppo di appartenenza. Dalla fase dell'uso si passa a quella dell'abuso, al bisogno irresistibile, alla malattia carenziale. L'ultimo decorso segna poi il passaggio alla intossicazione cronica: si instaurano alterazioni somatiche (encefaliche ed extraencefaliche) reversibili o irreversibili, che si presentano in questa anatomopatologia secondo modalità differenti a seconda del soggetto intossicato.

 

Azione biologica esercitata dal Gingo

Le dosi tossiche variano grandemente da soggetto a soggetto e sono influenzate dall'età, dal sesso, dalle condizioni organiche, dall'abitudine, ecc.

La dose tollerabile massima al giorno per un uomo di 70 chilogrammi di peso è di 170 "mani", oppure 7 ore di gioco.

La dose mortale è, per l'adulto, tra le 6 e le 9 "mani" per chilogrammo oppure 20 ore di gioco "pro die".

Il Gingo è classificabile fra i giochi di carte che deprimono il sistema nervoso centrale, ed a questa sua caratteristica è da attribuire la falsa azione stimolante (che si concreta in bestemmie, insulti, rutti, scoregge ed altre manifestazioni), la quale invece è da riferire al blocco dei sistemi inibitori.

Se si gioca un modico numero di mani si può osservare fra gli astanti uno stato di euforia, discussione accademica sugli errori commessi, indifferenza alla classifica, lieve incoordinazione motoria nel mescolare e distribuire le carte, leggero ritardo nei tempi di reazione alla "calata" della carta (invece lunghissimo e cronico in Brunetti), un generale senso di soddisfazione.

Intorno alle dieci mani il Gingo favorisce l'aumento della salivazione e della secrezione del succo gastrico, con conseguente tendenza allo sputo, alla facilità di bestemmia in caso di errore come anche di vittoria, al rutto ed alle flatulenze. Si produce anche, nei soggetti ipertesi, la dilatazione dei vasi capillari (occhi iniettati di sangue di "Cesaretto" Ferrario) come conseguenza dei primi scoppi di collera.

Al di sopra delle quindici mani si manifestano le prime turbe psicosensoriali, alterazioni della coordinazione e della eumetria dei movimenti (barcollamenti sulla sedia, cadono le carte dalle mani), si nota una diminuzione della sensibilità al dolore (nonostante i primi schiaffi che iniziano a volare e la scomodità fisica dei luoghi in cui normalmente si gioca), difficoltà di parola e motoria (si percepiscono nell'ambiente solo termini volgari e gli unici gesti, ritmicamente ripetuti, sono quelli di scongiuro), disturbi visivi (si vedono carte che non si hanno e si vorrebbero avere), nausea e vomito, confusione mentale, non si giustificano più gli errori dei compagni, accusati di incapacità e cialtroneria, e quelli che vincono sono solo "fortunati".

Oltre le trenta mani aumenta l'incoordinazione muscolare, si aggiunge uno "stato stuporoso" (detto coma vigile di Montalto), indifferenza agli errori altrui, decadimento totale della sfera volitiva.

Intorno alle quattro ore di gioco consecutive si perviene al coma con anestesia profonda (detto anche coma di Paoli in finale), i riflessi sono aboliti, c'è paralisi, ipotermia, rilascio delle carte impugnate.

Oltre le quattro ore non si hanno dati attendibili, ma la morte appare come la più logica conseguenza dell'abuso prolungato del Gingo.

Non va tuttavia dimenticato che gli effetti del Gingo non si manifestano in tutti gli individui con eguale aspetto e intensità: è infatti ben noto ce coloro i quali giocano normalmente a Gingo sembrano essere meno soggetti all'azione di detto gioco.

Si ritiene che tale "tolleranza" sia da attribuire ad un adattamento del sistema nervoso, riconducibile ai principi della "selezione naturale" di darwiniana memoria.

Accanto all'azione tossica del Gingo, sono inoltre da ricordare gli effetti nocivi dovuti alla presenza di altri prodotti che si possono rinvenire durante una partita: prodotti dolciari dello "Sponsor", cornetti caldi notturni, caramelle, liquidi ed altre porcherie che il ginghista è aduso consumare in queste situazioni.

 

Alterazione organica della personalità

Il tipo e la gravità di tali alterazioni dipendono in misura equivalente da fattori organici e psicologici. Esistono soggetti di costituzione particolarmente robusta che, anche dopo anni di abuso del Gingo (Ferrario), rimangono perfettamente indenni. In altri soggetti l'incapacità di controllare l'abitudine al Gingo porta rapidamente ad un indebolimento della volontà, con conseguente declassamento sociale (scarsa puntualità all'allenamento, "stravaccamento" sulla panchina in attesa di altri "tossici" pronti a consumare la dose pomeridiana di Gingo).

Il bisogno di nascondere il proprio crollo morale spesso si traduce in una condotta violenta e irriguardosa o in una tendenza al mendacio o alla truffa. Negli stadi finali v'è la scomparsa di ogni forma di orgoglio e di dignità personale. L'arte letteraria di Andrea Paoli ha scolpito magistralmente, sotto forme diverse, queste tragiche figure ne "I Grandi Giuocatori".

La personalità del ginghista cronico presenta un orizzonte mentale chiuso e ristretto; l'ideazione procede in modo estroso (il famoso secondo carico di Paoli ad ingannare, fatalmente preda dell'avversario).

Il ginghista ama soprattutto compiacersi dei passati successi (Senzacqua chiede ancora credito come giocatore per aver vinto nella notte dei tempi una fortunosa prova del Grand Prix) e la sua attività si esaurisce in una sterile contemplazione di essi. Le capacità di critica e di giudizio sono grossolanamente perturbate (le solite giustificazioni patetiche di Jacopo Locci di fronte alle sue follie di gioco).

Negli stadi avanzati però anche la memoria e le capacità di rievocazione appaiono irrimediabilmente compromesse (Giorgio Ferrario dimentica troppo spesso il tanto tempo passato sugli scomodi seggiolini del "Centralino").

 

Psicosi del Gingo: delirium tremens

Questa fase di stato comporta un grave disorientamento nei confronti dell'ambiente, con buona conservazione dell'orientamento nei confronti della propria persona. Tipici sono i disturbi psicosensoriali di tipo illusorio-allucinatorio: tali disturbi provocano reazioni emotive di spavento, collera, difesa.

La letteratura medica ricorda il caso di un certo Diego Dolci che, dopo aver invitato tutti i giocatori a fare silenzio perché il baccano che si levava dall'alterco -sorto a seguito di un banale motivo- non era ammissibile alle due del mattino in un condominio dove altre persone oneste dormivano il sonno dei giusti, nella mano successiva -che gli costava l'accesso alla finale- si abbatteva come una furia scatenata sul compagno incapace, pronto a finirlo a colpi di mazzo di carte. Solo l'intervento degli astanti impediva un ben più tragico epilogo della vicenda.