DIRITTI
Un referendum per tutti
Non solo articolo 18 Il quesito che estende la giusta causa alle piccole imprese ha anche il significato di una battaglia per i diritti universali e contro tutti i soprusi del liberismo. Guerra compresa
PAOLO CAGNA NINCHI*
La sentenza della Corte di cassazione - che ha giudicato legittime le richieste di referendum sugli articoli 18 e 35 dello Statuto dei lavoratori - apre la via al voto popolare della primavera 2003 per la libertà e i diritti nel lavoro. Nel circo della comunicazione per la tecnica del "chiodo scaccia chiodo" il rilievo di questa notizia sarà effimero. Il giorno della protesta metalmeccanica e del blocco della Sicilia da parte dei lavoratori di Termini Imerese si arrestano i militanti del forum sociale; la crisi Fiat si nasconde dietro il presidenzialismo, e così via. Alla destra serve spostare lo scontro, sollevare polveroni che offuschino la crisi della struttura economica e sociale del Paese e far passare inosservate notizie come quella che l'Italia passa dal sesto al settimo posto nella classifica delle nazioni più ricche, superata dalla Cina che ha una crescita del 7,9% annuo del prodotto interno lordo, la misura della ricchezza di un Paese. Una notizia utile per capire la posta in gioco nella guerra globale e preventiva: con questo ritmo di crescita entro una decina d'anni la Cina supererà Francia, Gran Bretagna e Germania, entro 15 anni gli stessi Stati Uniti a condizione di mantenere flussi costanti nell'approvvigionamento energetico. E anche per capire il profondo rivolgimento della cultura occidentale, quella liberal-democratica che s'è incarnata nelle cosiddette grandi democrazie. Dopo l'11 settembre sono caduti anche gli ultimi brandelli delle regole che si sono date le nostre democrazie - modifica della Nato, crisi dell'Onu, del tribunale penale internazionale - mentre parallelo è lo smantellamento di un secolo di cultura politica che ha fondato sul lavoro e sul conflitto sociale modelli di convivenza democratica, di progresso sociale e politico. La riduzione dei diritti, la precarizzazione nei paesi più industrializzati colpisce il lavoro come strumento di emancipazione sociale e politica: il suo indebolimento con l'attacco ai diritti è una faccia della medaglia, l'altra è la sostituzione delle regole dei rapporti tra stati con la logica di potenza e la guerra.
Questo processo non è però lineare. La scelta della Cgil contro la guerra e per i diritti nel lavoro con la più grande mobilitazione del dopoguerra per partecipazione e durata pone un punto fermo: i diritti nel lavoro non sono merce ma condizione di cittadinanza e sono legati a un'idea della qualità del lavoro e dello stato sociale come fondamento dello sviluppo. Firenze dimostra che il movimento ha proposte che coinvolgono migliaia di giovani, saldano tra loro generazioni, delude chi punta sugli scontri per ridurne il grande impatto sociale e politico, ha aperto un fronte, quello dell'Europa, decisivo per questioni tra loro strettamente intrecciate: il tema della pace, dei diritti, della libertà e della dignità del lavoro si legano all'idea di un'Europa soggetto politico che fondi la sua costituzione sulla giustizia sociale e sul diritto internazionale. Queste contraddizioni vedono l'Europa come possibile soggetto di discontinuità di questo percorso proprio nel momento in cui si allarga la sua platea ed è aperto il processo per definirne la costituzione. A chi, come noi, sulla questione dei diritti, ha scelto la sfida del referendum sull'art. 18 sembra naturale approfondire il nesso tra diritti, flessibilità e guerra e insieme necessario cercare legami e collegamenti con i movimenti che si oppongono alla guerra.
La libertà di licenziamento è un tratto di barbarie sociale, perché fonda i rapporti sociali sull'arbitrio e nega i principi costituzionali di difesa dei soggetti più deboli e ha ricadute sostanziali su diritti fondamentali quali la libertà di pensiero, di espressione, di adesione a partiti politici, a formazioni sindacali, su ogni altra forma di tutela e su ogni altro diritto di fonte contrattuale e legale. La guerra di Bush è l'affermazione planetaria del diritto del più forte, ferisce la cultura dell'Europa uscita dalla seconda guerra mondiale, straccia la nostra costituzione, ha bisogno per affermarsi di eliminare il diritto internazionale, la volontà dei popoli e le forme con le quali essa si manifesta. Il referendum sull'articolo 18 è un referendum per i diritti e la giustizia sociale: estendere l'articolo 18 vuol dire fermare la deriva di questo ultimo decennio, porre la questione del lavoro intrecciando diritti e tutele con qualità e sviluppo, rendere effettiva la nostra Costituzione e nello stesso tempo dare corpo alla Carta europea dei diritti fondamentali su una questione che tocca dignità, sicurezza sul posto di lavoro e libertà dei lavoratori. Per questo è anche un referendum per la pace e contro la guerra. Per questo mi sembra necessario pensare a un'iniziativa comune, che guardi alla costituzione dell'Europa, che unisca movimenti, soggetti sociali e politici che si muovono su terreni contigui: il movimento per i diritti sociali, il movimento per la giustizia e quello contro la guerra. Una grande giornata dei diritti da costruire insieme, per mettere in comunicazione quanti su questi temi così diversi e insieme così vicini si impegnano e lottano, perché sia restituita la parola ai popoli e insieme con la libertà e la dignità nel lavoro si affermi la volontà di pace e la difesa dei più deboli.
* Presidente Comitato "La giusta causa", promotore del referendum sugli articoli 18 e 35 dello Statuto dei lavoratori (lagiustacausa@supereva.it)