Roma dicembre 2002

Oggetto: D.D.L. DELEGA AL GOVERNO SUL MERCATO DEL LAVORO

Il disegno di legge delega al governo in materia di occupazione e mercato del lavoro appare ormai prossimo al temine del suo iter parlamentare, mancando in sostanza solo una ulteriore lettura presso il Senato, dopo l’approvazione e le modifiche effettuate dalla Camera dei deputati in data 30 ottobre 2002.

La matrice del disegno di legge è costituita, come si sa, dal libro bianco sul mercato del lavoro, al quale la Cgil ha rivolto una serrata critica che ha raggiunto comunque notevoli risultati.

Invero non fanno più parte di. questo disegno di legge delega materie delicate e decisive quali la modifica dell’art. 18 dello Statuto e le procedure arbitrali sulle controversie di lavoro e in specie di licenziamento, mentre il disegno di legge delega ha dovuto correggere per quello che attiene al promo dei rapporti sindacali, una non casuale modifica della clausola-chiave in tema di rappresentatività richiesta per gli accordi e i contratti collettivi destinati a integrate disposti di legge. Si prevedeva, ad es., che accordi sindacali destinati a stabilire le ipotesi di legittimo ricorso allo staff leasing o ad altri tipi innovativi di contratto flessibile potessero essere sottoscritti solo da sindacati "comparativamente rappresentativi", mentre ora si è tornati alla formula tradizionale "dai sindacati comparativamente più rappresentativi" che costituisce comunque un argine contro accordi separati in quelle delicatissime materie.

Alcune correzioni positive rispetto alle previsioni del Libro bianco compaiono ifl qualche altro punto, come ad es. in materia di trasferimento di azienda, ma nell’insieme il portato complessivo del disegno di legge delega resta gravemente negativo. In proposito è agevole indicare due principali ragioni di dissenso.

Il disegno dl legge delega accentuo grandemente la precarizzazione del mercato del lavoro, introducendo, nuove forme dì rapporti precari addirittura incompatibili con la

dignità del lavoratore, demolendo l~gtslazioni di presidio quali la /e~Je n. 1369/1960

sugli appalti di mera manodopera che aveva dimostrato nel corso degli anni notevole efficacia.

Prefigura poi una strutturazionc non più partecipata ma corporativa del mercato del lavoro con la concentrazione di Jùnzioni pubbliche sugli enti bilaterali, ai quali & altresì riconosciuto un multiforme potere di certifleazione che tendenzialmente dovrebbe mettere al riparo il loro operato da contestazioni giudiziarie, così creando quasi un diaframma tra l’ordinamento generale e l’ordinamento particolare da quegli stessi enti governato.

E’ perfino inutile ribadire che gli enti bilaterali sono stati una positiva innovazione tendente ad amministrare e a distribuire benefici nascenti dal contratto collettivo in situazioni socio economiche particolari (es. nel mondo artigiano o nel settore dell’edilizia). Ciò non ha nulla a che fare con le nuove attività di collocamento, di intermediazione, di. gestione della mobilità, di legittimazione e "certificazione" qualificatoria di rapporti di lavoro che vengono attribuite agli stessi enti bilaterali.

Ciò pone alla Cgil un precisò problema di orientamento politico perché sicuramente lo nostro organizzazione non potrebbe essere escluso da tali enti che la delega stessa prevede essere costituiti da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, a livello nazionale o territoriale, ma. partecipandovi, finirebbe con l’accreditare una logica di tipo corporativo, a nostro avviso, inaccettabile.

Con queste premesse si può quindi passare ad esaminare i punti più importanti della delega e quelli che meritano una più ferma opposizione.

Nell’art. 1 viene completata la liberalizzazione dei mercato del lavoro, nel senso che, pur non negandosi e, anzi, riaffermandosi la funzione dello Stato e degli enti pubblici nell’incontro tra offerta e domanda di lavoro tramite un rinnovato collooamento pubblico, si afferma in sostanza clic i? commercio del lavoro altrui costih4rce nel suo complesso (e in tutte le sue forme) un legittimo oggetto di atfività d’impresa, ossia di attività luerativa, ovvero di attività non lucrativa, ma tuttavia cscrcitabile da soggetti privati.

L’unico limite ~ quello del regime autorizzatorio unico per tutti i soggctti intermediati, i quali dovranno avere alcuni requisiti di affidabiità e di moralità per scongiurare, almeno sulla carta, il pericolo di infiltrazioni criminali o maliose, ma, a parte questo, tutti potranno esercitare la medi a~iøne ovvero l’attività di lavoro interinale o anche di somministrazione a tempo indeterminato di lavoro altrui (istituto questo introdotto nella delega).

Si comprende, pertanto, perché il progetto preveda l’abrogazione della legge n 1369/1960, il cui nucleo è costituito appunto (detto con formula sintetica) dal "divieto di commerciare in lavoro".

Ovviamente il cxrnunercio in lavoro altrui resterà vietato, probabilmente anche con norme penali, se esercitato da soggetti non autorizzati e, forse, con sanzioni più pesanti di quelle attuali, ma, come si comprende, non è questo il punto, dal momento che ogni attività che rivesta una certa delicatezza richiede sempre Un’autorizzazione (ad cs. l’attività di intermediatio finanziario), ma ciò non tocca affatto il punto principale della liceità ed cticità della stessa in sé considerata.

In qucsto quadro si colloca, su un piano del tutto diverso, la distinzione, che il progetto riprende, tra appalti verì e mera interposizione de) rapporto, nel senso che, in base a tale distinzione, si potrà punire un soggetto non autorizzato alla ìntut~posizione che voglia masvherarla da contratto d’appalto. Ma per i soggetti autorizzati I? campo è libero e si apre, anzi, una nuova sterminata prateria. quella della sonuninìstmzione di lavoro a tempo indetenninato (invece che a tempo determinato, come già oggi avviene con il lavoro ittterinale). Innovazione questa davvero esiziale anche per la sopravvivenza di reali rapporti interuindacaii e della stessa contrattazione collettiva.

Detto in breve; con la somministrazione a tempo indeterminato (o stafl’ ieasing) chi lavora in wia impresa non sarà più dipendente del soggetto che effeitivamcntc utilizzerà le prestazioni ma di un altro e cioè del commerciante che fornisce all’imprenditore la forza lavoro.

Dunque, a chi dovranno rivolgere le loro rìvcndicazrnni i lavoratori e con chi i loro sindacati dovranno negoziare salari, qualiflche, orari di lavoro, ecc.? Evidentemente non più allc organizzazioni degli imprenditori di settore, ma a quelle dei commercianti di lavoro di cui quei lavoratori sono dipendenti.

Qualcuno potrà obiettare che questa visuale è un po’ troppo catastroflca perché il progetto di legge delega affida ai contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativarnente più rappresentativi di determinare le ragioni di carattere tecnico, produttivo e organizzativo che legittimeranno il ricorso alla somministrazione del lavoro a tempo indeterminato.

E’ evidente, però, che sperare in una flmzione moderntrice dci contratti di lavoro potrebbe rivelarsi una illusione dì fronte a una insistita volontà di parte datoriale di valersi solo di nuovo lavoro assunto in quella forma.

Di fronte a questo ricatto occupazionale le maglic dei contratti collettivi di settore non polmnno che allargarsi e concedere spazi sempre più ampi di ricorso al lavoro somministrato, con finale svuotatneuto della concreta operatività degli stessi contratti collettivi di settore.

Anche qui la Cgil avrà il problema di mettere il dito nell’ingranaggio e cioè di condividere o meno le future discipline contrattuali di ricorso alla somministrazione. Ma se il pericolo ora prospettato di un progressivo allargamento delle maglie di contenitnento ~ reale, conviene inipcgnarsi da subito in una battaglia d’arresto.

Altro istituto toccato dall’ari, i è qucllo della disciplina del trasferimento d~azienda, più volte modificata in questi anni (recentemente dal d.lgs 2.2.2001 n. 18), sempre che si sia mai avvicinati al vero cuore del problema. Cuore del problema costituito dalle esternalizzazioni fittizie o di comodo nelle quali rami di azienda vengono ceduti a soggetti, per lo più società, che sono nella maggior parte dei casi riconducibili allo stesso cedente o SODO da loro controllati.

In queste ester~alizzazioni di comodo, i lavoratori dei rami che vengono trasferiti perdono la contrattazione aziendale di cui già godono, passano sovente sotto la disciplina di contratti collettivi nazionali meno favorevoli e spesso perdono anche la protezione statutaria per avere la nuova società cessionaria del ramo d’azienda meno di 16 addetti.

L’idea originaria del Libro bianco era quella di facilitare al massimo queste csternalizzazioni di comodo, consentendo la cessionc anche di semplici ufficio reparti senza autonomia organizzativa e produttiva.

Questo intento è stato, almeno in parte, contenuto e frustrato perché ora il progetto di legge delega prevede il requisito "dell’autonomia funzionale dei ramo d’azienda" nel momento del suo

trasferimento. Si tratta di una espressione ambigua pcrch5 da una parte viene introdotta l’autonomia funzionale, ma dall’aiim non è richiesto che essa sia ~ais~n~ al trasferimento, ma solo che esista nel momento del trasferimento stesso,quasi che il datore di lavoro possa legittimamente accorparc in modo più o meno artificioso singole funzioni aziendali, prima tra loro non collegate, proprio allo scopo di cederle come entità autonome.

11 tema resta quindi percorso dalla volontà governativa di garantire e non di ostacolare le frodi e una conferma, a ben vedere, è data dalla previsione per cui la vecchia norma del l’ari. 1656 cod. civ. si appliclierebbe anche nell’ipotesi in cui il contratto d’appalto sia connesso a una cessione di ramo d’azienda.

Si consideri che l’art 1656 prevede in generale una modesto tutela dei dipendenti dell’appaltatore, nel senso che essi, se non soddisfatti nei loro crediti retributivi, possono rivolgersi anche al committente nella misuro in cui quest’ultimo non abbia saldato all’appaltatore il prezzo dell’appalto. Riferire questa norma anche ai casi in cui l’appalto sia connesso a un ramo d’azienda significa rendere lecita questa operazione, grandemente nociva per I lavoratori: cedere, cioè, a un terzo (magari a un prestanome) una parte dell’azienda e poi oppczliargli la produzione ad essa inerente, lcz quale, così. nel suo complesso, resta la medesima di prima, ma ciò a scapito dei dipendenti

trasferiti che riceveranno dall’appoltatore sicuramente un trattamento peggiore con la magra consolazione di potersi eventualmente rivolgere, per garantirsi lo stesso (peggiore) trattamento, al commiltente loro ex datore di lavoro.

Circa il contc~uto dell’art. 2 della delega, riguardante il riordino dei contratti a contenuto formativo e di tirocinio, l’atteggiamento dei sindacato e le vaiutaziomi delle proposte possono avere un segno diverso perch6, anche da parte sindacale, è stata più volte sottolineata la necessità di una complessiva revisione della materia che ponga al centro, quale strumento principale, il contratto di apprendistato opportunamente ed anche estensivamente rivisitato. E’ questa la direttiva di larga massima presente nell’art. 2 della delega, ma la convergenza non si estende in realtà ai di là ell’individuazione della tematica, perché il progetto di legge delega non fornisce indicazione alcuna su quelle che dovrebbero essere le caratteristiche e i nuclei n~nnativi fondamentali deI nuovo contratto di apprendistato, con la conseguenza che, a ben vedere, la delega è carente, su questo punto, di principi direttivi. fl che ripropone il problema della costituzionalità del complesso normativo formato da legge delega e decreti delegati, non sotto il profilo tradizionale dell’eventuale eccesso di delega, ma sotto quello, ancora poco studiato, della genericità della delega in contrasto con l’art. 76 della Costituzione. Si può dire, in sintesi, che la delega accorcia un rilievo centrale ad un rinnovato contratto di apprendistato ancora tutto da definire, ovvero dcfmitìvo solo per negativo, prcvedcndo cioè una riduzione di ruolo del contratto di formazione e lavoro il quale dovrebbe essere ora mirato alla rea1i7~zazione di limitate e contingenti finalità di inserimento e reinserimento del lavoratore in azienda, lasciando al. contratto di apprendistato il ruolo di vero e proprio strumento formativo.

L’ Bit 3 ritorna sull’argomento dei contratti di lavoro a tempo parziale, recentemente ridisciplinati dal d.lgs n. 61/2000 nell’evidente intento di realizzare una sorta di controriforma rispetto al criterio riformatore del provvedimento legislativo ora citato, che è caratterizzato da un sistema, per così dire, di pesi e contrappesi destinati a salvaguardare la possibilità del lavoratore par-time di impegnare utilmente (o per sue attività personali, di studio e di cura, o di utilizzazione complementare delle energie lavorative), il tempo non assorbito dal rapporto di lavoro a par-time. La problematica, infatti, resta sempre la stessa, ed è quella della "invasività" del contratto a par-time nel tempo di vita del lavoratore il quale, ricevendo comunque una retribuzione quantitativamente limitata e per lo più insufficiente a soddisfare esigenze sue e della sua fluniglia, deve poter contare sulla possibilità di instaurare rapporti lavorativi ulteriori, possibilità che sarebbe invece frustrata da una notevole fie~~lbilitA del primo impegno lavorativo. Per tale motivo il d.igs n. 61/2000 aveva circondato di molte cautele sia l’eventuale richiesta di lavoro supplementare, sia le cosiddette "clausole di elasticità" comportanti la modificazione della distribuzione preconcordata dell’orario, lasciando sempre e comunque l’ultima parola al lavoratore e concedendogli anche un "diritto di ripensamento". La disciplina ancora vigente, in altre parole, pur accordando un ruolo importante alla autonomia collettiva, ha abbassato il baricentro della disciplina, a livello individuale, dei bisogni del singolo lavoratore. Viceversa, il progetto di legge delega oblitera quasi completamente questo profilo, vai.orizzando il consenso del lavoratore solo dove manchino contratti collettivi che regolino loro il regime del lavoro supplementare e dello clausole di flessibilità, così portando la disciplina ad un livello in cui i bisogni del singolo non possono essere rappresentati se non per grandi tipologie e dunque, in realtà, in modo poco congruo e realistico. Non poche perplessità suscita anche la generalizzazione della compatibilità dei lavoratori a par-time "pro rata temporis" in relazione a tutte le norme legislative e contrattuali che comunque facciano rinvio al numero di dipendenti occupati nell’unità produttiva. In questi termini, il criterio adottato è sicuramente eccessivo e può pervenire anche a risultati paradossali, essendo fin troppo evidente che il lavoratore a par-time non ‘~, però, una "mezza persona".

Di notevolissimo interesse, invece, e meritevole di una immediata presa di posizione in senso oppositivo, è l’art. 4 della delega, dedicata a nuove tipologie di lavoro precario, ovvero alla revisione di tipologie già conosciute. Certamente, la stessa idea di ùifoltire ulteriormente il sottobosco dei cosiddetti "contratti atipici" swrita reazioni negative in linea di principio, ma il giudizio deve poi articolarsi. nell’esame dci singoli nuovi tipi proposti che si prestano, come subito si dirà, a diverse considerazioni. La prima tipologia, sicuramente innovativa, è data dal cosiddetto "lavoro a chiamata", caratterizzato dal fatto che questo rapporto di lavoro prevede un orario lavorativo solo virtuale: il lavoratore, a fronte di una indennità di disponibilità, si obbliga a prestare lavoro nella misura in cui gli sarà richiesto e sempre che gli sia richiesto. Si tratta di una estensione a! limite dello schema generale del par-time che si caratterizzi tuttavia, proprio per la virtualità dell’impegno lavorativo concreto, coniugato con la massima invasività del vincolo contrattuale sul tempo di vita del lavoratore. Sembra evidente che ricorrono, allora, seminai rafforzate, tutte le ragioni per le quali la Corte costituzionale, con sentenza a. 230 del 1991, dichiarò illegittime le clausole di flessibilità che trasformano un contratto di lavoro a tempo parziale in contratto "a chiamata", dal momento che, appunto, è principio costituzionale di centrale importanza quello per cui dal contratto di lavoro deve comunque scaturire per il lavoratore il diritto ad un trattamento economico adeguato, nonché una realizzazione della personalità attraverso il lavoro. Probabilmente il legislatore delogante ha ritenuto di poter aggirare l"’arresto" della Corte costituzionale facendo del lavoro a cbiamata una £attispecie contrattuale a sè stante, anziché una fattispecie degenerativa del contratto a pari-time. Ma a nostro avviso, ciò non elimina in alcun modo i] contrasto con i principi costituzionali in. materia di. tutela dci valori la cui realizzazione dovrebbe essere coesscnziaje ed ogni rapporto di lavoro. Del tutto oscura, e sicuramente inidonea a costituire una direttiva per il legislatore delegato è, infine, la previsione che possa anche essere prevista una "nOn obbllgatorietà" per il prestatorc di rispondere alla chiamata del datore di lavoro, con la perdita, però, in tal caso, deWindetuiità di disponibilità. Sembra da escludere che si tratti di un sotto-tipo cli contratto a chiamata, perché esso risulterebbe, allora, privo della sua specifica causa giuridica (legittima o illegittima che sia). Sembra piuttosto si tratti di una sorta di obiezione consentita al lavoratore ma comportante una penale e cioè la perdita (a far tempo da quando?) dell’indennità di disponibilità.

Socialmente inaccettabile è, poi, la previsione secondo cui, per soddisfare le quote obbligatorie di assunzione dei lavoratori disabili di cui la legge 12/3199 a. 68, potrebbero essere usati anche il lavoro interinale con con tratti a teFnpo determinato, poiché ciò, a ben guardare, relega questi lavoratori, ai quali l’ordinamento dovrebbe invece assicurare stabilità di occupazione a compensazione dcl loro handicap, ai confini (o margini) dcl mercato del lavoro. Non è davvero difficile comprendere che a questi lavoratori, normalmente mal tollerati dai datori di lavoro, saranno offerti in futuro solo e soltanto contratti precari, così da gliettizzarli definitivamente invece di supportarnc il pieno reinserimento non solo atti piano lavorativo, ma anche sociale.

Altra tipologia innovatìva è quella delle prestazioni dl lavoro occasionale e accessorio, sia in generale, sia con particolare riferimento a opportunità di assistenza sociale a favore di. famiglie ed enti senza fine di lucro. Questa tipologia è caratterizzata, nella descrizione che ne la delega, da un punto di vista soggettivo, dall’avere, quali titolari del rapporto, disoccupati di lungo periodo, inoccupati o altri soggetti a rischio di esclusione sociale e. dal punto di vista della strumentazione, dal ricorso ad una tecnica di cartolarizzazione, ovvero di ineorporazione dello scambio prestazione.retribuzione in "buoni" o titoli rappresentativi "al portatore". Ad un primo esame l’idea può apparire bizzarra cd anche moralmente irriccvìbile come cspressione di una estrema reificazione del lavoro tale da incorporarlo in un titolo di eredito. Ci sembra, tuttavia, che l’osservazione di alcuni fenoineni sociali obblighi a formulare alcune distinzioni. 11 giudizio, invero, dovrebbe essere assolutamente negativo, se riferito ad un uso "generale" di tale tipologia contrattuale, nel senso cli una sua utilizzabilità da parte di qualsivoglia datore di lavoro, e cioè anche da parte di imprese lucrativc. Se, pcrò, l’ambito di applicazione oggettivo fosse limitato alle attività di cura richieste dalla famiglia, il problema si prescntcrcbbc in termini diversi. Vogliamo dire che la domanda, da parte delle famiglic, di prestazioni di cura e di assistenza per loro membri in condizioni di debilitazione fisica, psichica ete. è sicuramente forte e crescente e che, per altro verso, l’unica risposta che l’ordinamento dà a tale bisogno è il rapporto di lavoro domestico, a cui non sempre le famiglie possono far ricorso sia per motivi di costo, sia per le obiettìve difficoltà di reperire personale idoneo. Questo nucleo positivo, peraltro riconducjbjle al concetto che una famiglia deve poter coniare su prestazioni lavorative di supporto ai suoi bisogni senza per questo dover divenire datti,ce di lavoro(con tutti i problemi cornlessi), è però circondato da una serie imponente di problemi e di perplessità, lo quali gravitano intorno al problema centrale di chi dovrebbe essere il soggetto fornitore ~he emette i buoni e recluta il personale il quale, a sua volta, dovrebbc ricevere una adeguata qualificazione. Ove il fornitore fosse un ente pubblico, inserito nel sistema dci poteri locali e nell" loro politica di assistenza, una elaborazione dell’idea non sarebbe fi.ìori luogo, mentre, per converso resta inaccettabile la prospettiva di una ulteriore forma specializzata dì commercializzazione, ad opera di privati, dcl lavoro altrui.

Non merito, invece., a nostro awiso~ soverchia attenzione il reiteroto tentativo di dare dignità di contratto tipico al cosiddetto ~job shw’in~’, ossia a quel rapporto contrattuale per cuI 2 o più lavoratori si obbligano in solido nei confronti di un datore di lavoro per l’esecuzione di un’unica prestazione Iavorotivo. E’ invero proprio lo solidarietà nel vincolo obbligatorio a dar luogo ad un vero ginepraio di grandi e piccoli problemi che ha scoraggiato, sino ad ora, rodòzione concreta di questo particolare rapporto destinato, crediamo, a restare nel museo delle curiosità giuridiche.

Merita invece una riflessione attenta quanto si leggo, sempre nell’art. 4 della legge delega, al punto e) con riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative. Ciò che rileva, infatti, non è tanto la previsione, quanto mai generica e poco significativa, di tutele fondamentali a presidio della dignità e della sicurezza dei lavoratori (che il progetto della delega non estende neanche alla sufficienza di. un compenso ma limita alle solite sopravvenienze costituite da maternità, malattia e Infortunio e alla sicurezza nei luoghi di lavoro) quanto piuttosto la definizione stessa o configurazione che viene data al rapporto di collaborazione coordinata e continuativa come rapporto riguardante la realizzazione dì uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di essi.

Il rapporto, pertanto, viene configurato come rapporto essenzialmente a tempo determinato e diretto alla realizzazione di un risultato molto più vicino ad una vera "locatio operis" piuttosto che ad una "locatio operaruxn".

Non si può sottacere che questa configurazione, la quale restringe di molto la fattispecie della collaborazione coordinata e continuativa, comporta una implicita esclusione di tutti quei rapporti caratterizzati da una durata indeterminata della prestazione lavorativa, seppur resa in condizioni di relativa autonomia e conforrnabile alle mutevoli esigenze aziendali. Si pensi, per portare un facile esempio, agli addetti ai cali center che, normalmente, sono inquadrati come collaboratori coordinati e continuativi ma che certamente non sono utilizzati per la realizzazione di un progetto o programma di lavoro, bensì del normale esercizio aziendale. Vi è probabilmente, alla base di queste previsioni una reazione, fino ad un certo punto positiva, contro l’abuso che in questi anni è stato fatto dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa utilizzata per mascherare veri e propri rapporti di dipendenza. Peraltro, non deve sfuggire che questa apprezzabile operazione di. "igiene", per così dire, del mercato del lavoro, presenta un’altra fiiecia tutt’eltro che positiva, neI senso che con la configurazione così attribuitagli dal progetto di legge delega, il rapporto di collaborazione si individualizza frustrando il movimento, da tempo in atto, di aggregazione sindacale orizzontale o anche per categorie produttive dei collaboratori. La questione sistematicamente rilevante, però, è quella di cosa accadrebbe, allora, ove questo progetto diventasse legge, dell’enorme massa dei collaboratori per così dire non professionalizzati, di coloro cioè che prestano attività lavorativa per esigenze continuative dell’impresa, ancorché in condizioni di relativa autonomia tecnico operativa. Dovrebbe dirsi che essi rifiuiseono nell’area del lavoro subordinato il quale, allora, si caratterizzerebbe non più tanto e soltanto per l’elemento della eterodeterminazione, in senso forte, della prestazione, quanto per il suo inserimento stabile nell’attività d’impresa. Detto in termini diversi, si apre nel sistema descritto dalla legge delega una sorta di grande lacuna giacché da un verso, i collaboratori coordinati e continuativi ai quali lo stesso progetto accorcia alcune garanzie, seppur modeste, sarebbero esclusivamente coloro impegnati con un contrfttto formale nel raggiungimento di un obiettivo specifico e nella realizzazione di un progetto defluito; e dall’altra lavoratori subordinati sarebbero come per tradizione, quelli soggetti alle eterodeteminazione in senso forte.

A meno, appunto. di rivedere la stessa nozione di lavoro dipendente, inipeiniandola sulla collaborazione, anziché sulla eterodirezionc, così da includere nei lavoro dipendente gli attuali collaboratori non addetti ad un progetto predefinito e predeteminato nel tempo.

In questo senso la previsione della legge delega finisce con il legittimare proprio le proposte di riforma del rapporto di lavoro allo studio in ambito sindacale, le quali tendono a rideflnirc il rapporto di lavoro dipendente, portando in primo piano l’elemento della collaborazione e relegando la eterodirezione, invece, a modalità non essenziale della esecuzione del rapporto; e dunque - per così dire - volgono in positivo ciò che noi progetto di legge delega emerge per negativo come lacuna di sistema.

La definizione, poi, della residua figura contrattuale della ‘collaborazione occasionale", che viene parimenti rivista dal progetto di leggo delega, conferma questa riflessione: nella legge delega, invero, la collaborazione occasionale si differenzia dalla collaborazione coordinata e continuativa solo per clementi esterni, cd in un certo senso convenzionali, e cioè per la brevità della durata (non più di 30 giorni nell’anno solare) e per la modestia del compenso (non più di C 5000).

Nella sistemazione giuridica attualmente accolta, invece, la collaborazione occasionale si caratterizza per essere ‘a risultato unico" laddove la collaborazione coordinata e continuativa può esserc utilizzata per esigenze aziendali produttive permanenti. ~ proprio perché, nei progetto di legge delega, anche la collaborazione coordinata e continuativa ~, invece, parimenti incentrata sulla realizzazione di progetti døteimùmti. la distinzione dalla collaborazione occasionale viene affidata solo a quei parametri empirici e convenzionali (breve durata e modestia del compenso) di cui si è detto.

E’, in definitiva, questo delle collaborazioni. un punto di notevole interesse, perché può innescare una dialettica vivace e positivo, per’ rincon~cipevole ~oiuto" che il progetto di legge delega può dare ad una ridefinizione, nel senso voluto dai sindacato. del sistenio dei rapporti di lavoro.

L’art. 5 ~ dedicato aduno dci temi che hanno, a ragione, suscitato maggiori opposizioni e proteste e non soltanto in sede politico-sindacale, ma anche in sede scientifica: viene infatti riproposto l’istituto della "certtflcazione" dci rapporti di lavoro, affidata non soltanto a organismi pubblici ma anche agli cnti bilaterali a formazione sindacale, ai quali sarebbe attribuito il potere di attcstarc in modo fidefacente la natura giuridica di im rapporto (tipicamnentc autonomo o subordinato) allo scopo di scongiurare successive contcatazioni. Le obiezioni principali sono ovviamente due: la prima ~ che, pur essendo la procedura di certificazione solo volontaria, essa costituirebbe però in concreto un passaggio obbligato per ogni assunzione, con la conseguenza che lo stesso prestatore d’opera, spinto dal bisogno, non potrebbe che accettare e sottoscrivcrc la tipologia di rapporto più gradita alla controparte datoriale e invece a lui sfavorevole. La seconda obiezione ~ di assoluto principio, nel senso che sarebbe sicuramente incostituzioriale e contrario ad ogni principio di giurisdizione consentire che le parti private possano disporre dcl tipo contrattuale, con la collaborazione dell’organo o ente certificatore, cosl definendo, ad esempio, come autonomo, un rapporto in realtà subordinato senza possibilità di sindacato giudiziale e di diverso accertamento da partc della magistratura. E’ noto, d’altro canto, che la Corte costituzionale, con sentenza del 1998, ha chiarito che neanche al legislatore ordinario è consentito definire un rapporto "per legge" come autonomo o subordinato e, dunque, tantomeno può esserlo alle parti private, ad enti associativi, o ad organi amministrativi.

Gli ispiratori della legge delega hanno evidentemente dovuto prendere atto di queste obiezioni e, invero, nel ripresentare, ora, l’istituto della certificazione, hanno dettato una disciplina molto ambigua. Invero si animette che sia possibile contestare l’erronea qualificazione, da parte dell’organo certificatore, del programma negoziale voluto e presentato dalle parti. private: in tal modo il problema sembrerebbe del tutto svuotato. Subito dopo, però, il progetto di legge prevede che l’eventuale accertamento di una natura differente da quella in origine certificata, possa avere effetto solo dal momento dell’accertamento stesso e, cioè, per il futuro e non per il passato. Si aggiunge cosi mostruosità giuridica a mostruosità giuridica perché non soltanto si conferma, sia pure per la parte precedente del rapporto, una disponibilità (insindacabile) del tipo negoziai. da parte dei privati e dell’ente certificatore, ma si introduce la figura medita e intimamente contraddittoria di un accertamento giudiziario che avrebbe efficacia solamente cx mine, laddove una pronunzia di accertamento, proprio perché non innova nell’ordinamento ma dichiara la reale qualità di un rapporto o di una situazione giuridicamente rilevante , non può che avere effetto dal momento in cui quella situazione o quel rapporto sono venuti ad esistenza. Si tratta, a ben vedere, del coronamento di quella viruale corporativa che ispira l’intero progetto di legge delega, giacché agli enti bilaterali viene non solo attribuito il governo dcl mercato del lavoro ma, in qualche modo, un potere giudiziale (di ms dicere) che esclude totalmente o parzialmente la giurisdizione dell’ordinamento generale statale.

Il segno politico dell’operazione è poi sin troppo chiaro: si tratta di veri e propri puntelli per garantire il prepotere contrattuale dei datori di lavoro oltre il momento iniziale (in cui naturalmente si esplica) di nascita del rapporto, c per tutto il tempo successivo, così da relegare i lavoratori in una situazione di permanente subalternità. Si potrebbe dire, in sintesi, che non soltanto per ottenere il beneficio di una formazione professionale, di un avviamento verso occasioni di lavoro o per ftuirc di specifici ammortizzatori sociali, il lavoratore dovrebbe rivolgersi agli enti bilaterali, ma anche per acquisire una sua identità. E’ senza alcun dubbio questa una delle norme del progetto di legge contro le quali dovrebbe essere diretta una iniziativa referendaria abrogativa non appena il decreto fosse approvato, senza neanche attendere l’emanazione dei decreti delegati.

 

P.G. Alleva