NOI
PROMOTORI SCIOCCHI E IN CATTIVA FEDE
Giacinto Botti
del Comitato promotore nazionale depositario del quesito referendario.
Il fondo del direttore del 17
giugno dal titolo “Obiettivo fallito”, contiene affermazioni discutibili e
insinuazioni inaccettabili verso chi ha, realmente, promosso il referendum e
nei confronti di tutti coloro che, con convinzione,
molta generosità e poco sostegno, hanno lavorato per vincere una battaglia di
civiltà, per mettere al centro della politica il lavoro e i diritti nel lavoro.
Per riaffermare che non esiste democrazia nel paese se
questa, insieme ai diritti costituzionali, si ferma davanti ai cancelli di
un’azienda. Di qualsiasi azienda.
Le insinuazioni sulla cattiva fede
dovrebbero essere rivolte ad altri, non a chi, con convinzione e buona fede, ha cercato di invertire i rapporti di forza, di sostituire
ad una tendenza difensiva, utile ma ormai inefficace, una linea più determinata
ed efficace contro un Governo che ha già prodotto leggi che aumentano la
precarietà e che attaccherà ancora l’articolo 18 con la 848 bis.
Barenghi definisce
un sogno l’obiettivo giusto di estendere l’articolo 18 a milioni di lavoratori:
noi promotori abbiamo cercato di trasformare un sogno in realtà.
Era un obiettivo alla nostra
portata, possibile, come dimostrano quasi undici
milioni di sì.
Abbiamo consegnato alla sinistra
politica e sindacale un’occasione definita irripetibile
anche da molti giuslavoristi.
Allora, agli opportunisti oggi
pronti a scagliarsi sui promotori, vorrei dire che si sa, la vittoria ha molti
padri e la sconfitta viene scaricata su pochi: ma per
fare cosa utile dovrebbero rivolgersi a chi ha scelto di non vincere,
convergendo in un’alleanza innaturale - in buona o cattiva fede - con il
centrodestra e le forze padronali.
Perché il 92%
delle forze politiche e sociali si sono ritrovate per combattere contro questo quesito referendario, sostenendo tesi e ragioni molto
spesso analoghe?
Il referendum, per questo fronte
da santa crociata, era una iattura, una cosa inutile e spacca tutto, sbagliato
e causa di nuova disoccupazione.
Mai si sono viste tanta falsità,
scorrettezza, terrorismo psicologico, boicottaggio dell’informazione nei
confronti di un quesito di una semplicità
straordinaria che, se avesse prevalso il sì, avrebbe determinato conseguenze
sociali e politiche così evidenti e di tale impatto simbolico da far paura.
Certo sapevamo delle difficoltà,
ma non prevedevamo tanto accanimento e ostracismo. La democrazia è venuta
meno in questa vicenda.
Il referendum è stato strumentalmente
giocato nello scontro tra partiti o fazioni, consegnando a Bertinotti,
le cui responsabilità sulla mancanza di chiarezza non sono poche, il ruolo di
promotore con finalità altre, come sostiene Barenghi.
Come hanno sostenuto sino
all’ultimo anche altri giornalisti, alcuni di sinistra, che hanno continuato - in
buona o cattiva fede? - ad attribuire il referendum a Bertinotti, ben sapendo che questo sarebbe stato un danno
per tutti.
Il quesito referendario è stato in realtà depositato da 14 cittadini, tra i quali il
sottoscritto, il 28 febbraio su mandato di un comitato promotore fatto di
diversi, singoli cittadini.
Non abbiamo raccolto le firme e
fatto un referendum per un partito o per regolare dei conti a sinistra, come
insinua Barenghi: non siamo stati sciocchi né
avventuristi.
Non abbiamo
forzato i tempi e i modi, abbiamo atteso per avviare la raccolta di
firme sino a metà maggio, dopo aver richiesto incontri con tutte le forze
politiche e sociali, dopo aver verificato la rottura sindacale e la pervicacia
del Governo nei suoi attacchi, nonostante le straordinarie lotte e le
mobilitazioni di quei mesi. Solo allora si è costituito il Comitato di sostegno
con l’importante adesione del Prc, dei Verdi, di
Socialismo 2000 e, in particolare della Fiom Cgil e di Lavoro-Società.
Chiediamoci allora perché la
sinistra non ha voluto vincere, perché il lavoro e i diritti sono ai margini
dell’azione politica, perché parte della sinistra abbia usato
strumenti e motivazioni analoghi alla destra.
E
chiediamoci anche perché il Governo di centrosinistra, oltre ad aver negato la
legge sulla rappresentanza e la democrazia, un atto dovuto avendo noi vinto nel
1995 un referendum, ha introdotto il pacchetto Treu
senza approvare la legge Smuraglia per le tutele e i
diritti, proprio per quelle nuove figure del lavoro chiamate in causa in questi
giorni per contrastare l’”inutile”
referendum.
Occorre pure chiedersi perché le
leggi di proposta di iniziativa popolare della Cgil,
sottoscritte da oltre cinque milioni di cittadini, non siano state presentate
unitariamente dal centrosinistra, ma da singoli deputati.
Ci sono quasi undici milioni di
cittadini che, con coraggio e il merito di essere andati contro corrente, hanno
voluto esercitare il loro diritto al voto per riaffermare l’esigenza di essere
rappresentati e valorizzati, per riappropriarsi del ruolo che viene loro negato e dei bisogni cancellati.
La vittoria era nelle nostre possibilità, altrimenti non si capirebbe la scelta del centro destra di passare dal no
all’astensione e al boicottaggio dell’informazione.
L’esito non era scontato, ma
avevamo buone ragioni per pensare ad una partecipazione alta ed a un risultato “forte”.
Certo c’è delusione, quei milioni
di lavoratori e cittadini che sono il patrimonio delle
lotte di questi anni e sicuramente la parte più cosciente e attiva nella difesa
dei diritti, non dimenticheranno. Chiederanno, al momento giusto, a coloro che sono stati a casa, come si impegneranno per
arrestare il prossimo attacco all’articolo 18. Cosa
faranno dinanzi alla precarizzazione che avanza con la legge 30? Sciopereranno
o no con la Cgil? Sosterranno l’iniziativa referendaria decisa dalla Cgil di Cofferati contro la prossima legge di
modifica dell’articolo 18, o giudicheranno che, essendo un referendum
contro il patto per l’Italia e che si svolgerà sotto le prossime elezioni,
dividerà ancora di più? E quello che ci auguriamo sarà
il nuovo Sindaco di Bologna, cosa farà?
Nessuno pensi di accantonare sul
piano politico e sociale quanto si è determinato con questo referendum.
Troppe ipocrisie di fronte a un dato che, se non si può certo definire soddisfacente
nelle percentuali di voto, ci consegna la volontà di oltre 10 milioni di
cittadini, di lavoratori oggi cancellati e rimossi.
Solo la Cgil e il
suo segretario generale ne hanno dato conto, li
hanno ringraziati dando loro valore e
voce, perché la battaglia per i
diritti non si ferma, e questi votanti “fantasma” saranno ancora i protagonisti
delle lotte contro il Governo e la Confindustria. Per i loro
diritti, per la dignità del lavoro e nel lavoro.
Al Direttore dico allora: se davvero queste erano le tue convinzioni profonde, troppo comodo farcele conoscere
dopo il voto.