CONFINDUSTRIA
SMENTISCE D’AMATO
di Emiliano Brancaccio, il manifesto, 5 giugno
2003
Possibile che la consegna
del silenzio attorno al referendum del 15 giugno per
l’estensione dell’articolo 18 possa essere interrotta al solo scopo di dar
fiato alle corbellerie economiche del presidente di Confindustria e dei suoi
suggeritori ?
Antonio D’amato ha dichiarato che
l’articolo 18 pregiudica la crescita dimensionale delle imprese. Non staremo
qui per l’ennesima volta a citare l’immensa mole di studi in grado di smentire
categoricamente questa affermazione. Ci limiteremo a richiamare l’attenzione su una sola ricerca,
elaborata proprio dal Centro studi Confindustria. In essa leggiamo:
“Quanto alle soglie, l’analisi empirica non sembra rivelare salti di rilievo
nella numerosità delle imprese in corrispondenza dei valori più critici (15 e
35 dipendenti), al contrario di quanto dovrebbe accadere nell’ipotesi in cui la
soglia fosse avvertita come un limite da non valicare”. Data l’ostinazione con
la quale il presidente D’Amato continua a considerare l’articolo 18 un
drammatico vincolo alla crescita delle imprese, si deve ritenere che i vertici
di Confindustria non coltivino molto l’abitudine di leggere gli studi da essi stessi commissionati.
D’Amato ha pure sostenuto che se
vincessero i SI ci sarebbero più disoccupazione e più
lavoro nero. Sarebbe così gentile il presidente da citare la fonte da cui trae
un simile convincimento ? Per quel che ci risulta,
infatti, persino l’Ocse (un’istituzione notoriamente
sostenitrice della flessibilità del lavoro) ha ammesso che non sussiste la
benché minima correlazione tra le norme di protezione dei lavoratori e il tasso
di disoccupazione. Quanto al lavoro nero, l’affermazione di D’Amato appare
stupefacente, visto che tutti i paesi che negli anni
’90 hanno optato per lo smantellamento delle tutele sono anche quelli in cui si
è verificato uno straordinario incremento della quota di attività sommersa in
rapporto al Pil. Inoltre, per quanto riguarda
l’Italia, vale la pena di ricordare che mentre nel Centro-nord
del paese il sommerso rappresenta appena il 12,1% del Pil,
nel Mezzogiorno esso oltrepassa abbondantemente il 40%. Viene allora da
chiedersi in base a quale misterioso criterio il
presidente di Confindustria arrivi ad attribuire la diffusione dell’attività
sommersa alle norme di protezione dei lavoratori. Queste, infatti,
applicandosi in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, non sono
assolutamente in grado di spiegare il divario tra Nord e Sud del paese.
La verità, insomma, è che gli
effetti perversi dell’articolo 18 preannunciati da D’Amato e
dagli altri avversari del referendum sono privi di serie basi scientifiche. Tra
le tante improvvisazioni economiche di D’Amato c’è
tuttavia una dichiarazione politica che induce a riflettere. Alla conferenza
annuale di Confindustria egli ha infatti affermato che, una volta passata la
tempesta referendaria, si potrà finalmente tornare a discutere dell’abolizione dell’articolo 18 anche per le grandi
imprese. L’ennesima dimostrazione, questa, che il tempo delle
mezze misure è finito. L’esito del referendum sarà infatti decisivo per
chiarire se la politica economica prossima ventura potrà ancora fondarsi su un
insensato attacco alle tutele dei lavoratori, oppure se
dovrà finalmente tornare a concentrarsi sui nodi cruciali e dimenticati del
vincolo macroeconomico e della programmazione industriale.
Emiliano Brancaccio