La giusta causa
stesso lavoro stessi diritti
Referendum popolari per l’estensione
di diritti e tutele 
previsti dallo Statuto dei lavoratori

COMITATO PROMOTORE NAZIONALE

Stefano Albani, Pietro Alò, Carlo Amirante, Riccardo Bellofiore, Marco Bersani, Giacinto Botti, Emiliano Brancaccio, Paolo Cagna Ninchi, Franco Calamida, 
Bruno Cartosio, Federica Cattaneo, Nicola Cipolla, Pasquale Colella, José Luis Del Roio, Maria Pia Esposti, Luigi Ferrajoli, Mario Fezzi, Raffaele Fiengo, Dario Fo, 
Andrea Fumagalli, Giorgio Gardiol, Giulio Girardi, Augusto Graziani, 
Pierluciano Guardigli, Carlo Guglielmi, Leo Gullotta, Domenico Iervolino, Citto Maselli, Lidia Menapace, Maria Grazia Meriggi, Emilio Molinari, Isidoro Mortellaro, 
Moni Ovadia, Gilberto Pagani, Andrea Panaccione, Piero Panici, Emilio R. Papa, 
Mery Paradisi, Fulvio Perini, Giuseppe Prestipino, Guglielmo Ragozzino, Franca Rame, Alfio Riboni, Vittorio Rieser, Ugo Riscigno, Rossano Rossi, Angela Ruggieri,
Franco Russo, Amerigo Sallusti, Luigi Saraceni, Teresa Savi, Guglielmo Simoneschi, Ugo Spagnoli, Giancarlo Toppi, Roberto Veneziani, Ugo Verzeletti.
 

Di cosa parliamo quando parliamo di articolo 18.

La legge e i contratti prevedono in quali casi si può licenziare (cd “flessibilità in uscita”).  Lo statu-to dei lavoratori all’art. 18 non si occupa di questo ma solo delle conseguenze nel caso in cui un la-voratore abbia subito un licenziamento al di fuori di quelle regole che lo giustificano. L’art. 18 non si occupa cioè di flessibilità ma solo di sanzionare il licenziamento arbitrario e ingiustificato. 

Cosa prevede l’articolo 18 e a chi si applica l’articolo 18.

L’art. 18 – quando sia accertato in giudizio che il licenziamento è ingiusto – prevede che il lavorato-re abbia il diritto di riavere il proprio posto di lavoro, la copertura previdenziale dal licenziamento alla reintegrazione nonché un risarcimento pari  alle retribuzioni perse che non può comunque esse-re inferiore a 5 mensilità. Il lavoratore inoltre,  se ha perso fiducia nel datore e non intende più tornare nel proprio posto,  può chiedere - in sostituzione della reintegrazione -  ulteriori 15 mensilità.
L’art. 18 si applica non a tutti i lavoratori subordinati ma solo a quelli che lavorano in unità produt-tive che abbiano più di 15 dipendenti o comunque per datori di lavoro che, avendo molte sedi con pochi dipendenti in ciascuna di esse, occupino più di 60 dipendenti in Italia. Tutti coloro che invece lavorano per datori di lavoro che occupano meno dipendenti oppure lavorano per partiti, sindacati, scuole religiose ecc. (che ad oggi sono esclusi dall’applicazione del 18 a prescindere dal numero di dipendenti) a fronte del licenziamento ingiusto e arbitrario possono solo avere un’indennità econo-mica veramente irrisoria che va da due mensilità e mezzo dell’ultima retribuzione fino a sei.

Gli effetti dell’abrogazione referendaria dei limiti dell’articolo 18.

La vittoria del referendum, fatti sempre salvi i casi esclusi dalla legge (il lavoro domestico, quello dei dirigenti, degli sportivi ecc.), comporterebbe che di fronte alla stessa ingiustizia si hanno gli stessi diritti per tutti e cioè quello di poter tornare nel proprio posto di lavoro da cui si è stati ingiu-stamente espulsi, di avere i contributi  anche per il periodo di ingiusta disoccupazione sino alla sen-tenza, e di vedersi risarcito il reale danno subito. Si otterrà cioè un effetto che nulla ha a che vedere con la flessibilità in uscita (disciplinata da altre norme) ma con la giustizia (uguale lavoro uguali di-ritti), con la libertà (di programmare la propria vita) e con la dignità (di pretendere il rispetto della propria persona) senza il permanente ricatto di poter essere cacciati con un pugno di euro. Si otterrà cioè che finalmente tutti i lavoratori verranno trattati come cittadini che, infatti, a fronte di un ingiu-sto recesso da un qualsiasi contratto hanno sempre il diritto di chiederne l’adempimento oltre al rea-le risarcimento del danno.

Di cosa parliamo quando parliamo di articolo 35 e a  chi si applica.

Lo statuto dei lavoratori, al titolo III, consente ai lavoratori di godere di diritti democratici anche sul posto di lavoro, comunicando e riunendosi tra loro e scegliendo il proprio rappresentate che  tratti con il datore di lavoro le questioni che riguardano tutti i dipendenti. In particolare è previsto il dirit-to a costituire rappresentanze sindacali aziendali, di poter tenere assemblee sul posto di lavoro al di fuori dell’orario e anche nell’orario fino a 10 ore annue, a consultarsi anche tramite referendum fuo-ri dell’orario, ad avere una bacheca per affiggere notizie, a raccogliere contributi. Tali elementari diritti sono però riservati dall’art. 35 solo ai lavoratori che prestino servizio in unità produttive con oltre 15 dipendenti rimanendo così esclusa tutta o parte della forza lavoro di imprese che possono avere anche centinaia di dipendenti sparsi però in tante piccole sedi (è il caso, ad esempio, dei di-pendenti a tempo indeterminato delle agenzie di lavoro interinale). 

Gli effetti  dell’abrogazione dei limiti di cui all’articolo 35.

La vittoria del referendum, fatti sempre salvi i casi esclusi dalla legge (ad esempio il diritto ad avere una saletta sindacale, che rimane limitato alle unità produttive con oltre 200 dipendenti) comporta un effetto chiaro: i più basilari diritti di democrazia - scegliere il proprio rappresentante per trattare con il datore e farlo in modo democratico tramite riunioni, consultazioni e comunicazioni sul posto di lavoro – siano riconosciuti ad ogni lavoratore in quanto tale (come sono riconosciuti ad ogni cit-tadino) a prescindere dalla consistenza numerica del personale occupato dal suo datore. 
 

APPELLO
Negli ultimi dieci anni sono stati licenziati 2.500.000 lavoratori, mentre ne vengono reintegrati ogni anno in forza dell’articolo 18 circa 1300.
Questo vuol dire che nel nostro Paese si può licenziare liberamente per ragioni che riguardano l’andamento dell’impresa. L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori impedisce soltanto che un lavoratore possa essere licenziato senza giustificato motivo e, nel caso ciò avvenisse, consente che quel lavoratore possa rivolgersi alla magistratura, ovvero a un giudice terzo, per ritornare in possesso di ciò che gli è stato ingiustamente tolto: il posto di lavoro. Vale a dire, citando Massimo D’Antona, di quei «diritti fondamentali che devono riguardare il lavoratore non in quanto parte di un qualsiasi tipo di rapporto contrattuale, ma in quanto persona che si aspetta dal lavoro l’identità, il reddito, la sicurezza, cioè i fattori costitutivi della sua vita e della sua personalità».
Favorisce forse lo sviluppo, fa emergere dal sommerso, rende l’impresa più competitiva poter licenziare liberamente il lavoratore che porta i capelli lunghi, la lavoratrice che denuncia molestie sessuali, l’impiegato di banca omosessuale, l’immigrato che perde tre dita sotto una pressa, la commessa che va in maternità? Questi sono casi emblematici di sentenze di reintegro che chiunque può trovare sulle riviste giuridiche e che ci dicono che senza la tutela reale dal licenziamento arbitrario, il lavoratore vive sotto un ricatto permanente, che non consente il concreto ed effettivo esercizio dei propri diritti, lo rende totalmente indifeso di fronte all’arbitrio e inoltre impoverisce il suo contributo alla qualità del lavoro a detrimento anche dell’impresa.
Il ripristino formale della libertà incontrollata di licenziamento, qual è quello perseguito ora dal governo con la legge delega, ha ricadute sostanziali esclusivamente su diritti fondamentali quali la libertà di pensiero, di espressione, di adesione a partiti politici, a formazioni sindacali, su ogni altra forma di tutela e su ogni altro diritto di fonte contrattuale e legale.
Abbiamo dunque di fronte una questione di diritto, di giustizia e di eguaglianza. Questione, obiettivamente, divenuta centrale non solo rispetto al futuro dei lavoratori ma anche dell’intera società; diventata architrave e argine riguardo al complessivo tema dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini, a partire dalle fasce più deboli ed esposte.
Ma oggi l’articolo 18 della legge 300/ 70 “Statuto dei lavoratori”, intestata “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, e che si riferisce a quelle prerogative che ogni stato civile deve garantire a ogni suo cittadino, riguarda una minoranza e una minoranza esigua del mondo del lavoro: non si applica alle imprese sotto i 15 dipendenti – che oggi sono ben l’85% del totale nazionale – e a tutti quei lavoratori, oggi oltre 6 milioni, che hanno contratti atipici.
Noi crediamo che un diritto o è universale o non è. Per questo crediamo alla necessità di una campagna per l’estensione dell’articolo 18 perché, da un lato, vi è una questione che tocca dignità, sicurezza sul posto di lavoro e libertà dei lavoratori, dall’altro c’è l’esigenza che tutele e norme che rendono effettiva la nostra Costituzione e la Carta europea dei diritti fondamentali devono avere carattere generale, devono essere di tutti.
Per questa ragione vi chiediamo di aderire alla campagna
LA GIUSTA CAUSA: STESSO LA LAVORO STESSI DIRITTI
che, attraverso referendum abrogativi delle norme che attualmente limitano l’applicazione degli articoli 18 e 35, estenda le tutele dello Statuto dei lavoratori a tutti i cittadini che ne hanno diritto, insieme con proposte di legge di iniziativa popolare per ottenere comuni e vere tutele per tutti i lavori, nonché sulla democrazia, sul diritto di voto e sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro. 

I 14 depositari dei quesiti referendari: Pietro Alò Social Forum di Roma, Giacinto Botti RSU Italtel, Paolo Cagna Ninchi Comitato per le libertà e i diritti sociali, Franco Calamida ex parlamentare, Federica Cattaneo FILCAMS-CGIL, Maria Pia Esposti CGIL Corriere della Sera, Pierluciano Guardagli sindacato scrittori, Carlo Guglielmi avvocato, Piero Panici avvocato, Rossano Rossi RSU Sammontana, Angela Ruggieri RSU Upim, Giancarlo Toppi SLC-CGIL, Roberto Veneziani ricercatore, Ugo Verzeletti RSU Iveco

CAMPAGNA REFERENDARIA PER ESTENDERE A TUTTI I LAVORATORI L’ART.18 E I DIRITTI PREVISTI NELLO STATUTO DEI LAVORATORI

Il 9 maggio 2002 si è costituito il Comitato promotore nazionale per i referendum costituzionali abrogativi di parti rilevanti dell’articolo 18, relativo a “reintegrazione nel posto di lavoro” nonché di tutto l’articolo 35, relativo a “Campo di applicazione”, Legge n. 300/70 Statuto dei Lavoratori. 
Il diritto a non essere licenziati senza giusta causa oggi riguarda solamente il 15% delle imprese e il 36 % dei lavoratori dipendenti.
Esso deve diventare un diritto universale e le tutele e le norme che rendono effettiva la nostra Costituzione e la Carta Europea dei diritti fondamentali, devono  avere carattere generale ed essere di tutti. 
Siamo di fronte ad una questione di diritto, di giustizia, di eguaglianza e di civiltà; una questione che è divenuta centrale non solo rispetto al futuro dei lavoratori ma anche come misura della civiltà della nostra società.
Per questo 

FIRMA
· REFERENDUM SULL’ART. 18: per estendere a tutti i lavoratori subordinati la tutela dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori contro il licenziamento ingiustificato

· REFERENDUM SULL’ART. 35: per consentire a tutti i lavoratori subordinati l'esercizio dei diritti democratici nei luoghi di lavoro.