REFERENDUM ARTICOLO 18
IL QUORUM NON È STATO RAGGIUNTO – 25,6% – L’86,7% HA
VOTATO SI
Non è stato raggiunto il quorum per rendere valido il referendum per
estendere l’articolo 18 alle imprese sotto i 15 dipendenti. Un risultato reso
più negativo dalla bassissima percentuale di partecipazione al voto (25,6%) e che non si può attribuire solo alla data
catastrofica (scuole chiuse, caldo torrido – l’ultimo referendum si votò il 21
maggio), all’oscuramento televisivo (il più massiccio dell’era televisiva),
allo schieramento astensionista (da Fassino a Berlusconi, D’Amato, Fini e Bossi) pari a
oltre il 90% dello schieramento politico.
Il referendum che doveva essere dei cittadini è rimasto
dei partiti e la discussione a cui i cittadini potevano partecipare (attraverso
giornali e tv) riguardava esclusivamente problemi di rapporti tra maggioranza e
opposizione e tra un pezzo e l’altro dell’opposizione e non il merito della
questione posto dal referendum. In questo modo non si è creato un vasto
movimento sociale che ne facesse, com’era, una battaglia di giustizia e di uguaglianza, quindi una battaglia di civiltà e insieme un’occasione
per fermare la precarizzazione del lavoro e impedire l’attacco
all’articolo 18 per chi ce l’ha ancora.
Ma 10.800.000 cittadini hanno votato SI all’estensione dei diritti nel
lavoro (l’86,7% del totale dei votanti).
Questo dato è molto importante perché indica prima di tutto che il
raggiungimento del quorum avrebbe significato una vittoria certa – come era nel nostro convincimento – e che più di un terzo della
popolazione che normalmente va a votare – poco meno dei votanti del
centro-sinistra - è a favore dei diritti del lavoro e di una società più
giusta.
Occorre tenere fermo questo dato per chi, ora che il referendum è stato
rimosso dalla via delle “riforme” del centro-destra, dovrebbe
percorrere la via legislativa all’estensione dei diritti.
Ma soprattutto occorre tenere fermo questo dato per chi ha sostenuto la
battaglia dei diritti, per chi crede che in questa situazione anche lo
strumento del referendum fosse un’occasione per invertire la tendenza a fare
della precarietà la condizione normale del lavoro.
A questi cittadini, al significato del loro voto, della loro
partecipazione si dovrà pensare quando continuerà in Parlamento l’iter delle
deleghe sul lavoro,.
Per loro noi non siamo pentiti di aver promosso il referendum e per
loro ci impegniamo a continuare la battaglia per i
diritti, insieme con tutti coloro che si sono impegnati per il SI e che
ringraziamo tutti per l’impegno profuso e a quali proponiamo di partire da
quello che insieme abbiamo costruito per allargarlo, renderlo più forte per
ottenere diritti e tutele del lavoro degni di un paese giusto e civile.
Paolo Cagna Ninchi, presidente del comitato promotore del referendum
sull’articolo 18