Liberazione  3 maggio 2003

Lettera di Ichino

 

 

Caro Direttore,

            su Liberazione del 1° maggio, sotto il titolo “Lo strano caso del professor Ichino”, Emiliano Brancaccio mi imputa una incoerenza tra quanto detto nella trasmissione televisiva “otto e mezzo” del 29 aprile e quanto da me scritto in diverse occasioni, circa gli effetti prodotti dalla disciplina dei licenziamenti sui tassi di occupazione e disoccupazione; e conclude: “saremmo ansiosi di conoscere la sua opinione sulla faccenda”.

            Brancaccio e gli altri lettori di Liberazione avrebbero potuto conoscere la mia opinione fin dal 18 marzo scorso, se fossero state pubblicate le mie risposte all’intervista della vostra giornalista Gemma Contin; quell’intervista è invece stata annullata con una motivazione che, a dire il vero, non manifestava grande ansietà di conoscere le mie idee: ho ricevuto le sue risposte, che spostano abbastanza il ‘timbro’ dell'intervista. Ritengo che così com'è non possa andare sul nostro giornale ... La prego di scusarmi per averLe sottratto del tempo, che so esserle rezioso. Spero che avremo migliore fortuna e occasione di ospitare la Sua opinione in circostanze meno divaricate”.

            Né in quell’intervista né altrove ho mai affermato – e non l’ho fatto neppure nella trasmissione del 29 aprile – che ci sia una correlazione tra la rigidità della disciplina dei licenziamenti e il tasso di disoccupazione; ma lo stesso studio dell’Ocse citato da Brancaccio individua invece una correlazione tra quella rigidità e il tasso di occupazione (particolarmente quello femminile, giovanile e degli anziani), che è concetto economico ben diverso. Credo che Rifondazione comunista sbagli nel sottovalutare questo problema.

Quanto alle mie opinioni sul referendum, l’intervista non pubblicata da Liberazione è stata pubblicata dal Riformista il giorno dopo. Le stesse opinioni ho, comunque, cercato di argomentare nei miei articoli sul Corriere della Sera fin dal maggio dell’anno scorso, quando ancora del referendum nessuno parlava. Ho sempre sostenuto – e Fausto Bertinotti me ne ha dato pubblicamente atto di recente ‑ che l’iniziativa referendaria mette il dito nella piaga di un diritto del lavoro che, ingiustamente, protegge soltanto metà dei lavoratori; e che questa iniziativa è figlia legittima e coerente della battaglia dello scorso anno per la difesa a oltranza dell’articolo 18. Ma ho anche sempre sostenuto che, sulla distanza, quella trincea si sarebbe rivelata indifendibile, proprio per l’improponibilità dell’estensione dell’articolo 18 alle piccole imprese, nonché a tutta la vasta area del precariato variamente denominato; e che pertanto la sinistra avrebbe fatto meglio a battersi fin da allora per una riforma che potesse davvero applicarsi a tutti i lavoratori.

 

            Con i più cordiali saluti