La giusta causa
stesso lavoro stessi diritti
Referendum popolari per l’estensione
di diritti e tutele 
previsti dallo Statuto dei lavoratori

COMITATO PROMOTORE NAZIONALE

Stefano Albani, Pietro Alò, Carlo Amirante, Riccardo Bellofiore, Marco Bersani, Giacinto Botti, Emiliano Brancaccio, Paolo Cagna Ninchi, Franco Calamida, 
Bruno Cartosio, Federica Cattaneo, Nicola Cipolla, Pasquale Colella, José Luis Del Roio, Maria Pia Esposti, Luigi Ferrajoli, Mario Fezzi, Raffaele Fiengo, Dario Fo, 
Andrea Fumagalli, Giorgio Gardiol, Giulio Girardi, Augusto Graziani, 
Pierluciano Guardigli, Carlo Guglielmi, Leo Gullotta, Domenico Iervolino, Citto Maselli, Lidia Menapace, Maria Grazia Meriggi, Emilio Molinari, Isidoro Mortellaro, 
Moni Ovadia, Gilberto Pagani, Andrea Panaccione, Piero Panici, Emilio R. Papa, 
Mery Paradisi, Fulvio Perini, Giuseppe Prestipino, Guglielmo Ragozzino, Franca Rame, Alfio Riboni, Vittorio Rieser, Ugo Riscigno, Rossano Rossi, Angela Ruggieri,
Franco Russo, Amerigo Sallusti, Luigi Saraceni, Teresa Savi, Guglielmo Simoneschi, Ugo Spagnoli, Giancarlo Toppi, Roberto Veneziani, Ugo Verzeletti.

IL QUESITO REFERENDARIO

1.  ART. 18  LEGGE 20 MAGGIO 1970 N. 300
"Volete  voi,  al  fine  di  estendere  a tutti i lavoratori  subordinati  i  diritti e le tutele previsti dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, l'abrogazione:
      dell'art. 18, comma  primo, legge  20 maggio 1970,  n. 300, titolata  "Norme sulla tutela della  libertà  e  dignità  dei lavoratori,  della  libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi  di  lavoro e norme sul collocamento", limitatamente alle sole parole  "che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio reparto autonomo  nel  quale  ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze  più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi  di  imprenditore agricolo", e all'intero periodo successivo che  recita  "Tali  disposizioni  si  applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune  occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che   nel  medesimo  ambito  territoriale  occupano  più  di  cinque dipendenti,   anche  se  ciascuna  unità  produttiva,  singolarmente considerata,  non  raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro,   imprenditore  e  non  imprenditore,  che  occupa  alle  sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro";
      dell'art  18,  comma  secondo,  legge  20 maggio  1970, n. 300, titolata   "Norme   sulla   tutela  della  libertà  e  dignità  dei lavoratori,  della  libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi  di  lavoro e norme sul collocamento", che recita "Ai fini del computo  del numero dei prestatori di lavoro di cui al primo comma si tiene  conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e  lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale,  per  la  quota  di  orario  effettivamente svolto, tenendo conto,  a  tale  proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento  all'orario  previsto dalla contrattazione collettiva del settore.  Non  si  computano  il  coniuge  ed i parenti del datore di lavoro   entro   il  secondo  grado  in  linea  diretta  e  in  linea collaterale";
      dell'art.  18,  comma  terzo,  legge  20 maggio  1970,  n. 300, titolata   "Norme   sulla   tutela  della  libertà  e  dignità  dei lavoratori,  della  libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi  di  lavoro  e norme sul collocamento", che recita "Il computo dei  limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie";
      dell'art.  2,  comma  primo,  legge  11 maggio  1990,  n.  108, titolata  "Disciplina  dei  licenziamenti individuali", che recita "I datori   di   lavoro   privati,   imprenditori  non  agricoli  e  non
imprenditori,  e  gli  enti  pubblici  di  cui all'art. 1 della legge 15 luglio  1966,  n.  604,  che  occupano alle loro dipendenze fino a quindici  lavoratori  ed i datori di lavoro imprenditori agricoli che occupano  alle loro dipendenze fino a cinque lavoratori computati con il  criterio  di  cui all'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come  modificato  dall'art.  1  della  presente  legge, sono soggetti all'applicazione delle disposizioni di cui alla legge 11 luglio 1966, n.  604,  così  come  modificata dalla presente legge. Sono altresì soggetti  agricoli  che  occupano  alle loro dipendenze fino a cinque lavoratori  computati  con il criterio di cui all'art. 18 della legge 20 maggio  1970,  n.  300, come modificato dall'art. 1 della presente legge,  sono soggetti all'applicazione delle disposizioni di cui alla legge  11 luglio  1966,  n. 604, così come modificata dalla presente legge.  Sono altresì  soggetti all'applicazione di dette disposizioni i  datori  di lavoro che occupano fino a sessanta dipendenti, qualora non  sia  applicabile  il disposto dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'art. 1 della presente legge.";
      dell'art.  2,  comma  terzo,  legge  11 maggio  1990,  n.  108, titolata  "Disciplina  dei  licenziamenti  individuali",  che  recita "l'art.  8  della  legge  15 luglio  1966,  n. 604, e' sostituito dal seguente:  quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento  per  giusta  causa o giustificato motivo, il datore di lavoro  e'  tenuto  a  riassumere  il  prestatore  di lavoro entro il termine   di  tre  giorni  o,  in  mancanza,  a  risarcire  il  danno versandogli  un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto  riguardo  al  numero  dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento  e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta  indennità  può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a  14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai  20  anni,  se  dipendenti  da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro";
      dell'art.  4,  comma  primo,  legge  11 maggio  1990,  n.  108, titolata "Disciplina dei licenziamenti individuali", limitatamente al periodo  che  così  recita  "La  disciplina di cui all'art. 18 della
legge  20 maggio  1970,  n.  300,  come  modificato dall'art. 1 della presente  legge,  non  trova applicazione nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura  politica,  sindacale,  culturale,  di  istruzione  ovvero  di religione o di culto."?

APPELLO
Negli ultimi dieci anni sono stati licenziati 2.500.000 lavoratori, mentre ne vengono reintegrati ogni anno in forza dell’articolo 18 circa 1300.
Questo vuol dire che nel nostro Paese si può licenziare liberamente per ragioni che riguardano l’andamento dell’impresa. L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori impedisce soltanto che un lavoratore possa essere licenziato senza giustificato motivo e, nel caso ciò avvenisse, consente che quel lavoratore possa rivolgersi alla magistratura, ovvero a un giudice terzo, per ritornare in possesso di ciò che gli è stato ingiustamente tolto: il posto di lavoro. Vale a dire, citando Massimo D’Antona, di quei «diritti fondamentali che devono riguardare il lavoratore non in quanto parte di un qualsiasi tipo di rapporto contrattuale, ma in quanto persona che si aspetta dal lavoro l’identità, il reddito, la sicurezza, cioè i fattori costitutivi della sua vita e della sua personalità».
Favorisce forse lo sviluppo, fa emergere dal sommerso, rende l’impresa più competitiva poter licenziare liberamente il lavoratore che porta i capelli lunghi, la lavoratrice che denuncia molestie sessuali, l’impiegato di banca omosessuale, l’immigrato che perde tre dita sotto una pressa, la commessa che va in maternità? Questi sono casi emblematici di sentenze di reintegro che chiunque può trovare sulle riviste giuridiche e che ci dicono che senza la tutela reale dal licenziamento arbitrario, il lavoratore vive sotto un ricatto permanente, che non consente il concreto ed effettivo esercizio dei propri diritti, lo rende totalmente indifeso di fronte all’arbitrio e inoltre impoverisce il suo contributo alla qualità del lavoro a detrimento anche dell’impresa.
Il ripristino formale della libertà incontrollata di licenziamento, qual è quello perseguito ora dal governo con la legge delega, ha ricadute sostanziali esclusivamente su diritti fondamentali quali la libertà di pensiero, di espressione, di adesione a partiti politici, a formazioni sindacali, su ogni altra forma di tutela e su ogni altro diritto di fonte contrattuale e legale.
Abbiamo dunque di fronte una questione di diritto, di giustizia e di eguaglianza. Questione, obiettivamente, divenuta centrale non solo rispetto al futuro dei lavoratori ma anche dell’intera società; diventata architrave e argine riguardo al complessivo tema dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini, a partire dalle fasce più deboli ed esposte.
Ma oggi l’articolo 18 della legge 300/ 70 "Statuto dei lavoratori", intestata "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento", e che si riferisce a quelle prerogative che ogni stato civile deve garantire a ogni suo cittadino, riguarda una minoranza e una minoranza esigua del mondo del lavoro: non si applica alle imprese sotto i 15 dipendenti – che oggi sono ben l’85% del totale nazionale – e a tutti quei lavoratori, oggi oltre 6 milioni, che hanno contratti atipici.
Noi crediamo che un diritto o è universale o non è. Per questo crediamo alla necessità di una campagna per l’estensione dell’articolo 18 perché, da un lato, vi è una questione che tocca dignità, sicurezza sul posto di lavoro e libertà dei lavoratori, dall’altro c’è l’esigenza che tutele e norme che rendono effettiva la nostra Costituzione e la Carta europea dei diritti fondamentali devono avere carattere generale, devono essere di tutti.
Per questa ragione vi chiediamo di aderire alla campagna
LA GIUSTA CAUSA: STESSO LA LAVORO STESSI DIRITTI
che, attraverso referendum abrogativi delle norme che attualmente limitano l’applicazione degli articoli 18 e 35, estenda le tutele dello Statuto dei lavoratori a tutti i cittadini che ne hanno diritto, insieme con proposte di legge di iniziativa popolare per ottenere comuni e vere tutele per tutti i lavori, nonché sulla democrazia, sul diritto di voto e sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro. 

I 14 depositari dei quesiti referendari: Pietro Alò Social Forum di Roma, Giacinto Botti RSU Italtel, Paolo Cagna Ninchi Comitato per le libertà e i diritti sociali, Franco Calamida ex parlamentare, Federica Cattaneo FILCAMS-CGIL, Maria Pia Esposti CGIL Corriere della Sera, Pierluciano Guardagli sindacato scrittori, Carlo Guglielmi avvocato, Piero Panici avvocato, Rossano Rossi RSU Sammontana, Angela Ruggieri RSU Upim, Giancarlo Toppi SLC-CGIL, Roberto Veneziani ricercatore, Ugo Verzeletti RSU Iveco

 

CAMPAGNA REFERENDARIA PER ESTENDERE A TUTTI I LAVORATORI L’ART.18 E I DIRITTI PREVISTI NELLO STATUTO DEI LAVORATORI

Il 9 maggio 2002 si è costituito il Comitato promotore nazionale per i referendum costituzionali abrogativi di parti rilevanti dell’articolo 18, relativo a "reintegrazione nel posto di lavoro" nonché di tutto l’articolo 35, relativo a "Campo di applicazione", Legge n. 300/70 Statuto dei Lavoratori. 
Il diritto a non essere licenziati senza giusta causa oggi riguarda solamente il 15% delle imprese e il 36 % dei lavoratori dipendenti.
Esso deve diventare un diritto universale e le tutele e le norme che rendono effettiva la nostra Costituzione e la Carta Europea dei diritti fondamentali, devono  avere carattere generale ed essere di tutti. 
Siamo di fronte ad una questione di diritto, di giustizia, di eguaglianza e di civiltà; una questione che è divenuta centrale non solo rispetto al futuro dei lavoratori ma anche come misura della civiltà della nostra società.