LA GIUSTA CAUSA: MAI PIÙ AL LAVORO SENZA DIRITTI

Paolo Cagna Ninchi — Comitato per le libertà e diritti sociali

Alla fine di agosto del 1999 costituimmo il Comitato per le libertà e i diritti sociali per rispondere alla campagna sui referendum cosiddetti sociali dei radicali che spacciava per liberali e libertari quesiti che intaccavano la dignità, prima ancora che i diritti, delle persone che svolgono un lavoro dipendente e la nostra era una indignazione anche culturale oltre che politica.

Il Comitato raccolse adesioni non solo nel mondo del lavoro, ma in ampi strati della società:

avvocati, docenti, giuristi oltre che parlamentari e sindacalisti e questo ci consentì di svolgere un compito utile con un risultato assai rilevante: la presentazione di una memoria alla Corte Costituzionale, accolta per la prima volta nel dibattimento sulla legittimità costituzionale dei quesiti referendari e che contribuì a cassare ben nove degli undici quesiti "sociali".

Il comitato sostenne la necessità di votare NO nel voto del 20 maggio del 2000 sul referendum per l’abrogazione dell’art. 18 S.d.L, l’unico NO che prevalse tra i quesiti ammessi, segno che il senso comune, l’opinione diffusa, a maggio 2000 non erano ancora pronti a superare l’ultimo ostacolo al totale dispiegamento dell’arbitrio nei luoghi di lavoro.

Oggi, quindi, possiamo partire da quel lavoro e da quel dato per costruire una proposta che nasce anch’essa da una reazione alla debolezza con la quale si risponde, nella società e anche nella sinistra, al più radicale degli attacchi al sistema di regole e diritti costruiti in un secolo di lotte sociali, politiche e giuridiche che riguardano il lavoro, attacco condensato nel "libro bianco" del ministro Maroni e soprattutto nella legge delega sul mercato del lavoro, di cui la sospensione dell’articolo 18 SdL è solo la punta dell’iceberg, attacco che stravolge l’intero diritto del lavoro -dalla tutela si passa alla istituzionalizzazione della precarietà — e propone una vera, profonda rivoluzione del patto sociale su cui si regge la Costituzione dello stato italiano. Una rivoluzione che il governo Berlusconi è ben intenzionato a portare a compimento, forte della sua maggioranza e della debolezza dell’opposizione che, a nostro giudizio, non offre una sponda sufficiente all’impegno e alla lotta del sindacato confederale, sottovalutando non solo il valore del lavoro nella società, ma soprattutto il significato e il valore generale che questo scontro assume.

A noi pare che rispondere a questo attacco a tappeto non è possibile limitandosi a un’azione puramente difensiva e di contenimento dell’aggressività di una destra che ha vinto con un programma chiarissimo: impresa e competitività al governo dell’economia, del lavoro e dello stato sociale; attacco al modello universale di scuola e sanità; messa in discussione della mediazione sociale realizzata attraverso il ruolo delle rappresentanze sociali e politiche su cui si fonda la nostra Costituzione.

Certo molte cose sono cambiate da quando lo Statuto dei Lavoratori diventò legge nel maggio del 1970. L’Italia degli anni 70 era quella del protagonismo sindacale sia all’interno delle grandi fabbriche dove nascevano i consigli di fabbrica, sia nella società che evolveva nella cultura e nel costume. A questo processo corrispose la crescita della sinistra politica, culminata nel voto a metà degli anni 70. Oggi, trent’anni dopo, siamo di fronte alla crisi della politica, e quindi della sinistra, che ha radici prima di tutto nella grande difficoltà ad affrontare la questione dei diritti sociali dopo l’enorme rimescolamento di carte di questi anni.

In questi trent’anni sono profondamente cambiati la struttura produttiva, l’organizzazione e il mercato del lavoro:

- gli addetti nelle medie e grandi imprese erano maggioranza ora il rapporto si è rovesciato a favore delle imprese sotto i 15 dipendenti;

- negli ultimi dieci anni si è rovesciato anche il rapporto tra lavoro a tempo determinato e lavoro a tempo indeterminato;

- si è ridisegnata la struttura sociale con due grandi fratture che si intersecano tra loro: una tra lavoro ed esclusione sociale e una tra lavoro regolare e lavoro irregolare.

- è andato in pezzi il vecchio sistema per cui lo sviluppo dell’industrialismo, attraverso la concentrazione e la massificazione del lavoro, favoriva lo sviluppo della sinistra e la sua organizzazione: il sindacato sul fronte sociale, il partito su quello politico-istituzionale.

In un quadro così profondamente mutato e di fronte a un attacco così decisivo la proposta del COMITATO PER LE LIBERTÀ E I DIRITTI SOCIALI è di mettere in campo un’azione altrettanto profonda e incisiva che chiami il Paese a decidere di fronte a un’alternativa secca: da una parte un mondo del lavoro senza diritti e quindi una società senza democrazia, dall’altra il tema dei diritti del lavoro come fondamento della cittadinanza e dell’inclusione sociale nella struttura democratica.

Intorno a questa scelta netta si può rilanciare l’iniziativa, aggregando segmenti di società, riunificando i pezzi sparsi della sinistra sociale e politica, i nuovi movimenti e chiunque ritenga segno di civiltà e modello di convivenza il riconoscimento di dignità e diritti al lavoro.

La proposta che facciamo è quella di lanciare una grande campagna - estesa, unitaria, duratura e non episodica - su un progetto cardine del principio dell’universalità dei diritti che leghi insieme: le questioni della rappresentanza, come diritto del cittadino lavoratore; l’estensione dell’art. 18 come diritto alla dignità della persona; la parità dei diritti e delle tutele sul lavoro a prescindere anche dalla nazionalità del lavoratore.

Occorre una campagna che affronti e ponga, nei luoghi di lavoro e nella società, la questione delle caratteristiche di una società civile nel terzo millennio e su questo sappia mobilitare le coscienze. Una campagna articolata e approfondita in tutto il Paese, che coinvolga i luoghi di lavoro, le donne e gli uomini che lì vi operano, con l’insieme della società della quale quelle donne e quegli uomini vogliono far parte a pieno titolo di cittadinanza.

Come strumento di questa campagna proponiamo un progetto articolato su una combinazione di referendum e di proposte dileggi di iniziativa popolare che ci veda impegnati, per tutto il 2002.

I referendum che proponiamo rendono praticabile: il principio della universalità dei diritti in generale, in particolare il principio di giustizia che non si può essere licenziati senza giusta causa come prevede anche nella Carta europea dei diritti fondamentali e infine il principio secondo cui non si può ricevere un’offesa senza tutela.

In concreto essi riguardano quindi:

• l’estensione dell’articolo 18, con l’abolizione della parte che ne limita l’applicazione alle aziende sopra i 15 dipendenti;

• l’abrogazione dell’art. 35 legge 300 con conseguente estensione dello statuto a tutti i lavoratori;

Ai referendum, e con essi strettamente intrecciati, si accompagnano le proposte di legge di iniziativa popolare sui diritti e le tutele dei lavori, sulla rappresentanza e il diritto di voto per quanto riguarda contratti e accordi sindacali: diritti elementari del cittadino lavoratore e completamento della definizione di cittadinanza.

Per questo progetto a noi riserviamo il compito di lanciare la proposta: le forze del Comitato per le libertà e i diritti sociali non sono straordinarie, ma nella nostra scelta di lanciare questa proposta, ci ha confortato l’esperienza passata di lavoro insieme a soggetti tra loro diversi intorno all’obiettivo chiaro — anche allora la parola d’ordine era LA GIUSTA CAUSA - di respingere la barbarie di una società concepita come una giungla in cui prevale il diritto del più forte. E ci spinge la convinzione che, se non si tira il sasso, l’acqua non si increspa e oggi è necessario sollevare una tempesta sulla palude che ci sta inghiottendo.

A questo progetto noi vogliamo lavorare insieme con tutti coloro che ne condividono l’ispirazione e rifiutano la ideologia liberista e la pratica dell’arbitrio sociale. Siamo convinti che intorno a esso, senza logiche di primazia o di schieramento, si possa costruire un fronte sociale e politico molto ampio che: restituisca alla sinistra le ragioni per un’azione unitaria, in una prospettiva di ricomposizione e di crescita intorno a un’idea di società solidale; offra anche ai nuovi movimenti, come i molti Forum sociali che stanno crescendo nel Paese e ai giovani che vi aderiscono con passione, l’occasione di una partecipazione e di una mobilitazione perché i diritti non abbiano confini, perché il lavoro non sia una merce, perché la dignità non abbia un prezzo.