Il libro nero del liberismo
di Massimo Roccella

Evidentemente dev’esserci stato un errore nell’annuncio del colore: si era parlato della presentazione di un Libro bianco sui problemi del mercato del lavoro e delle relazioni industriali, ed invece quel che il Governo ha reso noto contiene nient’altro che una raccolta delle più estremistiche richieste della Confindustria di D’Amato, una sorta di inimmaginabile Libro nero del più ottuso iperliberismo. L’estremismo delle proposte è tale che si sarebbe tentati di considerarle come un ballon d’essai e liquidarle con una risata: se non fosse che la loro eventuale, anche parziale, attuazione sarebbe gravida di conseguenze pesantissime per i sindacati e soprattutto per i lavoratori. Occorre, dunque, trattenere il disgusto e cominciare ad esaminarle per quello che sono.

Va rilevato, in primo luogo, il richiamo, tanto petulante ed insistito, quanto infondato, all’Europa. Si tratta, invero, di un argomento propagandistico che questa maggioranza reazionaria, notoriamente euroscettica, ha preso l’abitudine di utilizzare nei campi più svariati, approfittando sia del controllo sui media da regime quasi-totalitario di cui può avvalersi, sia della scarsissima conoscenza del diritto comunitario nell’opinione pubblica (e talvolta, ahimè!, anche in quella giuridica). La tecnica è già stata utilizzata a piene mani nell’area del diritto penale: con la nuova legislazione sul falso in bilancio e sulle rogatorie, presentata dalla maggioranza come un adeguamento agli standard europei, salvo essere immediatamente contestata dalla stampa e dalla magistratura di mezza Europa. Nel caso del diritto del lavoro la stessa tecnica viene coniugata in vario modo: manipolando talvolta in maniera sfacciata il significato delle norme comunitarie; più spesso evitando riferimenti puntuali al diritto comunitario, sostituiti dal richiamo a specifiche normative di singoli Stati membri dell’UE, prescelte, cogliendo fior da fiore, con appassionata predilezione per quelle più sgangheratamente deregolate (e naturalmente prescindendo da ogni ragionamento sul più ampio contesto nazionale di riferimento); quando neppure questo risulta sufficiente, allora il "richiamo all’Europa" viene relegato (ovviamente senza dirlo con chiarezza) in un angolo buio, per passare senz’altro alla prospettazione di idee, regole, istituti che trovano riscontro soltanto negli Stati Uniti, ovvero in quel modello americano che costituisce la vera (ed inconfessabile) stella polare delle politiche del mercato del lavoro del governo Berlusconi-D’Amato.

Esemplare, da questo punto di vista, deve ritenersi la proposta di introdurre nella nostra legislazione il sistema dello staff leasing, in linea, appunto, con criteri operanti oltreoceano e sconosciuti nell’Europa continentale. Di che cosa si tratta? Né più, né meno che di cancellare la regola, ancora oggi di fondamentale rilievo per colpire prassi fraudolente, che impedisce il cosiddetto appalto di manodopera vietando ogni forma di dissociazione fra la figura del datore di lavoro formale e quella dell’utilizzatore reale delle prestazioni lavorative. Oggi questa regola conosce un’unica eccezione, rappresentata dal lavoro interinale (applicabile, peraltro, soltanto a prestazioni di lavoro circoscritte nel tempo); domani, con lo staff leasing sarebbe possibile "affittare" da agenzie specializzate gran parte della forza-lavoro a tempo indeterminato: un imprenditore, ad esempio, potrebbe utilizzare anche centinaia di lavoratori mantenendo la titolarità diretta di non più di quindici rapporti di lavoro (ed evitando così di applicare lo Statuto dei lavoratori).

Lo stesso lavoro interinale, d’altra parte, dovrebbe essere ampiamente deregolamentato. Il modello largamente prevalente in Europa, ed accolto nel 1997 anche dal nostro legislatore, condiziona il ricorso al lavoro interinale alla sussistenza di causali obiettive (individuate dalla legge e/o dai contratti collettivi). Senonchè l’attuale governo s’è accorto che, dopo la liberalizzazione dei contratti a termine attuata nell’agosto scorso in flagrante violazione del diritto comunitario (com’è stato più volte denunciato su questo giornale), il lavoro interinale è diventato ampiamente privo di appeal per le imprese; ciò spiega perché, per soffocare l’ira delle agenzie operanti nel settore, si proponga adesso non soltanto di abilitarle a svolgere anche funzioni di collocamento (con l’obiettivo aggiuntivo, ed assolutamente non secondario, di affossare del tutto i servizi pubblici per l’impiego, in spregio degli obblighi derivanti dal rispetto delle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro), ma di cancellare anche il sistema delle causali: togliendo ogni dubbio, a chi ancora ne avesse, che l’assunzione in forma precaria costituisce il criterio di fondo attorno al quale la destra liberista intende organizzare il mercato del lavoro.

Quanto al part-time, è appena il caso di ricordare che esso ha rappresentato uno dei più impegnativi e condivisibili interventi riformatori in materia di lavoro del governo di centro-sinistra, realizzato con attento equilibrio dei diversi interessi in gioco nella regolazione di questa di tipologia lavorativa ed in scrupolosa aderenza alle indicazioni delle direttive comunitarie e della Corte costituzionale. Si poteva essere certi, senza neppure compulsare il Libro bianco, che il governo della destra avrebbe immediatamente cercato di mettere le mani (nel senso di manomettere) su quella riforma: provando a squilibrarla ad esclusivo vantaggio delle imprese; legittimando le forme più elastiche e deregolamentate di impiego del part-time (ivi compreso il job-on-call, vietato dalla legislazione attuale ed a suo tempo sonoramente bocciato dai lavoratori della Zanussi); cancellando quel "diritto di ripensamento" che oggi consente di transitare da un part-time elastico ad un part-time con orario stabile e predefinito, e che è stato previsto dalla normativa varata dal centro-sinistra in funzione antidiscriminatoria, a tutela soprattutto del lavoro delle donne per favorirne la possibilità di conciliare impegni familiari e vita professionale. Quest’obiettivo, per la verità, è ritualmente menzionato anche nel Libro bianco (lo predica l’Europa, impossibile trascurarlo, nevvero?): resta però assolutamente misterioso come sia possibile realizzarlo prefigurando rapporti di lavoro che presuppongono una flessibilità oraria spinta, per tantissime donne (per ragioni sin troppo note) impossibile da offrire. In materia di part-time davvero la prosa del Libro bianco ricorre ad espressioni che non si sa se imputare più ad un raptus ideologico o a crassa ignoranza: come quando si afferma che l’esercizio del diritto di ripensamento "all’interno di un accordo contrattuale liberamente sottoscritto appare del tutto incomprensibile e contravviene ai principi che governano in generale il diritto delle obbligazioni". Evidentemente si deve proprio ricordare ancora, ad oltre un secolo dalla sua nascita, che il diritto del lavoro è ovunque costruito largamente in deroga al diritto generale delle obbligazioni: giacchè nel contratto di lavoro non si scambia un bene materiale, ma è implicata la persona stessa del lavoratore; o, per dirla con le parole di Robert Solow, perché è proprio impossibile confondere il mercato del lavoro con quello del pesce (e pretendere di applicarvi i medesimi criteri di regolazione).

L’ultima perla, infine, riguarda il sin qui misteriosissimo lavoro a progetto. Dopo la liberalizzazione dei contratti a termine, invero, era difficile comprendere che cos’altro si potesse immaginare nell’area del lavoro precario. Adesso l’arcano è stato svelato: ed è apparsa la bella idea di un lavoro a tempo determinato, da veicolare però non nella forma giuridica del lavoro subordinato (con le relative, seccanti garanzie), ma in quella del lavoro autonomo: certificato con un marchio di autenticità ad opera di istituendi "enti bilaterali", onde sterilizzare ex ante contestazioni in sede giudiziaria.

Bisognerà tornare ancora sull’insieme delle proposte del Libro bianco. Già la prima lettura, ad ogni modo, permette di esprimere l’auspicio che i sindacati sappiano respingere al mittente, unitariamente e senza esitazioni, questa paccottiglia reazionaria. Aiutando anche il centrosinistra ad evitare di perdersi in distinguo, che precluderebbero la comprensione degli indirizzi di fondo del governo, e priverebbero d’incisività un’opposizione che anche su questo terreno deve manifestarsi con la stessa nettezza ed intransigenza che si è saputo mettere in campo nelle più recenti vicende parlamentari.

 

(Pubblicato ne l’Unità del 5 ottobre 2001)