L'ULTIMA TRANSUMANZA

di Pierluigi Giorgio

(gia' pubblicato su "La Rivista della Montagna" e ripubblicato qui in memoria di Felice Colantuono, deceduto nel 1995).


"Altri fiumi, altri laghi, altre campagne / sono lassu' che non son qui tra noi; / c'han le cittadi, hanno i castelli suoi, / con case, de le quali mai piu' magne / non vide il paladin prima ne' poi; / e vi son ampie e solitarie selve / ove le ninfe ognor cacciano belve".

Cosi' esordisce Felice Colantuono, zi' Felice come lo chiamo io, prendendo a prestito l'Orlando Furioso, la sera del nostro primo incontro attorno a un grosso fuoco di bivacco, lungo la prima tappa di un percorso che dalle Puglie lo riportera', dopo sei mesi di lontananza, a casa, ad Acquevive, alle pendici della montagna di Frosolone, in Molise. Un lungo tratto di quasi 200 chilometri da percorrere a piedi in 4-5 giorni; lui, i suoi tre figli maschi, i nipoti, qualche lavoratore occasionale, ed il suo "capitale", come lui lo definisce, 500 bestie tra mucche e vitelli. Felice Colantuono, professione massaro, capo mandria, anni 78. Sissignore, gli anni sono 78, non c'e' errore di stampa.

Me lo stanno presentando alcuni amici comuni, rintracciati proprio per conoscere quest'uomo, l'ultimo transumante, forse, che copre l'intero percorso a piedi e con i suoi animali: Molise-Puglie, due volte l'anno, andata e ritorno, lungo cio' che resta dei Regi Tratturi...

E cosi' zi' Felice mi squadra, si fa ripetere la richiesta: non riesce a capire per quale motivo uno che viene da Roma, che di mestiere fa l'attore, voglia farsi questa scarpinata, dormendo all'addiaccio e condividendo stenti e fatiche. Gli amici lo rassicurano sui miei intenti e sulla resistenza alla fatica; gli raccontano che, tempo addietro, ho gia' percorso i tratturi del Molise: 250 chilometri a piedi e in poco piu' di una settimana.

"Quando uno ha fatto il tratturo non sa piu' camminare su altre strade..." avevo letto anni fa su qualche libro. Ed ora, la conferma: stasera sono qui, accanto a questi uomini attorno al fuoco che mi guardano come fossi un po' matto. Tutto era iniziato tempo fa nella metropoli in cui vivo da anni, causa lavoro, e dove mi sentivo sempre piu' oppresso, accerchiato, demotivato, abulico. Quasi che la vita mi scorresse veloce davanti agli occhi, come al di la' del finestrino di un super-rapido in corsa: non riuscivo a bloccarne le immagini, le emozioni.

Fu allora che casualmente venni a sapere dell'esistenza, e proprio nella mia terra, dei tratturi, singolarissime e antiche vie erbose per la transumanza.

Cosi' presi la decisione: infilai gli scarponi e mi avviai..

. "Tratturo". Tratturo, arcana parola che mi diceva tutto, che non mi diceva niente; un pretesto, per me, di un percorso mentale. Nei mesi che seguirono il viaggio, compresi che io avevo voluto cercare vecchi modelli e storie da far combaciare con la mia attualita'; paesi da sovrapporre alla citta'; contorni di un mio volto antico per delimitare I confini dell'attuale; insomma, guardare al passato per avere una motivazione al mio presente, una giustificazione al mio futuro...

Zi' Felice ascolta, in silenzio, il racconto che di me gli fanno gli amici; di tanto in tanto mi osserva, attento, con I suoi occhi chiari, due fessure strette fra le palpebre. Lo so, si sta domandando perche' uno che fa l'attore, che ha la possibilita' di fare la bella vita e apparire in tv e sui giornali, che guadagna chissa' quanto e puo' permettersi I sogni: macchine, vacanze e donne, ora e' li' e vuol calpestare per cinque gioni "cacca di vacca"?!

Come spiegargli che il mio precedente viaggio era stato un'esperienza discriminante fra un prima e un poi, che mi aveva fatto capire quanto fossi inaridito dentro e che di fronte al rischio di perdere il contatto con la mia fantasia, preferivo abbandonare, regalare il mio lavoro, la mia esperienza di attore alla gente che via via incontravo... Come spiegargli che i miei 250 chilometri di tratturi sarebbero stati un ininterrotto palcoscenico: 250 chilometri di proscenio senza quinte... "Piantate un palo adorno di fiori in mezzo ad una piazza; riunite attorno il popolo e avrete una festa. Meglio ancora, offrite gli spettatori come spettacolo, fateli attori essi stessi, fate che ciascuno si veda e si ami negli altri, affinche' tutti siano piu' uniti", scriveva Rousseau.

Mi ritrovai cosi', sera dopo sera, a trasferire, a riferire di paese in paese le loro storie, narrando la loro vita, teatralizzando le loro vicende che credevano insignificanti per gli altri, rendendoli protagonisti di un antico spettacolo. Quel viaggio significo' dare ricevere indicare raccogliere tuffarsi riconoscersi insieme nel loro, nel nostro immaginario collettivo. E leggevo alla gente storie legate a quel percorso, sottolineando l'importanza di quei tracciati, di quel cordone ombelicale. Rammentavo loro che non si trattava solo di semplici prati, che bisognava difenderli, ostacolando quanti volevano cancellare la lor storia sotto un soffocante manto d'asfalto... Il mio non era un invito al passato, ma a resistere al livellamento omogenizzante del presente; non a rintanarsi nella ghettizzazione di paese, ma a rifiutare anche lo stritolamento della citta'. E giorno dopo giorno il tratturo assumeva sempre piu' l'aspetto di un elemento simbolico.

Ed ecco che la miccia innescata sortisce il suo effetto: il volto di zi' Felice, prima rosa poi sempre piu' simile al rosso della brace e ai bagliori del fuoco che gli e' davanti, esplode in una vampata di rabbia come da un vulcano da troppo tempo limitato al borbottio. "Siediti qui vicino, mangia, bevi; verrai con me" mi fa, sollevandosi un po' per stringermi la mano e per passarmi la fiasca del vino. "Sono piu' di trent'anni che lo grido a quelli che fanno le leggi! Dove diavolo devo far passare il mio capitale se una volta i tratturi erano di 60 passi ed ora non sono neppure di 20? Lo Stato continua ad asfaltare e assegnar terre per la coltivazione ai frontisti ed io continuo a litigarci ad ogni passaggio perche' le mie povere bestie calpestano coltivazioni di un territorio che un tempo era libero e percorribile fino alle Puglie. Perche? Per generazioni abbiamo comandato le bestie e ora io e i miei figli dobbiamo essere comandati dalle bestie in cravatta? Ma cosa devo fare io, a 78 anni: vuoi vedere che a questa eta' devo entrare nelle Brigate Rosse?...".

I figli non lo ascoltano piu', la litania e' fin troppo nota, e si tirano sugli occhi un lembo della coperta per tentare di dormire un po'; tra poco si parte e il viaggio sara' faticoso, estenuante. Speriamo che non piova.

Il vecchio guarda e tace. Conosce le loro domande. Sa che loro si chiedono se e' ancora il caso di sopportare le difficolta' e i sacrifici di un viaggio del genere o se non sia piu' logico ridurre la mandria e trasportare le bestie sui camion, come fanno tutti ormai. Sa che i nipoti, qui solo per dargli una mano, pensano che tutto cio' non ha piu' senso e che forse gia' immaginano per il futuro una diversa gestione, se non addirittura di chiudere baracca e burattini.

Il vecchio riprende a parlarmi, un po' per sfogo e un po' come se tra noi ci fosse una tacita intesa. La sua mente va agli anni passati sui tratturi, a suo padre, a suo bisnonno. Sciorina racconti come noccioline e gli aneddoti si susseguono come grani di un interminabile rosario che si srotola tra le pieghe della mente.

"Migliaia e migliaia di anni fa, mandriani e pastori di queste montagne dovevano partire per raggiungere le terre del sole: era inverno e se le mucche e le pecore fossero rimaste li', ne avrebbero sofferto e, forse, sarebbero anche morte per il freddo. Cosi' gli uomini si misero in cammino, prendendo quattro direzioni diverse. Iddio volle essere clemente con loro e apri' un grande sentiero, largo piu' di cento metri, al passaggio delle greggi e delle mandrie. Fu cosi' che i pastori trovarono la strada per la terra del sole e quella di casa, al ritorno in primavera...".

Il vecchio mi racconta questa leggenda parlando in rima, come vuole la tradizione di pastori poeti d'altri tempi. Io cerco di stargli dietro, di emularlo, di vincerlo anche nel tentativo di far combaciare il finale delle frasi, ma, nonostante il mio "mestiere di parola", non riesco a stargli al passo. Zi' Felice ride e sa di avermi complice. Mi passa la fiasca e una patata cotta sotto la brace. Tutti dormono. Lui riprende il racconto. "Avevo 15 anni quando feci il mio primo viaggio sul tratturo. Partii con mio padre e piovve per tutto il tempo. Non c'era ombrello capace di proteggerci! A quell'epoca partivamo per la Puglia con una coperta di lana bianca, un corno per tenerci l'olio d'oliva, due sgabelli a tre gambe e un sacchetto di sale. A un mandriano o pastore spettavano poche lire al mese; ma avevo diritto anche a 40 chili di pane, un litro d'olio, un chilo di sale e, se portavi le pecore, un vello all'anno.

Ogni giorno mangiavamo pane e acqua salata; nei giorni migliori, il pancotto e un pezzo di formaggio o di caciocavallo che facevamo noi stessi durante le soste, dopo la mungitura. I maccheroni e la frittata, solo nei giorni di festa, a Natale, Pasqua e il giorno del Santo Patrono. Che triste il primo Natale in Puglia! Senza mia madre, senza I miei fratelli... Pensavo al paese e alla casa, e mi sentivo piccolo piccolo in quella Puglia sconfinata. Ricordo che piansi... Poi, all'improvviso, in quella pace, la' attorno al fuoco, qualcuno cominciava a recitare i versi di grandi poeti: "Da che fo questa vita / la pace del mio cor se n'e' fuggita; / ne' de l'eta' che avanza, / mi resta a consolar nulla speranza, / se ogni anno star degg'io / otto lune lontan dal suol natio..."

. "Un tempo molti di noi conoscevano a memoria l'Orlando Furioso, l'Innamorato, la storia dei Paladini di Francia e pure l'Inferno della Divina Commedia. La maggior parte di noi non riusciva ad andare a scuola: si partiva per il tratturo molto presto, ma chi voleva imparava lo stesso un po' a leggere e a scrivere dai piu' anziani, la sera, attorno al fuoco. Era bello, sai? Era bello! Perche' quando stavi la', in mezzo a quel silenzio, tra le ombre della notte, sotto quel cielo stellato, ti pareva di capire meglio quelle parole cosi' difficili, quei versi. Si', straiati attorno al fuoco, ce ne restavamo la' a fissare la luna finche' gli occhi si chiudevano da soli e ci addormentavamo.... "O santa dea, che dagli antiqui nostri / debitamente sei detta triforme, / ch'in cielo, in terra e nell'inferno mostri / l'alta bellezza tua sotto piu' forme, / e nelle selve, di fere e di mostri / vai cacciatrice seguitando l'orme, / mostrami ove il mio re giaccia fra tanti, / che vivendo imito' tuoi studi santi".

E' quasi l'alba. Zi' Felice e' li' dalla sera prima, con la sola giacca di fustagno marrone sulle spalle e il cappello a falde nel cui bordo tiene infilata l'immagine della Madonna del Canneto. L'alone caldo della fiamma gli avvole la figura ammorbidendone i contorni netti e segnati del viso, addolcendogli con tenue pastello le mani enormi, grosse come pale, secche come rami, dure come attrezzi. "Sai che ogni animale ha un nome?" mi fa, accarezzando il muso di una mucca che si era avvicinata curiosa tra me e lui. "E le riconosco tutte e cinquecento! Una notte, durante una transumanza, un contadino me ne rubo' una che era rimastra indietro. All'alba tornai sui miei passi e la riconobbi, legata ad una masseria. Il padrone di casa diceva che l' animale era suo e aveva anche due testimoni a confermare la sua versione. Allora andai a chiamare il brigadiere del paese vicino e gli proposi di sciogliere la bestia e di chiamarla per turno a nome. Il contadino grido' due o tre volte "Fiorina! Fiorina!", ma lei, indifferente, continuava a ruminare. Io mi avvicinai lungo il tratturo e dissi:"Tommasina" e lei rispose "muuu-huuhhhhh!" e mi segui' immediatamente. Quei tre furono messi dentro..." Ed eccolo ghignare con tutte le membra mentre si assapora il ricordo.

Per quale ragione tu, vecchio di 78 anni, ti ostinavi a fare ancora una volta quel percorso a piedi? Perche' accettavi un sacrificio a volte disumano, fra stenti e difficolta'? Perche' continuavi a privarti di cose che ormai avresti potuto permetterti? Sentivi forse che era l'ultimo tuo viaggio? Che sarebbe stato l'ultimo tuo tratturo? E per i tuoi figli? I tuoi nipoti? Sarebbe stata l'ultima transumanza per tutti?...Certo, la tua casa era in paese, ma per tanti anni era anche stata li', sotto le stelle...

Del grosso legno di ulivo non resta ormai che qualche pezzo incenerito. Gli uomini, sdraiati a terra, cercano di accartocciarsi, di rimpicciolirsi infilando la testa sotto la coperta troppo corta che lascia scoperti gambe e piedi. Il vecchio smuove la brace con gesti antichi, solenni quasi. Per un attimo lo paragono a quel ciocco sul fuoco....si sentira' cosi' anche lui?..... e mi sento triste. Quando un vecchio se ne va, oggi piu' che mai muore un pezzo di paese, un pezzo di storia, una fetta di vita; una pagina si volta e un vuoto immenso si crea, pronto per un'altra storia, certo, ma ancora tutta da scrivere. Con i vecchi che muoiono, ad uno ad uno, e' il paese che sta morendo, che se ne va.

Ed ecco che il sole spunta, e con quello i primi richiami ai cani, le prime bestemmie. Il viaggio....questa sorta di pellegrinaggio individuale....comincia: la tessera piu' preziosa di un mosaico tutto mio. L'immaginario prende forma, il racconto diventa realta'. Sto dando credibilita' ad un sogno, che sogno non e' piu', e consistenza a una realta' che sembrava sogno.

Ed ecco i primi muggiti, lo scampanio delle mucche, qualche accenno e poi il fragore, che si espande nella valle lungo il tratturo. Un suono antico, convolgente, che mi trascina in luoghi remoti, in epoche lontane duemila anni...

"Molti e molti lustri fa, la terra, in cui viveva un antico popolo italico subi' una terribile carestia. Gli uomini per placare il dio Mamerte, che credevano adirato con loro, gli immolarono raccolti e figli nati con la primavera. Consuetudine che duro' fin quando il sacrificio dei bambini venne sostituito con un lungo viaggio in terre lontane. Tutti i giovani di vent'anni lasciarono allora famiglie e beni e si incamminarono con alla testa un unico bue. Attraversarono monti e valli e dopo giorni e notti giunsero in una zona ubertosa dove il bue si fermo', rifiutandosi di procedere oltre. Quegli uomini antichi capirono che quello era il luogo dove costruire il loro villaggio. Sanniti si chiamavano, e Sannio la terra scelta a propria ultima e agognata terra...".


Nota dell'Editore:

Ho voluto ripubblicare questo bel pezzo giornalistico anche per onorare la memoria di mio nonno Michele, "tatill(e) M(e)chel(e), che tante volte fece la transumanza, con le pecore. Ricordo vivamente quando si udiva a Frosolone lo scampanio festoso e si vedeva il polverone sollevato dal gregge ancor prima che apparissero gli animali ed i loro custodi. Tutti noi ragazzi eravamo affollati per goderci lo spettacolo. I cani del gregge correvano avanti e indietro con piu' fervore del solito, quasi a dimostrarci la propria importanza di valido aiuto dei pastori, fingendo di azzannare i garretti delle pecore ritardatarie e passando poi a giocare col montone a capo del gregge.

Finalmente arrivava mio nonno, che mi faceva un regalo meraviglioso: qualche arancia, che aveva portato a spalla nello zainetto, per tutto il percorso dalle Puglie, proprio per me. Nessun'altra dimostrazione ( la nostra gente e' molto riservata in pubblico), ma a me quel dono parlava volumi del suo affetto per il primo nipote, quello che aveva rinnovato il suo nome. Sapeva bene che lo ricambiavo di tutto cuore.

Michele Notte


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Prossimo capitolo: Un Amico che non si Dimentica.