Anche se l'azione, o meglio l'ambientazione, di Mediterraneo è targata 1941, i riferimenti, i voluti e cercati anacronismi rimandano irrimediabilmente all'oggi. Il registro dominante è quello della commedia giovanilistica e implica, ovviamente, la trasposizione delle espressioni gergali e dei comportamenti ai giorni nostri. L'interesse del film, invece, sta nel valore sintomatico che la metafora assume, correlata com'è non al nostro periodo bellico ma all'ultimo ventennio, indulgendo ai vezzi di certo cinema nostrano, indeciso tra testimonianza generazionale, auto-assoluzioni e ricerca del successo facile. Mediterraneo vagheggia l'evasione dalla storia e dalla responsabilità dei singoli, la favola di un mondo senza conflitti, una sorta di eterna infanzia. In tempo di tensioni interne ed internazionali, questo sentimento non è comprensibile. In Mediterraneo c'è la scoperta della fuga alla fine del viaggio, dopo che già una guerra è stata combattuta. Mediterraneo parla di una fuga, certo; fuga da Penelope e dalla sua ovvietà. Ossia: fuga dalla seriosità degli impegnati, fuga dalla stupidaggine dei dinamici, fuga dal cinismo degli uomini-guida, fuga dalla volgarità dei profittatori in buona o cattiva coscienza. Già in Kamikazen (1987), Salvatores aveva in cuore tutto questo. Ma qui arriva una maturità, una misura, una profondità, una "leggerezza", un senso del racconto e dei tempi di montaggio che ne fanno davvero un autore, e non un piccolo autore. Roberto Escobar, Il Sole - 24 Ore
Dedicato a Jean Laborit, il teorizzatore della "fuga" come unico mezzo di sopravvivenza anche spirituale, il film si conclude con un vincitore (il piccolo disertore di Giuseppe Cederna che decide di rimanere nel piccolo paradiso dell'Egeo) e parecchi sconfitti (i compagni che tornano in patria a combattere e poi a ricostruire, abbastanza male tutto smmato, l'Italia). Giorgio Carbone, La Notte
Gabriele Salvatores, distaccandosi dalle mitologie giovanilistiche e postsessantottine dei precedenti film, ha dato con Mediterraneo la sua opera più immediata e completa. Spariscono i residui personalistici e testimoniali che vagano dentro a Marrakech Express e Turné: di questi film restano la verve narrativa e l'andamento vivace, ma si affianca una distaccata e sorridente serenità che annunzia nuova classicità di respiro. Fra qualche rivisitazione dell'antica commedia italiana (forse La grande guerra di Monicelli), si fa avanti un modo di sentire più in grande. Più funzionali, e anche poetiche, le immagini; fluido il tempo narrativo; ottima la recitazione non solo nei protagonisti Abatantuono, Bigagli e Cederna, ma anche nei minori. Soprattutto il recupero della continuità come tradizione cinematografica italiana. Sergio Frosali, La Nazione
Quanto alla regia, una leggerezza di tocco che rischia di sconfinare nella fragilità, un'amarezza generazionale che si trattiene dal diventare tedio della vita, la certezza di venir assolto dagli scaduti obblighi dell'impegno sul piano della simpatia caratterizzano ancora una volta lo stile accattivante dell'autore di Marrakech Express e Turné. Tullio Kezich, Il Corriere della sera
Menu principale - Biografia - Filmografia - Curiosità - Luoghi - Nomi - Pagina del film - Autori dell'ipertesto
This page hosted by Get your own Free Home Page